Sezione Locale della Società Psicoanalitica Italiana
di Ambra Cusin
Agosto 2022
Questo mio è un divertissement, spero possa rallegrare il rientro al lavoro a fine estate.
Sono stata in vacanza a Roma, in primavera, e naturalmente sono andata a vedere nuovamente San Pietro in Vincoli dove mi sono fermata a lungo davanti al Mosè di Michelangelo. Ovviamente avevo presente il lavoro di Freud in merito (1913), pubblicato la prima volta anonimamente nel 1914 su Imago come afferma Musatti nell’Avvertenza Editoriale (p. 296).
Io lo leggo nella edizione pubblicata dalla Casa Editrice V. Idelson, Napoli[1] che riporta all’interno della copertina, a matita, la data febbraio 1933, nella quale Servadio (che ha curato la traduzione) commenta nella prefazione (p. 5) che “Freud ha voluto in un primo tempo che il suo nome non apparisse quale autore di questo scritto, e il perché si comprende: poteva sembrare, infatti, che il tema in esso affrontato si scostasse totalmente da quelli presi in considerazione dalla indagine psicoanalitica”.
[2] Devo sottolineare come io abbia il grande privilegio di leggere il lavoro su una copia del 1933, regalatami da mio zio Silvio G. Cusin, con la firma autografa di Edoardo Weiss! Comunque le citazioni che riporterò sono prese dall’edizione OSF vol. 7. Solo in alcuni casi riporterò anche quelle del testo delle edizioni Idelson.
Nel guardare la famosa opera mi lascio andare all’ emozione per questa meraviglia.
Quello che più mi colpisce è il fatto che Mosè sia situato tra due donne: Rachele e Lia, due sorelle, figure importanti del Vecchio Testamento.
[1] Devo sottolineare come io abbia il grande privilegio di leggere il lavoro su una copia del 1933, regalatami da mio zio Silvio G. Cusin, con la firma autografa di Edoardo Weiss! Comunque le citazioni che riporterò sono prese dall’edizione OSF vol. 7. Solo in alcuni casi riporterò anche quelle del testo delle edizioni Idelson.
[2] Il lavoro di Freud sul Mosè non riporta una bibliografia e quindi non posso avere conferma dell’identità dell’Autore.
Rammento, leggendo una nota depositata su un banco, come Rachele sia simbolo della vita contemplativa mentre Lia rappresenta il simbolo della vita attiva che trova la salvezza attraverso le opere.
Ed ho subito una sorta di associazione, forse potremmo dire di intuizione… per cui mi viene da pensare che questa grande guida del popolo ebraico abbisogna, secondo Michelangelo, di essere affiancata da due donne, e non mi pare una cosa da poco, che rappresentano per Mosè – o forse per Michelangelo che ha scelto di abbinarle al Mosè – il pensiero e l’azione, la vita contemplativa e quella attiva (Freud le ha citate a pag. 309 senza però fare ulteriori commenti… un gran peccato…).
Io invece rimango particolarmente attratta da questo abbinamento confermando a me stessa come nessuno di noi può sapere veramente cosa un autore voglia dire con la sua opera – a meno che non ce lo dica lui espressamente e forse anche questo svelamento non è detto che corrisponda alla spinta inconscia che ha mosso la sua mano nel dare vita all’opera stessa. Sono consapevole quindi come ogni mia osservazione sia frutto del mio proiettare sull’opera e sugli intenti dell’autore, un mio desiderio, una fantasia e scelgo di abbandonarmi ad essa, a questo sorta di sogno: “questa notte ho sognato che Freud era disteso sul lettino del mio studio e mi raccontava di aver sognato il Mosè di Michelangelo…”
Ascoltiamo dunque il “mio sogno” di Freud che fa un sogno e me lo racconta, sul Mosè”.
Freud inizia il racconto raffrontando i commenti di diversi autori dell’epoca e analizza con dettagli, quasi ossessivi potrei dire, ma certamente interessanti, il modo di tenere, da parte di Mosè, la barba, la posizione dei piedi e la modalità di trattenere le Tavole della Legge.
Uno dei primi commenti che ha colpito Freud è quello di Guillaume (credo si tratti del Paul, collezionista francese di arte moderna[1]) e riguarda come “lo sguardo di Mosè è diretto al futuro, egli prevede la sopravvivenza della sua razza nel tempo, l’immutabilità della sua Legge” (p. 304).
Mi trattengo qui dallo sviluppare delle riflessioni su questo commento in quanto esulano dallo scopo del mio lavoro, ma mi viene immediatamente da pensare come nel 1913, quando Freud scrive, già si stava sviluppando un odio verso gli ebrei che avrebbe portato, dopo 25 anni, al tentativo di cancellare dalla faccia della terra questa razza dalle “leggi immutabili” …
Anche il commento di Steinmann (forse l’Ernst, storico dell’arte di Basilea) viene riportato da Freud nel passo dove dice che il Mosè non appare più solo come il rigido legislatore, ma come “il sacerdote maestoso (Servadio aveva tradotto “regale”) che l’età non può scalfire, nell’atto in cui, benedicente e profetico, prende l’estremo congedo dal suo popolo con sulla fronte il riflesso dell’eternità” (p. 304).
