Prolegomeni per uno studio dei correlati neuroscientifici dell’Es

di Angela Iannitelli

(Roma), Membro Associato della Società Psicoanalitica Italiana, Centro Psicoanalitico di Roma. Collabora con il l’Istituto di Biochimica e Biologia Cellulare, CNR e Unità medicina traslazionale Rita Levi-Montalcini, c/o Dipartimento Organi di senso, Sapienza Universita di Roma.

Le dimensioni dell’Es

L’Es è l’istanza fondamentale della seconda topica freudiana, dalla quale derivano le altre due, l’Io e il Super-Io. Rispetto all’inconscio della prima topica, l’Es ne amplia i confini, si ipertrofizza, cresce, contenendo quindi il rimosso, anche quello originario, la parte inconscia dell’Io non rimossa, le identificazioni “ereditate” dal passato e le esperienze; è, inoltre, strettamente embricato con il corpo e con il movimento delle pulsioni. Questa sua forma, caratterizzata da una certa ubiquità psichica, anche se ben definita nei suoi componenti, lo rende di difficile approccio da parte delle scienze della mente, a meno che non proviamo ad accordarci su compromessi scientifici che possano almeno consentirci un possibile approccio per necessità onestamente riduttivo.

La proposta che faccio è quella di provare a elencare le caratteristiche e le funzioni proprie dell’Es, così come descritte da Freud, raggruppandole per dimensioni. La scelta dimensionale è quella che è stata operata anche nella Psichiatria qualche decennio fa al posto di una classificazione categoriale, scelta che ha facilitato non solo il dialogo tra ricercatori ma anche le scelte diagnostiche e quelle terapeutiche. Sono assolutamente consapevole dell’operazione di semplificazione che opero applicandola ad un sistema complesso come l’Es, però, ritengo che essa non sia sinonimo di riduzionismo. La semplificazione non è perdita di fatti essenziali. Questa operazione facilita la riflessione su questi concetti ed è utile per le diverse articolazioni del discorso che proverò a tessere, dichiarando subito che frequentemente gli aspetti dimensionali si sovrapporranno, in alcuni casi mantenendo una funzione per così dire di sostantivi e, in altri, di attributi.

Partendo dalla sintesi assiomatica della descrizione dell’Es[1], da parte di Freud, otteniamo delle dimensioni che sottoporremo ai risultati dell’indagine neuroscientifica. Le dimensioni che abbiamo costruito a partire dagli assiomi freudiani ovviamente risentono della nostra conoscenza ed esperienza neuroscientifica, del nostro lavoro psicoanalitico, della nostra appetibilità verso alcune teorie psicoanalitiche e neuroscientifiche piuttosto che verso altre.

Le dimensioni che si sono venute costruendo a partire dagli assiomi freudiani dell’Es sono le seguenti: 1. Evolutiva; 2. Plastica; 3. Energetica; 4. Pulsionale e somatica; 5. Inconscia e dei Sogni.

 

  1. Dimensione evolutiva

“Chiamiamo l’Es la più antica delle province o istanze psichiche”;

“Suo contenuto è tutto ciò che è ereditato, presente fin dalla nascita, costituzionalmente fissato […]”[2];

[…] Né vanno dimenticate le influenze filogenetiche, che sono rappresentate in qualche modo nell’Es […]”[3];

L’Es è “[…] la più antica delle province […]”[4], è il Caos iniziale all’origine dello psichico.

 

Analogo al disordine primordiale che preesiste al κόσμος, all’universo ordinato. Analogo al Χάος da cui nacquero gli Dei dell’Olimpo e quelli babilonesi e Dio, nella religione cristiana. Analogo all’energia preesistente al big bang all’origine del mondo, quando questa si è trasformata in materia. Il caos, definito come condizione primigenia da cui ogni divinità o realtà si è andata generando, è l’ente aperto a ciò che sarà, contiene l’energia e il materiale per continui processi trasformativi che porteranno a organizzazioni sempre più ordinate e stabili (Esiodo, 2014).

L’uso della lente evolutiva nello studio dell’Es ci potrebbe aiutare a trovare tracce di quell’originario, di quei contenuti filogenetici ereditati, le “influenze filogenetiche” di cui parla Freud.

