L’illusione è la cerniera del nostro rapporto con la realtà

di Sarantis Thanopoulos

(Napoli), Psicoanalista Membro Ordinario con funzioni di Training della Società Psicoanalitica Italiana, Presidente della S.P.I.

L’illusione, il tema centrale di questo importante convegno, senza la quale diniego e speranza, le due forze opposte che si contendono lo spazio sia nella vita della Polis sia in quella dei nostri analizzandi, non possono essere definite e comprese in modo rigoroso, è oggetto di fraintendimento continuo da sempre. La intendiamo in due modi contrari: l’illusione poetica e il sogno, da una parte; l’autoinganno, il prendersi in giro dall’altra. Nei vocabolari là si trova definita esclusivamente nel secondo senso. Anche se la sua radice etimologica sia in greco sia in latino rimanda all’essere in gioco. Non è un caso che è stato il grande teorico del gioco Winnicott a valorizzare l’illusione come qualità fondamentale del nostro abitare la vita. Il bambino crea il seno prima di poterlo riconoscere come cosa che già esisteva. E successivamente, nella fase di transizione verso il riconoscimento della diversità, quando il seno, l’oggetto e la realtà saranno riconosciuti come mondo esterno, il bambino crea un oggetto intermedio, transizionale che media tra sé e l’altro da sé. Per questo oggetto è importante che nessuno ponga la domanda: è creato dal bambino o viene da fuori. La domanda non si pone anche per la poesia, per l’arte e per il sogno (che poggiano sull’oggetto transizionale). Neppure per la scoperta scientifica sé vogliamo essere rigorosi.

Calderon della Barca ha detto che la “vita è un sogno” e Shakespeare che “siamo fatti della materia dei sogni”. Viviamo nel sogno, del giorno e della notte. Ogni nostra esperienza vissuta e conosciuta, oggetto di un sapere strutturato e complesso mediato dalla parola, affonda le sue radici nel silenzio della parola, nella co-costituzione reale della nostra materia con la materia dell’altro. Questa co-costituzione dei nostri inizi di vita, che resta come nucleo centrale permanente della nostra soggettività, poggia prima sull’illusione di una fusione con l’altro e dopo sull’illusione, di natura isterica, di essere e, al tempo stesso, non essere ciò che egli è.

Freud quando parla del sentimento oceanico o dell’allucinazione con cui il bambino colma provvisoriamente lo spazio di assenza dell’oggetto (che precede l’allucinazione onirica) apre perentoriamente la strada a Winnicott. Del resto da dove origina la straordinaria intuizione di Winnicott che il bambino crea il seno, se non da un frammento, pubblicato postumo, di Freud in cui si dice che per l’infante l’essere il seno viene prima dell’averlo? Credo di non tradire il pensiero di Freud se traduco la sua affermazione in questo modo: bisogna illudersi di essere il seno (l’oggetto) per poterlo davvero avere.

Freud in L’Avvenire di un’illusione, fa coincidere l’illusione con il suo significato linguistico corrente: l’auto-inganno. A dire il vero lo facciamo tutti, ci allineiamo allo spirito di una società che non si fida dei sogni. Anche quando nei sogni vediamo lo strumento più autentico, seppure complicato e contraddittorio, d’interpretazione desiderante della realtà.

La distinzione essenziale tra l’illusione creativa e l’illusione che in realtà è un autoinganno, sta nel fatto che la prima ci consente di conoscere e vivere la realtà, la seconda la denega. Il diniego è diverso dalla negazione, di cui è usato comunemente come sinonimo. La negazione è il rifiuto di riconoscersi in una rappresentazione, il diniego è il rifiuto della percezione, dell’esistenza reale della cosa rappresentata. Freud dice che il diniego colpisce la percezione del fatto reale dell’assenza del pene nella donna. Nella sostanza dice che il diniego colpisce la madre delle differenze: la differenza dei sessi, la differenza donna-uomo. Ogni diniego della realtà ha le sue radici nel rifiuto della relazione tra le differenze, fondamento del nostro rapporto desiderante con la realtà (senza la differenza il desiderio muore per assuefazione), l’unico che ci permette di conoscerla e abitarla.

Il diniego delle differenze è il fondamento del neutro della monade indifferenziata (dell’“Uno” direbbe Green), la sostituzione dell’inatteso con l’atteso, dell’imprevedibilità con la predeterminazione, del lutto con l’autoreferenzialità, della trasformazione con l’inerzia, la resilienza. Il neutro ispira l’attuale idolatria del simulacro. L’autoinganno, il diniego, sostituisce la rappresentazione alla realtà, ha una natura “pigmalionica” (legata al feticcio) che sia la medicina, lo spettacolo o l’intelligenza artificiale a incarnarla. L’illusione lega la rappresentazione alla realtà, indirizza il desiderio, che ispira la rappresentazione e la abita, verso una soddisfazione che coniuga l’atteso con l’inatteso, la ricerca con la sorpresa, il consueto con la scoperta. Essa è presentimento, premonizione radicata nelle trasformazioni sensuali della nostra materia psicocorporea, nel tessuto vivo della nostra esperienza. È intuizione vivente che estende l’esperienza e il suo senso al di là della sua concretezza. Orienta la nostra permanenza nello spazio in cui ci sentiamo vivi, dove la soddisfazione del desiderio non si chiude nella sua linearità, diventando sfogo, ma si espande, mentre si compie, in direzioni laterali, legandosi ad altre situazioni e implicazioni affettive e mentali del passato e del presente. Grazie all’illusione la soddisfazione compiuta resta insatura, aperta ad altre evoluzioni e prospettive che vengono dal futuro.

L’illusione è indissociabile dalla disillusione, perché convive con il lutto senza il quale perde la sua qualità divinatoria, ma è lontana dal disincanto, il risveglio traumatico dall’autoinganno che può riportare nel diniego diventando cinismo. La speranza è parte dell’illusione, non è mai infondata, a meno che non la si chiude nella trappola dell’attesa compiuta. L’opposto dell’illusione è il diniego, l’opposto vero della speranza non è la disperazione, ma la consolazione.

L’illusione ci consente di guardare la realtà insieme con occhi aperti che osservano e con occhi chiusi (sognanti) che colgono ciò che non si dà a vedere (Pontalis). Impedisce che il rapporto con essa si appiattisca sulla sola percezione, di per sé cieca e insensata. Il diniego fonda tutto sul fallo, il tutto da vedere, che si oppone drasticamente al nulla da far vedere della vagina. Ciò che è denegato, in effetti, è il significato della vagina, la cui percezione non ci rivela affatto la sua intima essenza. La vagina è la rappresentazione metaforica per eccellenza del fatto che il senso della realtà e dell’umanità non sta in ciò che si vede. Il diniego nulla vuole sapere del sogno, vuole vedere sempre a occhi aperti e di conseguenza inventa il tutto a vista, il simulacro privo di vita e di senso a cui assoggettarsi. Contro il simulacro gli analisti devono essere in prima linea, non ritenersi al di sopra delle parti.

Sarantis Thanopulos, Napoli

Centro Napoletano di Psicoanalisi

sarantis.thanopulos@gmail.com

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