Sezione Locale della Società Psicoanalitica Italiana
di Alberto Luchetti
(Padova) Membro Ordinario con funzioni di Training della Società Psicoanalitica Italiana, Centro Veneto di Psicoanalisi.
„…das Unpersönliche
und sozusagen Naturnotwendige in unserem Wesen…“
“…quanto nel nostro essere vi è di impersonale
e, per così dire, di naturalisticamente necessitato…”
S. Freud, Das Ich und das Es, L’Io e l’Es (1922 [1923], 486, nota 3)
Warum Krieg?, Perché guerra?, ci chiedevamo un anno fa (Luchetti, 2023). Warum Es?, Perché Es?, ci si potrebbe domandare oggi ricordando i cento anni de L’Io e l’Es. Pubblicato nell’aprile 1923, era stato iniziato nel luglio 2022, rivisto più volte e già concluso alla fine di quell’anno, dopo essere stato annunciato da Freud (1922, 467) nel settembre di quello stesso anno al congresso di Berlino (l’ultimo cui partecipò di persona), avendone peraltro anticipato nel 1921, in una lettera a Groddeck, alcuni sviluppi e la stessa adozione del termine Es. Giacché è proprio l’Es che compare in quegli anni nel pensiero freudiano fondando la seconda topica, mentre le altre istanze – incluso il Super-Io, che pure qui è battezzato e articolato con il complesso di Edipo – hanno un’origine ben precedente nel pensiero freudiano.
I due interrogativi summenzionati, peraltro, sono fortemente connessi ed intrecciati: non ci si può interrogare sulla psiche umana se non si prende in considerazione la guerra come tragica caratteristica peculiare dell’essere umano (peraltro emersa relativamente tardi nell’evoluzione) e, viceversa, non ci si può interrogare sulla guerra senza interrogarsi sullo specifico apparato dell’anima che, nell’essere umano, è esito del suo essere un animale linguistico e pulsionale, di cui l’introduzione dell’Es, scaturita dalla nuova teoria pulsionale, sottolinea l’autodistruttività originaria.
Dunque, perché un Es? Una domanda che si pone Laplanche nel suo corso universitario del 1977-1979, poi raccolto nel quarto volume delle sue Problematiche intitolato L’inconscio e l’Es (Laplanche, 1977-1979), appena ripubblicato nella sua edizione italiana. Ne seguiremo alcuni passi – concisamente e un po’ schematicamente – circa motivi, esigenze ed effetti, sottolineandone infine le questioni che ne discendono, tra le quali, in particolare, una cruciale per la psicoanalisi.
Innanzitutto, per Laplanche, è importante notare che l’introduzione dell’Es, se certo sancisce la configurazione di una cosiddetta seconda topica freudiana che così prende forma ed è «fondata», non ne è affatto il primo passo. L’edificio della seconda topica non nasce dalle sue fondamenta, inconsce, ma per così dire dal tetto.
«Ebbene, la cosa sorprendente è che l’instaurazione della nuova topica (“Es, Io e Super-Io”) non avviene in un’unica volta, e soprattutto non avviene dalla “base”, ma dalla “cima”. Non sarà l’Es a sussumere o sostituire l’inconscio, ma prima sarà introdotta – o almeno assumerà un’importanza ed una “stoffa” del tutto nuova – la nozione di Io», che dopo un progressivo arricchimento (tra il 1895 e il 1915) subisce una decisiva «mutazione che fa precipitare bruscamente la sua problematica, per influsso di tre scoperte: la scoperta del narcisismo, la scoperta dell’importanza delle identificazioni nella costituzione dello psichismo e infine quella delle istanze ideali» (Laplanche, 1977-1979, 169).
Il termine «Es», come si sa, è tratto da Groddeck, nei cui testi era stato introdotto – all’interno di una concezione monista e panteista, un pansimbolismo che era al tempo stesso un pansessualismo – nel 1909, prima ancora che Groddeck cominciasse a fare riferimento alla psicoanalisi, e unitamente alla comparsa appunto di un termine panteista ripreso da Goethe: «Dio-natura». L’«Es», più pertinente di quest’ultimo termine, è «una vera creazione nuova, qualcosa di vicino alla vita, è qualcosa che “ci vive”» e, travalicando l’individuo, «se la ride di tutte le manifestazioni ridicole rappresentate dalle nostre azioni individuali, dalle nostre azioni separate le une dalle altre, oppure dei sintomi, ed ovviamente ancora di più dei fenomeni cosiddetti di coscienza, della nostra riflessione» (Laplanche, 1977-1979, 181-182).
