Sezione Locale della Società Psicoanalitica Italiana
di Mariagrazia Capitanio
Klein ha sviluppato in maniera congruente, coerente e originale l’assunto freudiano relativo alle pulsioni di vita e di morte cogliendone l’implicazione di fondo: la loro interazione governa l’intera attività psichica. In questo modo ha contribuito ad ampliare in maniera a mio avviso determinante le conoscenze relative alla salute psichica e ai suoi disturbi. Facendo espressamente ricorso alle parole stesse dell’Autrice in modo da riportare il più fedelmente possibile il suo pensiero[1], in questa stringata nota mi soffermerò sui due temi ora menzionati facendo riferimento soprattutto ad alcuni lavori comparsi dal 1957 in poi[2] i quali potrebbero essere considerati una sorta di ‘compendio’ della sua ultima concettualizzazione.
I processi di scissione e alcune loro conseguenze.
Per quanto riguarda la genesi e il mantenimento sia della salute che della malattia sappiamo quanta importanza l’A. abbia dato ai processi primari di proiezione, introiezione[3] e scissione. A quest’ultimo proposito sottolinea a più riprese l’importanza di quella ‘riuscita con successo’[4] – precondizione necessaria per poter costituire l’oggetto buono”[5] – in quanto essenziale per proteggere la parte buona dell’Io e dell’oggetto e per neutralizzare l’insicurezza paranoide. La scissione ‘fisiologica’ sta alla base di una relativa sicurezza nel bambino[6] (cfr.1963b, 140) e, unitamente alla proiezione ha, come aveva già detto, “una importanza sostanziale sia nello sviluppo normale che nelle relazioni oggettuali anormali”;[7] nel suo ultimo libro ribadisce: “Il seno buono come nucleo dell’Io è secondo me una condizione preliminare fondamentale per lo sviluppo dell’Io”.[8]
“I processi di scissione […], se sono eccessivi, formano parte integrante di gravi tendenze paranoidi e schizoidi che possono essere la base della schizofrenia”:[9] in base a questo e ad altri passaggi credo di poter dire che, per M. Klein, ciò che conta è il fattore quantitativo sia per quanto riguarda le pulsioni sia per quanto riguarda l’Io (maggiore o minore forza, v. oltre). Per quanto riguarda l’invidia eccessiva – l’invidia è “un’espressione sadico-orale e sadico-anale degli impulsi distruttivi, operante fin dall’inizio della vita e avente una base costituzionale”[10] –, essa può interferire “con la scissione primaria tra seno buono e seno cattivo, e la costruzione di un oggetto buono non può essere portata a termine adeguatamente. Pertanto, non viene messa la base per una personalità adulta pienamente sviluppata e integrata”.[11] Cosa non da poco, dal momento che l’integrazione – che “deriva dalla conoscenza inconscia che l’odio può essere mitigato dall’amore e che, se i due sono tenuti separati, tale mitigazione non può avere successo”[12] – è alla base della salute mentale e della correlata “capacità di godere, in ogni età della vita, dei piaceri disponibili”.[13] Per quanto riguarda l’Io, “penso – dice M. Klein – che vi sia una connessione tra il prevalere di uno o dell’altro istinto e la forza o la debolezza dell’Io. Spesso mi sono riferita alla forza dell’Io in rapporto alle angosce che deve affrontare come di origine costituzionale. […]. Le angosce imposte ad un Io debole portano ad un uso eccessivo di difese quali il diniego, la scissione, l’onnipotenza […]. Un Io costituzionalmente forte non diventa facilmente preda dell’invidia ed è maggiormente in grado di effettuare la scissione tra buono e cattivo”.[14]
“Con la forza crescente dell’Io, sorge la posizione depressiva”[15] mediante la quale l’Io sviluppa gradatamente una delle sue funzioni principali, quella di affrontare il mondo esterno e di “rafforzare il senso di realtà”[16] (1960b, ed. ing. 272). Con la posizione depressiva “il bambino esperisce il desiderio di riparazione (wish for reparation) e questa tendenza gli reca sollievo perché, nel compiacere la madre, egli sente di annullare il danno che nelle sue fantasie aggressive le ha inflitto.
