"Ripley"

di Claudia Antonelli e Elisabetta Marchiori

Titolo: “Ripley”

Dati sulla serie: miniserie di 8 episodi, ideata e diretta da Steven Zaillian, Netflix, 2024

Genere: drammatico, thriller psicologico

Trailer: https://www.youtube.com/watch?v=n2Azci4g1j0&ab_channel=NetflixItalia 

 

Leggi la recensione in lingua originale (Portoghese)

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“Ripley” è il nome del protagonista e il titolo dell’inquietante miniserie basata sull’opera della scrittrice Patricia Highsmith intitolata Il talento di Ripley, il cui genere si definisce thriller psicologico (psychological Suspense). Un piatto ghiotto per gli psicoanalisti.

Il personaggio di Tom Ripley (qui brillantemente interpretato da Andrew Scott) ritorna in quattro romanzi successivi da cui sono stati tratti due film “Il talento di mister Ripley (The Talented Mr. Ripley (di Anthony Minghella, 1999) e “Delitto in pieno sole” (di René Clément, 1960). Questa serie è forse la migliore versione filmica di questo racconto perturbante, misterioso, per certi aspetti agghiacciante, ideato e diretto da Steven Zaillian, ispirandosi ai classici noir degli anni ’40.

Perché Ripley fa quello che fa? Questa è la domanda che si insinua nella mente dello spettatore e lo tiene incollato allo schermo, nonostante le pochissime scene di azione. È forte la tentazione di cercare di fare una diagnosi. Forse perchè con questa ci illudiamo di smorzare l’impatto della sofferenza provocata dall’incapacità di capire cosa muova le azioni di questo personaggio.

Le prime impressioni sono sensoriali, a partire dalle avvolgenti immagini in bianco e nero, dai meravigliosi paesaggi e dal fascino delle città che assumono una natura sinistra, dalla colonna sonora, dalla commistione di lingue diverse. Aspettavamo che le immagini si colorassero, come spesso accade in queste narrazioni. Invece no, la magnifica fotografia continua ad abbagliare di luci e ombre, nitida e fredda, cruda e implacabile, dove il sangue che scorre non è rosso, ma un liquido nero e denso.
Siamo negli anni ’60 e Tom, il protagonista, si presenta come un piccolo truffatore senza storia, un orfano cresciuto da una zia che appare solo in due flash di memoria. All’inizio sembra una persona quasi simpatica, un po’ impacciata, bisognosa. Viene incaricato da un ricco imprenditore newyorkese a cercare il figlio Richard Greenleaf (Johnny Flynn), detto Dickie, che se ne è andato in Italia, ad Atrani, sulla magnifica costiera amalfitana, per dedicarsi alla pittura. Tom lo approccia mentre prende il sole in spiaggia con Marge (Dakota Fanning), la fidanzata scrittrice, fingendo di essere lì per puro caso e sostenendo di essere stato a scuola con lui.

Dickie Greenleaf — che significa “foglia verde”, forse come la vita con i suoi colori e la sua freschezza — è ricco, bello, abita in una villa stupenda, arredata con gusto e piena di opere d’arte. Sembra fidarsi sin dall’inizio ciecamente di Tom, che appare mite e gentile, mentre lo adula e lo seduce. Gli offre ospitalità e lo coinvolge nella sua vita, mentre Marge lo mette in guardia, è profondamente infastidita da questo intruso che lo sta allontanando da lei: “Ok, potrebbe non essere gay. […] Non è abbastanza normale da avere un qualsiasi tipo di vita sessuale”. Tom è astuto, si infiltra adagio e inesorabilmente, come un ragno tesse pazientemente intorno a Dickie una fitta rete di inganni, fino ad impossessarsi della sua identità. È subdolo, geniale e implacabile mentre mette in atto con glaciale freddezza una serie di efferati delitti e azioni criminali per raggiungere il suo obbiettivo: diventare Dickie. Lasciando allo spettatore il piacere di scoprire la storia, diciamo solo che Tom-Dikie lascia Atrani e inizia a spostarsi tra Roma, Palermo e Venezia,  riuscendo ad ingannare tutti con i suoi modi educati, l’apparente generosità e i suoi sforzi di parlare in italiano. Come un serpente, riesce sempre a sgusciare via e a far perdere le proprie tracce anche alla polizia, che cerca lo scomparso Ripley.