Un breve accenno ad alcuni aspetti filosofici. Tralasciando la ormai vetusta e finalmente sepolta teoria dualista, vale la pena ricordare, per i nostri scopi, il pensiero filosofico del panpsichismo che ritiene che la capacità di sentire sia legata a più microesperienze che, interagendo tra di esse, secondo principi sconosciuti, darebbero vita a macroesperienze. Per esempio, stimoli dolorifici in una parte del corpo (microesperienze) evocherebbero la sofferenza (macroesperienza). È con Aristotele che ci avviciniamo a una teorizzazione più utile per i nostri obiettivi.  E’ l’organizzazione sistemica dei processi biologici-cognitivi a dar vita a organismi differenti in base a un processo evolutivo che avviene secondo una organizzazione gerarchica: le piante occupano il gradino più basso, posseggono un’“anima appetitiva” o “riproduttiva” e la loro esistenza è finalizzata alla sopravvivenza e alla riproduzione; gli animali occupano il gradino intermedio, sono  dotati di un’“anima sensitiva”, in grado di percepire e provare affetti, la loro esistenza è l’appagamento di passioni, desideri e bisogni. Nel punto più alto della scala vi è l’uomo, che possiede un’“anima razionale”, volta al “bene”, alla “verità”, e alla “bellezza”, che convive con le altre “anime” presenti nelle piante e negli animali, rappresentando il punto più alto di sviluppo. Questa distinzione aristotelica sembrerebbe in qualche modo corrispondere alla suddivisione operata da J. Panksepp nella sua modellizzazione emotivo-motivazionale, di cui parleremo in seguito.

La vita si sviluppa a partire dal caos primitivo, in un brodo primordiale di soli quattro elementi, che si separano dal caos, attraverso forse la prima per così dire membrana vivente. Man mano che si sale nella scala evolutiva o nelle nicchie evolutive si osservano meccanismi autopoietici che in qualche modo si organizzano, meccanismi che potremmo definire “inconsci”, in assenza ancora di organismi dotati di coscienza. I funghi mucillaginosi, per esempio, hanno una sorta di “intelligenza” che ha fatto pensare a una “origine cellulare dell’intelligenza primitiva”, o le spugne che hanno una sorta di “memoria”, ancora poco studiata. A questo proposito è curioso ricordare come i vermi piatti, i più semplici animali dotati di memoria, se decapitati, rigenerano una nuova testa e ricordano quanto appreso prima della decapitazione perché le aree deputate alla memoria sembrerebbero essere localizzate anche nei circuiti neuronali periferici, nelle cellule, nei campi elettrici. Senza parlare dei cefalopodi, dei calamari, delle seppie e dei polpi che hanno recettori periferici specializzati, con funzioni di veri e propri cervelli primitivi (Ginsburg e Jablonka, 2022). E, finalmente, nell’uomo dove è stata scoperta una memoria sinaptica, cellulare, una memoria epigenetica, evolutiva, fuori dalle aree cerebrali ad altissima organizzazione e deputate a questa funzione, come l’ippocampo. A questo proposito vale la pena ricordare come bisogna porre la massima prudenza nella interpretazione dei dati di brain imaging anche funzionali, non solo strutturali, che associano un’area cerebrale a una funzione. Una meta-analisi su 14.000 studi di fMRI ha dimostrato che numerose regioni cerebrali sono attivate nella memoria episodica, cioè in una sola funzione (mappatura uno-a-molte) e che molte funzioni cognitive, non solo quelle mnemoniche attivano l’ippocampo (mappatura molte-a-una) (Edlow et al., 2019)

Dunque, la cellula, anche quella più semplice, ha una sua “interiorità”, una capacità di “percepire”, di avere “sensazioni” che le consentono di sopravvivere, rigenerarsi, adattarsi all’ambiente con cui è in relazione dinamica e selettiva attraverso una membrana semipermeabile che le consente degli scambi ben regolati e specifici.

Su un altro versante, vale la pena ricordare come Wilhelm Wundt, padre della psicologia sperimentale, si esprimesse a proposito dell’origine dello psichismo, individuandolo nella funzione contrattile degli esseri viventi: “Non si può escludere in linea di principio che la capacità di esprimere uno psichismo sia prefigurata in forma generale nella sostanza contrattile. Dal punto di vista dell’osservazione empirica, insomma, si può senz’altro credere che i primordi della vita psichica siano antichi quanto la vita in genere”, funzione questa che Freud affida all’Io: in virtù della relazione precostituita fra percezione dei sensi e azione muscolare, l’Io dispone dei movimenti volontari”.