Viene riportato anche il commento di Knackfuss (forse l’Hermann Joseph, pittore tedesco) che sottolinea il “contrasto artistico tra il fuoco interiore e la calma esteriore del suo atteggiamento” (p. 310).
Eppure Freud dice che davanti a questi commenti “qualcosa vi manca” […] “può darsi” continua Freud “che con ciò si esprima un mio bisogno di connettere più intimamente lo stato d’animo dell’eroe con l’antitesi espressa nel suo comportamento, tra ‘calma apparente’ e ‘intima agitazione’” traduce Servadio (a p. 19 dell’edizione Idelson), mentre Musatti nelle Opere riporta, e la differenza mi sembra significativa, che Freud afferma come questa spiegazione “la sento in qualche modo incompleta. Forse ciò è dovuto all’esigenza di scoprire un rapporto più intimo tra la condizione psicologica dell’eroe e il contrasto che si esprime nel suo atteggiamento tra pacatezza ‘esteriore’ e ‘commozione ‘interiore’ “(p. 310). Trovo sia molto diverso parlare di ‘intima agitazione’ oppure di ‘commozione interiore’.
Purtroppo mi rendo conto di essermi imbattuta su delle divergenze, a mio parere significative, nelle traduzioni proposte da Servadio e da Musatti, ma in questo momento non sono in grado di verificare l’originale tedesco scritto da Freud. Mi riprometto di riprendere in mano la questione e di approfondirla in un piccolo contributo futuro.
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[1] Il lavoro di Freud sul Mosè non riporta una bibliografia e quindi non posso avere conferma dell’identità dell’Autore.
La domanda che, qualche pagina dopo, ancora si pone Freud, mentre descrive con dovizia di particolari come il Mosè si tenga la barba, quanto questi “elementi in fondo marginali significano poi qualcosa, o ci stiamo invece rompendo il capo su cose che all’artista (forse, aggiungo io) non importavano affatto?” (p. 313) ma mi viene subito da pensare, mentre “ascolto”, senza ancora intervenire, questo racconto del sogno di Freud: “caro Sigmund non sei forse tu ad avere questo bisogno che di fatto stai denunciando. Chissà come mai ti sta venendo in mente proprio questo e proprio ora? Ti viene il dubbio che forse come psicoanalisti ci stiamo rompendo il capo su particolari poco importanti?” Vorrei tranquillizzarlo in merito, ma so bene come non sia corretto farlo, anzi questa preoccupazione di Freud potrebbe portare a delle scoperte interessanti, per cui tengo per me il pensiero e vedo come la storia va avanti…
Freud continuerà, nel mio sogno, a narrarmi cosa, secondo lui ha fatto Mosè: non ha lanciato le tavole arrabbiato, furente, come di fatto accade nella realtà biblica, ma, nell’opera di Michelangelo, si vede come si sia trattenuto: “ciò che noi scorgiamo in lui non è l’avvio a un’azione violenta, bensì il residuo di un movimento trascorso. In un accesso d’ira egli voleva, dimentico delle tavole, balzare in piedi e vendicarsi (Servadio aveva parlato di “obliare le tavole” immagine che mi sembra più forte di “dimentico delle tavole”), ma la tentazione è stata superata, egli continuerà a star seduto frenando la collera, e in atteggiamento di dolore misto a disprezzo (corsivo mio). […] La mano si spostò all’indietro e salvò le tavole in bilico prima ancora che potessero cadere. In questa posizione egli rimase immobile […] come custode del mausoleo” (p. 27 traduzione Servadio – p. 319 Opere).
