M. Klein – L’Es: un concetto di difficile definizione

di Diomira Petrelli

(Napoli) Membro Ordinario con funzioni di Training della Società Psicoanalitica Italiana, Centro di Psicoanalisi Romano.

Klein non si confrontò mai nelle sue opere con una aperta ed esplicita rielaborazione del modello della mente presentato da Freud ma, di fatto, ne operò una profonda e radicale trasformazione, anche se, fino alla fine, a più riprese tese a ribadire la continuità del proprio pensiero rispetto a quello di Freud, salvo che su alcuni punti.

Una situazione in un certo senso paradossale, non priva di contraddizioni, che negli anni ha contribuito ad alimentare non pochi fraintendimenti e confusioni. Poco chiara e certo non univoca ne è anche la possibile interpretazione.

Le prese di posizione di M. Klein sulla propria continuità da Freud, ribadite fortemente dai colleghi che appartenevano alla sua “scuola”, vanno inquadrate sullo sfondo del particolare clima culturale e politico che in quegli anni caratterizzava il dibattito interno alla British Psychoanalytical Society (BPS) e che, come è noto, culminò tra il 1941 e il 1945 nelle Discussioni Controverse (King, Steiner, 1991). La relazione di apertura alle Discussioni, presentata da S. Isaacs nel gennaio del 1943 e discussa nell’inverno e nella primavera dello stesso anno, Natura e funzione della fantasia, affidava all’autrice l’onere di illustrare e sostenere le nuove teorie di M Klein sul funzionamento della mente e sullo sviluppo infantile che tante contestazioni avevano sollevato, compito che S. Isaacs svolse brillantemente, anche se è interessante notare che nella versione originale del suo lavoro le posizioni di volta in volta esposte erano sorrette da lunghe citazioni tratte dalle opere di Freud e da costanti richiami alla sua “autorità” a sostegno delle nuove idee. Anche nei lavori di M. Klein, soprattutto del primo periodo, cioè fino alla metà degli anni ’30, ma non solo, ritroviamo l’adozione di una terminologia che mira a sottolineare la continuità dal modello freudiano, pur in presenza di sostanziali discontinuità e modifiche (ad esempio ne Il complesso edipico alla luce delle angosce primitive del 1945 parla di “impulsi dell’Es” e anche di “posizioni libidiche”). Solo gradualmente nel corso degli anni questo atteggiamento lasciò il posto ad una più aperta affermazione degli aspetti caratterizzanti il suo pensiero e che erano, a volte, in netto disaccordo con le teorie di Freud e soprattutto implicavano un diverso modello del funzionamento della mente.

Tuttavia, possiamo forse ipotizzare che, ad un altro livello, M. Klein sentisse una continuità sostanziale del proprio pensiero rispetto a quello di Freud su alcuni aspetti di fondo: la potenza dei fenomeni profondamente inconsci nel determinare la vita dell’individuo, l’esistenza “reale” di un “mondo interno” continuamente attraversato da multiformi e complesse dinamiche, le divisioni profonde che caratterizzano il soggetto al proprio interno, l’importanza e la pervasività dell’angoscia, la presenza di un’oscura e “demoniaca” distruttività interiore sotto forma di forze ostili che sembrano ostinatamente contrapporsi alla vita.

  1. Klein accettò la transizione operata da Freud dal modello topografico a quello strutturale e la relativa modificazione della teoria dell’angoscia; tuttavia, è evidente che il punto di vista economico del modello freudiano le fu completamente estraneo, anche se non lo rifiutò mai apertamente.

È significativo in tal senso che anche nei suoi primi lavori in cui sembra aderire maggiormente alla teoria classica (ad esempio a proposito delle varie fasi dello sviluppo libidico) non faccia mai riferimento a concetti economici quali investimento (catexis) o scarica, contro investimento o importo di affetto, né sembra interessata alla distribuzione quantitativa di un’energia psichica che possa essere bloccata, deviata o scaricata. Descrive invece i rapidi passaggi di “oggetti” dall’esterno all’interno del soggetto, e viceversa, attraverso continui processi di proiezione e di introiezione e la dinamica continuamente mutevole delle relazioni che si dispiegano tra di essi.

 

La descrizione che ne deriva della struttura interna è molto più complessa ed elaborata; introiezione e proiezione vi svolgono fin dall’inizio un ruolo fondamentale contribuendo allo sviluppo di un mondo interno molto articolato, popolato da molteplici oggetti, gli “oggetti interni”, e alla strutturazione del sé.