La vita, per ricordare Schrödinger (1944), si istituisce come tale perché disobbedisce alla seconda legge della termodinamica che afferma che in un sistema isolato l’entropia aumenta continuamente fino ad arrivare ad un grado minore di ordine. La vita, invece, consuma entropia, si muove verso una differenziazione e una specializzazione, un ordine, un’organizzazione. Questa funzione, propria degli esseri viventi, viene definita sintropia o negentropia. Pensiamo anche solo alle fasi iniziali dello sviluppo embrionale, alla complessità e all’ordine con cui si forma il sistema nervoso, a partire da una piccola porzione centrale dell’ectoderma, chiamata placca neurale, uno dei tre foglietti, insieme al mesoderma e all’endoderma da cui prenderanno vita differenziandosi cellule che poi costruiranno organi, sistemi, apparati. È il mesoderma che coopera nella formazione della placca neuronale attraverso un processo definito “induzione” in cui fattori solubili facilitano l’espressione genica di cellule ectodermiche confinanti. Ma, attenzione, l’induzione è strettamente collegata a un meccanismo di “derepressione” in cui sempre fattori solubili derivati dal mesoderma impediscono a proteine morfogenetiche muscolari, di derivazione ectodermica, di sopprimere il destino nervoso della placca neurale. Dunque, è necessario l’intervento di un foglietto, il mesoderma, che non è programmato a formare materiale nervoso, per combattere e bloccare l’ectoderma che invece è destinato a formare il sistema nervoso ma la cui espressione di cellule muscolari ne bloccherebbe la nascita, lo sviluppo, la differenziazione. “La vita non si lascia separare facilmente dalla morte. Ne è abitata” (Amaisen, 2001, 81).

Processi di vita e di morte cellulare, che sono consustanziali, sono all’origine della vita e continuamente avvengono nel nostro organismo in maniera “inconscia”. Processi biochimici, “inconsci”, che condividiamo con molti organismi viventi; senza di essi, potremmo dire, non si formerebbe l’Io.

Possiamo allora affermare di trovare Eros, la pulsione di vita, in tutti gli esseri viventi, anche se espressa in forme differenti a seconda dell’organizzazione strutturale raggiunta? Direi di sì. Possiamo dire che è connaturata nella forma organica e quindi, costitutiva della materia vivente, al pari della pulsione di morte, senza la quale non potrebbe esserci vita. Questo vale per tutti gli organismi, a partire da quelli più semplici, come il batterio per arrivare a quelli più complessi, come molti mammiferi e l’uomo.

 

“La considerazione retrospettiva della storia evolutiva dell’individuo e del suo apparato psichico ci porta a stabilire un’importante distinzione nell’Es”. “Originariamente tutto era Es, l’Io si è sviluppato dall’Es per l’influsso persistente del mondo esterno. Nel corso di questa lenta evoluzione determinati contenuti dell’Es si sono trasformati assumendo lo stato preconscio, e così sono stati accolti nell’Io; altri sono rimasti immutati nell’Es, costituendone il nucleo difficilmente accessibile; […] il giovane e fragile Io ha riconvertito nello stato inconscio determinati contenuti precedentemente accolti, li ha lasciati cadere; e rispetto a determinate nuove impressioni che avrebbero dovuto accogliere si è comportato allo stesso modo, sicchè queste essendo state rigettate hanno potuto lasciare una traccia soltanto nell’Es. In considerazione della sua origine, chiamiamo questa parte dell’Es il rimosso”; “queste due categorie di contenuti nell’Es coincidono rispettivamente con ciò che è innato fin dalle origini e ciò che è acquisito nel corso dello sviluppo dell’Io”.

 

  1. Dimensione plastica

La qualità evolutiva dell’Es ne determina la sua plasticità.

 

“Sotto l’influsso del mondo esterno reale che ci circonda una parte dell’Es ha subito un’evoluzione particolare. Da quello che era in origine uno strato corticale equipaggiato di organi per la ricezione degli stimoli e dispositivi a protezione degli stimoli, si è sviluppata una particolare organizzazione che media da allora in poi fra Es e mondo esterno. Questa regione della nostra vita psichica la chiamiamo Io”[5].

           

Intendiamo per “plasticità fenotipica” la proprietà del genotipo di sviluppare fenotipi differenti quando esposto ad ambienti diversi, fisici o biologici. È del Premio Nobel R. Levi-Montalcini l’aver dimostrato che i neuroni hanno la proprietà di crescere e di differenziarsi sotto l’azione di un fattore, il Nerve Growth Factor (NGF), capostipite della classe delle Neurotrofine. (Levi-Montalcini, 2010). Non è secondario ricordare le forze psichiche in gioco in quella scoperta e il campo psichico che si era venuto costruendo tra la scienziata e i suoi embrioni (Iannitelli e Aloe, 2018). Studi successivi hanno dimostrato che la neurogenesi esiste anche in alcune aree cerebrali dell’adulto (ippocampo, bulbo olfattivo, zona sottoventricolare) e che i sistemi plastici cerebrali sono fondamentali nell’eziopatogenesi di molti quadri di sofferenza mentale e sono il target di molti psicofarmaci (Iannitelli et al., 2017). Ritengo che la plasticità sia il meccanismo attraverso il quale si produce il cambiamento psicoanalitico e che la “talking therapy” sia una “epigenetic drug” che agisce all’interno della cellula, dunque su meccanismi “inconsci” cellulari (Stahl, 2012; Iannitelli, 2016).

