The rise of Ziggy Stardust

"Il domani appartiene a chi lo sente arrivare" - David Bowie

di Anna Cordioli

Tutto inizia con un suono simile ad un cuore che batte.

È La batteria di Woody che apre il disco e per qualche secondo, gli altri Spiders from Mars sono ancora in silenzio. È come se il mondo si fosse svuotato, sospeso. Qualcosa deve essere successo. Ciò che sentiamo è solo il più umano dei suoni: per venti secondi il nostro cuore si sincronizza sulla batteria, in attesa che si apra il sipario.

 

Di colpo la luce si accende. Stiamo camminando, ci facciamo largo in una folla raccolta nella piazza del mercato. La gente è sconvolta. Il narratore ci descrive ciò che gli accade: “Era appena arrivata la notizia: ci rimanevano solo cinque anni per piangere. /Il tizio al telegiornale pianse e ci disse che la terra stava davvero morendo. /Pianse tanto che la sua faccia era bagnata/ e realizzai che non stava mentendo.

 

Ed è così, con la rivelazione che il mondo sta per finire, che si apre una delle più memorabili opere rock di tutti i tempi: “the rise and fall of ziggy Stardust and the spider from Mars” .

The rise of Ziggy Stardust 1972-2022

Trasformazione

 

Tocca però tornare un po’ indietro.

Dopo qualche anno da “semplice” cantautore, David Bowie, aveva cominciato una serie di sperimentazioni attoriali che lo avevano portato a concepire l’arte del rock ‘n’ roll come un terreno di studio dell’umano. Nel 1971, qualche mese prima dell’uscita di Ziggy, David Bowie aveva raggiunto il successo mondiale con l’LP “Honky Dory”, sulla cui copertina appariva con capelli lunghi e abiti femminili. La cosa fece scalpore e sollevò molte critiche.

Solo da 4 anni (nel 1967) l’omosessualità era diventata legale in Inghilterra e Bowie aveva  preso pubblicamente una posizione che oggi definiremmo “gender fluid”.

 

  Nel pezzo intitolato “Changes” avvisava che un grande cambiamento era in atto; di quel cambiamento, Bowie avrebbe fatto la cifra stessa della propria arte, dando corso ad un processo di metamorfosi dell’Autore del tutto inedito.

 

Per tutti gli anni 70 Bowie si presenterà sotto forme sempre diverse, giocando con i generi, i ruoli, gli abiti e le maschere. Creò attorno a sé un mondo immaginario colmo di figure mutanti che, senza alcuna didascalia, mostravano quanto l’individuo si fosse allontanato dal paradigma naturale. La sua sensibilità post-moderna, accentuata nel continuo crearsi e ricrearsi, metteva a nudo come l’identità fosse un processo implicito e costantemente condiviso tra l’individuo, il narratore, il pubblico e la cultura tutta.

 

Vari studiosi hanno sottolineato come Bowie abbia plasmato più volte sia i suoi abiti di scena sia il suo stesso corpo in modo da far cambiare allo spettatore la percezione del suo genere e della sua sessualità. Il suo essere mutaforma era una parte dell’opera.

Non di meno, espresse queste trasformazioni anche con l’arte della voce: il suo dualismo tra suoni stentorei e toni profondi, unito ad una impressionante capacità recitativa, rendevano i brani delle esperienze teatrali, in cui la grana vocale rendeva ancora più incarnato il lavoro sul personaggio.

 

Se il corpo è il luogo in cui il genere e la sessualità diventano visibili, Bowie lavorò concettualmente per creare una persona che potesse esprimere il massimo grado di attrazione sessuale, tanto per una donna quanto per un uomo.

Giocò sul potere attrattivo del perturbante e scartò qualsiasi compiacenza sociale. Aveva cioè intuito che il più erotico degli oggetti è colui che polarizza le masse invece che seguirle.

La creazione della persona Ziggy

 

 Le trasformazioni, quelle profonde e coraggiose, però, non sono sgraziati tagli col passato, ma sono semmai, i frutti maturi di un lungo percorso alla ricerca della propria poetica.

Quella che Bowie fa in quegli anni è una vera e propria “ricerca”, al punto che sulla copertina di “The rise and fall of Ziggy Stardust” c’è un’insegna con scritto “K-WEST”. In inglese questa parola si legge come “Quest”: la “Cerca” del Sacro Graal.  Non c’è cerca più radicale di quella all’inseguimento dell’umano.

