Esperienze di Psicoterapia all’interno di un Centro Antiviolenza

di Dott.ssa Sonia Bardella

Psichiatra Centro Antiviolenza Ass. Donna chiama Donna

Già Direttore CSM Ovest Vicentino-Ulss 5- Csm Centro-sud

Donna chiama Donna è una Associazione nata a Vicenza più di 30 anni fa’ da una iniziativa promossa dalla CGIL con la volontà di creare uno sportello per le donne che, al lavoro, erano oggetto di stalking. All’epoca si era constatato che le richieste avanzate dalle donne erano molte, i bisogni di un confronto riguardavano tutti i temi della quotidianità, quali figli, rapporto di coppia etc.,e pertanto il gruppo iniziale si è staccato dal Sindacato ed ha dato vita a questa nostra Associazione. All’interno di questa vengono portate avanti varie iniziative, oltre allo sportello d’ascolto: vi sono due gruppi di auto mutuo aiuto che affrontano il tema della dipendenza affettiva, un gruppo di lettura mensile , dove la scelta dei testi è oggetto di particolare attenzione, e  programmi di prevenzione nelle scuole, elementari, medie e superiori, focalizzati sul discorso di genere, pregiudizi e stereotipi, condotti da pedagogiste esperte.

Da circa 10 anni la nostra Associazione gestisce anche il Centro antiviolenza comunale, che si avvale del lavoro di 4 operatrici, due psicologhe, una assistente sociale ed una educatrice, dislocate in due sedi, Vicenza ed Arzignano. Questo Centro ha il compito di accogliere, accompagnare, aiutare le donne oggetto di violenza ad affrontare il percorso che le porti ad un affrancamento dalla loro situazione, informandole ed indirizzandole agli eventuali uffici competenti (Assistenti Sociali del comune, Consultori etc.), sostenendole in un eventuale percorso giuridico o psicologico, accogliendole in situazioni abitative adatte al bisogno del momento (case rifugio con indirizzo segreto, case di sgancio o altro). Sono donne che si presentano spontaneamente o che vengono inviate dalle Forze di Polizia o dal Pronto Soccorso o da altri servizi territoriali, con i quali il Ceav è in costante contatto per la difficoltà e la complessità delle varie situazioni riscontrate. Con i servizi territoriali non sempre i rapporti sono facili per il perdurare di pregiudizi a riguardo e soprattutto per una mancata preparazioni alle problematiche connesse alla violenza di genere anche se , negli ultimi anni, varie sono state le iniziative a questo proposito. Resta, irrisolto, il problema della Magistratura  e dei tempi biblici che passano tra la denuncia e la messa in atto del processo. Si parla di anni nel corso dei quali si continuano a perpetrare i maltrattamenti, talvolta, come è già accaduto, con esiti infausti e nessuno è chiamato a rispondere dei danni provocati dalle lungaggini della legge.

Questo non è il solo problema dovuto al nostro assetto giuridico; altra questione è quella connessa alla bigenitorialità, principio assoluto a cui si richiamano i Giudici, sostenuti da Perizie (CTU) ripetitive e apparentemente fatte in serie, attualmente in fase di ridefinizione (Legge Cartabria), principio portatore di gravi conseguenze. Non mi soffermerò su questo importante aspetto non essendo questa la sede adatta.

Qualche dato: nel 2021 sono state prese in carico dal Ceav 257 donne, di cui 143 nuovi casi, il resto situazioni ereditate dall’anno precedente. Non sono aumentati i casi rispetto al passato ma sono significativamente aumentate le efferatezze degli agiti e quindi le situazioni di emergenza e i casi di violenza sessuale. Su 257 donne, 159 sono italiane ed il restante prevalentemente marocchine o slave. 33 donne sono laureate, 119 con titolo di studio superiore, molte con la scuola dell’obbligo , qualche analfabeta tra le straniere.

