Sezione Locale della Società Psicoanalitica Italiana
di Costanza La Scala
L’oggetto
“L’oggetto, dunque: non vi è termine che non ritorni così di frequente in ogni considerazione sulla pratica o sulla teoria psicoanalitica, ma non ve ne sono che suscitino più malintesi, se non addirittura polemiche” (Guignard, 1977, 9). Con queste parole Guignard introduce l’argomento che poi tratterà nel suo volume sul tema delle pulsioni, dell’oggetto e delle sue vicissitudini.
Il termine oggetto nasce come termine tecnico in psicoanalisi per designare innanzitutto l’oggetto di una pulsione. È ciò, persona o cosa che sia, che permette di arrivare ad un soddisfacimento e non ha particolari connotazioni proprie se non appunto la capacità di allentare una tensione pulsionale del soggetto. Esistono però degli oggetti interni, seppur non denominati come tali, già nelle formulazioni freudiane: ne è un esempio il Super-Io, ma lo sono anche quegli oggetti interni arcaici la cui origine è così antica da non essere rintracciabile, quelli che Freud ad esempio individua nel padre dell’orda primitiva in Totem e Tabù (1913), oppure da un certo punto di vista anche quelli che vediamo delinearsi in trasparenza sulle scene dei fantasmi originari, filogeneticamente intesi.
Con il procedere della ricerca psicoanalitica e l’apporto di altri dopo Freud, M. Klein soprattutto con la teorizzazione sugli oggetti interni e sui processi inerenti all’identificazione proiettiva, il termine oggetto subirà anch’esso una sua evoluzione, fino al punto di raggiungere quella sua complessità, oggi indispensabile per comprendere appieno, nella clinica, le fantasie dei pazienti. Con Kristeva, si tratta di “una ricchezza fatta di immagini-sensazioni-sostanze, la cui ‘impurità’ teorica è compensata dalla fecondità clinica” (Kristeva, 2000, 69). È proprio in questa natura concreta, così pregna di percezioni, che connota l’oggetto interno e lo colloca fisicamente dentro l’Io, che si radica la differenza tra oggetto interno kleiniano e la rappresentazione di freudiana memoria. È vero anche però che Freud stesso, in La Negazione (1925), scrive: “La riproduzione della percezione nella rappresentazione non ne è sempre la ripetizione fedele; essa può risultare modificata da omissioni, alterata da commistioni di vari elementi” (Freud, 1925, 200). È proprio sulla natura di queste commistioni che M. Klein ci offrirà un fondamentale apporto con le sue teorizzazioni successive sulla formulazione degli oggetti interni e sui meccanismi che portano a determinarne le qualità.
L’oggetto poi è stato utilizzato anche per definire una scuola di pensiero psicoanalitico, presente soprattutto nella società psicoanalitica britannica: la teoria delle relazioni oggettuali, alla quale si accostarono studiosi come Winnicott, Balint, ma anche Fairbairn, arrivando in particolare con quest’ultimo a importanti differenze rispetto all’originaria teoria freudiana, soprattutto per quanto riguarda la prospettiva economica. A differenza di questi autori, M. Klein rimase sempre fedele alla prospettiva freudiana, non aderendo alla teoria delle relazioni oggettuali. Tale fu, infatti, la difficoltà nel mantenere saldo il legame tra la teoria delle relazioni oggettuali e la teoria pulsionale freudiana, che nel 1939 si istituì un gruppo di studio apposito chiamato Gruppo Oggetti Interni, che si incontrò saltuariamente durante gli anni della guerra per cercare di capire e integrare i nuovi punti di vista sugli oggetti.
L’oggetto, da veicolo di gratificazione a modalità di espressione pulsionale
Laplanche e Pontalis nella loro Enciclopedia (1967) approfondiscono i diversi usi del temine oggetto in Freud, intendendolo quindi come Oggetto della pulsione, Oggetto d’amore o d’odio e Oggetto della conoscenza. Ma fermiamoci sulla prima prospettiva e consideriamone i risvolti nell’evoluzione della teoria da Freud a M. Klein.
La concezione freudiana dell’oggetto comincia a prendere forma nei Tre saggi (1905) a partire dall’analisi delle pulsioni sessuali e prosegue poi nel 1915 in Pulsioni e loro destini. In questi scritti Freud distingue fonte, oggetto, meta e spinta.
La fonte e la meta della pulsione sono rispettivamente un processo somatico eccitante che ha luogo in un organo (possibile zona erogena) e l’azione verso la quale la pulsione spinge (la scarica che porta al soddisfacimento), e più vie, diverse tra loro, possono condurre alla stessa meta. La spinta è l’elemento motorio della pulsione, la somma di forze che la caratterizza.
