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81ª Mostra d’arte cinematografica di Venezia -2024

"Al klavim eanashim" (Of dogs and men)

di Massimo De Mari

Titolo: “Al klavim eanashim” (Of dogs and men)

Dati sul film: regia di Dani Rosemberg; Israele, Italia, 2024, 82′, in concorso Sezione Orizzonti

Genere: drammatico

Trailer

Sono passati solo pochi giorni dal terribile attentato contro i kibbutz israeliani nei pressi della striscia di Gaza del 7 Ottobre 2023. È l’ennesimo sanguinoso evento di una guerra senza fine, che ha portato ad una recrudescenza del conflitto con conseguenze ancora difficili da prevedere.

Dani Rosemberg è un giovane regista israeliano e questo film, presentato al Festival di Venezia nella sezione Orizzonti, nasce da un’intuizione narrativa che cerca di superare il concetto di documentario, considerando il troppo pieno di informazione che i media e i social hanno già espresso.

Il filo conduttore è offerto dalla protagonista principale Dar (Ori Avinoam), unica attrice del cast, che interpreta un’adolescente che ha perso la madre nell’attacco — forse è morta, forse è stata rapita — e ritorna sui luoghi del massacro per cercare il proprio cane Shula, disperso nelle campagne. Tutti gli altri personaggi sono persone reali, testimoni di quanto è successo, anime sperdute nella zona controllata dai militari in cui continuano a vivere o sono rientrati nelle case semidistrutte alla ricerca delle loro cose.

La musica in cuffia, come qualsiasi teenager, Dar attraversa l’orrore che ancora aleggia in quel territorio semidistrutto e incontra la gente del luogo che ha vissuto come lei la tragedia, chiedendo del suo cane. A cominciare dal taxista, il perfetto elettore di Bibi Netanyahu, che invoca la bomba atomica sui palestinesi, come fecero gli americani con i giapponesi per fermare la guerra nel ‘45. Lungo i viali del kibbutz deserto Dar incrocia l’anziano Natan Bahat, l’unico che non se n’è andato: “Li ho visti quel giorno, entrare come uno sciame e saccheggiare ogni cosa”. Natan parla del suo amico palestinese Jamal che, come lui e tanti altri, vuole la pace: “Non siamo nazisti, non possiamo sterminarli”. Nell’edificio devastato che una volta era la scuola materna un’insegnante che recupera giochi e altro materiale da portare ai bambini sfollati le dice che decine di loro mancano all’appello. Nei momenti senza dialoghi ascoltiamo una voce fuori campo (quella dell’attrice Swell Ariel Or) che legge il diario della madre di Dar, scomparsa il giorno dell’attacco, dopo aver chiesto alla figlia di rinchiudersi nella camera di sicurezza e nascondersi sotto il letto: 1987, 1993, torna indietro nel tempo. racconta la vita nel kibbutz, la decisione di andare a studiare a Gerusalemme, il desiderio di tornare nel villaggio e alcuni episodi della vita con la figlia.

Con la protagonista che scrolla Instagram, TikTok o Telegram, il regista ci mostra la percezione della guerra con gli occhi di una giovane.

Dar, nella sua ricerca, incontra un soldato che le consiglia di contattare una certa Nora Lifshitz, che batte il territorio avanti e indietro con il suo fuoristrada alla ricerca di cani, gatti e altri animali domestici dispersi all’inizio del conflitto. Quando la incontriamo, insieme a Dar, capiamo come il regista sia rimasto artisticamente attratto da questo personaggio: capelli verdi, scalza, ricoperta di tatuaggi, piercing dappertutto. Forse l’idea della scomparsa del cane di Dar è partita proprio dalla presenza di questa giovane donna alla ricerca simbolica del suo Paese, Israele, che si è perduto. In una sequenza animata il cane di Dar segue un ragazzino palestinese che lo fa entrare in casa, mentre sibilano le bombe di un attacco dell’IDF. È così che Rosenberg chiude il cerchio della violenza infinita.