Solitamente le operatrici del Ceav garantiscono un certo numero di incontri e, a seconda della gravità o dell’incertezza della situazione, monitoraggi telefonici settimanali alternati ad incontri di persona. Nei casi più semplici , quelli che si risolvono nel giro di pochi mesi, è sufficiente indirizzare le donne negli uffici competenti. Ma vi sono, spesso, situazioni più complesse dove non c’è consapevolezza critica , dove la decisione non è ancora presa fino in fondo, dove c’è molta confusione . Questi casi devono essere accompagnati talvolta per molto tempo, affinché la donna arrivi ad una decisione , una scelta di comportamento , maturata e non imposta, seppur con le più buone intenzioni.

In alcuni casi è stato opportuno approntare  percorsi psicoterapeutici propriamente detti che sono stati possibili solo quando è stato vinto un bando durato un anno, grazie al quale  un certo numero  di donne è stato seguito a cadenza settimanale . Per questo motivo abbiamo deciso , assieme ad una collega psicologa, di istituire un gruppo di psicoterapia, per dare una risposta alle richieste di approfondimento del disagio psicologico non essendovi altre possibilità a riguardo.

Il gruppo è stato creato nel maggio 2018 e si è concluso definitivamente nel maggio 2020 , causa Covid. In realtà era già stato interrotto nel marzo, all’inizio della pandemia, e non vi  era più stata una vera ripresa. Il gruppo , fin dall’inizio non ha mai superato le 6/7 persone, assestandosi negli ultimi mesi dopo un notevole turnover, dovuto a degli invii talvolta inadeguati. Si è cercato di mantenere una frequenza settimanale  e gli incontri duravano circa un’ora e mezza. Alla conclusione, con alcune donne , che chiedevano di prolungare un sostegno, abbiamo approntato un seguimento individuale con lo scopo principale di solidificare alcuni traguardi , il principale dei quali consisteva nell’allontanamento definitivo del marito da casa. Raggiungere questo obiettivo vincendo la paura, sentimento che solitamente accompagna i vissuti di queste donne senza abbandonarle mai del tutto, è importante. La paura è un sentimento costante che attraversa la loro vita, condiziona in maniera pesante ogni tipo di scelta, nonostante sia già compiuta la separazione. Il partner è un’ombra minacciosa che scandisce tutti i passi della donna.

Angela è una donna sui 50 anni, con due figlie gemelle eterozigoti, una laureata che se ne è andata di casa non sopportando più il padre, l’altra , con un importante disturbo cognitivo, che vive  con i genitori, apparentemente molto legata al padre. Il coniuge ,  cuoco disoccupato, vive in casa, nutrito e in qualche modo ancora accudito e, nonostante sia stata definita la separazione, lei non è ancora stata in grado di comunicargliela, per paura delle sue reazioni, Si costringe a dormire sul divano, nonostante paghi l’affitto e tutte le spese, bloccata dal timore della sua risposta rabbiosa e pericolosa ma anche dall’affetto che la figlia handicappata dimostra verso il genitore. Si evidenzia così una certa ambivalenza dove la figlia propone un misto di tenerezza e di pena che in realtà sono sentimenti ancora provati da Angela e  da cui si libererà lentamente.

Nel gruppo fin da subito è emerso il problema della famiglia d’origine, inizialmente caratterizzata dalle presenze molto intrusive di parenti, che in qualche modo sostituivano le figure genitoriali. Famiglie spesso espulsive , vissute come dirette responsabili della scelta del partner. Famiglie, come ricordano le nostre pazienti, che hanno presentato una vasta gamma di comportamenti conflittuali e di maltrattamenti soprattutto psicologici. Molto spesso c’è un padre maltrattante, duro, padre-padrone: è la figura più importante della famiglia, è quello che ha il potere economico, è quello che aggredisce. Padre che denigra, cosi come dopo farà il maltrattante. Antonia, 40 anni circa, due  rapporti di questo tipo alle spalle, due figlie, l’ultima di un anno, riferisce di una situazione dove  oltre al padre sopradescritto, riporta una figura materna che scompare nello sfondo. La madre è fragile e la figlia non coglie lo sforzo che fa per sopportare la situazione. Non si sente protetta, non può contare su di lei, deve farcela da sola . Anche il fratello, laureatosi a sua volta, fugge da casa appena può. E’ cieco ad un occhio, per un incidente giovanile di cui è responsabile la nostra paziente e questa colpa si somma a quella di non essere la figlia obbediente che il padre vorrebbe.