Così come in un neurone, la membrana cellulare, che da questo si è evoluta, garantisce una separazione con il mondo extracellulare, e ne regola i rapporti rispondendo e adeguandosi all’ambiente, nello stesso modo l’Io, che si è sviluppato dalla parte più esterna dell’Es, media tra questa istanza e il mondo esterno.  Così come è avvenuto per la membrana cellulare, anche l’Io si è sviluppato per la persistente domanda da parte del mondo esterno e, analogamente a quanto accade alla membrana cellulare dove alcune proteine sono a ponte tra membrana e citoplasma, alcuni contenuti dell’Es sono stati accolti dall’Io. Il concetto di membrana e della sua importanza in psicoanalisi è stato affrontato da molti Autori a iniziare da Freud nel Progetto (1895).

All’interno della cellula nervosa vi è un linguaggio fatto di segnali elettrici mentre tra di loro i neuroni parlano con un linguaggio chimico sia a livello delle sinapsi che di placca motrice.

Il neurone da solo è un mattone. Per costruire il palazzo ne servono molti e il modo con il quale i neuroni costruiscono il cervello sono i circuiti neuronali che costituiscono la base per uno o più comportamenti. Il dato fondamentale recente, proveniente dagli studi sulla plasticità cerebrale è dato dalla scoperta che le sinapsi, le connessioni fra neuroni, possono essere modificate dall’esperienza. Il cambiamento si esprime, nei circuiti semplici, con una modifica della forza di connessione tra i neuroni e sembrerebbe che questa plasticità apparentemente semplice possa giocare un ruolo critico nei meccanismi di apprendimento di comportamenti e funzioni cognitive complesse.

 

  1. Dimensione energetica

“[…] come dalle altre scienze naturali, è lecito aspettarsi che nella vita psichica sia operante un tipo di energia […][6].

           

Un paradigma che si è sviluppato negli ultimi anni e che credo possa aiutarci a capire meglio l’intuizione freudiana di energia è il Principio di Energia Libera (FEP: Free Energy Principle) di Badcock, Friston e Ramstead (2019). Teniamo presente che in questa modellizzazione, l’energia è assimilata all’energia gravitazionale, dunque ad una energia potenziale.

L’assunto freudiano: “L’Es obbedisce esclusivamente al principio del piacere”, potrebbe trovare una sua speranza esplicativa per quello che afferma J. Holmes: “Il FEP è un principio o una cornice che permette la comprensione dei principi fondamentali della vita psichica conscia e inconscia, analoghi e non estranei ai principi di piacere e di realtà di Freud” (Holmes, 2022, 3).

Il FEP affonda le sue radici nel Principio di conservazione dell’energia di Hermann von Helmholtz, in quello di Omeostasi di Claude Bernard, nel Principio di costanza di Sigmund Freud, nel concetto di Entropia negativa di Erwin Schrödinger, nella Teoria della probabilità di Thomas Bayes, nel concetto della coperta di Markov, di derivazione bayesiana.

Il FEP prevede sia un’energia libera che una legata, e anche in questo vi sarebbe una consonanza con l’assunto freudiano:  “Possiamo riconoscere che l’energia nervosa o psichica si presenta in due forme, una liberamente mobile e un’altra più legata”.

Secondo il FEP, compito del cervello è quello di mantenere un equilibrio omeostatico a fronte di energie provenienti dall’interno del corpo (informazioni enterocettive e propriocettive) e dall’esterno di esso (informazioni esterocettive). L’omeostasi viene mantenuta grazie a un meccanismo di previsione (che segue le leggi bayesiane), di tipo top-down, basato sull’esperienza accumulata, applicando quindi agli stimoli, con meccanismo botton-up, i probabili significati, quindi le sensazioni. Tra la previsione, cioè tra i modelli generativi del mondo e il significato che diamo allo stimolo può esserci un errore di predizione. Questo errore può essere contenuto e corretto grazie al PEM (Prediction Error Minimization) in base al quale il cervello si autocorregge, grazie all’esperienza e modifica il modello aprioristico del mondo che diventa così un modello a posteriori. Per fare questo, è necessaria l’azione, che elimina l’ambiguità creata e ricostruisce un’omeostasi in cui si osserva un allineamento tra input esterno o interno, aspettative e risposte.

