Sezione Locale della Società Psicoanalitica Italiana
Recensione di Pierluigi Moressa
L’identità
Milan Kundera
1997 Adelphi, Milano
pagg. 176
Libro di Milan Kundera (1929-2023) pubblicato in Francia nel 1997, “L’identità” fa seguito a “L’immortalità” (1990) e “La lentezza” (1995), precede “L’ignoranza” (2001) e “La festa dell’insignificanza” (2013). I testi, concepiti come romanzi-saggio e dotati di una trama narrativa ben costruita, portano in luce concetti filosofici e riflessioni su temi della vicenda umana. I libri di Kundera vennero proibiti in Cecoslovacchia fin dalla rivoluzione di Praga (1968) a causa dell’opposizione dell’autore al regime comunista. In seguito alla sua dissidenza, Kundera decise di stabilirsi a Parigi nel 1975, dedicandosi a una scrittura esclusivamente in francese. L’utilizzo di una lingua diversa da quella materna contrassegnò l’attività dello scrittore, che proibì per oltre vent’anni la traduzione in ceco del suo più celebre romanzo: “L’insostenibile leggerezza dell’essere” (1984). Anche l’impiego di un linguaggio straniero contrassegna il tratto di una nuova identità, stato necessario a Kundera per continuare a scrivere e a differenziarsi dalla condizione di esule, così da amalgamarsi più intimamente coi nuovi contesti di vita. Entro questo vortice di interrogativi sui mutamenti prodotti dal trascorrere del tempo e dal cambiare dei luoghi pare collocarsi una delle fonti ispirative di Kundera.
A differenza de “L’insostenibile leggerezza dell’essere”, dove entrano in scena quattro protagonisti (il celebre “quartetto di Kundera”), “L’identità” porta in luce la vicenda di una coppia, Chantal e Jean-Marc, osservata con l’attenzione minuziosa prodotta da un asettico resoconto sui movimenti interni e sulle debolezze, sui bisogni e sulle angosce, sugli aspetti minimi della sopravvivenza e sui comportamenti messi in atto per evitare il crollo psichico. La voce narrante dell’autore segue Chantal e Jean-Marc e descrive i loro punti di vista, ma non si avverte empatia per i due protagonisti, esaminati, indagati, quasi sezionati fino alle più intime fantasie. Chantal ha perso un figlio di quattro anni; dopo la sua morte, si è sentita libera di lasciare il marito, seguendo l’improvvisa passione per Jean-Marc, appena conosciuto. Con lui ha potuto realizzare le fantasie sessuali che aveva cercato a lungo di tenere sotto controllo. La loro convivenza presenta, però, uno sbilanciamento: Chantal, col suo lavoro in un’agenzia pubblicitaria, mantiene entrambi, tanto più che Jean-Marc, dopo la rinuncia agli studi di medicina, ha un impiego precario e non riuscirebbe a provvedere nemmeno a sé stesso. L’apertura del testo porta il lettore in una città costiera della Normandia, dove Chantal attende Jean-Marc. Il tema dell’identità, come una nota di fondo, circola fin dalle prime battute. Le cameriere del ristorante parlano dei soggetti scomparsi di cui tratta un noto programma televisivo: “Persi di vista”; è questo un drammatico stato di perdita dell’identità e talvolta della vita. La cosa turba Chantal, che, durante una passeggiata lungo il mare, osserva come sia mutata l’identità degli uomini: si sono “papaizzati”; non sono più dei padri, ma semplicemente dei papà. Questo incide anche su un nuovo, doloroso stato dell’identità