L’oggetto sessuale invece, centro del nostro interesse, è inizialmente definito come “la persona dalla quale parte l’attrazione sessuale” (Freud, 1905, 451). Qui Freud ci invita ad “allentare nei nostri pensieri il legame tra pulsione e oggetto. La pulsione sessuale probabilmente è in un primo tempo indipendente dal proprio oggetto e forse non deve neppure la sua origine agli stimoli del medesimo” (ivi, 462). In Pulsioni e loro destini (1915) Freud ribadirà questa concezione dell’oggetto come mero mezzo per raggiungere il soddisfacimento pulsionale, passibile di essere mutato infinite volte in base alle modificazioni pulsionali: “Oggetto della pulsione è ciò in relazione a cui, o mediante cui, la pulsione può raggiungere la sua meta. È l’elemento più variabile della pulsione, non è originariamente collegato ad essa, ma le è assegnato soltanto in forza della sua proprietà di rendere possibile il soddisfacimento” (Freud, 1915, 18).
Klein, come già detto, rimase sempre fedele alla teoria pulsionale formulata da Freud, sentendosi saldamente radicata all’interno della psicoanalisi classica. Ella però, cominciando a utilizzare la tecnica del gioco infantile, si accorse che i suoi piccoli pazienti giocavano con gli oggetti – oggetti giocattoli – mettendo in scena rappresentazioni che, nel gioco, davano vita a diverse persone, tra cui anche l’analista. Questi oggetti per loro erano vivi: amabili, affettuosi, o minacciosi, anche spietati. Sono oggetti molto diversi da quelli descritti in Freud, infatti sono concepiti in modo animistico e antropomorfico e vivono, sentono, ma anche muoiono, e vengono ingaggiati in relazioni piene e intense.
L’oggetto interno diventa allora “un’esperienza inconscia o una fantasia di un oggetto concreto fisicamente situato dentro l’Io (il corpo), che possiede motivazioni o intenzioni proprie nei confronti dell’Io e degli altri oggetti. Tale oggetto possiede una propria esistenza all’interno dell’Io e può identificarsi con esso in grado maggiore o minore (mediante una fantasia di assorbimento, o di assimilazione, con l’Io). Il modo in cui si esperisce l’oggetto interno dipende strettamente da come si è sperimentato l’oggetto esterno – e gli oggetti interni sono, per così dire, specchi della realtà. Ma anch’essi contribuiscono significativamente, tramite la proiezione, al modo in cui gli stessi oggetti esterni vengono percepiti e sperimentati” (Hinshelwood, 1989, 87).
Dunque, come conciliare questa scoperta con la teoria pulsionale alla quale M. Klein si sentiva così legata? M. Klein si rese conto che poteva conservare e integrare entrambi i concetti, di pulsione e di oggetto interno, quando comprese che le relazioni con gli oggetti, instaurate dai bambini, erano fortemente determinati da pulsioni provenienti da fonti libidiche. Per i bambini gli oggetti erano connotati da intenzioni in linea con il loro assetto pulsionale ed erano investiti da numerose identificazioni proiettive. Non è però solo la pulsione a essere proiettata e introiettata, ma anche, concretamente, alcuni frammenti del bambino stesso (ad esempio parti o prodotti del suo corpo). L’oggetto interno è costituito anche da elementi concreti e sensoriali, e alcuni pezzi buoni o cattivi del seno o del bambino, alcuni derivati di essi quali feci, urine o latte, possono essere collocati nell’Io del bambino o espulsi nel seno della madre: “L’oggetto interno kleiniano è un conglomerato di rappresentazioni, di sensazioni e di sostanze: una pluralità, insomma, di oggetti interni assai eterogenei” (Kristeva, 2000, 68-9).
La relazione del bambino con questi suoi oggetti è una fantasia, costituita dai suoi personaggi e da una sua trama. Gli oggetti diventano allora materiale per la vita fantasmatica del bambino, ma anche mezzi per esprimere i suoi bisogni pulsionali, e non solo quindi veicolo di gratificazione pulsionale. Questo cambio di prospettiva si è evoluto in ulteriori arricchimenti teorici, ne è un esempio il lavoro di Susan Isaacs presentato alle Controversal Discussions sulle fantasie inconsce (1948), che descrive come le pulsioni possano trovare espressione nell’inconscio sotto forma di fantasie, in particolare sotto forma di una fantasia di relazione con un oggetto. Questa ulteriore teorizzazione permette di legare ancora di più insieme la prospettiva economica freudiana con quella definita più psicologica, abbracciata poi dal filone delle relazioni oggettuali. Successivi apporti di Bion, Meltzer, e altri autori post-kleiniani sul tema dell’oggetto hanno permesso di descrivere più nel dettaglio la molteplicità e i diversi attributi degli oggetti interni, la loro geografia e organizzazione nel mondo interno.