Secondo questa teoria, la sofferenza mentale non sarebbe altro che l’espressione di un errore di previsione, cioè del conflitto tra ciò che desideriamo e ciò che percepiamo tramite i nostri sensi, cioè ciò di cui facciamo esperienza. Il benessere deriverebbe da una congruità tra desiderio ed esperienza. Una condizione di cronicità di errori di previsione creerebbe la sofferenza psichica e compito del lavoro psicoanalitico sarebbe quello di mobilitare l’azione e di correggere il modello di previsione errato. L’energia libera del modello, necessaria per i compiti evolutivi di adattamento, sopravvivenza, riproduzione, creatività deve necessariamente legarsi per potersi esprimere in maniera costruttiva.

La plasticità dell’Es freudiano mi sembra andare oltre questa teorizzazione che, basata su costrutti neuroscientifici e matematici-fisici, può costituire comunque un modello di confronto con la psicoanalisi. L’Es è la fonte dell’energia psichica e dei suoi derivati: la libido, Eros e Tanatos, queste ultime impastate tra di loro e in un agone perenne perché governate dal Principio di piacere. L’Es, proprio perchè originario, fonte dello psichico, ha le sue radici in una energia psichica che è inscritta nel soma, attraverso il quale si connette con le esperienze delle generazioni precedenti.

 

  1. Dimensione pulsionale e somatica

“Le forze che assumiamo stare dietro le tensioni determinate dai bisogni dell’Es le chiamiamo pulsioni […]”[7];

“[…] le pulsioni […] traggono origine dall’organizzazione corporea e [trovano nell’Es],

in forme che non conosciamo, una prima espressione psichica […]”[8];

“[le pulsioni] rappresentano le richieste avanzate dal corpo alla vita psichica […]”[9];

“[…] le pulsioni perseguono solo il soddisfacimento che è atteso da determinati cambiamenti negli organi con l’aiuto di oggetti del mondo esterno.”.[10]

 

La teoria pulsionale è stata affrontata, in ambito neuroscientifico attraverso lo studio dei processi emotivo e motivazionali che si ritengono essere strettamente incarnati nel corpo, legati allo sviluppo e alla storia di vita personale del soggetto e, da un punto di vista evolutivo, comuni agli esseri umani e agli animali.

L’integrazione della teoria più strettamente pulsionale con una psicoanalisi relazionale e intersoggettiva, operata da alcuni Autori, ha consentito di avere a disposizione un oggetto di ricerca più facilmente affrontabile dal punto di vista neuroscientifico, al prezzo di una perdita di verità sul concetto di pulsione (Jiménez J.P., 2005).

In letteratura troviamo molti Autori che concordano con la premessa di base che i concetti di “drive” e di “desire” freudiani possano corrispondere al concetto di sistema emotivo-motivazionale, che, da un lato definirebbe un sistema di comportamenti legati all’esperienza delle emozioni di base e, dall’altro avrebbe la sua rappresentazione neuronale a livello del sistema nervoso centrale. Ci sono molti modelli di teorizzazioni emotivo-motivazionali nelle neuroscienze, ma solo pochi si riferiscono al pensiero psicoanalitico. Ad oggi è la teoria dei sistemi emotivi di Jaak Panksepp a rappresentare una possibile sintesi, tra neuroscienze e pensiero psicoanalitico (Panksepp, 2012).

Panksepp, a partire dalla teorizzazione aristotelica dell’“anima senziente” degli animali, teorizza che gli animali provino emozioni molto simili a quelle dell’uomo, per la precisione questa somiglianza si estenderebbe fino ad alcune specie di uccelli. Questa scoperta ha contribuito alla stesura della “Dichiarazione di Cambridge sulla Coscienza” del 7 luglio 2012, firmata, alla presenza di Stephen Hawking, da F. Basso, J. Panksepp, D. Reiss, D. Edelman, B. Van Swinderen, C. Koch.

