Sezione Locale della Società Psicoanalitica Italiana
Padova- Museo Eremitani
21 Gennaio/10 Aprile 2023
di Franca Munari
Nel 1992 Mimmo Paladino presenta a Torino i “Centoquattro disegni di Pulcinella” ispirati all’album “Divertimenti per li regazzi”, di altrettante tavole, “carte” in cui Giandomenico Tiepolo, figlio del più famoso Gianbattista, rinchiuso nella Villa di Zianigo dove abitò negli ultimi anni della sua vita alla fine della repubblica di Venezia, illustra la vita, le avventure, la morte e la resurrezione di Pulcinella.
I 104 Pulcinella di Paladino, la cui esecuzione lo accompagnò per tutto il 1992, furono protagonisti nel 1992 di una mostra – curata insieme al volume ormai raro da Michele Bonuomo – ospitata da Palazzo Liberty a Torino, quindi dall’Albertina di Vienna (1993), e dal Kunsthal di Rotterdam (1994).
Il catalogo di Germano Celant (2017) dell’opera di Paladino, vi dedica un minuscolo trafiletto senza alcuna indicazione o commento. In quegli stessi anni Paladino affrontò impegni e collaborazioni apparentemente più significative, e sicuramente più “visibili” come L’Hortus conclusus di Benevento, lo spettacolo Veglia con il regista Mario Martone, una mostra di arazzi con Alighiero Boetti, i dieci dipinti de Il respiro della bellezza, l’istallazione Testimoni e mostre dovunque in giro per il mondo…
Pulcinella chi? Pulcinella come?
Pulcinella è la maschera simbolo di Napoli e ha una storia longeva risalente al XVI secolo e contingente allo sviluppo della commedia dell’arte. Alcuni studiosi individuano in Pulcinella la figura di Maccus, il ladro sciocco e mangione delle Atellane, le commedie originariamente in lingua osca, importate a Roma e risalenti al IV secolo a.C., dai toni comici e stravaganti, volgari e talvolta osceni, e basate sia sul primo impiego di canovacci che sull’improvvisazione.
La maschera del Pulcinella che noi oggi conosciamo e identifichiamo come tale è opera dell’attore Silvio Fiorillo e risale al Seicento. Il volto del Pulcinella di Fiorillo è molto simile a quello odierno: in testa porta un lungo cappello bianco di stoffa e sul volto una mezza maschera nera che copre solo gli occhi, evidenzia il naso curvo e lascia scoperta la bocca sottile ma sempre aperta per chiacchierare o per mangiare qualcosa.
Il costume e la fisicità di Pulcinella invece sono il frutto della fantasia di Antonio Petito, drammaturgo e attore teatrale del XIX secolo e famoso proprio per le sue interpretazioni originali e mai banali della più famosa maschera di Napoli. Dalle rappresentazioni di Petito è nata la fisicità di Pulcinella: si tratta di una corporatura strana e insolita, nascosta da larghi pantaloni e da una casacca bianca separati da una cintura nera e completati da delle enormi scarpe nere e talora da una sottoveste rossa che spunta dal camicione. Pulcinella ha seni pronunciati, ventre grosso ed enormi natiche, il capo è tipicamente quello di un uomo al contrario della parte inferiore che sembra avere tutte le caratteristiche della fisicità di una donna. Raffigurazione, non solo della bisessualità, ma più in generale della duplicità, furbo e sciocco, triste e allegro. “Pulcinella non è un sostantivo, è un avverbio: egli non è un che, è soltanto un come.” (Agamben 2015, 53) “Guarda bene la mia maschera: non vedi che non rido e non piango mai – o, piuttosto, tengo le due cose così strette insieme, che non è più possibile discernerle?” (ibid., 22) gli fa dire Giorgio Agamben nel suo saggio Pulcinella ovvero Divertimento per li regazzi sull’opera di Giandomenico Tiepolo.
Due le caratteristiche dei Pulcinella di Giandomenico Tiepolo: sono spesso tanti, “una masnada” dice Agamben, alieni, fanno cose aliene. Sono buoni o cattivi, armati, l’uno contro l’altro, contro altri Pulcinella. Possono proteggersi o uccidersi fra di loro, indifferentemente. Prima morti e poi ancora vivi, uccisi ancora, contemporaneamente morti e vivi, come nel Pulcinella che guarda la sua tomba. Come in un film di fantascienza.