In realtà, Freud adotta l’«Es» solo con molte riserve, e infatti Groddeck (1923) se ne accorge con disappunto: «il suo Es ha un valore limitato per le nevrosi. Compie il passo nell’organico solo segretamente, con l’aiuto di una pulsione di morte o di distruzione presa da Stekel e da Spielrein. Il lato costruttivo del mio Es, lui, lo lascia da parte». Del resto la concezione groddeckiana non è veramente biologizzante, almeno nel senso di una scienza biologica, ma psichicizzante e «simbolica»: non si tratta di un «crogiuolo biologico» da cui sorgerebbe lo «psichismo», ma di uno psiche-soma (denominazione in realtà imprecisa, essendo un tutt’uno indistinguibile) e più ancora un Dio-natura: «Si può costruire una opposizione tra conscio ed inconscio, mai tra Es e conscio. Si può contrapporre l’Io all’inconscio e alle pulsioni, mai all’Es. Giacché l’Es ingloba conscio ed inconscio, Io e pulsioni, corpo ed anima, fisiologia e psicologia» (1925, 213). Se Groddeck rimprovera a Freud di isterilire l’Es per farlo entrare in una topica, Freud critica a Groddeck l’aspetto molto più metafisico, perfino mistico dell’Es. A Freud che gli rimprovera di essere anche «un filosofo, affascinato dall’unità, spinto dalla Sua tendenza monistica a minimizzare tutte le belle differenze nella natura» (Freud, 1917-1934, 18-19), Groddeck risponde che si può perfettamente tener conto delle differenze, pur percependole come momenti di una unità (Groddeck, 1917-1934, 21). Ma Freud insisterà scherzosamente nella sua critica del monismo groddeckiano, ribadendo la propria dualità conflittuale, scrivendogli anni dopo: «Il mio Io e il mio Es si congratulano col Suo Es per l’opera compiuta» (Freud, 1917-1934, 100).
Ma tra Freud e Groddeck ci sono anche sostanziali convergenze: il ruolo prevalente della sessualità, il determinismo inconscio, e appunto il simbolismo, che per Freud era limitato, benché acquisti via via più peso, mentre per Groddeck era ampliato anche al sintomo organico, alla forma degli organi, ad ogni aspetto della vita, introducendo così un biologismo psichicizzato: i fenomeni umani sono tout court simbolici dell’Es, il cui simbolismo peraltro è interamente sessuale.
Ma se Freud non riprenderà l’Es nell’ampiezza che ha in Groddeck, in quanto appunto forza vitale, tuttavia approfondirà sempre più l’assimilazione del suo antico inconscio con l’Es, inteso come un inconscio originario biologico anziché essere, come precedentemente, il prodotto di una rimozione originaria in due tempi: un primo tempo esogeno, traumatico «in sé», ed un secondo tempo in cui, après-coup, il traumatismo diventa autotraumatismo.
Con l’Es (ma già prima di esso, nel pensiero freudiano), la rimozione diventerebbe solo secondaria e riguarderebbe quei contenuti che, da quel crogiolo biologico, tenterebbero di introdursi nelle altre porzioni dell’apparato psichico, affiorandovi o irrompendovi. Un appello alla biologia che del resto, in Freud, è molto precedente all’introduzione dell’Es.
Innanzitutto, la constatazione che non tutto ciò che è inconscio è «l’inconscio» (come già assodato per il preconscio). Ma soprattutto, non tutto ciò che appartiene al sistema Inconscio, in quanto obbedisce per l’appunto alle leggi del processo primario, è necessariamente non-conscio, sottratto alla coscienza (ad esempio riappare in forma ecmnestica o quasi-allucinatoria, o metonimicamente: vedi Freud, 1899 e 1937). La constatazione cioè di una estraneità radicale che fa ormai dell’inconscio qualcosa di molto più eterogeneo di un’«altra coscienza», soprattutto con un funzionamento ed una economia drasticamente distinti; qualcosa che non potrà mai re-intercalarsi saggiamente nel contesto della nostra vita psichica cosciente… Un Es, appunto? (Laplanche, 1977-1979, 164).
Una seconda ragione per mettere in discussione la nozione di inconscio è la considerazione della sua posizione nel conflitto. Dapprima l’inconscio poteva essere assimilato a ciò che nel conflitto svolge, per così dire, il ruolo di «cattivo», di ciò che deve essere respinto perché inintegrabile (si ricordi che inizialmente l’inconscio era concepito come il risultato di un abuso ai danni di un infans o un bambino, un effetto che la psicoanalisi mirava a risolvere e dissolvere del tutto), dunque del polo pulsionale rimosso. Ora si è scoperto che ciò che rimuove, ciò che si difende, il modo stesso in cui ci si è difesi, è caduto nell’inconscio alla stessa stregua di ciò contro cui ci si è voluti difendere: se la difesa stessa è inconscia, dove collocare il conflitto? Questa sarà del resto una delle ragioni principali per riportare l’accento sull’istanza dell’Io che, a differenza del preconscio-conscio, non è contrassegnata da un rapporto necessario con la coscienza ma, in sé stesso, è neutro rispetto alla distinzione tra conscio ed inconscio.