di Chantal: “L’uomo trasformato in un albero di bambini sarebbe ancora capace di voltarsi a guardare una sconosciuta?” (ib.,21). Gli stessi papà, sfuggiti momentaneamente ai doveri familiari, corrono a giocare sulla spiaggia, “non tra le braccia delle amanti” (ib.). Chantal percepisce come questo cambiamento produca in lei una constatazione: gli uomini non si girano più a guardarla. Nemmeno Jean-Marc, giunto sulla costa, riesce a distinguere Chantal tra la folla dei villeggianti e la scambia per una donna anziana. Raggiuntala in albergo, sembra non trovare più familiare nemmeno il suo profilo, “come se lui dovesse essere punito per non aver saputo riconoscerla” (ib.,29). A Jean-Marc la donna confida la propria amarezza per non essere più guardata dagli uomini. Questa confessione produce nel compagno una serie di dolorosi interrogativi e innesca riflessioni continue sul rapporto con Chantal. Il protagonista rivede la propria vita: le incertezze durante l’adolescenza, le difficoltà lavorative, l’amicizia tradita da F., un coetaneo ora in stato terminale. Dopo qualche tempo, Chantal inizia a ricevere missive da un misterioso ammiratore che si firma CDB. Questi, oltreché lodarne la bellezza, le rivela di seguirla, di osservarla, di conoscere le sue abitudini e i suoi movimenti. Chantal accoglie dapprima con perplessità poi con emozione l’arrivo delle lettere che una mano anonima inserisce nella buchetta postale e cerca di scoprire l’identità dell’ammiratore fino a una ricerca frenetica che le produce emozioni così forti da farla arrossire dopo tanto tempo. Il sospetto che Jean-Marc sia l’autore delle lettere, scritte per compiacerla, viene confermato da un’indagine grafologica. CDB in realtà sta per Cyrano de Bergerac, il personaggio di Edmond Rostand, innamorato sfortunato e geloso. Gli interrogativi circolano entro la coppia, ma nessuno dei due è disposto a parlarne. Sarà la visita inopportuna dell’ex cognata di Chantal, accompagnata dai suoi tre piccoli figli estremamente invadenti, a far precipitare la situazione. La protagonista, percependo una tacita intesa tra Jean-Marc e l’insopportabile sorella del suo ex marito, porta in luce con rabbia lo sbilanciamento della coppia. Chantal partirà l’indomani per Londra insieme coi propri colleghi per un meeting, inseguita vanamente da Jean-Marc. La donna è apparentemente sulle tracce di un anziano corteggiatore del passato, chiamato Britannicus, ma non è chiaro se lo raggiungerà. Jean-Marc sosta nella notte su un marciapiede londinese dinanzi al palazzo dove immagina sia entrata Chantal per prendere parte a un festino erotico. La donna è raffigurata al culmine di una scena imbarazzante dove si trova nuda sotto gli occhi indifferenti di un interlocutore non più giovane tra persone che non si curano di lei, mentre alcuni operai stanno bloccando le porte e le finestre dell’appartamento per impedirle definitivamente di uscire. La realtà del racconto si tramuta immediatamente in un incubo da cui la donna si risveglia tremante fra le braccia del compagno. Chantal e Jean-Marc sono nel loro letto e si fissano negli occhi. Dopo l’angoscia di perdersi, la promessa è quella di non staccare mai più lo sguardo l’uno dall’altra, lasciando “la lampada accesa tutta la notte. Per tutte le notti” (ib.,76).