I sentimenti di ordine emotivo sono “programmi affettivi” di base, innati, istintuali. Le aree cerebrali interessate sono quelle sottocorticali, senza le quali non potrebbe esistere vita mentale. Aree di cui un tempo non erano conosciute le funzioni o si ritenevano sottoposte ad un controllo esclusivamente corticale, si è scoperto essere centrali nel generare emozioni, che sono sorprendentemente simili a tutti i mammiferi nella loro architettura anatomica e nella loro biochimica. Le aree implicate sono quelle della linea mediana e quelle ventrali più antiche: il mesencefalo con il grigio periacqueduttale; ipotalamo e talamo mediale connessi in alto con il sistema limbico, area importantissima costituita da amigdala, gangli della base (caudato, putamen e pallido), corteccia del cingolo, dell’insula, ippocampo, il setto; alcune regioni frontali mediali e ventrali del prosencefalo, per es. la corteccia orbito-frontale, che svolgono una funzione regolatoria sulle risposte emotive. Panksepp definisce questi circuiti arcaici “tesori archeologici”. Vale la pena ricordare, a questo proposito, che nessuna area della corteccia cerebrale funziona indipendentemente da strutture corticali e sottocorticali e che nel cervello vige il Principio di organizzazione funzionale modulare[11].

Sette sono i sistemi di base, capaci di generare azioni emotive e i relativi sentimenti: ricerca (seeking: attesa) che ha a che fare con l’esplorazione e l’appetito; paura (fear; ansia); collera (rage; rabbia); desiderio sessuale (lust; eccitazione sessuale); cura (care; accudimento); panico/sofferenza (panic/grief; tristezza); gioco (gioia sociale).

Il modello di Panksepp si basa su un “approccio triangolare delle neuroscienze affettive” che tiene conto delle difficoltà dei modelli di ricerca fino ad allora assunti, mettendo insieme 1. la ricerca sull’uomo che consente di studiare gli stati mentali soggettivi; 2. la ricerca sugli animali che molto più facilmente di quanto accada nell’uomo consente di studiare le funzioni cerebrali; 3. gli istintivi e naturali comportamenti emotivi che la prole dei mammiferi deve esprimere per poter sopravvivere. Questa triangolazione consente di modellizzare i sentimenti primordiali correlati alla vita mentale.

Questa teorizzazione, insieme a tutte le scoperte sul rapporto Mente-Cervello, ha portato lo stesso Panksepp a coniare due nuovi termini, in un’ottica fortemente monista: parliamo di CervelloMente in una visione botton-up, cioè dal basso verso l’alto e di MenteCervello nella visione top-down, cioè dall’alto verso il basso: entrambe fondamentali per la comprensione delle “causalità circolari” nell’ottica evolutiva del cervello.

Una interessantissima, per noi psicoanalisti, organizzazione gerarchica viene poi operata da Panksepp che distingue tre processi:

processo primario: è l’insieme delle “risposte emotivo-istintive che generano i sentimenti affettivi grezzi che Madre Natura ha costruito nei nostri cervelli”; si tratterebbe di un substrato prettamente istintivo su cui si fonda il processo di livello più elevato, il secondario;

– processo secondario: contiene “una varietà di meccanismi di apprendimento e memoria” e aggiunge: “noi crediamo che tali processi cerebrali intermedi siano profondamente inconsci”;

processo terziario: contiene le funzioni intellettive più alte, come cognizione, pensieri.

A questa organizzazione gerarchica vorrei aggiungere alcuni chiarimenti provenienti da recenti scoperte neuroscientifiche per sottolineare la complessità delle operazioni in atto. Le informazioni di tipo sensoriale e motorie sono elaborate da regioni cerebrali differenti ma che sono attive simultaneamente. Le connessioni fra le regioni di una stessa via funzionale sono organizzate in maniera seriale e ciascuna di queste regioni elabora in maniera sempre più complessa o specifica le informazioni provenienti dalla regione precedente. Si tratta, dunque, di una organizzazione gerarchica che vale per tutti i circuiti sensitivi e motori. Cosa ben diversa accade per l’ippocampo, area cerebrale deputata alla memoria che elabora in modo seriale informazioni polisensoriali molto più complesse e, a livello cerebrale per l’elaborazione delle informazioni sensoriali. Tale differente organizzazione indica che la struttura si costruisce sulla base del tipo di informazioni che deve elaborare e che sono queste informazioni che mantengono quella struttura o la modificano in base alla loro intensità e varietà di segnale.

Le sensazioni sono astrazioni. Le percezioni non sono una copia del mondo. Il cervello analizza i dati fisici del mondo esterno (realtà esterna) e costruisce una sua rappresentazione interna (realtà interna) in base a regole intrinseche e proprie di ciascun cervello, nella cornice delle esperienze maturate e degli obiettivi attuali. Solo successivamente quest’analisi è integrata a livello cosciente. E qui, casca l’asino! Come avvenga questo salto, quello che i neuroscienziati chiamano “binding problem”, è ancora un mistero. È un mistero come le sensazioni vengano integrate a livello cosciente. È un mistero come la coscienza emerga dall’analisi delle informazioni sensoriali afferenti. È un mistero come le impressioni coscienti siano codificate in memoria, una memoria che può durare anche tutta la vita.