Soprattutto, questa incoscienza dell’Io non è puramente e semplicemente una non conoscenza del funzionamento della difesa, alla stessa stregua di altri funzionamenti corporei anche psichici, bensì è legata al fatto che, nella rimozione, l’Io stesso è portato a funzionare alla stessa maniera di ciò contro cui vuole difendersi e ne è contaminato: l’Io si mette a funzionare secondo il «tutto o nulla», secondo il modello della scarica senza limiti, che è precisamente quello del fantasma inconscio o del processo primario, difese dell’Io che, malgrado la loro apparenza di meccanismi psicologici astratti, sono in realtà sottesi da fantasmi corporei estremamente precisi.[1]
Poi un altro motivo per mettere in discussione la nozione di inconscio sono gli interrogativi sul contenuto dell’inconscio. Se l’accento posto sul modello della rimozione (che trova compimento nella metapsicologia del 1915) porta a privilegiare un contenuto dell’inconscio costituito innanzitutto da rappresentazioni – rappresentazioni di cose o rappresentazioni-cose[2] – già Freud si era posto la questione se tutte le rappresentazioni inconsce fossero prodotte dalla rimozione, e con l’ipotesi dei fantasmi originari aveva optato per uno stock di fantasmi ereditati dall’evoluzione della specie, di un patrimonio ereditario biologico quasi istintuale, del resto non solo già disponibili ma che fungerebbero da attrattori per la strutturazione fantasmatica: una sorta di supplente dell’istinto, che pure la psicoanalisi ha mostrato difettuale nell’essere umano (Laplanche, 1977-1979, 168).
Fino ad arrivare a sottolineare – al di qua della rappresentazione – col termine di rappresentanza o di delegazione la presenza del corpo nell’Es, con l’idea che l’apparato – oppure l’Es – sarebbe aperto a impulsi di origine somatica, apparentemente proponendo così una problematica dell’anima e del corpo, di una pulsione «concetto limite tra lo psichico e il somatico», dunque alla cerniera tra corpo e mente. Ma in realtà, la formulazione della relazione di rappresentanza è duplice, affermando, congiuntamente ma concorrenzialmente, che è la pulsione la rappresentanza psichica delle forze che sono all’opera nel corpo, ma anche, d’altra parte, che la pulsione stessa deve, per diventare psichica, trovarsi delle rappresentanze nello psichismo, cosicché non vi è mai una sola linea di cerniera, ma una serie di incastri. Pulsione che, per di più, con la nuova teoria di Al di là del principio di piacere di cui, come detto nell’incipit, le considerazioni de L’Io e l’Es rappresentano la continuazione delle idee lì abbozzate – ma restando più aderente alla psicoanalisi e «senza tuttavia far ricorso ancora una volta a concetti presi a prestito dalla biologia» (Freud, 1922 [1923], 475) –, si è rivelata duplice e conflittuale in sé stessa.
Introdurre un Es, come detto, è innanzitutto un’opzione biologica: un riferimento al pulsionale e, attraverso il pulsionale, un riferimento al biologico che certo è sempre stato e sarà lì come alle frontiere del pensiero freudiano senza mai lasciarsi escludere così facilmente, ma che questa volta è ripreso esattamente alla lettera, demetaforizzato.
In secondo luogo, introdurre un Es è un’opzione genetica, un’opzione circa il problema delle origini, questione complessa sempre aperta in Freud e in psicoanalisi, a partire dalla vecchia discussione freudiana tra realtà evenemenziale del ricordo o carattere fantasmatico dell’inconscio, tra confinamento e seppellimento della traccia dell’evento oppure emersione e fioritura di una spinta corporea (alla maniera della fantasia inconscia in Isaacs, 1948: vedi Laplanche, 1989-1990, 89 ss.).
In terzo luogo, introdurre un Es è un modo per insistere sulla impersonalità di ciò che ci muove. Significa dunque procedere sulla strada della detronizzazione del soggetto cosciente e autonomo, riaffermando l’esistenza di processi che ci vivono, i processi primari, nel senso della impersonalità e della eteronomia.
Inoltre, come già detto, l’Es è un modo per rimettere ordine nella questione del conflitto. Se scoprire che anche la difesa funziona alla maniera dell’inconscio aveva complicato e confuso l’iniziale netta polarità del conflitto psichico fra preconscio-conscio e inconscio, ora il conflitto è tra l’Io, di per sé neutro rispetto alla distinzione tra conscio ed inconscio, e l’Es in quanto polo pulsionale, crogiuolo di rappresentanti pulsionali, che sono pura energetica, puro eccitamento che spinge allo slegamento e perciò in cerca di legame.
Va notato, con Laplanche, che nel passaggio (sempre parziale e con embricature) dalla prima alla seconda topica, o con l’innesto di questa in quella, vi è un singolare chassé-croisé, un incrocio o scambio reciproco relativamente alla fisionomia dei poli del conflitto. Se nella prima topica le istanze dette «superiori» (coscienza, coscienza morale, censura, etc) erano astratte e funzionali, quasi delle «facoltà», nella seconda diventano concrete, antropomorfiche, non solo arredate di ricordi, di esperienze, ma popolate di identificazioni. «Le istanze superiori si sono popolate…» (Laplanche, 1977-1979, 197-198). Questa strutturazione dell’apparato psichico, più vicina all’esperienza clinica dell’adulto e soprattutto infantile, lascia trasparire meglio il reliquato degli antichi conflitti. Dunque il conflitto sfugge alle difficoltà di una specie di meccanismo psichico, diventando un conflitto tra parti dell’Io che hanno la loro origine storica, le loro voci, il loro carattere proprio, acquisito nella storia delle relazioni precoci. Ne è esemplare l’articolazione qui delineata fra Super-Io e complesso edipico.
