Percepire Allucinare Immaginare di Marco La Scala

Recensione di Lucia Fattori

Percepire, allucinare, Immaginare
Percepire, allucinare, Immaginare

Autore: Marco La Scala

Titolo: “Percepire, allucinare, immaginare. Il rispecchiamento, il simbolo, il soggetto”

Editore: Franco Angeli

Collana: Le vie della psicoanalisi/Clinica

Anno pubblicazione: 2017

Pagine: 136 p., Brossura

Quarta di Copertina

Questo libro ha per oggetto quei pazienti per i quali l’analisi non rappresenta, come per i nevrotici, “la restituzione al soggetto di un dolore possibile” (p. 83), ma costituisce l’affrontamento, per mezzo e insieme all’analista, di un dolore che non è possibile rappresentare e ripercorrere, un dolore precoce che ha dato luogo ad un funzionamento particolare, quello dei cosiddetti “stati limite”. Questi sono caratterizzati dall’impossibilità di accedere ai vantaggi della simbolizzazione che, trasferendo su un oggetto inanimato o su una produzione astratta (segno grafico o parola) la pulsionalità libidica ed aggressiva e utilizzando il pensiero al posto dell’azione, rende le pulsioni più facilmente gestibili, evitando comportamenti potenzialmente dannosi per sé e per gli altri.

Il volume prende inizio dal Progetto di Freud (1895) in cui si parla di  cooperazione fra il soggetto e l’oggetto-adulto soccorritore, per approdare all’indicazione del cosiddetto lavoro in doppio, fra analista e paziente , un’attività che si svolge nella stanza d’analisi non solo “con” un altro, in compagnia di un altro, ma anche “tra” sé e l’altro: attraverso l’allucinatorio  ed una specie di rêverie condivisa, si crea ciò che Ogden (2005)chiama il terzo analitico intersoggettivo e M’Uzan (1977, 2008) la chimera psicologica, qualcosa che si avvicina ad un sogno co-creato e co-contemplato. Tale tipo di cooperazione/condivisione “necessita di una disponibilità dell’analista nei confronti dell’identificazione primaria” e  “permette all’analista di accogliere il paziente nel più profondo di se stesso, perfino a sua insaputa perché il paziente investito narcisisticamente diviene parte dell’Io dell’analista” (p.116) che si permette uno stato di lieve depersonalizzazione.

L’analista, entrando in un’area comune con questo tipo di paziente che ha un funzionamento immaturo o regredito a livello formale, lo segue nella sua regressione verso la percezione, l’allucinatorio, il processo primario, l’affetto-sensazione, per usare le parole di Agostino Racalbuto, collega e maestro di una generazione di analisti del Centro Veneto di Psicoanalisi.

Si tratta per l’analista di rinunciare temporaneamente agli aspetti più evoluti del proprio funzionamento mentale, quelli legati al processo secondario, ma anche di rinunciare alle proprie teorie di riferimento, e infine di non saturare la propria attenzione con l’osservazione del transfert e del controtransfert, elementi che lo pongono in una posizione “differenziata/differenziante” (p.110). Ricordo come Nissim Momigliano (1974) descrivesse l’analista al lavoro come dissociato fra una parte di sé che partecipa emotivamente alla seduta ed una parte che osserva dal di fuori lo svolgersi del transfert e del controtransfert. Si avvia dunque un processo in cui i due partner si costituiscono “come specchio all’interno della relazione di doppio […] sia nella condivisione estetica, sia nella condivisione emozionale, dove il piacere è anche connesso con il piacere dell’altro “   (p.38).

Il caso clinico presentato con maggior ampiezza, quello di Viola, ben ci mostra la progressiva creazione, in una paziente in bilico fra angoscia di separazione ed angoscia di intrusione, di uno spazio “tra due”, un’area di transizione, preliminare allo spazio transizionale vero e proprio, dove ai confini dell’Io viene costituita, al posto della barriera rigida creata dal  contro-investimento antitraumatico, una zona che, pur mantenendo una funzione paraeccitatoria, permette la relazione con l’esterno, con l’altro. Questa area di transizione è luogo di una tensione senza tregua “in cui si assiste al tentativo continuo [da parte del paziente] di ripristinare un confine rigido perché l’angoscia è sempre in agguato.” (p.51)

Una parte particolarmente interessante ed originale del volume è quella in cui viene descritta l’evoluzione della delusione narcisistica in patologia borderline o in melanconia dato che quella delusione narcisistica primaria che è alla base della melanconia può essere all’origine anche della patologia degli stati-limite, come affermato da Roussillon (2014). Si tratta di forme cliniche che hanno entrambe a che fare col disimpasto pulsionale tra pulsione di vita e pulsione di morte: “tale disimpasto esercita la sua influenza diversamente a seconda del grado di investimento avvenuto alle origini e alla quota di oggetto che è stato costruito a suo tempo. La via borderline segnala in qualche modo un arresto, un non raggiungimento dell’impasto, mentre la via melanconica segnala una regressione sotto la forma di un disinvestimento rispetto ad un oggetto prima investito con impasto pulsionale “(p.73).

Ma mentre il paziente borderline nelle sue oscillazioni fra bisogno dell’oggetto e rifiuto dell’oggetto, angoscia di separazione e chiusura all’altro per timore dell’invasione, conserva comunque la speranza di trovare prima o poi un oggetto esterno soddisfacente, il paziente che percorre la via melanconica non ha speranza. Va comunque detto che queste due “vie” (come le chiama l’autore), che la delusione narcisistica primaria può prendere, si possono anche intrecciare. Inoltre spesso si presentano intrecciate a livello transgenerazionale: una madre melanconica influenzerà il blocco del figlio fissandolo in un funzionamento borderline o una madre borderline influenzerà l’insorgere di una patologia depressiva nel bambino.