Secondo E. R. Kandel, molte delle più complesse emozioni e forme di comportamento sarebbero messe in atto in modo inconscio attraverso risposte motorie e vegetative a genesi dal tronco encefalico. Quindi, il livello inconscio, per Kandel, corrisponderebbe come contenuti al cosiddetto processo primario di Panksepp. Inoltre, la presenza, a livello del tronco encefalico, di cellule a proiezione diffuse a lungo raggio consentirebbe di avere proiezioni diffuse verso i sistemi cognitivi, comportamentali e motori della corteccia, alle aree autonomiche dell’ipotalamo e dello stesso tronco e ai sistemi di controllo sensoriale e motorio midollare.

 

  1. Dimensione inconscia e dei sogni

“[…] L’inconscio è l’unica ed esclusiva qualità che domina nell’Es”[12]

“[…] [Questi sono i] sogni provenienti dall’Es.”[13]

           

Trascorriamo dormendo, circa un terzo della nostra vita e, quindi, considerando la durata media della vita, circa 25 anni li trascorriamo dormendo. Sonno e sogno benchè molto studiati rappresentano ancora aree piuttosto sconosciute, il secondo ancor di più.

Il sonno sembrerebbe avere una funzione importante nel recupero metabolico del cervello, nel riparare i tessuti corporei danneggiati e nel ricostruire i depositi energetici. Una scoperta recente dimostrerebbe che durante il sonno si osserva un aumento degli spazi extracellulari consentendo quindi al liquido cerebrospinale di eliminare molecole dannose come, per es. il peptide beta-amiloide, presente nelle fasi inziali della malattia di Alzheimer.

Ma, la funzione più importante del sonno e più vicina ai nostri interessi è quella di promuovere la formazione di memorie, attraverso il modello di omeostasi sinaptica, cosa che avviene anche durante la veglia ma che sarebbe più efficace durante il sonno. La formazione di memorie avverrebbe attraverso il rimodellamento sinaptico e il consolidamento delle tracce mnestiche di esperienze vissute durante il giorno.  Queste basi neuroscientifiche corroborerebbero le scoperte di Mancia. Al pari del sonno, la cui mancanza per molto tempo porterebbe a morte, la mancanza dei sogni non consentirebbe di organizzare l’apparato mentale, dunque porterebbe a morte psichica. Il sogno consentirebbe, attraverso l’organizzazione delle memorie che avvengono durante il sonno, la costruzione della realtà interna i cui oggetti interni hanno un significato riconducibile agli aspetti sacri di una società. Il sogno, dunque, ha un significato teleologico, al pari della religione per una società (Mancia,1987).

Il sonno, dal punto di vista neurofisiologico, è uno stato attivo, non passivo come si credeva un tempo. La veglia è mantenuta da un sistema attivante ascendente che è costituto da neuroni glutammatergici (localizzati nei nuclei parabrachiale, tegmentale peduncolo pontino e sopramammillare); neuroni dopaminergici mesencefalici; neuroni GABAergici e colinergici del prosencefalo basale che vanno direttamente sulla corteccia cerebrale. Esisono poineuroni monoamminergici (che usano come neurotrasmettitori norepinefrina, serotonia e istamina) che svolgono una funzione modulatoria. Il sonno viene attivato e si mantiene grazie all’inibizione di questo sistema attivante da parte dei neuroni GABAergici dei nuclei preottici ventrolaterali e della zona parafacciale. Allo stesso modo sono i neuroni preottici ventrolaterali ad essere inibiti dal sistema attivante ascendente durante la veglia. Sistemi anche più complessi di questi, di antagonismo reciproco sono attivi nei passaggi dal sonno alla veglia e viceversa e nelpassaggio dal sonno REM a a quello non-REM. Questa breve descrizione per spiegare che le vie discendenti a partenza dal tronco encefalico che inibiscono i motoneuroni durante il sonno, sono responsabili dell’effettiva esecuzione motoria del movimento motorio che si presenta nell’attività onirica. Quindi studiare a fondo i meccanismi del sonno significa avere accesso ai contenuti dei sogni e viceversa.