Viceversa l’inconscio, mentre nella prima topica era «popolato», intessuto di ricordi e fantasmi, ossia rappresentazioni, nella seconda con l’introduzione dell’Es diventa più strano ed estraneo, più vicino ad una forza vitale, più distante dagli oggetti familiari e, almeno nel suo fondo estremo, «più» ignoto: l’inconscio è spopolato di rappresentazioni e de-antropomorfizzato, ormai brulicante di eccitamenti.
– una concezione biologizzante, poiché fa ricorso ad un substrato biologico dell’inconscio; endogena, poiché tutto si sviluppa a partire da questa specie di microcosmo ribollente che è l’Es, anche se secondariamente, sotto l’influsso del mondo esterno e della percezione, alcuni contenuti saranno rimandati nell’Es; infine genetica, nel senso che ciò che si produce è l’effetto di una differenziazione così come esemplificata dalla «vescicola» di Al di là del principio di piacere. Modello o descrizione di una certa realtà biologica, la «vescicola» ci presenta una specie di essere che inizialmente sarebbe solo biologico, soltanto pulsione, solo Es, per poi circondarsi di un sistema preconscio-conscio o di un Io, al contatto bruciante – e devitalizzante, in fin dei conti, ma indispensabile alla sua vita – con la percezione della realtà esterna. Come dirà infine nel Compendio di psicoanalisi: «Es e inconscio sono intimamente connessi, come Io e preconscio, anzi nel primo caso il rapporto è ancora più esclusivo. … Originariamente tutto era Es, l’Io si è sviluppato dall’Es per l’influsso persistente del mondo esterno. Nel corso di questa lenta evoluzione, determinati contenuti dell’Es si sono trasformati, assumendo lo stato preconscio, e perciò sono stati accolti nell’Io. Altri sono rimasti immutati nell’Es, costituendone il nucleo difficilmente accessibile. Tuttavia, sempre nel corso di questa evoluzione, il giovane e fragile Io ha riconvertito nello stato inconscio determinati contenuti che aveva precedentemente accolti, li ha lasciati cadere e, nei confronti di certe nuove impressioni che avrebbe potuto accogliere, si è comportato in modo tale che queste, essendo state respinte, hanno potuto lasciare una traccia soltanto nell’Es. In considerazione della sua origine, chiamiamo questa parte dell’Es il rimosso. Non importa se non sempre riusciamo a stabilire una linea di netta demarcazione fra queste due categorie di contenuti nell’Es. Pressappoco essi coincidono rispettivamente con ciò che è innato fin dalle origini e ciò che è acquisito nel corso dell’evoluzione dell’Io» (Freud, 1938a, 589-590).
– Dall’altro lato, una concezione dell’inconscio non biologico, nella misura in cui la pulsione appare sfalsata rispetto ad ogni montaggio biologico prestabilito che ne è sovvertito, e si delinea come una forza che non è autoconservativa e che può essere eventualmente (auto)distruttiva; una concezione esogena, giacché non si possono tralasciare, nella concezione della rimozione originaria, le influenze esterne su questa unità biologica (bio-psichica) rappresentata dal corpo del bambino, cioè la seduzione, quella «generalizzata» (Laplanche, 1987), da parte degli altri adulti; traumatica, cioè fatta di rotture, scissioni ed esclusioni anziché di un affioramento, per quanto più o meno critico e dirompente e più o meno integrato.
In primo luogo: «Disertare l’inconscio delle sue rappresentazioni e de-antropomorfizzarlo, cioè renderlo più strano, più estraneo all’universo umano, vanno di pari passo?». Detto altrimenti: «bisogna assolutamente, necessariamente, fare dell’Es una forza primaria, una forza sul modello vitale, per restaurare l’evidenza che è impersonale, che è radicalmente estraneo al sistema “superiore” oppure per insistere sul fatto che è produttivo, oppure che è atemporale? In altri termini, vi sono altri modelli oltre quello vitalista per rendere conto di questa eterogeneità che è affermata nella seconda topica?» (Laplanche, 1977-1979, 198).
«Sì, l’Es è un approfondimento dell’inconscio ed è legato alle pulsioni di morte», come indicato esplicitamente da Freud. Ma queste stesse pulsioni di morte sono davvero qualcosa di assolutamente nuovo, una scoperta inaudita, quella appunto di pulsioni di distruzione caotiche e selvagge e di una presunta distruttività pura, semmai solo rivestita posticciamente di sessualità, che non avevano posto nell’inconscio e che nell’Es hanno un ruolo dominante (come, ad esempio, scrivevano Green, 1973 e Heimann, 1952)? Oppure «sono esse stesse un approfondimento della sessualità nel suo aspetto più radicale, nella sua dimensione più slegata e slegante» (Laplanche, 1977-1979, 224), connesso a nuove esperienze cliniche e nuove riflessioni teoriche strettamente intrecciate fra loro?
