"L'Immensità" di Emanuele Crialese

Recensione di Silvia Mondini

L'immensita

Titolo: “L’immensità”, 79° Festival del Cinema di Venezia, in Concorso

Dati sul film: regia di Emanuele Crialese, Italia-Francia, 97’, 2022.

Trailer: https://www.youtube.com/watch?v=5yoF87-GYqg&ab_channel=WarnerBros.Italia

Genere: drammatico, autobiografico

“Io son sicuro che in questa grande immensità qualcuno pensa un poco a me,

non mi scorderà.

Si, io lo so, tutta la vita solo non sarò.

Un giorno troverò un po’ d’amore anche per me.

Per me che sono nullità nell’immensità”

(Don Backy,1967)

 

Il quinto lungometraggio di Emanuele Crialese, già vincitore a Venezia nel 2006 del Leone d’Argento con “Nuovo mondoe nel 2011 del Premio Speciale della Giuria e del Premio Pasinetti con “Terraferma”, é un’opera dichiaratamente autobiografica.

Ambientato nella Roma di fine anni ’70 il film ci immerge in un ritratto di vita familiare d’allora con tanto di padre infedele, madre vittima/ribelle e tre figli che esprimono il disagio attraverso il corpo: la più piccola non mangia, il mezzano mangia troppo, la più grande, Adriana, vorrebbe essere un maschio e si fa chiamare Andrea. Intorno a loro una grande famiglia benestante su cui troneggia una nonna paterna algida e conformista; sullo sfondo i protagonisti dei varietà televisivi del sabato sera, in primis Raffaella Carrá, Patty Pravo e Adriano Celentano, le cui canzoni, tra cui Rumore, L’immensità, Prisencolinensinainciusol, diventano colonna sonora del film.

È quell’immensità che ben rappresenta il legame tra Adri/Andrea e la madre Clara, un legame profondo in cui amore, comprensione e rispetto si mescolano, talora sino a confondersi, con le difficoltà coniugali di Clara e il suo bisogno di evadere da un matrimonio opprimente, trovando rifugio in un mondo immaginario, in una fantasia che facilmente si trasforma in sogno ad occhi aperti quando non comporta distrazioni dalle pesanti conseguenze.

Mi avete fatto male — dice Adriana alla madre — io vengo da un altro pianeta”. E la madre — una Penelope Cruz il cui sguardo dice tutto — incapace di trovare un’altra capacità di ascolto, la stringe silenziosamente a sé, trasmettendole l’amore, ma anche la sua personale difficoltà ad avvicinare psichicamente le sue traversie. Quelle stesse traversie che Adri/Andrea affronta ingerendo un’innumerevole quantità di ostie consacrate, che ruba un giorno in chiesa, “Corpi di Cristo” che incorpora, sorretta dalla speranza di una miracolosa “transizione”.

É questo il filo rosso che attraversa un film che è bene guardare con mente libera, priva di aspettative.

Con l’eleganza che gli è propria Paolo Mereghetti (Corriere della sera, 5 settembre 2022) sottolinea come la dichiarazione di Crialese sulla forte valenza autobiografica del film ci costringa a fare i conti non solo con il film, ma anche con i modi con cui questa sincerità ha preso una forma autobiografica e con quanto questo fatto complichi il lavoro del critico.

Ma noi, che critici non siamo, pur condividendo appieno le considerazioni di Mereghetti da questo traiamo, invece, occasione per riflettere su altre questioni.

In primis, su quel quantum di elaborazione che ha consentito la trasposizione cinematografica di questioni così intime e personali soltanto dopo averle metaforicamente attraversate in due opere — “Terraferma” e “Nuovo mondo” — dedicate al tema delle migrazioni e dei nuovi approdi. Un avvicinamento lento, durato anni, che sembra testimoniare la preliminare necessità dell’artista di staccarsi dalla realtà, di trasfigurarla, per ritornare ad essa (Freud, 1911) e, infine, trasformare l’approdo in un nuovo viaggio.

Un viaggio alla ricerca delle radici in cui l’autore affronta la questione della sofferta identità di genere offrendoci un fermo immagine su Adri/Adrea — una dodicenne che nel femminile trova un “oggetto” d’amore anziché una fonte di identificazione — e su quel periodo storico-culturale in cui la transizione poteva essere pensata solo come miracolo e come orrore.

Tutt’altro mondo, quindi, rispetto ad un’attualità che, come dimostrato anche dalla varietà di film sul tema presenti in questa 79° edizione del Festival, sembra suggerirci che non è il genere a definirci come individui e che l’amore può viaggiare in tutte le direzioni. A noi il compito di riflettere e di interrogarsi su questo. 

Bibliografia

Freud S. (1911), Precisazioni sui due principi dell’accadere psichico. OSF, Bollati Boringhieri, Torino.

Silvia Mondini, Padova

Centro Veneto di Psicoanalisi

silvia.mondini@spiweb.it

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