Sezione Locale della Società Psicoanalitica Italiana
Commento di Elena Galliera
Titolo del film: “Vincent”
Dati sul film: regia di Tim Burton, USA, 1982, 6′
Genere: horror fantasy
Narratore originale: Vincent Price
Video integrale:
“Vincent” è il primo cortometraggio animato, di genere horror, del celebre regista statunitense Tim Burton, dallo stile inconfondibile, autore di capolavori, tra i tanti, quali “Beetlejuice” (1988), “Batman” (1989), “Edward mani di forbice” (1990), “Big Fish” (2003), “La Fabbrica di cioccolato” (2005).
Lo ha scritto, diretto e progettato nel 1982, quando aveva ventiquattro anni, realizzandolo secondo la tecnica d’animazione stop motion, che caratterizzerà la sua produzione filmica e troverà fortuna successivamente in alcuni film come “Nightmare before Christmas” (1993) e “La sposa cadavere” (2005).
Il colosso americano d’animazione Walt Disney Animation Studios, che lo ha prodotto, dopo solo due settimane dall’uscita nelle sale cinematografiche di Los Angeles, lo ritirò ritenendolo troppo cupo, pessimistico e in contrasto con i propri canoni favolistici, che richiedevano film d’animazione con happy end.
I cineasti e gli appassionati dell’opera filmica di Burton, ritengono, invece, “Vincent” un piccolo gioiello, perché in esso si trovano le tracce di quella che si rivelerà essere la cifra stilistica e poetica del regista, per la quale è stato coniato l’aggettivo “burtoniano”, termine utilizzato per alludere ad una atmosfera macabra e fantasy.
Nel cortometraggio, infatti, si trovano l’interesse per il sinistro e per il grottesco, con chiaro riferimento al genere horror, la predilezione per l’architettura gotica, l’utilizzo del netto contrasto cromatico del bianco e nero, che permette di definire in modo più preciso paesaggi e personaggi, infine l’attenzione per la psicologia dell’antieroe, preferita a quella dell’eroe.
Anche la colonna sonora contribuisce a creare quell’atmosfera sinistra e permette allo spettatore di immergersi e coinvolgersi in un clima sempre più terrificante.
Ed è proprio il suono malinconico di un flauto, accompagnato dal passo felino di un gatto, che ci invita ad addentrarci nella storia del protagonista Vincent Malloy, tratta da una poesia in distici in rima scritta dallo stesso Burton e narrata dalla voce fuori campo dell’attore Vincent Price.
Seguiamo, quindi, le vicende di un bambino di sette anni che tenta di sfidare le proprie paure imitando nell’aspetto e nelle movenze proprio l’attore di film horror Vincent Price, il narratore.
Sin da subito assistiamo ad una metamorfosi che vede il protagonista trasformarsi da bambino educato — che suona il flauto e vive in un ambiente tranquillo in compagnia di un gatto, di un cane e di una sorella — ad un ragazzino un po’ dandy e dall’aspetto decadente, che fuma e desidera abitare in un inquietante mondo sotterraneo, insieme a rettili e topi, dove “vagare vorrebbe in tenebra oscura sfidando pericoli senza paura.”
Ci apriamo, quindi, alla dimensione sotterranea, interna del protagonista. Una realtà altra in cui le parti ambivalenti, impaurite e aggressive di sé possono trovare espressione e rappresentazione in fantasie truci in cui immagina, ad esempio, attraverso una sorta di trasformazione nel contrario, di immergere l’amata zia nella cera per farne una statua o di seviziare il suo cane trasformandolo in uno zombie con il quale “incuter paura e fare una strage di vittime ignare”.
Durante lo svolgimento prende vita la creazione di un mondo fantastico, in cui un crescente senso di onnipotenza fuori controllo rende progressivamente Vincent una vittima che soccombe alle sue stesse paure e fantasie aggressive. Sul finire della storia prevale un anelito melanconico verso un oggetto primario forse mai completamente posseduto e, quindi, mai nella possibilità di essere perduto.
Vincent, infatti, preferendo alle storielle di pinocchi e di fatine la lettura di Edgar Alla Poe, un giorno si imbatte in un racconto in cui viene narrata la vicenda di una giovane sposa sepolta viva. L’identificazione con lo sposo che si dispera per questa perdita lo rende prigioniero di un dolore che lo sottrae alla vita e lo condanna ad un dolore senza rimedio. A nulla vale l’intervento brusco della madre che lo esorta a ritornare alla vita occupandosi di giochi spensierati e riportandolo alla realtà, cercando di spezzare la massiccia identificazione del figlio con l’attore Vincent Price: “Tu sei Vincent Malloy, non sei Vincent Price!”.
È una madre, certo, molto concreta e poco propensa a stare nel gioco del figlio, ma soprattutto incapace di accoglierne la sofferenza.
Da questa situazione di mancanza di attenzione e di ascolto la mente di Vincent prende la via di una disperazione delirante da cui egli stesso rimane sopraffatto. Nell’ultima scena Vincent giace a terra stremato e, citando gli ultimi versi della poesia de “Il corvo” di Edgar Allan Poe, si congeda: “L’anima mia da quell’ombra laggiù / non si solleverà mai più, / mai più, / mai più”.
La storia ha un epilogo triste e ciò la rende una favola amara. Con tocco sensibile il regista si avvicina alle fantasie di un bambino e ne mostra le fragilità ed i pensieri più reconditi, da “poeta malinconico e struggente che ha dato voce al bisogno di amore di esclusi ed incompresi con impareggiabile dolcezza”[1] qual è.
La trama si presta a più interpretazioni, sia che la si tratti come se fosse un sogno o, meglio, un incubo, sia che la si tratti come un racconto horror fantasy.
La paura, l’aggressività, l’ambivalenza verso i propri oggetti d’amore, le metamorfosi del crescere, la perdita ed i suoi derivati melanconici, sono alcuni temi che si possono rintracciare. Certo è che vi si ritrova quella fascinazione, che tanto piace a bambini e non solo, per l’horror, il macabro, lo spaventoso e che trasposto in racconto, opera d’arte o reso in pellicola cinematografica, ha un potere catartico ed esorcizzante rispetto ad angosce profonde legate al vivere e alla paura della morte.
—
[1] http://www.nbdv.it/tim-burton-a-nightmare-before-success/#:~:text=Genio%20surreale%20e%20pop%2C%20così,amore%20di%20esclusi%20e%20incompresi
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