«Sicuramente vi è qualcosa di nuovo, se non altro il veder comparire nel 1923 il termine di “Es”! Qualcosa di nuovo, ma di che tipo?» (Laplanche, 1977-1979, 152). Del resto, il nuovo non sempre è così nuovo come appare, e lo stesso Freud, in più di un’occasione, si domanda se ciò che sta pensando e scrivendo sia effettivamente nuovo o piuttosto qualcosa di già pensato che ritorna.
– Un ritorno che può provenire dall’esterno, come sarebbe appunto il caso dell’Es, un prestito fornito a Freud dall’esterno, da Groddeck.
– Oppure un ritorno che può avvenire dall’interno, come ripetizione pura e semplice, perché un elemento di pensiero, un elemento della teoria non ha trovato posto e perciò riappare come ciò che non ha ottenuto soddisfacimento, riconoscimento (vedi seduzione).
– Poi vi sono dei ritorni che si producono a partire da un rimaneggiamento, che si verificano cioè quando un pensiero come quello di Freud si rimaneggia, quando per una scoperta sono modificati grandi equilibri: per esempio quando la sua concezione delle pulsioni evolve, quando si modifica la sua topica, è evidente che può crearsi un disequilibrio che necessita a sua volta di una nuova creazione in un altro punto del pensiero (Laplanche, 1977-1979, 152-154).
L’Es sarebbe appunto un ritorno di questo tipo. E la decisiva mutazione, che fa precipitare bruscamente la sua problematica, è dovuta non alla scoperta della pulsione di morte o, precedentemente (1910: vedi Laplanche, 1975), delle pulsioni di vita, ma di tre scoperte (Freud, 1914) cui abbiamo già accennato, e che sono un tutt’uno: la scoperta del narcisismo, la scoperta dell’importanza delle identificazioni nella costituzione dello psichismo e infine quella delle istanze ideali.
Il narcisismo, vale a dire il fatto che l’Io assume la consistenza di un oggetto d’amore e può funzionare solo nella misura in cui si propone come oggetto per le pulsioni, di amore ma anche di odio. Le identificazioni: se l’Io diventa un oggetto d’amore interno è perché è il precipitato, il reliquato interno di relazioni con gli oggetti esterni (con l’interrogativo correlato: ha senso parlare di un Io sin dall’inizio, con un’altra origine rispetto a quella delle identificazioni?). Le istanze ideali e la loro genesi: queste identificazioni, nell’Io, non si accumulano in maniera indifferente, ma si ingranano in modo differenziato in sottostrutture, in «grandi istituzioni» dell’Io, che lungi dal collaborare sempre, il più delle volte sono in guerra le une contro le altre; il conflitto può imperversare tra le differenti identificazioni.
Se è questa la triplice scoperta (1914) che ribalta la teoria donde la necessità di ricapitolare la metapsicologia per vederne le ripercussioni ma riscontrando l’impossibilità di compierne una sistematizzazione (1915: vedi Freud, 1915-1917), che cosa ritorna con l’Es che invece ora (1923) permette l’abbozzo di una sintesi, come detto nell’incipit de L’Io e l’Es? Era necessario riaffermare qualcosa che, in quella specie di entusiasmo in cui Eros era attaccato al carro dell’oggetto d’amore, sembrava abolito: riaffermare il carattere malgrado tutto inaccettabile, parziale, parzializzante, distruttivo, «inconciliabile» del desiderio sessuale. Sarà appunto questo il significato di quella specie di isola vulcanica recentemente apparsa (1920: vedi Freud, 1920), la pulsione di morte, che nel 1923 troverà dimora nell’Es: il più pulsionale della pulsione, il suo aspetto slegato e slegante, disadattivo benché a partire da esso si coaguli anche la sessualità legata e legante, quella appunto narcisistica (Luchetti, 2020).[3]
Ma non ci si può fermare ad una pura e semplice opposizione fra biologico e psichico, endogeno ed esogeno, o limitarsi ad intimare alla psicoanalisi di scegliere tra un biologismo ed un antibiologismo, sottolinea Laplanche (1977-1979, 88) – ricordando che biologismo non è biologia e antibiologismo non è antibiologia.[4] Bensì occorre domandarsi – come egli fa con un ulteriore, illuminante, giro di vite tipico del suo «far lavorare Freud», interrogando le sue contraddizioni o indietreggiamenti, le sue incongruenze, le sue impasse o i suoi vicoli ciechi senza cancellarli o «risolverli» ma facendo leva su di essi – se vi sia qualcosa di più profondo in questa necessità di Freud di calarsi in concezioni biologiche.