La capacità di dare espressione a questa spinta (urge) è uno dei principali fattori che lo aiuta a superare, entro una certa misura, la depressione e la colpa. Se invece egli non può sentire ed esprimere il desiderio di riparazione – e ciò significa che la sua capacità di amare non è sufficientemente forte – il bambino può tornare a incrementare i processi di scissione. Tale scissione può danneggiare doni e talenti poiché questi sono spesso rimossi (repressed) insieme ai sentimenti dolorosi che sono alla base dei conflitti infantili. Pertanto, il fatto che l’infante non sia capace di esperire conflitti dolorosi comporta grandi perdite anche in altre aree quali lo sviluppo degli interessi, la capacità di apprezzare gli altri, di provare piaceri di vario tipo”.[17]
Klein prende in considerazione diverse “modalità […] dei processi di scissione”[18] e, di solito, impiega il termine process al plurale[19] in quanto essi sono correlati con alchimie difensive diverse e con effetti diversi. Oltre a quelli che presiedono alla scissione ‘sana’, vi sono quelli che portano alla frammentazione, nociva per l’Io e per la sua forza;[20] quelli che stanno alla base della rimozione;[21] quelli connessi a un “forte impulso (impetus) a respingere le figure terrificanti negli strati profondi dell’inconscio”;[22] quelli fortemente caratterizzati dal diniego onnipotente della realtà esterna e della realtà psichica.[23] Il diniego – che è in stretta relazione con i “deliri di grandezza e di persecuzione della schizofrenia”[24] e che si trova in tutte le difese primitive quali l’onnipotenza, l’idealizzazione e, appunto, la scissione – “è il mezzo per affrontare ogni situazione spaventosa o dolorosa”.[25] L’incapacità di fare i conti con i conflitti interni, con la varietà e contraddittorietà di impulsi e sentimenti, di tollerare ed affrontare le emozioni dolorose – tutto ciò è sintetizzato nella parola shallowness (superficialità) – “è connessa al diniego dei conflitti interni e delle difficoltà esterne. Il ricorso eccessivo al diniego è dovuto al fatto che l’Io non è sufficientemente forte per fronteggiare il dolore”:[26] “la salute mentale non è compatibile con la superficialità”.[27]
Alcuni aspetti della psicopatologia
Quando i normali processi di introiezione, proiezione e scissione falliscono, quando cioè l’Io non riesce a proteggersi in maniera adeguata dall’eccesso di angoscia, vengono poste le basi per lo sviluppo di gravi disturbi. Come sappiamo, M. Klein riteneva che i punti di fissazione di tutti i disturbi psicotici andassero rintracciati nella primissima infanzia.[28] Dai disturbi nella posizione schizo-paranoide derivano non solo la schizofrenia e la paranoia, ma anche alcune forme di ritardo cognitivo,[29] il ritiro[30] e la confusione. A quest’ultimo proposito, M. Klein specifica: “Quando la normale scissione tra amore e odio e tra oggetto buono e oggetto cattivo non avviene con successo, può sorgere confusione tra oggetto buono e oggetto cattivo. Ritengo che questa sia la base di ogni tipo di confusione – sia che si tratti di stati confusionali gravi sia di forme più blande quale l’indecisione – cioè una difficoltà a concludere e a pensare con chiarezza”.[31] La confusione deriva “dalla frammentazione e dall’uso eccessivo della identificazione proiettiva per cui egli [lo schizofrenico] si sente non solo costantemente disgregato ma anche confuso con altre persone. È allora incapace di distinguere tra le parti buone e quelle cattive del sé, tra l’oggetto buono e quello cattivo e tra la realtà esterna e interna. Per questo lo schizofrenico non può capire sé stesso o avere fiducia in sé stesso”.[32] E ancora: la confusione contribuisce alla solitudine dello schizofrenico. Egli è stato incapace di internalizzare il proprio oggetto primario in modo da farne un oggetto buono e non può dunque fare assegnamento né su di un oggetto buono esterno ed interno né sul proprio sé. Tutto ciò “è connesso col senso di solitudine, giacché esso accentua il sentimento dello schizofrenico di essere rimasto solo […] con la sua infelicità”.[33]
Integrazione.