Oppure Pulcinella, e questo accade anche in un affresco, quello del Mondo novo, compare in gruppi di persone “normali” fra la gente, non è carnevale, non è una scena teatrale; astante, inquietantemente diverso, anche in questo caso alieno. Probabilmente invisibile, se non al pittore, perché nessuno di quelli che gli sono intorno gli fa caso. Un’allucinazione?
In queste scene l’inserimento di Pulcinella è assolutamente gratuito e non funzionale alla scena stessa. Un’ossessione questo tema, tema che per entrambi gli autori, Tiepolo e Paladino, è sicuramente stato per un certo periodo della loro vita non solo un’ossessione quotidiana – Paladino li ripeté ininterrottamente per tutto il 1992 – ma anche una sorta appunto di “allucinazione”. Una presenza ectopica da inserire in ogni contesto, da riproporre come testimonianza di un altrove rispetto alla scena nella quale andava inopinatamente a collocarsi.
Ma con quale funzione? Forse, potrebbe trattarsi dello sguardo dell’autore che si pone materialmente all’interno della scena che dipinge, una sorta di firma.
‘Io che non sono nel quadro, c’ero, ero presente a quella scena, io Pulcinella? Io che ho visto, ho inventato quella scena, lì c’ero.’
Una sorta di logo dalle implicazioni estremamente complesse.
I Pulcinella di Tiepolo sono comunque in qualche modo più enigmatici, come presenze, come destinazione del senso, come ossessione anche, dei Pulcinella di Paladino. Perché se il D’après di Paladino, ricalca per soggetto e per numero di “carte” l’opera di Tiepolo, i suoi Pulcinella, da lui non significati, non commentati, neppure descritti, se non per le tecniche utilizzate nel produrli, risultano però a nostra disposizione per farci pensare, per azzardare possibili umane letture del loro essere Pulcinella.
L’opera
Sono andata a vedere questa mostra attratta dall’autore, non dal tema. Ho amato il Paladino dei grandi cavalli di foggia antica, dei transitori enormi mucchi di sale, dei tantissimi volti, sempre ovali, di materiali e fogge diverse, l’energia di una creatività, di un bisogno di fare, di collaborare, di sperimentare altro, continuamente, materiali e tecniche, ripetizioni e trasformazioni, sempre radicato nell’attuale, negli eventi, nei luoghi..
La prima impressione fu che si trattasse di doppi, di sdoppiamenti, nel senso di un uso della forma di Pulcinella, per raffigurare l’altro in sé, l’altro da sé, espulso, esternalizzato dal sé, disconosciuto e diversificato, nell’ombra, nella sagoma, di un Pulcinella.
La doppia P di questa immagine alla base di stratificazioni sovrapposte, sembra confermarlo.
Quello che Agamben teorizza anche come il ‘non vissuto’.
“Questo non vissuto è come un clandestino senza volto che mi accompagna giorno dopo giorno senza che io riesca mai a sorprenderlo per rivolgergli la parola. Quanto della mia vita appartiene a me, quanto Pulcinella e quanto ad altri? E che significa convivere con un non vissuto? Che fare di ciò che nella nostra vita è rimasto non vissuto? Una tragedia? Una commedia? O piuttosto, semplicemente, una vita? (Agamben, 2015, 112)
“Stupore e melanconia sono due toni ontologici, due costanti spirituali, che possono incrociarsi e dispiegarsi paralleli, in fasi alterne della sensibilità moderna, assunti come vie per giungere all’invasamento o, più prosaicamente, all’ispirazione, veggenza o demenza: al presagio.
…
come uscire dal mondo pur restandovi? O con un’altra domanda: come riunire due mondi, mondo delle forme, mondo dei sentimenti? Paladino pratica questi connubi. Ma osare accopiarli comporta rischi: ad esempio di soffrire quando i due mondi si scindono.” (Guidieri 1992, 13)
Ma anche come Pulcinella larva – nel senso latino del termine, per cui si credeva che il fantasma del morto potesse restare ad infestare il mondo dei vivi e a seviziarli – per il suo bianco, opaco, informe, costume.
In questo senso Agamben paragona Pulcinella a ciò che i greci chiamavano kolossòs, un pupazzo di legno, di pietra, di argilla o di cera che sostituisce il cadavere mancante nei riti funebri e permette di ristabilire rapporti correnti fra il mondo dei vivi e quello dei morti. Pulcinella, il Pulcinella di Tiepolo, avrebbe una funzione anche protettiva perchè sarebbe in questo senso una truffa, un falso cadavere e un falso morto che si sostituisce a questi e per ingannare la larva, il vero fantasma pericolosamente infestante.