Quando nasce l’oggetto
Ma torniamo a Freud. In entrambe le opere sopra citate (1905 e 1915) Freud sostiene che l’appagamento pulsionale inizialmente abbia luogo appoggiandosi al soddisfacimento di un bisogno fondamentale per la sopravvivenza, e solo in seguito se ne renda autonomo, come accade nel caso del bisogno nutrizionale: “Nel ciucciare o succhiare con delizia abbiamo già potuto notare le tre caratteristiche essenziali di una manifestazione sessuale infantile” (Freud, 1905, 492-493).
Laplanche e Pontalis (1967) sostengono che proprio il concetto di appoggio permette di districare, almeno in parte, il complesso problema dell’oggetto della pulsione. Ad esempio, per la fase orale, l’oggetto dal punto di vista della pulsione di autoconservazione è ciò che nutre, dal punto di vista della pulsione orale invece è ciò che viene incorporato, “con tutta la dimensione fantasmatica inerente all’incorporazione. L’analisi dei fantasmi orali mostra che questa attività di incorporazione può riguardare oggetti del tutto diversi dagli oggetti alimentari, e definisce allora la relazione oggettuale orale” (Laplanche et Pontalis, 1967, 395).
Il tema dell’oggetto compare proprio nelle parole che seguono, proseguendo con la citazione di Freud sulla suzione infatti egli scrive: “Questa [la manifestazione sessuale infantile] sorge appoggiandosi a una delle funzioni vitali del corpo; non conosce ancora un oggetto sessuale, è autoerotica; e la sua meta è dominata da una zona erogena” (Freud, 1905, 493). L’oggetto in quanto oggetto altro da sé, non è ancora presente dunque secondo Freud, e proprio su questo punto troviamo un importante differenza tra i nostri due autori.
Secondo M. Klein infatti gli oggetti hanno una loro esistenza psichica sin dalla nascita e il neonato esiste in relazione a oggetti che sono sin dal principio distinti dall’Io; esistono dunque relazioni oggettuali sin dal primo giorno di vita. In una nota in Complesso edipico e angosce primitive (1945), M. Klein scrive: “Nella psiche infantile questi oggetti parziali – seno e pene – sono associati in effetti sin dal principio con la madre e con il padre. Le esperienze quotidiane con i genitori e il rapporto inconscio che si costituisce con essi in quanto oggetti interni si agglomerano sempre più con gli oggetti parziali primari e si aggiungono alla loro prominenza nell’inconscio infantile” (Klein, 1945, 396).
Klein spiega anche il perché di questa sua convinzione: “L’ipotesi di uno stadio, che si protrae per parecchi mesi, anteriore alle relazioni oggettuali implica che nel lattante, salvo la libido fissata al suo corpo, non siano presenti impulsi, fantasie, angosce e difese, oppure che questi non siano in rapporto a un oggetto, sicché opererebbero in vacuo. L’analisi di bambini abbastanza piccoli mi ha invece fatto capire che non esiste spinta pulsionale, situazione di angoscia o processo psichico che non coinvolga oggetti, esterni o interni; che, insomma, le relazioni oggettuali sono al centro della vita psichica. Mi ha inoltre fatto capire che l’amore e l’odio, le fantasie, le angosce e le difese sono attivi sin dal principio e che sono indivisibilmente connessi ab inizio a relazioni oggettuali. Queste intuizioni mi hanno permesso di vedere molti fenomeni in una luce nuova” (Klein, 1952, 531).
Apparentemente questa posizione pone M. Klein in netta contrapposizione con il suo maestro, che invece postulava un iniziale stato non oggettuale del bambino piccolo, detto narcisismo primario. Freud però si era a sua volta accorto che pur non sentendo alcun bisogno del mondo esterno, l’Io autoerotico ne ha però necessità perché è da lì che trae gli oggetti indispensabili ad appagare le pulsioni di autoconservazione: “Ebbene, sotto il dominio del principio di piacere si compie nell’Io un’evoluzione ulteriore. Esso assume in sé gli oggetti offertigli, in quanto costituiscono fonti di piacere, li introietta (secondo l’espressione di Ferenczi), e caccia d’altra parte fuori di sé ciò che nel suo stesso interno diventa occasione di dispiacere” (Freud, 1915, 31). Questi processi di proiezione e introiezione, che diventeranno poi un caposaldo della formulazione kleiniana, si pongono come punto nevralgico nell’articolazione di queste due prospettive sull’origine dell’oggetto (ma anche del soggetto).
