Report del IX Colloquio di Venezia

Di Alessandra Macchi e Marta Oliva 

Report del IX Colloquio di Venezia

Il sette e otto ottobre 2023, in una Venezia calda e soleggiata, si è svolto il nono colloquio veneziano dal titolo “Diniego, Illusione, Speranza”. Date che rimarranno nella memoria collettiva perché nella notte un cruento attacco da parte di Hamas in Israele ha causato moltissime vittime trai civili.  Diniego, illusione e speranza quindi, come concetti attuali, pensati dall’esecutivo composto da Patrizio Campanile Presidente e Maria Ceolin Segretario Scientifico. Relatori di queste giornate sono stati Ambrosiano, Balsamo, Fattori, La Scala, Mangini, Marchiori, Montagner, Paiola, Preta, Semi e Thanopulos.

Maria Ceolin introduce i lavori che partono da quello di Thanopulos, il quale formula la distinzione tra illusione poetica e sogno da una parte, e illusione che è autoinganno dall’altra; la prima come potenzialità che consente di conoscere e vivere la realtà, mentre la seconda la denega. L’illusione nella sua accezione creativa “lega la rappresentazione alla realtà, indirizza il desiderio, che ispira la rappresentazione e la abita, verso una soddisfazione che coniuga l’atteso con l’inatteso, la ricerca e la sorpresa, il consueto e la scoperta”.  Una illusione che Winnicott definisce necessaria e rimanda al concetto di “realtà trovata e creata dal bambino” e “area transizionale”, mediatrice tra realtà esterna e mondo interno, spazio del gioco, dell’arte, della creatività e della religione. Paiola nella sua relazione mette in evidenza il rapporto dialettico tra illusione e disillusione. Illusione che crea l’oggetto-soggettivo da una parte, e dall’altra disillusione come “compito” per l’accesso al reale, alla separazione dall’oggetto, al lutto e alla rinuncia all’onnipotenza narcisistica. Questa tensione tra illusione e disillusione viene mediata dalla madre che, attraverso un adeguato dosaggio, consentirà al bambino di “essere disilluso rinunciando all’onnipotenza iniziale, ma non alla capacità illusoria.”  Quando questa capacità rispecchiante e riflessiva materna fallisce, la disillusione si trasforma in delusione, come evidenza Marco La Scala. Egli distingue tra delusione e ferita. La prima deriva per l’appunto da una insufficienza nella funzione rispecchiante materna e porta ad un deficit nella funzione rappresentativo-simbolica, àncora il soggetto all’identità di percezione e/o al diniego delle percezioni e il rafforzamento della difesa narcisistica di autosufficienza. L’oggetto è sentito talora buono talora cattivo, vicino o lontano, caldo o freddo; siamo nell’area del disimpasto primario tra Eros e Thanatos, tuttavia la speranza nell’oggetto magico permane. La cura dei casi limite ne è un esempio. Mentre la ferita deriva da una inversione o pervertimento della funzione rispecchiante: “Quando cioè all’avallo dei processi di percezione rappresentazione del bambino si sostituisce l’immissione intrusiva nell’infans di contenuti a lui estranei provenienti unicamente dall’oggetto.” In questi casi viene operato un massiccio disinvestimento che svuota l’Io e porta ad un impoverimento libidico, ad un disimpasto secondario che introduce la pulsione di morte all’interno del Super-Io come nel caso della malinconia.

Il diniego è il rifiuto della percezione, dell’esistenza reale della cosa rappresentata. Ogni diniego della realtà ha le sue radici nel rifiuto della relazione tra le differenze. Con il Diniego, la percezione, e di conseguenza la realtà, vengono alterate in funzione del principio di piacere e della attività pulsionale (Ambrosiano). Mangini si chiede Cos’è che determina il Diniego? Direi “un pezzo di realtà” la cui percezione è una violenta intrusione nello psichico dell’infans”.  Il diniego è strettamente correlato alla scissione della realtà, dell’Io e dell’oggetto ed insieme consentono di mantenere una parte di realtà fattuale e una parte di convinzione di realtà psichica altrettanto “reale”.

Semi sottolinea infatti come il diniego “può essere necessario o conseguente anche al mantenimento dell’illusione e della speranza intesi come stati d’animo fortemente investiti e almeno temporaneamente o transitoriamente dominanti, tali da imprimere una dimensione alla vita individuale e collettiva” e ciò vale sia per i sentimenti di odio che per l’innamoramento. Balsamo indica come in campo analitico si assista al diniego del diniego che è il punto di partenza per il montaggio e lo smontaggio, ossia per “riuscire a legare ciò che non era mai stato legato, ritesse il passato riapre futuri in giacenza.” “Ogni origine si coglie solo nel ritardo del suo apparire” e questo indica come non si possa stare solo sul tempo presente ma sia importante la dimensione anacronica. Il concetto di speranza è connesso al concetto di diniego, inteso come diniego di quello che è visibile e che è già compiuto, per poter entrare in contatto con “il suo anacronismo fondativo”.  “il diniego può utilizzare una sua precedente evenienza non tanto per ripetersi, ma per salvare, se non la vita, almeno la speranza”.