 

Per capire il maestoso cambiamento Bowie attuò nel 1972 è dunque necessario comprendere quale fosse la Cerca (e la poeica) che Bowie stava maturando già da qualche anno.

Uno dei brani più noti di Honky Dory era “Life on Mars”. Nel suo testo Bowie poggiava uno sguardo di straziata compassione su persone marginali, individui colti all’acme della propria disperazione …o della propria rivelazione.

Nel brano ognuno si chiede se esista un luogo in cui sia più tollerabile vivere.

Anche qui c’è un narratore che, tormentandosi col miraggio di un Altrove, svela l’angoscia di chi non crede di poter essere salvato. Nella voce di Bowie, in certi acuti altissimi, la speranza assume i caratteri di una tortura, mentre l’ideazione bizzarra appare come una pietosa offerta di “cessate il fuoco”.

 

In quegli anni David Bowie, era poi rimasto molto colpito dalla vicenda si Vince Taylor, un rocker inglese che si era convinto di essere Gesù Cristo e di poter parlare con gli alieni (Donadio, 2013, p 175). Taylor, si presentò sul palco vestito di bianco, in preda ad un delirio mistico. Anni dopo Bowie disse: “Questa fu la fine di Vince, della sua carriera e di tutto il resto. La sua storia divenne uno degli elementi essenziali di Ziggy e della sua visione del mondo”.

Oltre a vince Taylor, Bowie prese ispirazione da molti altri artisti che ammirava e che in qualche modo sfuggivano alla sua presa interna: Iggy Pop, Lou Read, Andy Warhol e Marc Boland. Come Bowie disse in un’intervista a proposito di Ziggy: “Penso di essere uno che prende facilmente la forma delle persone che incontra. Cambio velocemente accento. Ho sempre notato che io colleziono: sono un collezionista. Mi rendo conto che ho sempre collezionato personalità e idee”. 

 

Bowie parte dunque da una iniziale incorporazione, passa per una mimesi e giunge ad una integrazione di parti. Alcune rimangono quasi aderenti al soggetto sorgente altre invece acquisiscono una loro evoluzione e anche sublimazione.

 

Ziggy, si arricchirà poi un impressionante concentrato di oggetti culturali: il surrealismo (con costumi ispirati alle opere di Dalì), il teatro kabuki, l’estetica di Warhol, le ombre del teatro off Brodway.

Bowie ha come poetica centrale la ricerca del perturbante, anche attraverso questo gioco di emprise e impossessamento. Ciò che giunge a creare è una “persona” coerente e credibile eppure del tutto improbabile.

Ebbe poi a dire che la follia che aleggiava nella sua famiglia lo inseguiva e che se non fosse diventato un artista, probabilmente sarebbe finito in manicomio come il fratello. (“David Bowie Is”, 2013)

E con questi ingredienti (la mimesi, il cambiamento, l’alieno, la follia, le contaminazioni di genere e la mania pre-apocalittica) che nel 1972 appare Ziggy Stardust.

 

Ne nasce un concept album che narra la sua storia ma Bowie, oltre che dare vita a Ziggy attraverso la musica e le parole, gli darà anche voce e libererà fisicamente questo messia alieno nel mondo.

 

Per tutto il 1972-73 Bowie sarà Ziggy sul palco, nelle occasioni pubbliche e alla TV. I presentatori, impacciati, si troveranno ad introdurre David Bowie e veder invece arrivare sul palco Ziggy, l’alieno, la maschera, il messia. 

La fine è sempre vicina

 

Ziggy non è un alieno ma è un profeta, è venuto a indicare la via dopo l’annuncio che tra soli 5 anni tutto finirà.

Non c’era nulla di più credibile dell’imminente apocalisse per un giovane inglese della fine anni ‘60: i test nucleari, la guerra fredda, gli incubi della seconda guerra mondiale che si depositavano in menti ormai disarmate. L’angoscia patita nell’infanzia non aveva mai davvero abbandonato i ragazzi britannici e Bowie si sentiva parte di una intera generazione che cercava una via d’uscita.

 

Ad aprire la mostra “David Bowie Is”, nel 2013 al V&A Museum, c’era un’opera composta di chicchi di riso, uno per ogni bambino nato come lui nel 1947, l’anno del boom di nascite in U.K.. David Jones era uno di quel milione di bambini inglesi nati dalle ceneri della guerra: era immerso nell’evidenza che, di fronte all’apocalisse, la sessualità è un richiamo di vita.

 

“Five years”, sembra mettere in scena le paure che abitavano la generazione post bellica e qualcosa di molto traumatico si rappresenta attraverso la ripetizione.