Gli impulsi di amore e di odio hanno una grande fluidità, possono distribuirsi e moltiplicarsi; gli impulsi diretti verso gli oggetti esterni si “distribuiscono” sempre anche agli oggetti interni, e viceversa, così come i processi di scissione e di progressiva integrazione riguardano sempre, in parallelo, sia gli oggetti esterni che gli oggetti interni ed il sé.

Si tratta di un modello dinamico del funzionamento della mente, dei suoi conflitti, angosce e gruppi di difese, che lega strettamente le pulsioni alle relazioni oggettuali.

Il dualismo pulsionale, punto cardine del modello strutturale di Freud, viene accettato da M. Klein ed esplicitamente riaffermato, già a partire dal 1932 (La psicoanalisi dei bambini). Tuttavia i concetti di “pulsione di vita” e “pulsione di morte” declinati nei termini di amore e odio per l’oggetto assumono inevitabilmente un’accezione molto diversa e sembra veramente difficile far coincidere “l’istinto di vita” di cui parla M. Klein e che si manifesta sotto forma di legame con l’oggetto e di amore per esso, con Eros e ancora di meno con la libido. Non valgono per esso considerazioni quantitative, si tratta piuttosto di un’impostazione qualitativamente diversa nei confronti dell’oggetto, cioè di una diversa qualità della relazione oggettuale; non sono presenti, come abbiamo visto, i concetti di investimento, disinvestimento o scarica, ma quelli di amore e, poi, di preoccupazione per l’oggetto a cui si associa la pena per il danno ad esso arrecato, in realtà o in fantasia.

Il concetto stesso di pulsione (o di istinto, dato che nella traduzione inglese non veniva fatta distinzione tra i due termini adoperati da Freud in tedesco) acquista nella metapsicologia di M. Klein un’accezione molto diversa proprio attraverso il suo collegamento al concetto di fantasia inconscia. Nella nuova accezione esplicitata da S. Isaacs le fantasie sono “il contenuto primario dei processi mentali inconsci” e, in quanto tali, sono attive fin dall’inizio della vita ed accompagnano ogni processo mentale. Si tratta di un’attività continua, ubiquitaria, una sorta di sottofondo inconscio costante che caratterizza fin dalla nascita la vita mentale, un flusso continuo e caleidoscopico di forme mentali sottese all’esperienza e che la organizzano, intendendo per esperienza sia quella che il bambino fa del proprio corpo attraverso le sensazioni legate ai suoi organi e al loro funzionamento, sia quella relativa all’ambiente esterno. La fantasia inconscia è “il corollario mentale, il rappresentante psichico dell’istinto”, che è sperimentato come specifica fantasia che porta il bambino a rappresentarsi “ciò che in particolare intende fare all’oggetto desiderato”. Essa permette di cogliere in termini concreti la presenza nella mente dei desideri pulsionali che originano nel corpo. In questa formulazione del concetto di fantasia inconscia è mantenuta l’esigenza di assicurare il legame delle manifestazioni psichiche col corpo ed i suoi bisogni, questo legame tuttavia è reinterpretato in modo del tutto nuovo e originale, svincolato da concetti quantitativi di investimenti e cariche energetiche. La fantasia diviene infatti una ritrascrizione e reinterpretazione affettiva delle sensazioni e percezioni primitive, primaria relazione “agita” con l’oggetto. Si tratta già di una primitiva messa in forma, una “interpretazione affettiva” dei dati sensoriali e percettivi. È l’interpretazione affettiva che il bambino dà alle proprie sensazioni e percezioni alla luce degli affetti che in quel momento prova.

In un certo senso per M. Klein gli istinti sono recuperati e postulati a partire dalle fantasie inconsce, che sono quello che sembra interessarla di più, secondo un percorso che potremmo pensare come inverso rispetto a quello di Freud. È la presenza delle fantasie che la induce a fare riferimento agli istinti del corpo e non viceversa.

In effetti, pur condividendo il secondo dualismo pulsionale postulato da Freud, M. Klein ne dà un’interpretazione diversa e originale che la porta a formulare una diversa teoria della strutturazione del Sé e del “mondo interno”, delle relazioni oggettuali e in definitiva del conflitto psichico.