«Giacché l’inconscio, una volta costituito, è effettivamente un Es; diventa proprio una natura, una seconda natura che ci “agisce” (Lacan ha detto: che ci “parla” … ma questo non significa già ridurre la “es-ità” dell’Es?)». Così come vi è «un raddoppiamento simbolico nell’uomo che gli fa ritrovare, o mimare, gli automatismi naturali» (Laplanche, 1977-1979, 88), di cui si fa carico l’Io in quanto organismo, al tempo stesso concepito come apparato dell’organismo, cioè come una differenziazione, la parte incaricata delle relazioni dell’organismo con l’esterno, e insieme proiezione dell’organismo, cioè esso stesso un piccolo organismo raddoppiato.
Sottolineare come l’apparato dell’anima costituisca come natura questa seconda natura, implica sottolineare che è una natura, quest’ultima, che comporta un profondo sconvolgimento e sovversione (Dejours, 2001; 2004) della prima natura, incluso il fatto che questa prima natura deve ormai essere sostenuta dalla seconda, ed ormai la attende, la invoca per dispiegarsi. Dunque, come detto nell’esergo freudiano, una impersonalità, prodotto per così dire di «decadimento» di comunicazioni, che si fa necessità di natura.
Vale la pena citare per esteso quanto detto da Laplanche anni prima: «1914: Introduzione al narcisismo, 1923: L’Io e l’Es. È il momento in cui, con lo sviluppo della teoria dell’Io e del suo investimento libidico narcisistico, la “vita” si fa più pressante e più invadente. Ecco l’Io che si vanta di tutti i poteri e di tutte le delegazioni, delegazioni dell’autoconservazione ma anche delegazioni della sessualità fin nell’amore e nella scelta d’oggetto, sempre contrassegnate […] dal marchio narcisistico. Ecco apparire, in modo concomitante, Eros, forza divina [… che] differisc[e] dalla sessualità, [che è stata la] scoperta primaria della psicoanalisi. Eros è ciò che vuole mantenere, preservare e anche aumentare la coesione e la tendenza sintetica dell’essere vivente come della vita psichica. Mentre la sessualità, fin dalle origini della psicoanalisi, era per essenza ostile al legame, principio di “slegamento” o di scatenamento (Entbindung) che trovava da legarsi solo per intervento dell’Io, ciò che appare con Eros è la forma legata e legante della sessualità, messa in evidenza dalla scoperta del narcisismo. È questa sessualità investita nel suo oggetto, attaccata ad una forma, a sostenere ormai l’Io e la vita stessa, così come un dato modo di sublimazione.
«Di fronte a questo trionfo del vitale e dell’omeostatico, si trattava per Freud, nella necessità strutturale della sua scoperta, di riaffermare non solo in psicoanalisi, ma anche in biologia mediante un superamento categorico dei ritagli epistemologici, [nella vita stessa] una sorta di anti-vita come sessualità, godimento, negativo, coazione a ripetere. Strategicamente, riportare dei princìpi del campo psicoanalitico nell’ordine vitale si presenta come un contrattacco, un modo di portare il ferro e il fuoco nelle basi stesse a partire dalle quali si rischia di essere invasi. Strategia soggettiva? Strategia della dottrina? Ma anche strategia della cosa stessa, se è vero che questo riportare nella vita la guerra umana era già la molla della sovversione generalizzata introdotta dalla sessualità» (Laplanche, 1970, 184, miei i corsivi e l’inciso tra parentesi quadre).
D’altra parte Freud, come rivedendo a ritroso il proprio percorso di pensiero nel mentre cercava di assiomatizzarlo, noterà: «ci sia consentito rimarcare che più e più volte siamo stati costretti ad arrischiare i nostri passi oltre le frontiere della scienza psicologica. I fenomeni di cui ci occupiamo non appartengono soltanto alla psicologia, hanno anche un aspetto organico-biologico; pertanto, nel corso delle nostre fatiche per edificare la psicoanalisi, abbiamo fatto anche alcune importanti scoperte biologiche e non abbiamo potuto evitare la formulazione di nuove ipotesi biologiche». (Freud, 1938a, 622). Il che significa reinnestare a pieno titolo la psicoanalisi, col suo metodo ed il suo oggetto, nella biologia e nella scienza.
Ecco dunque una conseguenza cruciale per la psicoanalisi dell’introduzione dell’Es, che Il disagio della civiltà tematizzerà (Freud, 1929 [1930]; Luchetti, 2021): essa impone di considerare il fondamento meta-antropologico della metapsicologia. Se già aveva cercato di ampliare la metapsicologia «in una indispensabile meta-antropologia» svincolandola dal pensiero mitico «nella misura in cui si crea gli strumenti per spiegare la funzione delle costruzioni mitiche nella costituzione dell’essere umano (Laplanche, 1996, 238), nel 1997 Laplanche affermerà: «Il fondamento della metapsicologia mi sembra sempre più che si possa denominare meta-antropologico, riguardante cioè la situazione fondamentale dell’essere umano rispetto ad un altro essere umano. … si tratta di un tentativo di fondare la metapsicologia su una meta-antropologia. Forse il termine meta-antropologia è un po’ ambizioso, ma è una descrizione dei vettori fondamentali delle relazioni interumane, in particolare della relazione adulto-bambino; dal lato meta-antropologico, ciò include anche uno sviluppo all’interno delle società, dei gruppi umani, dei miti e delle ideologie e, in ogni caso, di una delle loro funzioni, quella di padroneggiare l’angoscia sessuale. È questo che intendo per meta-antropologia» (Laplanche, 1997, 5).
