Sezione Locale della Società Psicoanalitica Italiana
Recensione di Andrea Braun
Se solo il mio cuore fosse di pietra
Titti Marrone
Feltrinelli, 2022.
Con il libro Se solo il mio cuore fosse di pietra Titti Marrone si prefigge, in forma romanzata, di ricostruire biografie e percorsi individuali dei bambini ebrei accolti in Inghilterra dopo la fine della guerra. Un gruppo di venticinque bambini e ragazzi arrivarono a Lingfield, un piccolo paese non distante da Londra, in una grande dimora di proprietà di Sir Benjamin Drage. Membro di spicco della comunità ebraica, con grande generosità mise a disposizione la sua villa per un programma destinato all’accoglienza dei piccoli ospiti sopravvissuti all’Olocausto e provenienti da vari campi di sterminio o dai nascondigli, iniziativa fortemente auspicata da Anna Freud e Alice Goldberger.
Titti Marrone[1] riconosce alla fine del libro (237) un debito di gratitudine: “Per i traumi dei bambini passati per la Shoah è stato fondamentale consultare gli scritti di Anna Freud e soprattutto “Un esperimento di educazione di gruppo” pubblicato nel secondo volume delle Opere (Boringhieri, 1979)”.
Nel lavoro di Anna Freud vengono descritti con altri nomi i primi sei bambini considerati nel libro di Titti Marrone. I piccoli erano stati deportati nel primo anno di vita a Terezín ed erano riusciti a sopravvivere in condizioni spaventose. Al loro arrivo mostravano ostilità o indifferenza verso gli adulti. I legami positivi riguardavano esclusivamente il loro piccolo gruppo, dove si prendevano cura l’uno dell’altro e funzionavano come un insieme, inseparabili tra loro.
L’impossibilità di staccarsi da questo contesto gruppale è stato attentamente osservato e ha permesso di cogliere altre peculiarità come, ad esempio, una completa assenza di rivalità, competizione, invidia e gelosia tra loro. Ci sono numerose annotazioni da parte di Anna Freud che documentano questa evidenza, accanto alla consapevolezza della necessità di approfondire e non interferire in questa fase con le dinamiche all’interno del gruppo. Solo in un secondo tempo possono emergere ed essere riconosciute le caratteristiche individuali dei bambini. Titti Marrone è riuscita mirabilmente a rendere nella scrittura l’assetto difensivo gruppale, collegandolo all’esperienza della vita segnata dalla persecuzione nei lager. In questo contesto, così condizionato dalla morte incombente, le figure adulte, e tra esse anche i genitori, non hanno potuto fornire uno scudo protettivo.
Dagli appunti di Anna Freud emerge come molto lentamente questa difesa abbia potuto attenuarsi.
Vivere a Lingfield, in mezzo ad adulti responsabili e accudenti, consente di osservare un cambiamento di disposizione nei loro confronti. Si passa da piccole condivisioni fino ad arrivare a identificazioni vere e proprie, che includono manifestazioni di attenzione e premura verso coloro che sono stati percepiti inizialmente solo come “il” nemico, generico e indistinto.
Gradualmente assistiamo così all’evoluzione di rapporti personali. Si osservano primi attaccamenti e preferenze soggettive, in seguito ai quali compare anche la difficoltà di separarsi proprio perché si tratta di persone con le quali i bambini sono riusciti ad istaurare rapporti significativi.
Ma quello che stupisce nel lavoro scientifico è la capacità di Anna Freud di mettere insieme acute e approfondite osservazioni accompagnate da un’attività interpretativa parca. Ella è consapevole che i bambini sopravvissuti alla Shoah sono stati segnati da esperienze difficilmente immaginabili. Si preoccupa dunque di fornire loro anzitutto uno spazio di accoglienza in cui ritrovare la fiducia nella possibilità di vivere la loro vita, non solo di sopravvivere al terrore sperimentato nei campi di concentramento.
D’altronde, scrive Anna Freud, questi bambini fino all’età di tre o tre anni e mezzo vivevano segregati, in uno spazio angusto, senza giocattoli, senza la possibilità di muoversi liberamente, di entrare in contatto con degli animali e con la natura. Eccezion fatta per i cani da guardia che venivano aizzati, nemici anch’essi. Non avevano potuto condividere la quotidianità con persone che si prendevano cura di loro e sviluppare legami significativi. Manca la spinta ad imitare gli adulti, ad identificarsi con loro. La conoscenza del mondo esterno era quindi assai ridotta e si doveva valutare come favorire la ripresa e allo stesso tempo contenere paure e angosce dilaganti.