Lei stessa si rende conto, a poco a poco, di aver assunto nei confronti della figlia più grande comportamenti e posizioni evidentemente mutuati dai propri genitori. Riconosce la rabbia, quando la figlia ha difficoltà in determinati settori: la stessa che aveva suo padre nei suoi confronti quando non capiva o non sopportava le difficoltà che lei stava incontrando. La non accettazione del pianto , segno di debolezza, falsità, esagerazione, lo screditamento. Riflettendosi sulla figlia, vede la propria infanzia infelice. Riconosce comunque di avere ritrovato dentro questi due rapporti subito “aria di casa”, famigliarità, un paradossale senso di sicurezza: si è ritrovata all’interno di coordinate riconoscibili. Alla fine è dovuta fuggire dalla città, chiedendo il trasferimento abbastanza lontano per difendersi dalle pesanti persecuzioni del suo primo compagno, peraltro con diagnosticato disturbo borderline di personalità.

Anche Carmela, 60 anni circa, ha sposato per due volte lo stesso uomo violento. La prima volta era fuggita di fronte ai comportamenti maltrattanti, resa più sicura dall’avvicinamento alla famiglia d’origine dopo aver vissuto a Milano. Il partner ha sempre cercato di mantenere i  contatti fino a proporle un nuovo matrimonio. Questo è stato vissuto come un accadimento importante: averla aspettata affidandosi a lei l’aveva fatta sentire estremamente importante e valorizzata. 

In alcuni casi i ruoli genitoriali si ribaltano: abbiamo madri dure, egocentriche , svalutanti, imprevedibili nei loro cambi d’umore, mai gratificanti e sempre molto critiche rispetto l’operato delle figlie. Cristina, sui 35 anni, laureata in lingue, con lavoro assolutamente precario, reduce da una convivenza contrassegnata da violenze psicologiche, aveva sperato di trovare nel compagno quella apertura alle esperienze, alla vita , alle relazioni che lui aveva promesso e che la famiglia d’origine non aveva dato. Così in questo caso, come in molti altri, l’inizio è idilliaco: entrambi ambiscono ad una famiglia perfetta che risponda a tutti i loro bisogni e dove staranno per sempre felici e contenti, senza conflitti di sorta. Da una parte c’è lei con la sua paura della solitudine, con una grande svalutazione di sé , sempre criticata nelle sue decisioni di vita  da parte del genitore denigrante, che cerca protezione e aiuto e incappa in questo tipo di uomini protettivi nella loro grandiosità. Dopo l’allontanamento dal partner Cristina deve rientrare a casa dalla madre perché è senza lavoro e non è in grado di mantenersi. Subisce di nuovo la freddezza , le critiche che giornalmente le vengono rivolte, e un poco alla volta comincia a capire le dinamiche che l’hanno condotta ad accettare la vita di coppia da cui  si è allontanata.

A questo punto parliamo un poco  delle caratteristiche comuni che hanno generalmente i maltrattanti. Cos’hanno di così affascinante? Sono misteriosi , tenebrosi, “mi fa pensare di essere l’unica che lo capisce e nel tempo riuscirò a cambiarlo”, carismatici, sicuri di sé, seri e concreti.

Sono uomini molto narcisi e che a poco a poco svelano la loro vera natura.

Ha importanza solo quello che voglio io, che decido io, che dico io.

La donna è al suo servizio, ma il rendersi conto di questo impegna molto tempo. A poco a poco si accavallano episodi, situazioni che cambiano la comprensione della realtà e che generano confusione. C’è l’irruzione ,nel quotidiano, di un alone di minaccia, di anormalità…di qualcosa che da familiare diventa estraneo , incomprensibile, minaccioso (S. Filippini).