Qualche anno dopo, Laplanche (2001) denominerà infatti «situazione antropologica fondamentale» la condizione originaria che, nell’Homo sapiens, vede confrontarsi gli adulti che hanno un inconscio sessuale e un cucciolo d’uomo che ne è ancora sprovvisto, cioè la situazione di un corpo che, dotato di una biologia e psicologia e aperto alla comunicazione e competente per essa, è esposto a comunicazioni, messaggi (preconsci-consci, essenzialmente non verbali) che sono però – da un solo lato, quello degli adulti – compromessi dall’inconscio sessuale, a loro stessa insaputa.[5] Nell’infans, al tempo stesso impongono un trattamento e ne travalicano le possibilità di traduzione, di dar in qualche modo senso (giacché si tratta di comunicazioni) all’eccitamento corporeo che, impiantati o intromessi, quei messaggi nella loro enigmaticità comportano, necessariamente traumatizzanti giacché tendono a commutarsi in energia pura, in puro eccitamento.
Parlare di meta-antropologia implica una critica dell’antropologia e dell’etnologia nella misura in cui si relegano nell’universo adulto, senza interrogarsi sul modo in cui il pensiero mito-simbolico è comunicato o proposto al bambino, o all’infans. Meta-antropologia, alla stessa maniera in cui la metapsicologia implica una critica della psicologia implicita nell’interessarsi invece, la psicoanalisi, di ciò che cade fuori del suo campo, l’inconscio appunto.
È nella situazione antropologica fondamentale il cuore della «macchina antropogenica» e l’oggetto della psicoanalisi: l’inconscio come caratteristica dell’essere umano in quanto animale linguistico e pulsionale. Infatti l’inconscio è sicuramente un «fenomeno di senso»: nasce da un linguaggio (includendo tutti i comportamenti significanti e significativi degli adulti, non solo verbali) e può ridiventare linguaggio, forse, tuttavia solo asintoticamente. Ma l’inconscio è anche ciò che è chiuso al senso, per diventare un modo di metabolizzare, lungo vie associative poco differenziate, con l’ausilio di rappresentazioni primitive che sono e che restano delle cose – le rappresentazioni-cosa, di una «materialità, dura come ferro o più dura del ferro» (Laplanche, 1984, 299) –, un’energia che non è che il resto energetico, conficcato nel corpo, di una comunicazione compromessa dall’inconscio dell’adulto e trattata in un qualche modo dall’infans. L’inconscio, dunque, è fenomeno di senso, ma senza alcuna finalità di comunicazione, giacché se all’inizio, nella genesi dell’inconscio vi era un fenomeno di comunicazione, questo si è poi chiuso su sé stesso, la comunicazione diventando allora «circolazione» (Laplanche, 1977-1979, 127-128). Circolazione di un’energia slegata, energia pura, puro eccitamento, di cui la coazione a ripetere è tentativo di dare – meglio: ridare – un senso e che indica nella pulsione di morte la «verità» della sessualità (Laplanche, 1977-1979, 131).
«Forse l’interesse di questa seconda teoria, quella dell’Es, sta nel mettere ancora di più l’accento su questa energetica, questa volta sotto il nome delle pulsioni», fonte energetica impossibile da fuggire. È infatti qui, malgrado tutto, il punto di introduzione dell’Es (Laplanche, 1977-1979, 197). Un punto inaccettabile per Groddeck, giacché, non senza qualche paradosso, il patrono della nozione di Es, certamente legata alla pulsione di morte, «rifiuta radicalmente questa idea o almeno la dicotomia tra pulsioni di morte e pulsioni di vita. La morte svolge un ruolo importante nel pensiero di Groddeck, ma è una morte in dialettica con la vita, ed è, come sapete, la ripresa e l’illustrazione della frase di Goethe: “muori e diventa”, muori per diventare, e non quella morte radicale, puramente e semplicemente annientante, che ha di mira Freud con la pulsione di morte» (Laplanche, 1977-1979, 231-232).
Tutto questo non è una pura questione «teorica», come suol dirsi riduttivamente o non di rado dispregiativamente, bensì una questione della prassi ed esperienza, insieme teoriche e cliniche, dal momento che riguarda strettamente il lavoro analitico in seduta.