Vediamo così che progressivamente l’Es sembra acquisire per M. Klein nuovi significati, man mano che ella sviluppa nuove teorie proprie. Il suo modello di conflitto psichico riguarda lo scontro non tra l’istinto di vita e l’istinto di morte di per sé, ma tra i loro rappresentanti nella fantasia inconscia. L’Es in realtà non è più un crogiuolo di energie ribollenti, è sì la sede degli istinti ma gli istinti sono vissuti come fantasie affettive di rapporti con oggetti concreti, sentiti concretamente all’interno del corpo.

In effetti queste formulazioni appaiono per molti versi contraddittorie rispetto all’adesione al modello strutturale freudiano e M. Klein stessa sembra essere consapevole dei molti problemi che esse comportano e della necessità di una revisione generale del modello.

Nello scritto del 1952 Le influenze reciproche nello sviluppo dell’Io e dell’Es afferma di concordare con l’idea di Freud che “l’Es è ab initio il serbatoio delle pulsioni”, ma di dissentire su un punto in particolare: “la causa prima dell’angoscia risiede nella paura dell’annientamento, della morte, che nasce dall’operare della pulsione di morte all’interno dell’organismo. La lotta tra pulsione di vita e pulsione di morte promana dall’Es e coinvolge l’Io.” (Klein, 1952, 536).

Su questo punto già nel 1932 (La psicoanalisi dei bambini), adottando l’idea di Freud dell’istinto di morte, aveva sostenuto che l’angoscia primaria è l’angoscia dell’annientamento dall’interno provocata dall’istinto di morte ed aveva espresso apertamente il suo disaccordo rispetto all’idea di Freud che non esista nell’inconscio nessuna paura della morte. “Sappiamo – scrive M Klein – che l’istinto distruttivo è indirizzato contro l’organismo stesso, e deve perciò essere sentito dall’Io come un pericolo. A mio modo di vedere è questo pericolo che l’individuo percepisce sotto forma di angoscia.” (Klein, 1932, 179) Questa angoscia, sostiene M. Klein, è immediatamente affrontata dall’Io proiettando all’esterno nell’oggetto una parte dell’istinto di morte, una difesa che ha come esito però la paura dell’oggetto: “l’oggetto viene percepito come fonte di pericolo e viene quindi investito dal sadismo del bambino” (ivi, 181).

Questo concetto viene ribadito a più riprese, con ancora maggiore chiarezza, ad esempio nel 1948 (Sulla teoria dell’angoscia e del senso di colpa): “Io non condivido questa opinione semplicemente perché le mie osservazioni analitiche mostrano che nell’inconscio la paura dell’annientamento della vita esiste. A parte ciò riterrei logico pensare che se presumiamo l’esistenza di una pulsione di morte, dobbiamo anche presumere che negli strati più profondi della psiche si dia una reazione a tale pulsione nella forma appunto di paura dell’annientamento della vita. Pertanto è mia convinzione che il senso di pericolo suscitato dall’operare interno della pulsione di morte è la causa prima e originaria dell’angoscia. E poiché la lotta tra pulsione di vita e pulsione di morte persiste per tutta la vita, questa causa di angoscia non viene mai eliminata ed è un fattore che rientra costantemente in tutte le situazioni di angoscia.” (Klein, 1948, 439).

In effetti nel breve scritto del 1952 già citato parlerà pochissimo dell’Es e quasi esclusivamente dell’Io, di cui discute dettagliatamente le funzioni. L’Es da cui promana l’istinto di morte tende in qualche modo a diventarne il rappresentante. Scrive: “Esiste fin dal principio della vita un’azione reciproca strettissima fra tutte e tre le istanze psichiche. […] la mia concezione della primissima infanzia impedisce che io possa prendere in considerazione esclusivamente le influenze reciproche dell’Io e dell’Es. […] Dato che la vita psichica è governata dal perenne interagire delle pulsioni di vita e di morte e dai conflitti derivanti dal loro impasto e disimpasto, vi è nell’inconscio un fluire sempre mutevole di eventi, di emozioni e di angosce che si influenzano a vicenda.” (Klein, 1952, 538-9) Si tratta, come lei stessa sostiene più avanti, di una “visione dei processi inconsci molto più ampia di quella insita nella concezione di Freud della struttura della psiche. […] La mia tesi, quindi, comporterebbe una riconsiderazione della natura e della sfera dell’Io e del Super-io nonché dell’interconnessione tra le parti della psiche che costituiscono il Sé.” (ivi)

Affermazioni che lasciano intendere come in realtà M. Klein sia interessata non tanto ad individuare la specificità delle varie strutture, che in effetti sembra sfuggirle, quanto piuttosto alla loro “interconnessione” che dà luogo ad “un fluire sempre mutevole di eventi, emozioni e angosce,”, quello che aveva appunto descritto come il flusso ininterrotto delle fantasie, consce e inconsce, che caratterizza e sostanzia la vita mentale dando espressione al perenne conflitto tra le pulsioni di vita e quelle di morte nel loro cangiante intreccio con le relazioni oggettuali.