Il testo di Kundera è ritmato da un’angoscia: quella della trasformazione peggiorativa e del mutamento identitario, stato culminato nella ricerca mistificante di una nuova dimensione, che illude per un istante i protagonisti e porta all’accensione di emozioni mal tollerabili. La perdita della giovinezza, l’inaridimento dei sentimenti paiono un destino minaccioso e ineludibile. Un sollievo alla tristezza appare, allora, l’adesione al conformismo, stato che presenta la vita come una condizione illusoria in cui si viene trascinati “da una folla rumorosa e spensierata” (ib.,142), dimensione in cui non vi è posto per il pensiero autonomo; è questo il prezzo da pagare per restare con gli altri: “E cos’altro è il conformismo se non l’ampio spazio comune verso cui tutti convergono, e in cui la vita è più intensa, più fervida che altrove?” (ib.). L’identità di madre, rinnegata da Chantal, emerge a tratti nel testo con la forza della nemesi giunta a chiedere conto dell’amore negato al bambino morto; la protagonista si sente non più desiderabile, come inaridita, fino a precipitare nell’abisso di una ricerca di emozioni che non possono contenere gli affetti. Lo stato ipomaniacale della fuga, la ricerca di un passato ridimensionato a pura illusione propongono ulteriori interrogativi: “E io mi domando: chi ha sognato? Chi ha sognato questa storia? Chi l’ha immaginata? Lei? Lui? Tutti e due? Ciascuno per l’altro? E a partire da quale momento la loro vita reale si è trasformata in quell’atroce fantasticheria?” (ib.,75). Il confine tra sogno e realtà, tra finzione e rappresentazione segna i termini dell’identità, stato mutevole e provvisorio, destinato a continue trasformazioni. Kundera indica l’importanza del recupero di affetti solidi e durevoli, di una costanza resa possibile dall’attenzione rivolta all’altro, a un’essenza destinata a mantenersi oltre i mutamenti che la vita impone. L’evoluzione della vita di coppia è il tema che sottende la trama del romanzo e suscita interrogativi. In che misura è possibile legarsi a una persona affrontando i mutamenti di identità portati dal tempo? Quale terrore è contenuto nello scoprire una dimensione estranea del partner? Quanto profondamente è possibile conoscere l’altro? Secondo quali termini si delimitano i confini personali in una relazione? La soluzione alle ambivalenze appare quella di un contatto mediato dallo sguardo, fondato sugli occhi che si cercano, realizzando un legame esteriore e interiore costante.
Echeggia nel finale del romanzo il rimando a una novella di Arthur Schnitzler pubblicata nel 1926: “Traumnovelle” (Doppio sogno) In essa, sono descritte le vicissitudini di una coppia che esce incolume da una serie di avventure reali e sognate. Il risveglio dei protagonisti, anche in questo caso, è accompagnato dalla consapevolezza di poter attraversare la realtà grazie alla constatazione che nessuna concretezza è realmente tale, mentre nessun sogno è interamente sogno. Il risveglio a una realtà quotidiana rassicurante è lo stato provvisorio di un benessere recuperato che apre spiragli verso il futuro: “Rimasero così in silenzio, sonnecchiando anche, l’una vicino all’altro, senza sognare – finché, come ogni mattina, alle sette bussarono alla porta e, con gli abituali rumori della strada, con un vittorioso raggio di luce penetrato attraverso uno spiraglio della tenda e un chiaro riso di bambina dalla stanza accanto, cominciò il nuovo giorno” (Schnitzler, 114). Nel 1999, il testo di Schnitzler conoscerà ulteriore notorietà attraverso la trasposizione cinematografica di Stanley Kubrick: “Eyes Wide Shut”. Il titolo del film (“Occhi spalancati e chiusi”) fa pensare al tema dello sguardo e dell’intuizione reciproca degli stati d’animo compiuta attraverso gli occhi che il romanzo di Kundera pone al centro del più intimo contatto realizzabile nella vita di coppia, specchio di sentimenti che non sempre riescono a trovare parola: “nel tergicristallo della palpebra di Chantal vedeva l’ala della sua anima, l’ala che si dibatteva, tremante e spaurita” (Kundera,1997, 73).
Bibliografia
Kundera M.(1984). L’insostenibile leggerezza dell’essere. Milano, Adelphi, 1985.
Kundera M. (1990). L’immortalità. Milano, Adelphi, 1990.
Kundera M. (1995). La lentezza. Milano, Adelphi, 1995.
Kundera M. (2001) L’ignoranza. Milano, Adelphi, 2001.
Kundera M. (2013). La festa dell’insignificanza. Milano, Adelphi, 2013.
Schnitzler A. (1926). Doppio sogno. Milano, Adelphi, 1977.
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