Il kolossòs appartiene a quella categoria di fenomeni che sono per gli antichi greci gli eìdola, che comprende oltre al kolossòs e alla psyché, l’òneiros, cioè l’immagine del “sogno”, la skià, l'”ombra” e il phàsma, l'”apparizione soprannaturale” (Vernant 1965). Nella Grecia arcaica, questi fenomeni appartengono alla categoria psicologica del “doppio” e in quel contesto culturale “un “doppio” è tutt’altra cosa che un’immagine. “Esso non è un oggetto “naturale”, ma non è neanche un prodotto mentale, nè un’imitazione di un oggetto reale, nè un’illusione della mente, nè una creazione del pensiero. Il doppio è una realtà esterna al soggetto, ma che, nella sua apparenza stessa, s’oppone, per il suo carattere insolito, agli oggetti familiari, allo scenario consueto della vita. Esso si muove su due piani contrastanti ad un tempo: nel momento in cui si mostra presente, si rivela come qualcosa che non è di qui, come appartenente ad un inaccessibile altrove. (corsivo aggiunto) (Vernant 1965)” (Munari 1996)
Nello stesso senso il Pulcinella che compare inopinatamente nelle tele e nei disegni di Tiepolo, sarebbe anch’esso una forma di doppio, il phàsma, l’apparizione soprannaturale. Ugualmente, a ragione, si potrebbe pensare che i Pulcinella di Paladino, coprano tutta la gamma di quelli che nella Grecia arcaica erano dei doppi.
“Faccio dieci teste, ma stai sicuro che se meditate non saranno mai uguali fra loro né simili a quelle dieci fatte un anno fa. Magari pongo lo stesso tema per una facilità esecutiva; inevitabilmente però non sono mai identiche, diventa ripetitivo il soggetto ma non il suo significato.” (Mimmo Paladino 2011, in Celant 2017, 594)
Il disegno
Disegni vuoti quelli di Paladino, a matita o pennello, disegni colorati di loro stessi, senza ombre, sono loro l’ombra, la skià, senza spessori, senza differenziazione con lo sfondo, se non per l’intensità del colore, Pulcinella ambientali. Un unico Pulcinella getta la sua ombra, ma sembra essere un pensiero, una sorta di fumetto.
Ma guardando e riguardando i disegni, sempre di più mi sembra che si tratti di Pulcinella pensiero, Pulcinella idea, immagine, non un doppio di sé, ma un’immagine di sé, un pensiero su di sé, come oggettivato in Pulcinella o accompagnato da Pulcinella. In un processo di raffigurabilità, dove Pulcinella coincide con il linguaggio, è il linguaggio conclusivo della riflessione.
“Trovato un punto di appoggio il suo segno scivola e si capovolge continuamente: il disegno diventa così un ossessivo e ossessionante esercizio dal vero, che progressivamente sposta l’attenzione e il risultato da un dato oggettivo e finito verso una dimensione intima e concettuale altrimenti insondabile. Da questo punto di vista, allora, Pulcinella diventa per Paladino il tormento del vero da ripetere senza sosta, senza paura di fare il già fatto. Il vero da scandagliare non appartiene alla pratica della citazione … è una volontà da troppo tempo interrotta” (Buonuomo, 1992, 7-8)
“La mia pittura non ha alcuna dimensione narrativa […] Rifiuto l’interpretazione della mia opera come memoria arcaica. Per questo mi sento più vicino alla visione di Motherweel, nel quale il concetto coincide con la spiritualità dell’essere artista: il linguaggio prevale sulla narrazione. … il mio interesse si concentra sul linguaggio che è per me più importante del soggetto poetico. … La lingua diviene così un segno che va aldilà della narrazione.” (Mimmo Paladino 2011, in Celant 2017, 366)
La forma del disegno è un percorso, un progetto per sé.
“Io per certo e lunghissimo periodo non ho mai esposto i disegni e li consideravo non la fase progettuale né la fase preparatoria dell’opera, ma proprio un fiume sotterraneo che potesse scorrere sotto questa grossa energia che di volta in volta si andava a magnetizzare in brandelli di pareti, in situazioni spaziali…”(Mimmo Paladino 1984, in Mistrangelo 1992,15)
E ancora:
“Il disegno è diverso dalla pittura perché è come lottare su una superficie minima, con mezzi minimi – la matita – e con il minimo dello sforzo fisico. E questo è molto importante; si può tracciare, lasciare, descrivere, dare suggerimenti, con il massimo della concentrazione e il minimo dell’energia”. (Mimmo Paladino, in Celant 2017, 76)
Si tratta sempre di un uomo e di un pulcinella o solo un Pulcinella o un uomo e qualche Pulcinella, pensieri di Pulcinella.