Si ripete, però anche la messa in tensione del dualismo Thanatos-Eros: subito dopo la rivelazione dell’imminente fine del mondo, Ziggy vede una ragazza e se ne innamora.  E mentre per la strada avvengono abomini e crudeltà, lui trova ispirazione e ordine nell’avere cinque anni d’amore da non sprecare.

 

L’intuizione che trova in Eros un antidoto, non si limita a innescare l’amore per la ragazza ma, con una forza uguale e contraria alla minaccia totale, assomiglia ad un moto trascendente che sfiora tutti i presenti.  Ziggy viene colpito da un grande struggimento, un nostalgia desiderante[1] e dice: “Non c’è abbastanza spazio (nella mente), devo stipare così tante cose, immagazzinarle tutte qui dentro”.

Si guarda intorno e vedendo ogni sorta di persona (“grassa, magra, alta, bassa, importante o reietta”) sente che quel sentimento di amore si estende a tutti: “Non avrei mai pensato di aver bisogno di così tanta gente”.

 

Già dopo la prima canzone ci troviamo dentro un’opera di teatro e, seppure Ziggy non si sia ancora rivelato, sentiamo il suo desiderio di riunire tutta la popolazione della terra sotto lo stesso destino e lo stesso sguardo d’amore: “L’amore discende su coloro che sono indifesi. / L’amore idiota scatenerà la fusione”.

 

Come capita di fronte alle catastrofi, possiamo sentire una profonda appartenenza al genere umano, agli animali e alle piante con cui condividiamo un destino.

Questo sentimento oceanico è un misto di amore regressivo e ricerca dell’origine, in cui lo sguardo si getta ovunque alla ricerca di assoluti abbastanza vasti da farci tollerare gli sprofondi della paura.

Siamo a un passo dal delirio eppure sentiamo tutto così umano e comprensibile: questo accade poiché l’Autore ci ha fatto contattare le nostre imminenti miserie, le nostre dolorose fragilità e ci ha sussurrato “le provo anche io”.

 

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[1]  L’etimo della parola “Nostalgia” riporta a Nostos-Algos: un dolore che ci riporta a ciò che ci è familiare, è dunque un movimento che ci muore verso un ritorno e un reincontro, come nel viaggio di Ulisse verso Itaca. Racalbuto (2001) ricorda che  “la nostalgia desiderante appare come la conseguenza di una consapevolezza vera e piena della perdita” (Racalbuto, 2001, p.16)

La rivelazione

 

Definito l’orizzonte dell’apocalisse e riconosciuto il vettore di Eros, giunge la rivelazione del nuovo messia.

Quando in “Moonage daydream”  Ziggy Stardust si manifesta in qualità di maître de fête, rende subito chiaro di essere venuto da un pianeta lontano per salvare i ragazzi dalla depressione in cui sono piombati dopo l’annuncio della fine del loro mondo. Ciò che offre loro è una “Chiesa dell’Uomo” che dà sollievo grazie al rito del rock ‘n’ roll, a una libertà sessuale mai vista prima e ad una massiccia dose di fantasia e glitter. Ziggy impone ai suoi fan un’etica barocca: l’oro a coprire la peste, la maschera per esprimere l’individuo, l’Eros per sbaragliare Thanatos.

 

Le regole del rito di Ziggy partono con indicazioni semplici: non dire ai propri genitori che cosa si va a fare quando si esce di casa ed essere senza filtri nell’incontrare Ziggy.

In un tempo in cui si parlava dell’adolescenza come di una età misteriosa e la classe sociale dei giovani (consumatori) era di nuova istituzione; Ziggy, in poche frasi, scavalca tutto il dibattito sociologico e passa all’atto. In una sola canzone definisce la necessità di escludere gli adulti, la legittimità di chiedersi chi si è, decanta la potenza demiurgica delle emozioni e la centralità delle pulsioni sessuali.

 

Oggi riconosciamo questi come vettori evolutivi della fase adolescente ma allora venivano percepiti come comportamenti antisociali, sebbene non violenti.

L’attacco alla pubblica morale era sicuramente un elemento di eccitazione per i suoi fan ma esso non veniva tematizzato o investito in quanto tale: Ziggy non era ambiguo per fare dispetto a qualcuno ma, semplicemente, perché mostrava finalmente senza vergogna il suo essere una rock-star. E questo era parte del suo messaggio.