Nell’evolversi della storia appaiono nella mente di Ripley immagini oniriche: sono immagini solide, una sorta di resti diurni grezzi, concreti, non trasformati, rigurgiti di realtà. Ha quindi un inconscio che cerca di elaborare l’impatto traumatico, i sensi di colpa, i lutti? Tuttavia, questi eventi notturni non hanno davvero la consistenza dei sogni, sembrano mere ripetizioni delle scene diurne: “Per una persona di questo tipo, i dati sensoriali grezzi sperimentati nel sogno sono indistinguibili da quelli che si verificano nella vita di veglia”, scrive Ogden (2005). È l’acqua dello scarico del bagno, o delle profondità del mare, o dei canali di Venezia, o l’acqua scura che attraversa la sua mente, quella che scorre nella sua mente?

A Roma cerca le opere di Caravaggio — Dickie gli aveva detto che doveva conoscerle assolutamente —  e il suo sguardo si sofferma intensamente su particolari efferati — la testa decapitata di Golia, i corpi tortuosi, soffocati nell’oscurità delle tele —- o, in contrasto, sul Bambin Gesù, accudito dalla Vergine Maria. Il fascino per Caravaggio (personaggio che nella serie prende vita propria) e le sue opere è un fil rouge che attraversa tutta la serie.
Vediamo in questi dipinti il mondo interiore di Tom, le sue pulsioni più profonde e arcaiche, mortifere e violente? L’analogia, per quanto semplicistica, è inevitabile: sembra quasi che per Tom-Dickie vedere all’esterno, su quei quadri, raffigurate le profondità oscure dell’inconscio gli desse sollievo. Anche se il suo volto rimane imperscrutabile, non un segno di paura o di pentimento.
Guardando la serie una seconda volta, alla ricerca di elementi o fatti che forse ci erano sfuggiti e avrebbero potuto offrire nuovi elementi di comprensione, siamo rimaste a bocca asciutta. Abbiamo solo sentito più intensamente e chiaramente la gelida freddezza del personaggio e l’efferatezza delle sue azioni. E abbiamo prestato attenzione al gatto, quello che vive sulle scale di una delle principesche abitazioni dove Ripley soggiorna, quella a Roma, identificandoci in lui, che lo osserva immobile e sembra l’unico ad accorgersi dei suoi strani movimenti.

In uno degli ultimi episodi, vediamo Ripley seduto su una poltrona del salotto della sua casa veneziana, con metà del volto in ombra e metà illuminato dalla luce della lampada, quasi in una “posa da ritratto”: un bicchiere di vino in mano, un posacenere di vetro poggiato sul tavolino accanto a lui (un oggetto importante nella storia).

Il chiaro e lo scuro, il nero e il bianco dissociano la sua figura in due parti: quella visibile, di bell’aspetto e ben vestita, quella in ombra che, senza pietà e senza esitare, a sangue freddo, rimuove gli ostacoli che incontra nella sua strada: dalla sua strada, ciò o chi lo ostacola: “Lo considero una persona ragionevolmente civile, che uccide solo quando non vede altra via d’uscita”, ha affermato Patricia Highsmith, con la necessaria empatia del creatore, in un’intervista.
Torniamo ora alla domanda iniziale: ci può tranquillizzare fare una diagnosi? Ripley è uno psicopatico, un perverso, un serial killer? Anche se ci piace pensare al funzionamento psichico della mente umana, questa serie ci mostra una complessità davvero difficile da inquadrare. Chi è Tom Ripley? Che cosa vuole? Cosa lo spinge a fare quello che fa? Cosa prova? Qual è il piacere che cerca?

“Narciso” è il titolo dell’ultimo episodio: immerso in un immaginario narcisistico, Ripley è lo specchio idealizzato di se stesso? Oppure non è altro che un’ombra vuota che si appropria della vita di chi vorrebbe essere? È l’incarnazione di Thanatos? Ripley colpisce, dobbiamo riconoscerlo, perché tocca qualcosa che ci appartiene, che disvela aspetti oscuri perturbanti in quanto familiari.

Questa serie imperdibile ci invita a pensare, ad andare al di là della psicopatologia o di altri tentativi di classificazione, a esplorare il regno dei misteri della mente umana, quando le viene data la possibilità di brillare, sotto il cielo della nostra settima arte.

 

Bibliografia

 

Ogden, T. (2005). This art of Psychoanalysis: Dreaming undreamt dreams and interrupted cries – On not being able to dream. London, Routledge.

 

Cláudia C. Antonelli, Brazil

Brazilian Psychoanalytic Society of Campinas, Brazil

claudia.antonelli@gmail.com

 

Elisabetta Marchiori, Padova

Centro Veneto di Psicoanalisi

lisbeth.marchiori@gmail.com

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