Non mi soffermo molto su questa dimensione, pur fondamentale nella disciplina psicoanalitica, rimandando soprattutto agli studi interdisciplinari di Mauro Mancia sul sogno tra psicoanalisi e neuroscienze. Voglio solo ricordare che, nella teorizzazione freudiana, l’Es è la fonte originaria anche di sogni che sono espressione di un moto pulsionale, un desiderio inconscio, represso che, se sufficientemente forte, può raggiungere l’Io ed esprimersi. Questo materiale, che può essere sia originale che rimosso, proveniente dall’Es, inconscio, subisce una trasformazione “deformazione onirica”, a causa dell’opposizione dell’Io, e diviene preconscio: “il materiale inconscio, irrompendo nell’Io, porta con sé il suo modo di lavorare. […] per questa via siamo in grado di apprendere quali siano le leggi che governano il decorso degli eventi nell’inconscio e in cosa esse si differenziano dalle regole a noi ben note del pensiero vigile”. Questa affermazione apre l’interessante argomento relativo a quei sogni che sono portatori di contenuti organici, biologici, di nascita o di malattia, che lascio per una futura trattazione più specifica. Si pensi, a questo proposito, agli studi di Sante De Sanctis o di Weiss.

 

L’Es come il brodo primordiale

Per concludere, è necessario che L’Es sia dinamico, plastico, soggetto a trasformazioni e infatti deve e può essere trasformato: “Wo Es war, soll Ich werden”.

Il gioco delle energie, nella costruzione della teoria dell’apparato psichico, nell’originario, nel brodo primordiale dello psichico, si muove proprio nel processo trasformativo di una parte dell’Es nell’Io. Al pari di tutti gli esseri viventi, anche nella vita psichica è operante un’energia che si presenta in due forme: una più libera “liberamente mobile” e una “più legata”.

Nell’Io-Es ancora indifferenziato, ma in procinto per farlo, tutta l’energia di Eros (libido) viene consumata per contrastare la pulsione di distruzione (libido narcisistica) (si pensi al gioco tra mesoderma ed ectoderma nella formazione del tubo neurale). Quando, sotto l’influenza del mondo esterno, l’Io si costituisce come provincia psichica separata dall’Es, incomincia a investire le rappresentazioni d’oggetto ed allora la libido narcisistica diviene oggettuale.

Per tutta la vita, il soma è la sorgente della libido oggettuale mentre l’Io ne è il grande serbatoio. Possiamo dire che è la porzione inconscia, cioè l’Es, a possedere l’energia allo stato libero, garantendo i meccanismi biochimici della vita, indirizzandoli verso quelli costruttivi-pulsione di vita (anabolici) e verso quelli più distruttivi-pulsione di morte (catabolici) in un impasto che costruisce la vita con un suo inizio e una sua fine.

Termino, ricordando Freud:Dalla cooperazione e dalla contrapposizione delle due pulsioni fondamentali traggono origine i molteplici fenomeni dell’esistenza”.

 

 

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[1] Per le citazioni freudiane, indicate in corsivo, si fa riferimento al numero monografico di Rivista di Psicoanalisi: Teorie psicoanalitiche a confronto. Un’indagine assiomatica, a cura di F. Riolo, 2021, 4, 787-1029 e, nello specifico, alla Parte Prima. Assiomi, Sigmund Freud, 805-17].

[I brani citati dall’Autrice sono tratti dagli Assiomi che il Gruppo di Ricerca della S.P.I. ha individuato e che caratterizzano il pensiero degli Autori presi in considerazione. Per renderne più agevole il reperimento verranno in nota segnalati tanto i riferimenti all’Assioma da cui sono tratti, quanto, di seguito, le pagine della Rivista di Psicoanalisi in cui essi sono riportati. Per rendere evidente che le citazioni riprendono solo parte dei singoli Assiomi, sono stati inseriti nel testo puntini tra parentesi quadre per segnalare le lacune. N.d.C.]

[2] [N.d.C. Assioma 1.1, 806]

[3] [N.d.C. Assioma 1.1, 806].

[4] [N.d.C. Assioma 1.1, 806].

[5] [N.d.C. Assioma 1.2, 806].

[6] [N.d.C. Assioma 3, 808].

[7] [N.d.C. Assioma 2, 807].

[8] [N.d.C. Assioma 1.1, 806].

[9] [N.d.C. Assioma 2, 807].

[10] [N.d.C. Assioma 2, 807].

[11] Secondo tale Principio, la rappresentazione cerebrale delle informazioni avviene secondo le caratteristiche delle informazioni e l’uso che di queste deve essere fatto. È quindi una forma di ridondanza rispetto allo scopo e alle funzioni potenziali di queste.

[12] [N.d.C. Assioma 4.3, 809].

[13] [N.d.C. Assioma 7.2, 812].

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Angela Iannitelli, Roma

Centro Psicoanalitico di Roma

iannitelliangela@gmail.com

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