Freud preso dal dubbio dopo questa osservazione, nel mio sogno aggiunge, quasi come un’associazione al racconto del sogno stesso: “ma questo non è il Mosè della Bibbia […] Possiamo noi attribuire a Michelangelo questa libertà che confina forse con un atto blasfemo?” (p. 320)
Penso a come Freud abbia sottolineato il tema del dolore, quasi di sfuggita, eppure penso sia un tema importante – lascio agli storici della psicoanalisi connettere questo mio modesto materiale con l’avvenuta separazione da Jung, proprio nel 1912[1], anno della visita a Roma, da parte di Freud, dell’opera di Michelangelo, per cui continuo con il materiale del mio sogno…
“Caro Sigmund” gli dico nel sogno “sei tu che mi hai insegnato a cogliere le libere associazioni, le fantasie che emergono dal racconto di un sogno, sei tu che mi hai ripetuto più volte come tutto ciò che viene raccontato del mondo esterno di fatto ha un corrispettivo nel mondo interno del paziente… Orbene mi sono messa, in questo mio sogno, nel ruolo di tua analista” – e mi chiedo quanto pagherò per questo mio azzardo narcisistico, ma sono certa che tu, da buon ebreo, ti stai facendo una risatina nel leggermi – “per cui, caro Sigmund, come mai non hai pensato che quel Mosè potresti essere tu, magari ti stai rendendo conto che sei tu quella guida forte e sicura con in mano le tavole della legge psicoanalitica, le uniche che possono guidarci nel buio delle nostre incertezze, all’interno dei nostri studi, aiutandoci a contrastare il bisogno di forgiare i vitelli d’oro delle illusioni psicoterapeutiche brevi, sei tu che riesci a far fronte alle tue pulsioni distruttive, in un momento in cui forse il fuoco interno di una dolorosa rabbia ti abita… non sarà che nonostante tu sia in preda ad una agitazione interiore potente comunque riesci a tenere salda la barra di questa barca su cui ormai siamo in tanti? Hai forse pensato come le due donne al tuo/di Mosè fianco, Rachele e Lia potrebbero simbolizzare importanti funzioni, necessarie alla psicoanalisi: quella dell’osservare, dell’indagine, e quella dell’azione? Bion, che tu non conosci, ma che ha sviluppato acutamente molti dei tuoi embrionali pensieri, forse direbbe che Rachele e Lia potrebbero essere messe nella colonna 5 e 6 della Griglia in quanto espressione dell’indagine (implicita nella contemplazione simbolizzata da Rachele) e dell’azione che ne consegue nel processo trasformativo descritto dalla Griglia (rappresentata dalla capacità di essere vitalmente attiva di Lia)?
Quanto come analisti abbiamo il compito di trasformare l’aspetto di indagine in una successiva azione verbale così da realizzare l’affermazione di Bion (1974, p. 28) “L’uomo di azione trova le azioni che corrispondono ai suoi pensieri”?
Non ti viene da pensare che sei tu, caro Sigmund, a trovare in questa “azione/Lia” un’azione che sceglie di star fermo, di non balzare in piedi – nonostante il piede sinistro sia già pronto per questo – e lanciare le tavole rompendole, così da restare “seduto, frenando la collera, in un atteggiamento di dolore misto a disprezzo” traducendo così la forma di quel tuo interiore “pensiero/contemplazione/Rachele”, carico di dolore per i conflitti che la teorizzazione psicoanalitica sta vivendo, nell’azione/Lia cioè quella di stare fermo per poter guardare all’avvenire come un “sacerdote maestoso che l’età non può scalfire, nell’atto in cui, benedicente e profetico, prende l’estremo congedo dal suo popolo con sulla fronte il riflesso dell’eternità”?
Lo dirà Bion tra sessant’anni, nel 1974, ne Il cambiamento catastrofico che la realtà interna quando raggiunge la forma di pensiero in una delle sue varie espressioni, quali un’ immagine, un sogno, una fantasia inconscia, una aspettativa, un’idea, può essere trasformata in un’azione significativa, trovando una realizzazione e dando così forma concreta al pensiero, proprio come accade allo scultore che guardando una pietra realizza la forma che ha in mente e che, con la sua arte, potrà eseguire e creare (Bion, 1974).
Così tu caro Freud, in questo ‘sogno’, non senza sperimentare dolore psichico, hai mostrato la profonda trasformazione che ti sta attraversando in cui, invece di reagire con rabbia distruggendo, ti sei saputo fermare, certo dando l’impressione che stai per scattare, ma di fatto fermo con la legge, alla fin fine, ben salda in mano!
Ed ecco dunque che le due donne a fianco del Mosè, su cui di fatto nel tuo sogno sembri sorvolare, sono un aspetto importate sia per Mosè che per te, caro Sigmund e quindi per noi. Grazie a Rachele e Lia, grazie a questo essere un ‘triangolo’ (come sempre salta fuori Edipo!) si crea un movimento che rende tutto dinamico e vitale e le tavole della legge psicoanalitica possono essere salvate!”
Ma essendo questo un mio sogno…. devo pensare che possa essere invece un mio desiderio, una mia emozione che utilizza Freud per trovare la libertà, quella che solo una buona psicoanalisi può dare, di esprimersi?”
Mio marito si avvicina e mi sveglia dal sogno. Molte persone stanno chiacchierando mentre osservano il Mosè. È ora di andare a pranzo.
Bibliografia:
Freud S. (1914), Il Mosè di Michelangelo, traduzione E. Servadio, ed. Idelson, Napoli.
Freud S. (1913), Il Mosè di Michelangelo, OSF, vol. 7.
Bion W.R. (1974), Il Cambiamento catastrofico, Loescher, Torino, 1981.
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[1] Nello stesso periodo avvengono anche altre dolorose rotture, oltre a Jung anche Steckel e Adler prendono le distanze da Freud
Ambra Cusin, Trieste
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