 

In una intervista per Playboy del 1975 Bowie, parlando della sua adolescenza disse: “volevo essere un artista favoloso: vedere a colori, ascoltare la musica, e loro semplicemente mi sminuivano. […] mi facevano sentire fuori da tutto. Finisci per ritirarti in cameretta (a sognare) e quella cameretta schifa, in qualche modo, te la porterai dietro tutta la vita“. (“David Bowie is”, 2013)  È ai ragazzini come era stato lui, che David parlerà attraverso Ziggy.

 

Il disco uscì il 16 Giugno 1972 ma il momento più potente arrivò il 6 luglio, con la performance  del brano Starman nella trasmissione Top of the Pops della BBC. 

 

Fu un’esibizione epocale che consacrò per sempre Bowie nell’Olimpo delle super-star ma soprattutto impattò sulla vita di milioni di ragazzi. In quei tre minuti e mezzo, Ziggy apparve nelle case di quei ragazzini desiderosi di una via di fuga e si mostrò con capelli improbabili, una tuta da arlecchino spaziale e degli atteggiamenti (bi)sessuali che al tempo fecero scalpore.

Quel braccio attorno al collo di Mick Ronson, così flessuoso e complice, fece arricciare non pochi nasi.

D’altro canto, furono molti gli adolescenti outsider che intravidero in quella libertà  un mondo realmente diverso.

 

Il cantante, Ian McCulloch ebbe a dire: “fin che non è  arrivato [Bowie], era un incubo, tutti i miei compagni di scuola si misero a dire: “Hai visto quel Tizio a Pop of the Top”? È  proprio un frocio quello!” e ricordavo che io pensavo “che imbecilli”. […] Per persone come me è  stato d’aiuto nel forgiarci un’identità e una prospettiva sulle cose. Ci ha aiutato a camminare in un modo differente,  metaforicamente” (Donadio, 2013).

 

 Oggi riguardando quell’interpretazione perfetta, ciò che mi rapisce è la carismatica naturalezza di Bowie mentre, nei panni di Ziggy, canta che c’è un alieno che vorrebbe parlarci ma ha paura che ci spaventeremo.

È una struttura di infinite messe in cornice (inceptions, si direbbe oggi), che contengono un messaggio che ciascuno sente rivolto a sé.

Questo è  il concetto alla base del rito magico (Eliade, 1957 ), questo è il motivo per cui quel video non pare invecchiato affatto.

Star-dust

 

Nell’album c’è solo una canzone che traccia con chiarezza l’arco narrativo dell’ascesa e della caduta di Ziggy.

In questo brano, che inizia con un inconfondibile riff di chitarra elettrica e un orgasmico “oh yeah”, si parla di Ziggy già al passato. Ziggy Stardust.

Gli è successo qualcosa: si era inebriato di successo, la band lo ha tradito, forse è stato divorato dai fan. Siamo a metà dell’album è c’è ancora tutta la discesa da fare.

 

Come tutti sappiamo, Ziggy Stardust verrà ucciso da Bowie stesso durante un concerto all’Hammersmith Odeon di Londra, il 3 luglio 1973.

 

Fu un atto inatteso anche per la band che scoprì, nello stesso istante in cui il pubblico lo seppe, che Ziggy e gli Spiders finivano lì.

E dunque alla fine vince Thanatos? L’apocalisse arriva e il caos trionfa?

 

La questione non è così semplice e forse l’anno prossimo (se il mondo non finisce prima) varrà la pena di raccontare come e perché muore una Stella.

Stardust, in fondo, è una parola composta da due altre parole: star, stella, e dust, polvere.

L’arte di vivere, di splendere, di amare non è né più né meno importante dell’arte di morire, conoscere il limite, cogliere un frutto.

 

Per oggi mi fermo ai giorni in cui qualcuno cadde sulla terra  e i palchi furono calcati dalla più grande rockstar extraterrestre che abbia mai visitato il nostro pianeta.

E non importa se non è del tutto vero.

 

 

Bibliografia

Donadio F, David Bowie. Fantastic Voyage.  2013, Arcana ed.

Eliade M, il sacro e il profano, 1957

Giannini F. e Whiting P. (a cura di) “David Bowie is”, Catalogo della mostra Victoria and Albert Museum, Londra, 2013

Racalbuto A. (2001) “Introduzione” in “la Nascita della rappresentazione fra lutto e nostalgia” (a cura di) Racalbuto A., La Scala M., M.V. Costantini, Borla 

Anna Cordioli, Padova

Centro Veneto di Psicoanalisi

annacordioli@yahoo.it

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