La donna cerca in ogni modo di correggere la situazione , modificando il proprio comportamento per rendere più facile la convivenza. Non dimentichiamo che mantenere l’integrità della coppia e soprattutto della famiglia è responsabilità che la società e la cultura dominante attribuiscono ancora fondamentalmente alla donna.

La donna non è amata ma è usata, diventa “in funzione di”. Diventa un suo possesso da cui non può affrancarsi. Questo è molto evidente quando il maltrattante pur avendo una nuova partner, perseguita la sua ex perché si sottrae al suo dominio (vedi la prima insegnante).

Le donne che cercavano presso questi uomini protezione, si sono sentite progressivamente annullate ed hanno fatte proprie le proiezioni dei maltrattanti: non sei capace di fare niente, non vali.

Si viene a creare , all’interno della donna, un ingorgo emotivo composto dalle proiezioni violente di tutto ciò che di denigrato e svalutante  ha dentro di se il partner più le proprie parti immature che la coppia non è in grado di accogliere. Si vengono a produrre veri e propri stati confusionali che comunque rinsaldano la convinzione di essere una nullità. La donna si assume la responsabilità , se ne assume la colpa: non vi è più sicurezza di critica e di giudizio, vi è la perdita di un sicuro esame di realtà. Questa situazione dipende anche dall’isolamento a cui la donna è costretta e quindi ad una mancanza di condivisione. Non può più vedere amici, parenti, a volte è costretta a perdere il lavoro. Accetta fino in fondo il ruolo di non essere altro che un oggetto  nelle mani del compagno.

Talvolta si sopporta il partner perché si pensa che i suoi comportamenti siano dipesi dai maltrattamenti subiti dai genitori. Un poco alla volta le giustificazioni si esauriscono e la donna trova il coraggio di andarsene. Una delle nostre pazienti dice: non è una questione di colpa ma loro sono uomini immaturi ed io ho aderito al suo bisogno di poter dire io sarò tutto per te , ti proteggerò e ti risolverò tutti i problemi. Questo, l’ho capito dopo, evidenzia la sua fragilità e asseconda la sua grandiosità.

Ancora viene ribadito il ruolo di funzione accettato da parte delle donne.   Si discute molto attorno a questo tema: accettazione del compito di dedizione totale sostenuto dal fraintendimento da parte delle donne. Il tutto avviene all’interno di una relazione vissuta come minacciosa e densa di paura.

La rabbia. Parlare di questo sentimento non è stato molto facile . Per molto tempo si è mantenuto il timore di turbare una sorta di equilibrio faticosamente creato per sopravvivere. Per molto tempo è perdurata la paura di far emergere sentimenti forti, devastanti, come scoperchiare il vaso di Pandora. Insieme alla rabbia i sensi di colpa, dapprima provati nei confronti di tutte le accuse del partner, dopo per non essersi accorte di quello che stava succedendo e di come queste situazioni siano continuate negli anni. Come ho fatto a non capire ? Da qui la vergogna per non aver denunciato prima la situazione.