È infatti l’analisi che mira a ritrasformare in comunicazione ciò che essenzialmente è chiuso su sé stesso, nell’inconscio, e che è ripetitivo nella misura in cui è appunto chiuso su sé stesso: la cura analitica in quanto situazione che è transfert + metodo delle associazioni libere polarizzate dal campo del transfert come riattivazione della relazione originaria con l’enigma dell’altro; un metodo che detraduce, per associazione-dissociazione, le traduzioni manifeste che ne fa l’Io. Ed è la situazione analitica il luogo privilegiato in cui, realizzando nel suo setting una sorta di replica a grandezza naturale di ciò che la psicoanalisi, teoricamente, afferma della vita pulsionale nell’Es, ossia il suo carattere per così dire reale/de-reale, si mira a riaprire la circolazione in comunicazione.[6]
La strada verso questo fondamento meta-antropologico della metapsicologia è già ben segnalata ed anche in parte tracciata, anche se spesso ancora irriconosciuta (fin nelle sue ricadute fondamentali nella prassi teorica e clinica) e forse di continuo nuovamente irriconoscibile, nella misura in cui la difficoltà è nella cosa stessa, nell’essere umano sempre oscillante fra copernicanesimo (decentramento e acentramento) e tolemaicismo (centramento e ricentramento) (Laplanche, 1992). Anche per questo «the struggle is not yet over», come dirà infine Freud (1938b).
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[1] Così recita l’anticipazione berlinese: «È emerso tuttavia che non è possibile far coincidere il rimosso con l’inconscio da una parte, e l’Io col preconscio e il conscio dall’altra. Il relatore ha parlato di due fatti che dimostrano come anche nell’Io vi sia un inconscio che si comporta dinamicamente alla stessa maniera dell’inconscio rimosso» (Freud, 1922, 467).
[2] «Sachvorstellung è innanzitutto e semplicemente la rappresentazione di cosa, la rappresentazione “cosale”: cioè il fatto che una cosa è rappresentata da un’immagine o uno schema che è più o meno in rapporto con essa. Ma Sachvorstellung è al tempo stesso una rappresentazione-cosa, ossia una rappresentazione che, nell’inconscio, ha assunto la consistenza stessa della cosa» (Laplanche, 1979-1984, 115).
[3] «Pertanto, tutto il senso di ciò che ho detto per interpretare la “svolta del 1920” è consistito nel mostrare in che modo la pulsione di morte fosse il rinnovamento di qualcosa che esisteva già, e che aveva bisogno di essere riaffermato in un altro modo perché l’insieme dell’equilibrio del pensiero freudiano si era spostato, ed in particolare perché era comparsa tutta la dimensione del narcisismo e dell’Eros narcisistico ed occorreva riabilitare la sessualità rispetto all’Eros narcisistico» (Laplanche, 1977-1979, 19).
[4] «La teoria della seduzione generalizzata e la situazione antropologica fondamentale non implicano assolutamente una presa di posizione contro la biologia. A nostro avviso, ogni processo umano è indissolubilmente biologico e psichico. Anche il ragionamento matematico più astratto non può essere concepito senza correlato corporeo biologico» (Laplanche, 2003, 189).
[5] «Quello che voglio dire è che la situazione originaria è necessariamente una situazione antropologica. Fino a prova contraria e fino a quando l’essere biologico umano non sarà completamente modificato (e non so se arriverà fino a quel punto), la situazione originaria rimarrà la situazione adulto-bambino. Si può benissimo immaginare, e non è questo che auspico, che in un mondo nuovo, in un brave new world [A. Huxley, Il mondo nuovo, Mondadori, Milano, 1933, 1961], non ci siano più genitori … Ma [la situazione originaria] rimarrà sempre, fino a prova contraria, una situazione antropologica che è il divario tra l’adulto e il bambino, vale a dire il divario tra un desiderio inconscio veicolato dal genitore o più in generale dall’adulto, i cui messaggi sono parassitati dall’inconscio e, dalla parte del bambino, la necessità di padroneggiare questo messaggio che definisco enigmatico. Quindi accetto volentieri che le strutture di controllo del desiderio sessuale adulto siano diverse, dicendo che Edipo ha notevoli varianti e che, dopo tutto, Edipo non è necessariamente immortale. Viceversa, ciò che è molto più fondamentale e a mio avviso insormontabile è questa situazione adulto-bambino che può essere considerata, in un certo senso, come un a priori antropologico. Ecco ciò che intendo. Pertanto, allargare la metapsicologia in una meta-antropologia è, allo stesso tempo, relativizzare le strutture di padroneggiamento dell’umano» (Laplanche, 1998, 191-192).
[6] «Inizialmente, la pietra splendidamente scolpita del pensiero freudiano, la sua invenzione fondamentale, continuo incessantemente a dirlo, è l’invenzione della situazione analitica e l’invenzione del metodo analitico di accesso all’inconscio. E questa non è solo una pietra splendidamente scolpita, ma la pietra basilare del pensiero analitico. In fondo, proponendo di rifondare la psicoanalisi, non faccio altro che cercare di apportare a questa situazione analitica basi più solide, direi anzi più ontologiche o, on ogni caso, più antropologicamente fondate. Per me, la teoria della seduzione generalizzata è la controparte stessa dell’invenzione della situazione analitica. E l’invenzione della situazione analitica come situazione di confronto con l’enigma è giustificata soltanto, per l’appunto, dalla sua comunicazione dall’interno con le situazioni originarie dell’essere umano come confronto con l’enigma sessuale dell’adulto. Questo, per me, è ciò che costituisce la pietra basilare» (Laplanche, 1998, 176-177).
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