Altrettanto importanti per la salute sono i processi di integrazione la cui spinta – già presente nei primi mesi di vita accanto alla tendenza a compiere la scissione – cresce col crescere dell’Io.[34] Integrare significa riunire le parti scisse dell’Io e dell’oggetto, gli impulsi distruttivi e gli impulsi d’amore.[35] Assumendo che l’introiezione dell’oggetto buono è essenziale per il compimento dei processi integrativi, uno dei fattori che la stimolano – scrive M. Klein nel suo ultimo lavoro (pubblicato postumo e probabilmente incompleto[36]) Sul senso di solitudine (1963b) – sta nel fatto che “i processi di scissione mediante i quali l’Io primitivo tenta di contrastare l’insicurezza sono efficaci temporaneamente e l’Io è spinto a tentare di venire a patti con gli impulsi distruttivi. Questa spinta contribuisce al bisogno d’integrazione”.[37] “Quest’ultima, una volta compiuta, avrebbe l’effetto di attenuare l’odio per mezzo dell’amore e in questo modo di rendere meno potenti gli impulsi distruttivi. L’Io proverebbe allora un senso di maggiore sicurezza non solo per quanto riguarda la sua stessa sopravvivenza, ma anche la conservazione del suo oggetto buono. È questo, tra gli altri, il motivo per cui la mancanza di integrazione è estremamente penosa[38]”.[39] Ma l’integrazione è penosa anche perché ha la sua origine in conflitti interni che, tra l’altro, conservano inalterata la loro forza per tutta la vita:[40] essa comporta infatti il porsi di fronte ai propri impulsi distruttivi e alle parti odiate del sé che, talvolta, appaiono incontrollabili e quindi pericolosi per l’oggetto buono. Sorge così “l’angoscia che gli impulsi distruttivi possano sommergere i sentimenti d’amore e mettere in pericolo l’oggetto buono”.[41] Da qui nasce un conflitto (fonte di sofferenza) “tra il perseguire l’integrazione come protezione contro gli impulsi distruttivi e il temerla per paura che quegli impulsi mettano in pericolo la vita dell’oggetto buono e delle parti buone di sé”.[42] Ma la sofferenza non si ferma lì perché l’integrazione e lo sviluppo del senso della realtà indeboliscono l’onnipotenza: ciò contribuisce “al dolore dell’integrazione, poiché significa una diminuita capacità di sperare”.[43] La speranza, continua M. Klein, deriva anche dalla forza dell’Io e dalla fiducia in sé stessi e negli altri, ma l’onnipotenza ne fa sempre un po’ parte. “Integrazione significa anche perdere una parte dell’idealizzazione – sia dell’oggetto sia di una parte di sé – che ha colorato fin dall’inizio il rapporto con l’oggetto buono. Il rendersi conto che l’oggetto buono non può mai avvicinarsi alla perfezione che ci si aspetta da quello ideale porta alla de-idealizzazione: e ancor più doloroso è il rendersi conto che non esiste una parte di sé realmente ideale”.[44] L’integrazione si realizza gradualmente[45] e la sicurezza stessa, che per suo tramite si raggiunge, può venire incrinata durante tutto il corso della vita dalla pressione di avvenimenti interni o esterni. Ciò non toglie che essa, quando è raggiunta e sufficientemente istallata, si manifesta con la possibilità – grazie ad una relativa libertà dall’invidia e dal risentimento – di provare gratitudine e generosità; di poter avere esperienze profonde di dolore e di gioia; di condividere con gli altri cordoglio, sfortuna, gioie; di provare sentimenti di mancanza per le possibilità non realizzate e per i piaceri dell’infanzia riuscendo, allo stesso tempo, a mitigare tutto ciò con piaceri sostitutivi.[46] Essa corrisponderebbe allo stato, mai definitivamente raggiunto, di salute mentale.