Il libro di Titti Marrone, anche attraverso le testimonianze raccolte di altri diciannove bambini arrivati successivamente nella struttura, ci fa assistere a un percorso in cui diventerà possibile iniziare ad elaborare le storie individuali in un ambiente protetto e predisposto all’accoglienza. Marrone tocca moltissimi argomenti di grande interesse e fa emergere la creatività degli operatori socio sanitari nel loro operato, tra cui anche terapeuti e analisti coinvolti nell’accoglienza con la supervisione di Anna Freud.
Per i sopravvissuti il ritorno alla normalità non è stato semplice. A parte poche eccezioni (che possiamo individuare nelle testimonianze delle sorelle Bucci) i bambini usciti dai campi si ritrovarono orfani, senza riferimenti, soli, disorientati, privati della loro identità anche perché spesso il ricordo delle origini è stato cancellato. Per anni la loro individualità è stata negata, ridotta a un numero tatuato sul braccio.
Lingfield è stato per i bambini l’esperienza che ha fatto la differenza. Ha rappresentato il riconoscimento di quanto avessero patito e il tentativo di restituire loro dignità e rispetto attraverso le cure di ferite fisiche e psichiche. Ciò è passato soprattutto attraverso la condivisione di vita all’interno della comunità – facciamo riferimento a “Un esperimento di educazione di gruppo”[2], mentre in singoli casi è stato avviato un trattamento psicoterapeutico individuale. Il lavoro degli operatori, coordinato da Anna Freud, si configura quindi come pietra miliare nell’esplorazione delle risorse in campo. Molte energie sono state dedicate all’insegnamento della lingua inglese ritenuta, a ragion veduta, fondamentale per dare a tutti i bambini la possibilità di un inserimento in Gran Bretagna e anche per facilitare la comunicazione tra loro, viste le provenienze da paesi differenti. Successivamente le attenzioni riguardano l’individuo e le sue prospettive. Vengono considerate adozioni in Inghilterra, l’emigrazione in Palestina e nei casi più unici che rari, come per le sorelle Bucci in Italia, si riesce a ricomporre il nucleo famigliare originale.
Andra e Tatiana Bucci hanno scritto della loro esperienza di sopravvissute alla Shoah, ricordando il destino diverso del cuginetto Sergio, deportato insieme a loro. Egli compare all’inizio e alla fine del libro. Titti Marrone lo evoca attraverso la sequenza onirica di un bambino atteso, ma che non arriverà mai a Lingfield. Nell’ultimo capitolo verrà ricostruita questa assenza e la scomparsa di Sergio, collegata agli esperimenti del medico amburghese Kurt Heissmeyer su cavie umane. Questa tragedia rientra nel capitolo della storia nazista della “medicina senza umanità,” come la definirono A. Mitscherlich e F. Mielke (1960)[3] occupandosi della documentazione emersa dal processo di Norimberga nei confronti dei medici imputati. Marrone ricorda gli “atroci e insensati esperimenti” (233) condotti su dei bambini, che pochi giorni prima dell’arrivo degli Alleati vennero impiccati, per far sparire le loro tracce.
Impossibile dimenticare che la stessa Anna Freud è riuscita a salvarsi all’ultimo momento, potendosi rifugiare in Inghilterra dopo essere stata già prelevata e interrogata dalla Gestapo a Vienna nel marzo 1938 (Lockot 1994, 55)[4]. Mi ha colpito il ricordo personale di Tatiana Bucci (2018),[5] che la menziona così: “Anna Freud era molto presente. Andra ha passato parecchio tempo con lei, che le fece addirittura usare il telaio su cui tesseva nei momenti liberi” (63).
Ho pensato al telaio di Lingfield come ad una base per ritessere la propria vita e sono grata a Titti Marrone per avercelo presentato in tutta la sua complessità e ricchezza, dall’inizio fino alla chiusura avvenuta nel 1957.
[1] Titti Marrone è giornalista, scrittrice e docente di Storia e tecniche del giornalismo all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli
[2] Freud A. (1951). “Un esperimento di educazione di gruppo”. In: Opere Vol. II. Torino, Boringhieri, 1979.
[3] Mitscherlich A., Mielke F. (a cura di) 1960: Medizin ohne Menschlichkeit. Dokumente des Nürnberger Ärzteprozesses; Neuauflage von Wissenschaft ohne Menschlichkeit. Frankfurt, Fischer .
[4] Lockot R. (1994). Die Reinigung der Psychoanalyse: die Deutsche Psychonalytische Gesellschaft im Spiegel von Dokumenten und Zeitzeugen (1933-1951). Tübingen, Ed. Discord.
[5] Bucci A., Bucci T. (2018). Noi, bambine ad Auschwitz. Milano, Mondadori, 2023.
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