Lo studio dei casi-limite come proposto da questo importante contributo è particolarmente stimolante perché pone vari interrogativi.

Un primo interrogativo riguarda il concetto di maturazione. Se per questi pazienti si tratta di sbloccare e fare evolvere un funzionamento immaturo legato alla ricerca dell’identità di percezione, possiamo generalizzare il concetto ed affermare che lo scopo dell’analisi è sempre in definitiva la maturazione del paziente, come anche Freud (1937)  afferma in Costruzioni nell’analisi laddove scrive che “ l’intento del lavoro analitico è che il paziente rinunci alle difese che risalgono al suo antico sviluppo e le sostituisca con reazioni tali da poter corrispondere ad uno stato di maturità psichica”? (pp.541-542). Ma in tal caso non interviene troppo apertamente la funzione del “Giudizio” da parte dell’analista? (cfr. Fattori, 2022). Si tratta di giudicare  migliore o peggiore un certo funzionamento, rispetto ad un altro, giudicarlo più adeguato e meno adeguato, e quindi  si rischia di scivolare nelle categorie bene-male da cui in teoria diciamo di astenerci e che finiscono per costituire una specie di  giudizio morale (ibidem,p. 7)  con la conseguente attribuzione di una funzione  etica alla psicoanalisi,  cosa su cui Freud non sarebbe stato d’accordo ( “l’etica mi è estranea…non mi rompo la testa con la questione del bene o del male”, Lettera a Pfister, 9 Ottobre 1918).

Un’altra sollecitazione tra le tante che mi ha dato la lettura di questo volume riguarda l’importanza della pulsione di emprise (impossessamento) ( Denis ,1997): se l’oggetto nasce nell’odio, perché  il bambino respinge l’eccesso di stimolazione che gli proviene dal mondo esterno, possiamo allora affermare che un oggetto può essere investito libidicamente solo se prima è stato sottoposto al proprio controllo? La soddisfazione legata all’  emprise si mescola nella nostra vita psichica con il piacere, ma c’è stata una fase in cui essa è stata unica e prioritaria? E’ questo che in definitiva afferma Denis quando scrive che” l’oggetto d’emprise è l’oggetto del mondo esterno offerto all’investimento del soggetto che può volersene servire (sottolineatura mia) per costruire con esso una soddisfazione pulsionale” (p.53)? Se il soggetto può volersene servire per costruire la soddisfazione pulsionale, questo significa che la pulsione d’emprise è già presente e disponibile. Come scrive Munari (2014) essa costituisce “indispensabile premessa” perché il soddisfacimento possa realizzarsi (p.90).

Un’ultima osservazione: il paziente borderline irrigidisce il confine dell’Io per non essere invaso dal mondo esterno, ma forse anche le difese autistiche nascono da questo stesso tipo di bisogno di controllo per evitare il contatto traumatico con un esterno non controllabile, contatto tanto più traumatico se il bambino è nato con una ipersensibilità genetica agli stimoli percettivi? È in fondo la teoria di Sandler (1960) sul bisogno di sicurezza ipotizzato come causa ed origine degli autismi…  Non possiamo forse ipotizzare che l’autismo nelle sue vari forme e sfumature costituisca anch’esso, come la patologia borderline una forma di irrigidimento del confine dell’apparato psichico in formazione, nei casi in cui la delusione narcisistica primaria sia stata particolarmente grave?

Questi alcuni degli interrogativi suscitati dalla lettura di questo intenso scritto che si conclude con il richiamo ad un analista che sa prestarsi a condividere il naufragio narcisistico portato dal paziente e nello stesso tempo si mantiene capace di “una prova di realtà che deriva dal confronto e dalla differenza tra percezione e rappresentazione” (p.123) […]  “riavviando grazie all’allucinatorio un processo traducibile di elementi mai significati e, se pur conosciuti, mai resi raffigurabili e pensabili” (p.125).

Legare, slegare, rilegare….

 

 

Bibliografia

De M’Uzan M. (1977), De l’art à la mort, Paris, Gallimard.

De M’Uzan M. (2008), La chimère des incoscients, Paris, Puf.

Denis P. (1997), Emprise et satisfaction, Paris, PUF.

Fattori L. (2022), Le molteplici forme dell’etica psicoanalitica. In: Fattori L., Vandi G. (a cura di) Etiche della psicoanalisi. Roma, Alpes.

Freud S. (1895), Progetto di una Psicologia, OSF,2.

Freud (1937), Costruzioni nell’analisi, OSF, 11.

Freud S., Pfister O. (1990), Psicoanalisi e fede: Lettere tra Freud e il pastore Pfister (1909-1939), Torino, Bollati Boringhieri.

Munari F. (2014), L’Emprise. L’azione necessaria. In : Munari F., Mangini E. (a cura di), Metamorfosi della pulsione, Milano, Franco Angeli.

Nissim Momigliano L. (1974), Come si originano le interpretazioni nell’analista, Rivista di Psicoanalisi, 20.

Ogden T.H. (2005), Le tiers analitique: les implications pour la théorie et la tèchnique psychanalytique, Revue française de psychanalyse, 69,3.

Roussillon R. (2014), Ruolo e funzione dell’oggetto nelle trasformazioni della pulsione. In: Munari F., Mangini E. (a cura di) Metamorfosi della pulsione, Milano, Franco Angeli.

Sandler J (1960), The background of safety. The International Journal of Psychoanalysis, 41.

Lucia Fattori, Padova

Centro Veneto di Psicoanalisi

fattori.lucia@libero.it

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