L’impossibilità di poter accettare la realtà della percezione alimenta l’illusione attraverso la creazione di una convinzione erronea e, quest’ultima, accompagna non solo l’individuo ma interi gruppi. Come afferma Ambrosiano “negazione e diniego sono anche un meccanismo culturale che, facilmente, promuove stati della mente condivisi e legittimati dal gruppo di riferimento. La negazione aggrega il gruppo e intere comunità intorno a costruzioni illusorie e false. (..) Essa slega, decompone la connessione sociale più ampia in favore delle identificazioni con sub-culture locali funzionali ai bisogni.” All’interno della mente gruppale si creano narrazioni e credenze pseudo reali, labili confini tra il sapere e il non sapere, prevale la logica della riconferma delle credenze e imperano i bisogni narcisistici. L’autrice si interroga su che cosa spinge l’individuo a non conformarsi con il gruppo qualora in esso prevalgano meccanismi di diniego e negazione.  La risposta sta nel pensiero associativo e nell’attenzione liberamente fluttuante. “Immagino che un pensiero liberamente associativo possa ridurre il ricorso alla negazione, proprio perché fa entrare in gioco, distrattamente, altri livelli di attenzione, direi meglio di disattenzione, dis-trae dalle credenze condivise e lascia spazio a inattese percezioni personali”. Marchiori  e Preta, con le loro relazioni,  si soffermano sui fenomeni sociali, psichici e culturali del nostro tempo quali per esempio l’uso massivo dei dispositivi virtuali e l’uso problematico dei media digitali in età evolutiva da una parte, e l’eccesso di immagini che saturano il campo percettivo slegate dai processi di simbolizzazione dall’altra. Marchiori evidenzia come nel virtuale le cose funzionino in modo magico, senza freni ne’ limiti. Il virtuale alimenta “la vertigine dell’illusione” e “il rischio è che, crescendo, il bambino continuerà a cercare lo stesso livello di stimolazione rimanendo costantemente frustrato e angosciato”. Il pensiero diventa sempre meno critico e slegato dall’esperienza di sé poichè la gratificazione immediata allontana il vero soddisfacimento e l’incontro con il reale.  Come evidenzia Preta, “Si possono attivare stati persecutori della mente, oppure vissuti megalomanici e onnipotenti che hanno l’effetto di allontanare la possibilità di un’elaborazione dell’esperienza”.  Un effetto di questi meccanismi riguarda anche la “fantasia di autogenerazione” o di “annullamento del corpo” o di “eternità” le quali  riporterebbero l’individuo in uno stato precedente la percezione e la consapevolezza dell’alterità, nell’illusione di un’autosufficienza che annullerebbe e renderebbe superflua ogni diversità e ogni combinazione con l’altro da sé. Quindi naturalmente ogni idea di coppia genitoriale. Questa fantasia si basa proprio sul diniego delle origini e in questo modo viene esaltato il narcisismo primario che tende ad un annullamento delle tensioni proprie alle pulsioni e ai desideri; viene evitato l’avvenimento psichico progressivo della separazione, e della differenza; negata la differenza dei sessi e delle generazioni”.

 

Il concetto di speranza viene articolato da Lucia Fattori secondo la quale la speranza viene consolidata a partire da una buona esperienza di fusionalita’ con la madre, dato che questo permette di creare la fiducia di base necessaria per lo svilupparsi del desiderio. Questo permette di ristabilire un legame con l’oggetto originario. Fattori dice “l’oggetto originario verrà ritrovato e riavuto”. Si tratta da una parte di andare incontro al nuovo e dall’altra di riuscire a mantenere un qualcosa “dell’originaria esperienza gratificante“. Questa sensazione rimanda secondo l’autrice al tema della nostalgia come speranza, non si tratta di una nostalgia mortifera ma di una nostalgia vitale che è possibile grazie a un lutto riuscito. La stessa cosa non si può verificare in quei bambini che nei primi mesi di vita non hanno avuto la possibilità di “essere riempiti di speranza” e questo li ha portati a vedere la fiducia di base sgretolarsi e scemare. Patrizia Montagner approfondisce il concetto di speranza in relazione al fenomeno della migrazione che può essere paragonata a quello che vive il bambino nel momento in cui entra nel mondo, dato che il migrante è obbligato a confrontarsi con un mondo nuovo rispetto a quello in precedenza conosciuto. I migranti non sono provvisti di speranza e l’obiettivo è proprio quello di far si che attraverso la sollecitazione e il sostegno dell’area transizionale, come definita da Winnicott, si possa arrivare a un recupero della speranza stessa.



Alessandra Macchi, Padova

Centro Veneto di Psicoanalisi

macchi.alessandra05@gmail.com

 

Marta Oliva, Padova

Centro Veneto di Psicoanalisi

martaoliva@libero.it