Due importanti messe a punto.
In A Note on Depression in the Schizophrenic M. Klein mette in evidenza, riprendendo quanto aveva precedentemente accennato[47] che: “le emozioni di depressione e di colpa, che si sviluppano più pienamente nello stadio in cui sorge la posizione depressiva sono già (secondo i miei nuovi concetti) in qualche misura operative durante la fase schizo-paranoide”.[48] Questo vuol dire che, pur considerando valida la tesi del 1935 secondo cui tale posizione “è collegata ai processi di scissione e contiene i punti di fissazione per il gruppo delle schizofrenie, mentre quella depressiva contiene i punti di fissazione per le malattie maniaco-depressive”[49], la distinzione tra “l’angoscia paranoide, concentrata sulla conservazione dell’Io, e quella depressiva, che si concentra sulla conservazione del buon oggetto interiorizzato ed esterno […] è troppo schematica.[50] Per molti anni ho sostenuto che all’inizio della vita post-natale l’internalizzazione dell’oggetto buono è alla base dello sviluppo. Ciò implica che una certa internalizzazione dell’oggetto buono si verifica anche nello schizofrenico paranoico. Dalla nascita in poi, tuttavia, in un Io privo di forza e soggetto a violenti processi di scissione, l’internalizzazione dell’oggetto buono differisce in natura e forza da quella del paziente maniaco-depressivo. È meno permanente, meno stabile e non consente un’identificazione sufficiente con esso. Tuttavia, poiché una qualche interiorizzazione dell’oggetto si verifica, l’angoscia dell’Io – vale a dire l’angoscia paranoide – è destinata a includere anche qualche preoccupazione per l’oggetto”.[51] Questo significa che l’angoscia depressiva e la colpa sono sentite dallo schizofrenico in un modo particolare: “La colpa dello schizofrenico riguarda la distruzione di qualcosa di buono in sé stesso e anche l’indebolimento del proprio Io attraverso processi di scissione. [Inoltre], a causa di processi di frammentazione e a causa della violenza con la quale questa scissione si svolge nella schizofrenia, l’angoscia depressiva e la colpa sono fortemente scisse. Mentre l’angoscia paranoide viene sperimentata in molte parti dell’Io scisso e quindi predomina, la colpa e la depressione sono vissute solo in alcune parti che sono sentite dallo schizofrenico irraggiungibili finché l’analisi non le porta alla coscienza”.[52] Inoltre, lo schizofrenico usa l’identificazione proiettiva, che in lui è molto forte, per “proiettare depressione e senso di colpa nell’oggetto: durante il processo analitico principalmente sull’analista […]. Se la spinta a riparare è mobilitata dall’analisi degli impulsi distruttivi e del processo di scissione, possono essere fatti passi verso il miglioramento, e talvolta verso una guarigione. I mezzi per rafforzare l’Io, per consentire allo schizofrenico di sperimentare la bontà della scissione sia di sé stesso che dell’oggetto, si basano in una certa misura sulla guarigione del processo di scissione e quindi sulla riduzione della frammentazione, il che significa che le parti perdute del sé gli diventano più accessibili. Al contrario, credo che sebbene i metodi terapeutici per aiutare lo schizofrenico atti a metterlo in grado di svolgere attività costruttive siano utili, essi non sono duraturi come l’analisi degli strati profondi della mente e dei processi di scissione”.[53]
Poco tempo prima di questa messa a punto, M. Klein ne introduce un’altra che, come annota anche O’Shaughnessy (1975, 334), appare come un vero e proprio cambiamento che merita di essere indagato e che sembra aprire nuovi scenari nel pensiero dell’A.
