L’ascesa del nazismo nella visione di Erich Fromm

di Diego Spiller

Fromm nacque nel 1900 a Francoforte in una famiglia di origine ebraiche. Dopo aver ottenuto il dottorato in sociologia si avvicinò al pensiero freudiano e alla psicoanalisi seguendo il training psicoanalitico nell’Istituto di Berlino. Fromm cercò, in gran parte delle sue opere, di integrare la teoria freudiana con la teoria della critica storico-sociale di Karl Marx, autore che influenzò in modo decisivo la sua visione della vita e dell’uomo. Il funzionamento psichico individuale e l’ambiente sociale erano per Fromm interdipendenti. Fromm lavorò, insieme ad Adorno, Horkheimer e Marcuse, nel famoso Institut für Sozialforschung di Francoforte e fu uno dei principali esponenti, con Hurry Stuck Sullivan, Karen Horney, Clara Thompson e Frieda Fromm-Reichmann, di quella corrente di pensiero, nota come Psicoanalisi interpersonale, che si sviluppò verso la fine degli anni ’30 contestando i principi di base della teoria freudiana e attribuendo, rispetto ad essa, maggior rilevanza al contesto sociale e culturale. Dopo la presa del potere in Germania da parte dei nazisti Fromm emigrò, nel 1934, negli Stati Uniti dove compose quasi tutte le sue opere. Scrisse molti saggi di carattere psicologico-sociale, riformulando in modo originale diversi concetti freudiani.

Quello che più ci interessa al fine della comprensione del presente scritto è il concetto di carattere sociale. Esso è la struttura caratteriale comune a gran parte dei membri di una determinata società e nasce dalle condizioni economiche, geografiche, storiche e genetiche di quella società. La società modella il tipo di carattere di cui ha bisogno per la sua sopravvivenza, in modo tale che le persone “vogliono fare ciò che devono fare” per garantire il buon funzionamento della società.

 

Fromm sostiene che per comprendere il fenomeno del nazismo occorre prendere in considerazione simultaneamente i fattori psicologici e quelli sociali-economici-politici. Le interpretazioni che vedono il nazismo esclusivamente come un fenomeno economico (le tendenze espansionistiche dell’imperialismo tedesco) o politico (la conquista dello Stato da parte di un partito politico appoggiato dagli industriali e dagli Junker) o psicologico (la follia di Hitler e di coloro che lo hanno seguito) sarebbero riduttive.

Secondo Fromm una parte della popolazione tedesca si è sottomessa al regime nazista senza ammirarne l’ideologia e la prassi politica, opponendo una blanda resistenza. Un’altra parte invece ha provato una profonda attrazione per l’ideologia nazista e si è fanaticamente legata a coloro che l’hanno promossa. Nel primo gruppo rientravano la classe operaia e la borghesia liberale e cattolica. Nel secondo la classe media inferiore composta da piccoli bottegai, artigiani e impiegati. La classe operaia, alla fine della prima guerra mondiale, aveva nutrito grandi speranze nella realizzazione del socialismo, ma aveva subito un’ininterrotta serie di sconfitte che avevano provocato un profondo sentimento di rassegnazione. Pur rimanendo iscritti ai loro partiti avevano nell’intimo rinunciato a qualsiasi speranza nell’efficacia dell’azione politica. Non hanno quindi dimostrato la resistenza interiore che ci si poteva aspettare dalle loro convinzioni politiche. La propaganda nazista faceva leva sul sentimento di isolamento dell’uomo che, pur di non sentirsi solo, preferiva abdicare ai propri principi morali e aderire ai gruppi di potere. La classe media, invece, ha aderito con crescente fervore all’ideologia nazista. In questa classe i membri della vecchia generazione costituivano la parte più passiva, mentre i figli e le figlie erano i militanti attivi.

Secondo Fromm il motivo per cui i membri di questa classe sono rimasti sedotti dall’ideologia nazista è da attribuire al loro carattere sociale: l’amore per i più forti e l’odio per i più deboli, la meschinità, l’ostilità, l’avarizia, il sospetto per le diversità, l’invidia. L’ideologia nazista basata sullo spirito di cieca obbedienza a un capo, sull’odio contro le minoranze razziali e politiche, sulla brama di conquista e di dominio e sull’esaltazione del popolo tedesco e della “razza nordica”, non poteva che esercitare una potente attrazione su queste persone tanto da trasformarli in ferventi seguaci e militanti della causa nazista. Gli appartenenti a questa classe avevano un forte desiderio di sottomissione e un’intensa brama di potere. Questi tratti si sono amplificati dopo il primo conflitto mondiale per diversi motivi: il declino economico di questa classe accelerato dall’inflazione e più tardi dalla depressione seguita al 1929 che hanno scosso i principi del risparmio e della parsimonia; il crollo della monarchia e dell’autorità dello Stato su cui il piccolo borghese aveva costruito le sue certezze; la perdita di prestigio sociale che riportava i piccoli commercianti al livello economico degli operai; la perdita di autorità dei genitori rispetto ai figli, conseguente alla perdita di autorità delle istituzioni sociali, che minava alla base l’ultima roccaforte della sicurezza della classe media, la famiglia. Il declino economico della classe media, inoltre, privava i genitori della loro funzione economica di garanti dell’avvenire economico dei figli. La vecchia generazione diventava sempre più amara e risentita, passiva. La nuova generazione aspirava all’azione: il mercato professionale era saturo e non era più possibile pensare a un’indipendenza economica come quella che avevano avuto i genitori.