Qui con un meccanismo di inversione i Pulcinella non sono all’esterno, ma escono dalla testa, nel togliersi il cappello. Ma chi si toglie il cappello?
La commistione dell’interno e dell’esterno.
La tavola III
“Interpreto [questo disegno] come l’autoritratto di Paladino: Pulcinella Mimmo, seduto, la mano tesa verso la tela vuota, che guarda. Alle spalle, un busto nero, di profilo, un’ala antropomorfa attaccata la schiena del pittore maschera e, ai piedi, il capo mozzo col naso adunco inconfondibile del Pulcinella trofeo o del Pulcinella reliquia. Forse si tratta di un intervallo tra momenti durante i quali Paladino ha dispiegato la sua immaginazione.” (Guidieri 1992, 13-14)
Anch’io, sono stata molto colpita da questa tavola, e anche se condivido la lettura che ne dà Guidieri, ne penso anche un’altra: è Pulcinella a dipingersi, anche se il braccio che esegue sembra poter provenire anche dalla figura parziale che gli è incollata a tergo. La maschera è trasparente, il pittore deve vedere, e si deve vedere che guarda.
C’è anche una testa, un’altra, a terra, caduta dimenticata.
Chi dipinge? Cosa va perduto nella scelta di una tela, quale testa pensiero, viene eliminata, buttata via, quale Pulcinella pensiero è stato scartato. I disegni non bastano mai…
Se Pulcinella è un doppio del soggetto, di una delle possibili forme del soggetto, la sua anima, la sua ombra, il suo fantasma, il suo sogno, un doppio identico, il suo riflesso, o il suo doppio complementare. Pulcinella è anche l’altro, gli altri di te, in te, Pulcinella è anche il doppio dell’oggetto.
Facendo Pulcinella, è Pulcinella che disegna se stesso, che si disegna. Come accade per i personaggi delle narrazioni, che ad un certo punto, indipendentemente dall’idea che di loro si era fatto e aveva programmato l’autore, si autonomizzano e diventano qualcosa, qualcuno di altro.
Accade qui, io credo, la medesima cosa che accade nelle narrazioni poetiche, ma anche nella scrittura dei casi clinici, quando è in certa misura necessario all’autore rinunciare alla critica cosciente per sperimentare in sè la storia che va prendendo forma. E si tratta di una storia anche differente da quella ricordata, o da quella fantasticata, una storia nella quale il protagonista si narra e di sé narra anche nuove cose, non esistite e consumate nella realtà, cose mai prima pensate; vere cose di sé, del protagonista, ma anche dell’autore che lo pensa, che solamente nella sua assenza possono prendere forma e sostanza. Il protagonista diventa autore della storia attraverso l’autore che lo scrive. (Munari 2009)
BIBLIOGRAFIA
Agamben G. (2015) Pulcinella ovvero Divertimento per li regazzi. Edizioni Nottetempo, Roma.
Buonuomo M. (1992) Disegno dal vero. In Paladino M. (1992) I 104 disegni di Pulcinella. (a cura di) Bonuomo M., Fabbri Editori, Milano.
Celant G. (2017) Paladino. Skira editore, Milano
Guidieri R. (1992) Ritratto notturno dell’artista. In Paladino M. (1992) I 104 disegni di Pulcinella. (a cura di) Bonuomo M., Fabbri Editori, Milano.
Mistrangelo A. (1992) L’immagine evocata. In Paladino M. (1992) I 104 disegni di Pulcinella. (a cura di) Bonuomo M., Fabbri Editori, Milano.
Munari F. (1996) Le Kolossòs. Forme du double et relation narcissique. Revue Française de Psychanalyse, LX, 1.
Munari F. (2009) L’autore della storia, Riv. Psicoanal. LV, N.1, 181-193.
Paladino M. (1992) I 104 disegni di Pulcinella. (a cura di) Bonuomo M., Fabbri Editori, Milano
Vernant J.-P. (1965) Mito e pensiero presso i Greci. Einaudi Editore, Torino.
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