In un primo tempo[54] M. Klein aveva collocato nel Super-io il ‘luogo’ ove ‘albergano’ le figure terrificanti il cui predominio sulla psiche è caratteristico della psicosi. Nel 1958 invece pensa che, sotto l’intensa pressione dovuta all’angoscia, gli oggetti terrifici “siano scissi dall’Io e relegati negli strati più profondi dell’inconscio […] mediante una scissione […] diversa da quella che determina la formazione del Super-io. La diversità – questo può forse far luce sulle molte modalità ancora oscure dei processi di scissione – consiste nel fatto che mentre nella scissione delle figure terrificanti appare predominante il disimpasto delle due pulsioni, in quella che produce la formazione del Super-io appare predominante il loro impasto[55]. Per questo motivo il Super-io si installa di norma in stretto rapporto con l’Io ed è compartecipe dei differenti aspetti dell’oggetto buono, cosa che consente all’Io di integrare in sé e di accettare in misura maggiore o minore il Super-io. Al contrario, le figure estremamente cattive non sono accettate dall’Io ma sono costantemente rigettate (rejected)[56] […]. Io ritengo che le figure terrificanti esistenti negli stati profondi dell’inconscio tornino a far sentire la loro presenza ogni volta che la pressione interna o esterna diventa estrema. Gli individui complessivamente stabili – vale a dire coloro che hanno installato saldamente dentro di sé l’oggetto buono e che si identificano fortemente con esso – potranno sopraffare questa intromissione dell’inconscio più profondo nell’Io e riconquistare la loro stabilità. Negli individui nevrotici invece, e ancor più negli psicotici, la lotta contro i pericoli che minacciano dagli strati profondi dell’inconscio sarà in una certa misura un conflitto permanente e una componente della loro instabilità psichica o della loro psicosi”.[57]
Purtroppo, M. Klein non chiarisce ulteriormente cosa intende per ‘strati profondi dell’inconscio’ nemmeno quando ribadisce il concetto qualche anno dopo in Alcune riflessioni sull’Orestiade[58]; tuttavia quel che a mio parere ci fa capire che si tratta proprio di una novità sta nel fatto che in questa occasione rimanda (in una nota) proprio all’articolo del 1958 e non a lavori precedenti.
O’Shaughnessy – che nella edizione di Invidia e gratitudine a cura di M. Masud R. Khan ha scritto alcune note esplicative relative ai vari articoli là raccolti – ritiene che tali terrificanti figure interne (che risultano da un’intensa distruttività) “esist[a]no in una area separata della mente […] scisse sia dall’Io che dal Super-io, dove rimangono non integrate e non modificate dai normali processi di crescita” (1975, 332). Molto tempo dopo (1999) riterrà che M. Klein pensasse che “ci fosse un altro Super-io primitivo [oltre a quello primitivo pre-edipico], formatosi per una defusione degli istinti, un Super-io che stava in disparte e non era modificato dai normali processi di crescita[59]”. La ‘novità’ kleiniana, a quanto sembra, interrogò O’Shaughnessy per anni. Da chi altri è stata colta ed eventualmente sviluppata? Ma questa è … un’altra Nota.
Bibliografia
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O’Shaughnessy E. (1999). Relating to the Superego. International Journal of Psychoanalysis, 80(5):861-870.
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[1] Per alcune citazioni ho preferito ricorrere a una mia traduzione; in questo caso riporterò il riferimento sia alla ed. ing. che a quella it.
[2] Compreso uno non ancora tradotto (1960a): A note on Depression in the Schizophrenic – la traduzione è mia – e un altro la cui traduzione è di difficile reperimento (1960b): On Mental Health; tradotto da A. Sabatini Scalmati in Richard e Piggle, 2, 1, 1994); nel presente lavoro, però, la traduzione è mia.
[3] Cfr. Klein M. (1958), ed. it.542; (1959), ed. it.12; (1963a), ed. it. 40. D’ora in poi, relativamente ai lavori di M. Klein, sarà citato solo l’anno.
[4] Successful primal splitting. Klein M. (1957), ed.ing.191; ed.it. 37.
[5] (1957); ed. it. 109.
[6] Cfr. (1963b); ed. it. 140.
[7] (1946); ed. it. 418.
[8] (1961); ed. it. 450.
[9] (1957); ed. it.112/3.
[10] (1957); ed. it. 9.