Il sentimento d’inferiorità e la crescente frustrazione sociale della classe media sono stati trasformati in risentimento nazionalistico, sfruttato ad arte dal nazionalsocialismo. La sconfitta nazionale subita nella prima guerra mondiale e il trattato di Versailles divennero i simboli su cui si trasferì la frustrazione reale, che era quella sociale. Hitler era un tipico rappresentante della classe media inferiore. Si sentiva uno “zero”, uno “sconosciuto”, un escluso e vedeva nel grande Reich tedesco, diventato per lui simbolo del prestigio sociale e della sicurezza, una possibilità di riscatto dal sentirsi una nullità.

Alla base dell’ascesa del nazismo occorre però considerare oltre a queste condizioni psicologiche anche quelle economiche e politiche, in particolare il ruolo svolto dai rappresentanti della grande industria e dagli Junker (grandi proprietarie terrieri). Senza il loro appoggio, fondato su interessi economici, Hitler non avrebbe mai vinto.

Questa classe di proprietari, sentendosi minacciata nei propri privilegi, sosteneva che la democrazia non funzionava. In parlamento (composto prevalentemente da socialisti e comunisti e da un numero crescente di deputati nazisti) questa minoranza veniva osteggiata in quanto il sistema parlamentare non poteva più conciliarsi con l’esigenza di mantenere i privilegi della grande industria e dei proprietari terrieri semi-feudali. Gli esponenti di questi gruppi privilegiati speravano che il nazismo avrebbe deviato il risentimento emotivo che li minacciava verso altri obiettivi, e che contemporaneamente avrebbe aggiogato la nazione al servizio dei loro interessi economici. Essi non rimasero delusi benché dovettero spartire con i nazisti il loro potere e a volte sottomettersi. Il nazismo, pur dimostrandosi economicamente deleterio a tutte le altre classi, ha favorito l’interesse dei gruppi più potenti dell’industria tedesca. Se da un lato quindi il nazismo ha sfruttato psicologicamente il malcontento e mobilitato le energie emotive della classe media, dall’altro ha intessuto, per fini imperialistici, rapporti di mutuo interesse con gli industriali tedeschi e gli Junker. Hitler si presentava come il messia della classe media facendo promesse che non ha mai mantenuto. Una peculiarità del nazismo è stato infatti l’esasperato opportunismo.

Fromm amplia la propria analisi del nazismo considerando la struttura caratteriale autoritaria di Hitler. Il carattere autoritario è caratterizzato dalla simultanea presenza di impulsi sadici e masochistici. Hitler amava e disprezzava le masse in maniera tipicamente sadica. Le masse dovevano provare piacere nell’essere dominate e soccombere alla volontà della personalità potente. Nel contempo le esaltava provocando un senso di isolamento verso chi non vi apparteneva. Volgarizzava e strumentalizzava la teoria darwiniana del dominio del forte sul debole e dell’istinto di conservazione della specie per giustificare il proprio sadismo e la propria brama di potere. Ma vi è anche un aspetto masochistico nel carattere autoritario: l’aspirazione a sottomettersi a un potere dalla forza irresistibile, ad annullare l’Io. Il potere superiore al quale Hitler si sottomette è Dio, il Destino, la Necessità, la Storia, la Natura. Lo spirito di sottomissione veniva sistematicamente inculcato alle masse: l’individuo è una nullità e non conta, deve dissolversi in un potere più alto e sentirsi fiero di partecipare alla forza e alla gloria di questo potere. Queste due tendenze del carattere autoritario, la brama di potere sugli uomini e il desiderio di sottomissione ad un potere più forte, si esprimono coerentemente nell’ideologia nazista che si indirizzava a persone che, avendo una struttura di carattere analoga, si sentivano attratte ed eccitate da questo insegnamento e sono diventate ardenti seguaci dell’uomo che esprimeva ciò che esse provavano. A tal fine era funzionale, a livello politico, creare una gerarchia in cui ognuno ha sopra di sé qualcuno a cui sottomettersi e ha sotto di sé qualcuno verso cui sentirsi potente.

 

 

Bibliografia

 

Freud S. (1921). Psicologia delle masse e analisi dell’Io. O.S.F., 9.

Fromm E. (1941). Fuga dalla libertà. Milano, Mondadori, 1987.

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Fromm E. (1979). Grandezza e limiti del pensiero di Freud. Milano, Mondadori, 1979.

Fromm E. (1983). L’amore per la vita. Letture radiofoniche. A cura di Hans Jürgen Schultz, Milano, A. Mondadori, 1984.

Greenberg J.R., Mitchel (1983). Le relazioni oggettuali nella teoria psicoanalitica. Bologna. Mulino, 1986.

 

Diego Spiller, Vicenza

Centro veneto di Psicoanalisi

diegospiller@gmail.com

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