Il viaggio alla ricerca dell’animale domestico diventa, dunque, un mezzo per vedere, capire e raccontare, quanto sia successo e cosa pensino i superstiti.

C’è inoltre un ulteriore personaggio importante: il paesaggio, segnato dal conflitto, sventrato, disumanizzato, con le luci e il frastuono delle bombe in lontananza.

La parte documentaristica, oltre a servirsi delle sequenze — di forte impatto –— relative ai luoghi e alla loro distruzione, mette in luce la funzione comunicativa dei social in rapporto ai conflitti contemporanei. La verità — seppur in parte — si può conoscere anche attraverso TikTok, in pochi secondi di video, che racchiudono tutto il dramma e il dolore degli scontri.

Alla fine Dar non ritrova il suo cane Shula ma ne incontrerà un altro, sperduto e impaurito, con cui subito si crea un legame affettivo, l’idea di una vita di relazione che può riprendere.

Rosenberg, diplomato alla Sam Spiegel Film School, è autore di altri due film, “The death od cinema and my father too”, presentato a Cannes nel 2020 e ”The vanishing soldier” in concorso a Locarno nel 2023, in cui ha cercato di rappresentare i vissuti della popolazione riguardo l’incubo di una guerra sempre imminente ai propri confini. In particolare ha ricevuto un budget dall’Israel Film Fund per girare una commedia dal titolo “La notte della fuga”, sulla paranoia nazionale e individuale che colpisce Israele nel momento in cui si teme una reazione da parte dell’Iran ad un attacco.

Nella discussione con il regista, l’attrice protagonista, i due produttori e il pubblico, successiva alla proiezione, sono emersi naturalmente accenti polemici riguardo le responsabilità anche dell’attuale governo di Israele nella prosecuzione del conflitto.

È stato ribadito con convinzione che il loro intento principale, cioè il dovere di raccontare al mondo quello che le persone hanno vissuto e stanno vivendo, con uno sguardo che, in fondo, è speranzoso, perché mira alla pace.

In particolare il regista ha sottolineato come la scelta di far indossare alla protagonista una T-shirt con l’immagine di un cocomero, diventato il simbolo della Palestina sui social, rappresenti un messaggio di condivisione con chi, in quell’area di conflitto, coltiva questo frutto da una parte e dall’altra dei confini.

La domanda che il film pone, proponendo i punti di vista più oltranzisti a quelli più riflessivi dei testimoni e delle vittime di fronte alla distruzione della guerra, è sempre la stessa: “Perché ? Cosa possiamo fare per superare una follia che non può che alimentare altro odio?”.

È la stessa domanda che Einstein ha posto a Freud nel 1932, da cui nasce il famoso carteggio intitolato “Perché la guerra”. Amos Gitai, grande regista e artista israeliano, ha portato in questa edizione della Mostra un film con questo titolo, mostrando come la corrispondenza tra questi grandi pensatori sia drammaticamente attuale e cercando una spiegazione della ferocia dei conflitti che popolano il nostro mondo. Nonostante tutto, film come questi ci invitano a non smettere di pensare e a non polarizzarci su posizioni estreme: “Poiché la guerra contraddice nel modo più stridente tutto l’atteggiamento psichico che ci è imposto dal processo di incivilimento dobbiamo necessariamente ribellarci contro di essa: semplicemente non la sopportiamo più; non si tratta di un rifiuto intellettuale e affettivo, per noi pacifisti si tratta di un’intolleranza costituzionale, di una idiosincrasia portata, per così dire, al massimo livello” (Freud, 1932, 303.

 

 

Bibliografia

Freud S. (1932). Perché la guerra? O.S.F.  11. Bollati Boringhieri, 303.

Massimo De Mari, Padova

Centro Veneto di Psicoanalisi

massimodemari@gmail.com

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