Come mette in luce Kristeva (2000), la questione tra narcisismo e oggetto è estremamente complessa, perché prima di arrivare a teorizzare una distinzione tra narcisismo primario e secondario, cosa che avviene solo con L’Io e l’Es (1922), Freud aveva considerato il narcisismo come conseguenza di un’identificazione (per esempio nel Leonardo, ne L’uomo dei Lupi e in Schreber), che è un’evoluzione della sopra citata introiezione ferencziana. La domanda dunque è la seguente: “visto che il narcisismo è già l’interiorizzazione di un rapporto, si può parlare di uno stato realmente non oggettuale? Se uno stato non oggettuale esistesse, cosa ancora da dimostrare, la definizione di ‘narcisismo primario’ sarebbe inappropriata, poiché designava inizialmente il riflusso di una relazione” (Kristeva, 2000, 63-64). È dunque la messa a punto del concetto di identificazione da parte dello stesso Freud che, per dirla con Roussillon, “decostruisce il postulato solipsistico del narcisismo. Da quel momento l’esplorazione dell’importanza e dell’influenza dell’oggetto sul funzionamento psichico, considerato come altro-soggetto, è iniziata e resta un tema assolutamente essenziale nella psicoanalisi contemporanea” (Roussillon, 2014, 23).
Conclusioni
In questo breve scritto abbiamo dunque potuto soffermarci sull’evoluzione cui è andato incontro l’oggetto nel tempo e su alcuni importanti punti di contatto e di contrasto tra la concezione di esso formulate da Freud e da M. Klein. Agli analisti successivi, il compito di ampliare queste teorizzazioni, più o meno creativamente, attingendo al proprio personale rapporto con Freud e Klein, divenuti oggetti interni per ciascuno di noi. Vorrei concludere con una citazione di Guignard che mi sembra leghi saldamente insieme queste due prospettive: “Il lungo e troppo corto cammino della vita dà all’essere umano mille e una occasione di stabilire e di sciogliere tutta una rete di relazioni con il mondo esterno, sul modello esuberante delle sue relazioni con gli oggetti interni. Non potrà farlo che nella misura in cui un certo equilibrio economico regola queste relazioni interne. In mancanza di ciò, l’energia pulsionale, che è cieca e di spinta costante, si aprirà un passaggio nei solchi più facili, cioè, nella ripetizione. Ed è qui che l’Io si metterà a soffrire nel modo così sconvolgente descritto da Freud” (Guignard, 1977, 11). Anche gli oggetti interni stessi subiscono tuttavia variazioni nel corso della vita e “in effetti, è forse un compito che dura tutta la vita per tutti noi quello di venire gradualmente a capo della realtà degli oggetti esterni con cui viviamo e che, per introiezione, ci costituiscono”. (Abram e Hinshelwood, 2018, 72, traduzione mia).
Bibliografia
Abram J. E Hinshelwood R. D. (2018). The clinical paradigms of Melanie Klein and Donald Winnicott, Routledge, New York.
Freud S. (1905). Tre saggi sulla teoria sessuale. OSF 4.
Freud S. (1913). Totem e Tabù. OSF 7.
Freud S. (1915). Pulsioni e loro destini. OSF 8.
Freud S. (1922). L’Io e L’Es. OSF 9.
Freud S. (1925). La Negazione. OSF 10.
Guignard F. (1977). Pulsioni e vicissitudini dell’oggetto. Roma, Borla, 2000.
Hinshelwood R.D. (1989). Dizionario di psicoanalisi kleiniana. Milano, Cortina, 1990.
Isaacs S. (1948). The Nature and Function of Phantasy. In International Journal of Psycho-Analysis, 29, 73-97.
Klein M. (1945). Complesso edipico e angosce primitive. In Scritti, 1978.
Klein M. (1952). Le origini della traslazione. In Scritti, 1978.
Klein M. (1978). Scritti 1921-1958. Torino, Bollati Boringhieri.
Kristeva J. (2000). Il genio femminile Melanie Klein. Roma, Donzelli, 2006.
Laplanche J. E Pontalis J.B. (1967), Enciclopedia della psicoanalisi. Roma, Laterza, 2008.
Roussillon R. (2014). Ruolo e funzione dell’oggetto nelle trasformazioni della pulsione. In (a cura di) Munari F. Mangini E. Metamorfosi della pulsione. Milano, Franco Angeli.
Costanza La Scala, Padova
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