 

Un ulteriore problema riguarda la collocazione degli oggetti interni, in particolare dell’oggetto interno distruttivo, che inizialmente M Klein aveva posto nel crudele Super-io primitivo, descritto come contente istinti di vita e di morte ed oggetti primitivi estremamente persecutori ed idealizzati.

Nel 1958 M. Klein modificò questa sua teoria spostando gli oggetti primitivi introiettati dal Super-io e posizionandoli nell’inconscio profondo, dove a suo avviso rimangono immodificati e irraggiungibili.

“Questi oggetti spaventosamente pericolosi [frutto dell’introiezione dei genitori in forme irreali e fantastiche, a volte caratterizzate come figure terrificanti] fanno insorgere nell’Io, nella primissima infanzia, conflitto e angoscia; l’intensa pressione dell’angoscia fa sì che essi, e altre figure terrificanti, siano scissi dall’Io e relegati negli strati più profondi dell’inconscio, ma mediante una scissione che è diversa da quella che determina la formazione del Super-io. La diversità – e questo può far luce sulle molte modalità ancora oscure dei processi di scissione – consiste nel fatto che mentre nella scissione delle figure terrificanti appare predominante il disimpasto delle due pulsioni in quella che produce la formazione del Super-io appare predominante il loro impasto. Per questo motivo il Super-io si instaura di norma in stretto rapporto con l’Io ed è compartecipe dei differenti aspetti dell’oggetto buono, cosa che consente all’Io di integrare in sé e di accettare in misura minore o maggiore il Super-io. Al contrario le figure estremamente cattive non sono accettate dall’Io ma sono costantemente ripudiate. […] Alla scissione di figure persecutrici che vanno a costituire parte dell’inconscio fa riscontro la scissione di figure idealizzate. Le figure idealizzate vengono prodotte per proteggere l’Io da quelle terrificanti. In questi processi ricompare e si riafferma la pulsione di vita. Il contrasto tra figure idealizzate e persecutrici, tra oggetti buoni e cattivi, – che è un’espressione del contrasto tra pulsioni di vita e di morte e che costituisce la base della vita di fantasia – si rinviene in tutti gli strati del Sé” (1958, 545-6).

Lo spostamento di queste figure terrificanti negli strati più profondi dell’inconscio (nell’Es?) sembra dettato dall’esigenza di rendere conto e in qualche modo trovare spiegazione di esperienze cliniche che mostravano la persistenza di aspetti distruttivi, apparentemente immodificabili e sempre riemergenti dall’interno.

 

“Anche in tali favorevoli circostanze, tuttavia, io ritengo che le figure terrificanti esistenti negli strati profondi dell’inconscio tornino a fare sentire la loro presenza ogni volta che la pressione interna o esterna diventa estrema. Gli individui complessivamente stabili – vale a dire coloro che hanno installato dentro di sé l’oggetto buono e che si identificano fortemente con esso – potranno sopraffare queste intromissioni dell’inconscio più profondo nell’Io e riconquistare la loro stabilità. Negli individui nevrotici invece, e ancor più negli psicotici, la lotta contro i pericoli che minacciano dagli strati profondi dell’inconscio sarà in una certa misura un conflitto permanente e una componente della loro instabilità psichica e della loro psicosi” (1958, 547).