[11] (1957); ed. ing.192, ed.it.37.
[12] (1960b); ed. it. 274.
[13] Cfr. (1960b); ed. ing. 268. Ricordo anche che l’’integrazione della personalità del paziente è lo “scopo finale della cura psicoanalitica” (1957, ed. it. 112).
[14] (1957); ed. it.108-09.
[15] (1964); ed. it. 264.
[16] (1960b); ed. ing.272.
[17] (1960b); ed. ing. 272.
[18] Cfr. (1958); ed. it. 545 e v. oltre.
[19] Cfr. ad es. (1952); ed. it. 466: “E ‘insito nella complessità della vita emotiva nella primissima infanzia che una gran quantità di processi operino alternandosi rapidissimamente o addirittura, a quanto pare, simultaneamente. Per esempio, sembra chiaro che insieme alla scissione del seno in due configurazioni, quella del seno amato e quella del seno odiato […], operi una scissione di tipo diverso, quella che dà origine alla sensazione che l’Io, alla pari del suo oggetto, sia in frantumi; tali processi sono alla base di stati di disintegrazione”. Cfr. inoltre (1959), 18.
[20] Cfr. (1963b); ed. it. 140.
[21] Cfr. (1952); ed. it. 487.
[22] (1963a); ed. it. 40-1.
[23] Cfr. (1946); rispettivamente 410 e 416, ed. it.
[24] (1946); ed. it. 416.
[25] (1960b); ed. ing.274.
[26] (1960b); ed. ing.270.
[27] Cfr. (1960b); ed. ing. 270.
[28] Cfr. (1946); ed. it. 409-10.
[29] Cfr. (1946); ed. it. 419.
[30] Cfr. (1946); ed. it. 419-29.
[31] (1957); ed. it. 85.
[32] (1963b); ed. it.146.
[33] (1963b); ed. it. 146.
[34] Cfr. (1963b); ed. it.140.
[35] Cfr. (1963b); ed. it. 142 e 145.
[36] Cfr. la nota di O’Shaughnessy E., 1975, 336.
[37] (1963b); ed. ing. 301, ed. it. 142. Corsivo mio.
[38] Corsivo mio.
[39] (1963b); ed. it. 142.
[40] Cfr. (1963b); ed. it. 162.
[41] (1963b); ed. it.142.
[42] (1963b); ed. it.142.
[43] (1963b); ed. ing. 304, ed.it 147.
[44] (1963b); ed. ing. 305, ed. it. 148.
[45] Una certa integrazione (che, seppur rudimentale, è concomitante ai processi primari di scissione) “è possibile solo in quanto nell’impasto tra le due pulsioni predomina la pulsione di vita” (1958, ed. it. 547).
[46] Cfr. (1960b).
[47] Cfr. (1948); ed. it. 445.
[48] (1960a); ed. ing. 264.
[49] (1960a); ed. ing. 264.
[50] Corsivo mio.
[51] (1960a); ed. ing. 265.
[52] (1960a); ed. ing. 265-66.
[53] (1960a); ed. ing. 266-67.
[54] Cfr. ad es. nei lavori del 1952, ed. it.470 e del 1948, ed. it. 440; ma anche nello stesso articolo del 1958, ed. it. 544.
[55] Corsivo mio.
[56] Traduzione mia. (1958); ed. ing. 87; ed. it. 545.
[57] (1958); ed. it. 545 e 547.
[58] Cfr. (1963a); ed. ing. 277 [“There are many other processes of splitting, such as fragmentation and a strong impetus to relegate the terrifying figures into the deep layers of the unconscious” (1963a, 277)]. Mi sono già riferita a questa citazione a proposito dei processi di scissione , ed.it. 41).
[59] “As is also well known, in her early writings Klein (1932) described fears of punishment and feelings of remorse in small children arising from a primitive pre-oedipal superego. What has been taken less notice of is that she came to think (Klein, 1958) that there was another early superego, formed in a defusion of the instincts, a superego that stood apart and was unmodified by the normal processes of growth” (1999, 862).
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