La rabbia ha tanti significati. All’interno del gruppo un poco alla volta la rabbia è stata avvertita come segnale di sopravvivenza , di assertività, di abbandono di posizioni di difesa, come primo passo verso un percorso di individuazione. Esiste anche una rabbia invischiante e questo è quello che succede a Mariangela, rabbia ripetitiva, destrutturante, che segnala un bisogno di risarcimento che non verrà mai soddisfatto. Mariangela è una bella donna di circa 45 anni, madre di tre figli, i primi due maschi adolescenti, la terza , una bambina , morta improvvisamente sulla soglia di casa nel momento in cui stavano per partire per le vacanze. Lutto atroce, perdita incolmabile , lei tiene l’urna delle ceneri sul caminetto, in salotto. Questo è stato l’avvenimento che le ha permesso di separarsi dal marito dicendo a se stessa: se non mi sono spezzata di fronte a questo dolore allora vuol dire che non ho più bisogno di lui per sentirmi sicura di me.  Non ho più bisogno di giustificare la mia esistenza , di sentire di avere un valore perché mi prendo cura di lui e lo rispedisco a quella famiglia che me lo aveva affidato perché me ne occupassi . È piena di rabbia che le fa ripetere senza soluzione di continuità tutte le malefatte che l’uomo in questione compie quotidianamente a suo danno e a quello dei figli specie diventando , con il maggiore, complice di cattiverie contro di lei. Il ragazzo, 16 anni, nel frattempo sta sviluppando un pericoloso disturbo del comportamento incapace di controllare l’impulsività ed i conseguenti agiti aggressivi contro madre e fratello. Tema difficile è rappresentato dalla problematica organizzazione della vita familiare dopo la separazione, soprattutto quando si tratta di cercare di coprire le lacune dei padri o, come in questo caso, quando non si è in grado di contrastare comportamenti aggressivi mutuati dal genitore maltrattante.

I figli costituiscono, in diverse occasioni, la spinta verso il cambiamento. Per molte la paura è stata che i figli potessero assumere il comportamento dei padri, che diventassero come loro e così mettersi nelle condizioni di essere rifiutati dalla società. Emerge una grande paura di averli fatti soffrire in maniera immotivata e pesante, a volte di averli costretti ad assumere atteggiamenti adulti e aver quindi rubato a loro la fanciullezza. Diversamente accade  a Rosa, ora 55enne, madre di 5 figli, che ha aspettato che i figli diventassero adulti per decidere la separazione, non avendo sufficiente autonomia finanziaria per poter vivere da sola con loro.  In questo caso i figli hanno vissuto con ambivalenza l’emancipazione della madre, pur incoraggiandola. Sono stati percepiti dalla madre come distanti e non partecipi: per un po’ ha funzionato il “gruppo famiglia”, uno stringersi vicino uno all’altro, poi gradatamente si è strutturato un certo individualismo. In realtà questo percorso di individuazione della madre li ha fatti sentire abbandonati.

 

Considerazioni sul gruppo

 Il lavoro di gruppo imprime nelle persone un senso di accelerazione, soprattutto quando si è fatto di tutto per smorzare, per rendere sopportabile la situazione. Il gruppo invece va molto più avanti, a volte, di quanto il singolo sente di poter sopportare. Poi invece, a poco a poco, si evidenzia l’importante funzione del rispecchiamento, della condivisione.

Il gruppo facilita il recupero del senso di priorità della propria storia rispetto a quella del partner, a volte dei figli stessi: finalmente la donna si prende in considerazione e riesce a pensare a se come persona individuata e non come appendice e non come “ in funzione di”.

C’è un recupero della valenza positiva dello stare soli, nel senso della possibilità di realizzazione di sé senza la presenza necessaria dell’uomo. Sono donne che hanno in comune la caratteristica di essere portatrici di un apparato psichico infantile dove infantile sta ad indicare una condizione nella quale il legame con la figura genitoriale non è stato in grado di garantire una felice identificazione. È un legame irrisolto e conflittuale segnato da ambivalenze e scissioni che impediscono la realizzazione di una adeguata separazione.

 Ci è parso importante il fatto che queste donne siano state in grado di mettere in relazione le loro realtà personali con le vicende della famiglia d’origine e questo può essere considerato un primo passo fondamentale  per non ripetere gli stessi errori nelle scelte future. Il lavoro non può certamente considerarsi concluso: ciascuna delle nostre pazienti ha messo in moto delle possibilità evolutive che abbisognano di ulteriori elaborazioni.

Articoli simili 

2024-ospitare per conoscere-header

Materiali dei convegni di Ospitare per Conoscere

Condividi questa pagina:

Centro Veneto di Psicoanalisi
Vicolo dei Conti 14
35122 Padova
Tel. 049 659711
P.I. 03323130280

Servizio di Consultazione