In conclusione, è forse possibile riassumere quanto fin qui detto riportando una citazione della stessa M. Klein su cosa per lei fosse l’Es, citazione che a mio avviso rispecchia anche l’ambiguità della sua posizione. Scrive M. Klein:

“Da quanto ho detto emerge che la dinamica psichica è il risultato dell’operare delle pulsioni di vita e di morte e che l’inconscio è costituito, oltre che da queste forze, dall’Io inconscio al quale ben presto si aggiunge il Super-io inconscio. In questa concezione è insito che per me l’Es si identifica con le due pulsioni. Freud ha trattato l’Es in molti luoghi e tra le varie definizioni che ne ha dato vi sono delle incongruenze. In almeno un passo, però, dell’Introduzione alla psicoanalisi (nuova serie di lezioni) (1932), ha parlato dell’Es descrivendolo esclusivamente in termini di pulsioni. Ecco le sue parole (480) ‹‹Cariche pulsionali che esigono la scarica: ecco tutto ciò che, a parer nostro, vi è nell’Es. Sembra persino che l’energia di queste spinte pulsionali si trovi in uno stato diverso che nelle altre sfere psichiche››. La mia concezione dell’Es, sin da quando ho scritto La psicoanalisi dei bambini, ha rispecchiato fedelmente la descrizione contenuta nel brano citato sopra, anche se è vero che talvolta ho usato il termine Es un po’ elasticamente [moore loosely] nel senso di rappresentante della sola pulsione di morte oppure di inconscio” (Klein, 1958, 548).

Si tratta di uno dei suoi ultimi scritti; mezza pagina più avanti troviamo alcune “considerazioni finali” su una serie di suoi punti di vista che divergono da Freud: l’importanza maggiore attribuita all’aggressività nella vita emotiva, la precocità della formazione del Super-io, la tendenza precocissima dell’Io all’integrazione. E in fine ritorna sull’Es, aggiungendo qualcosa che sembra completamente diverso da quanto aveva detto poco prima:

“Freud ha detto che l’Io si arricchisce continuamente a spese dell’Es. A mio parere, come ho spiegato in precedenza, è la pulsione di vita ad attivare e sviluppare l’Io. Il mezzo di realizzazione del suo sviluppo è costituito dalle primissime relazioni oggettuali. Il seno, sul quale vengono proiettate le pulsioni di vita e di morte, è anche il primo oggetto interiorizzato per introiezione. In questo modo le due pulsioni trovano il primo oggetto al quale fissarsi e l’Io, mediante la proiezione e re-introiezione, si arricchisce e si rafforza” (Klein, 1958, 550).

Indubbiamente un quadro un po’ diverso da quello delle “cariche pulsionali che esigono la scarica” e comunque una riaffermazione del legame indissolubile delle pulsioni con l’oggetto, essendo la relazione oggettuale ciò che arricchisce e rafforza l’Io.

In realtà, ciò che veramente arricchisce l’intera personalità è il processo di integrazione, nella misura in cui anche “gli impulsi distruttivi” vengono integrati e viene operata “una sintesi degli aspetti diversi dei suoi oggetti”. E qui, a conclusione, troviamo una rivalutazione degli aspetti scissi del Sé e degli impulsi che sembra aprire ad una visione un po’ diversa anche dell’Es: “nelle parti scisse del Sé e degli impulsi, che sono stati ripudiati perché fonte di angoscia e di dolore, sono infatti insiti anche elementi preziosi della personalità e della vita di fantasia. […] essi sono anche fonte di ispirazione nell’attività artistica e in numerose altre attività intellettuali” (Klein, 1958, 550).

 

Bibliografia

Isaacs S. (1948). Natura e funzione della fantasia. Trad. it. in: Petrelli D. (a cura di) (2007). Fantasia inconscia. L’organizzazione mentale precoce secondo Susan Isaacs. Roma, Il Pensiero Scientifico Editore.

King P., Steiner R. (1991). The Freud-Klein Controversies 1941-1945. London & New York: Tavistock/Routledge.

Klein M. (1932). La psicoanalisi dei bambini. Firenze, Martinelli, 1970.

Klein M. (1945). Il complesso edipico alla luce delle angosce primitive. In: Scritti 1921-1958. Torino, Boringhieri, 1978.

Klein M. (1948). Sulla teoria dell’angoscia e del senso di colpa. In: Scritti 1921-1958. Torino, Boringhieri, 1978.

Klein M. (1952). Le influenze reciproche dell’Io e dell’Es. In: Scritti 1921-1958. Torino, Boringhieri, 1978.

Klein M. (1958). Sullo sviluppo dell’attività psichica. In: Scritti 1921-1958. Torino, Boringhieri, 1978.

Petrelli D. (a cura di) (2007). Fantasia inconscia. L’organizzazione mentale precoce secondo Susan Isaacs. Roma, Il Pensiero Scientifico Editore.

 

Diomira Petrelli, Napoli

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