L’ Io ideale nell’opera di Daniel Lagache: una nota

di Mariagrazia Capitanio

In Psicologia delle masse e analisi dell’Io (1921) Freud, usando più volte il termine di ideale dell’Io (Ich-ideal), scrive: “Già in precedenti occasioni abbiamo dovuto avanzare l’ipotesi che nel nostro Io si sviluppi una istanza suscettibile di separarsi dal resto dell’Io e di entrare con esso in conflitto. L’abbiamo chiamata ideale dell’Io e le abbiamo attribuito come funzioni l’autosservazione, la coscienza morale, la censura onirica e l’influsso determinante nel processo di rimozione. Abbiamo detto che essa è l’erede del narcisismo originario nel quale l’Io del bambino bastava a sé stesso. Essa a poco a poco fa proprie, traendole dagli influssi dell’ambiente, le richieste che quest’ultimo pone all’Io e a cui l’Io non sempre si dimostra pari: di modo che, qualora non possa essere soddisfatto del proprio Io in quanto tale, l’uomo possa trovare la propria soddisfazione nell’ideale dell’Io differenziatosi dall’Io. Abbiamo poi stabilito che nel delirio di essere osservati la scissione di questa istanza diventa palese rivelando fra l’altro la propria provenienza dagli influssi delle autorità, in primo luogo dall’autorità parentale. […] La misura dello scostarsi di questo ideale dell’Io dall’Io reale è assai variabile da individuo a individuo e […] in molti casi questa differenziazione all’interno dell’Io non va al di là di quella già esistente nel bambino” (Freud S., 1921, 297-8).

Una “precedente occasione”, come egli stesso ricorda in nota, si trova nell’ Introduzione al narcisismo (1914): “Non ci sarebbe niente di strano se riuscissimo a identificare una speciale istanza psichica che assolve il compito di vigilare affinché a mezzo dell’ideale dell’Io sia assicurato il soddisfacimento narcisistico, e a tal fine osserva costantemente l’Io attuale commisurandolo a questo ideale. Se tale istanza esiste, non è possibile che ci accada di scoprirla: possiamo solo riconoscerla come tale e ci è lecito dichiarare che ciò che chiamiamo la nostra “coscienza morale” ha questa prerogativa.[…] L’esigenza di formare un’ideale dell’Io su cui la coscienza morale è incaricata di vigilare è scaturita nell’individuo per opera delle critiche che i suoi genitori gli hanno rivolto a voce, alle quali nel corso del tempo si sono associati gli educatori, i maestri e l’incalcolabile e indefinita schiera di tutte le altre persone del suo ambiente (il suo prossimo e la pubblica opinione). […] L’istituzione della coscienza morale è stata in fondo in un primo tempo una incarnazione delle critiche dei genitori e in seguito di quelle della società. […] Se ci addentriamo ulteriormente nella struttura dell’Io potremmo riconoscere nell’ideale dell’Io e nelle manifestazioni dinamiche della coscienza morale anche il censore del sogno” (Freud S., 1914, 465-55-67).

Qualche tempo dopo Freud – nella lezione 26 dell’Introduzione alla psicoanalisi (1915-17) intitolata ‘La teoria della libido e il narcisismo’– aveva fatto riferimento a contenuti analoghi usando il termine Io ideale (Ideal-ich): parlando del delirio di essere osservati scrive che il malato “avverte nel suo Io il dominio di una istanza che commisura il suo Io attuale e ognuna delle sue attività a un Io ideale che egli è venuto creandosi nel corso del suo sviluppo. Riteniamo inoltre che tale creazione sia stata effettuata nell’intento di ripristinare quella autosoddisfazione che era collegata al narcisismo infantile primario, ma che da allora è stata così sovente turbata e mortificata. L’istanza osservatrice ci è nota come il censore dell’Io, la coscienza morale; è la stessa che nottetempo esercita la censura onirica” (Freud S., 1815-1917, 578).

Poco dopo  Psicologia delle masse, ne  L’ Io e l’Es  (1922)  Freud, proprio nel paragrafo 3, quello dedicato  a L’Io e  Super-io (ideale dell’Io) in cui per la prima volta usa il termine di Super-io (Überich), esplicitamente impiega indifferentemente “la denominazione di ideale dell’Io, o Super-io” (Freud S., 1922, 491[1]); qualche  pagina dopo, a poche righe di distanza l’uno dall’altro, impiega in maniera interscambiabile i termini di ideale dell’Io e  Io ideale (Ideal-ich): “L’ideale dell’Io risponde a tutti i requisiti che gli uomini si aspettano di trovare nell’essere superiore. In quanto formazione sostitutiva per la nostalgia del padre, l’ideale dell’Io contiene il germe dal quale si sono sviluppate tutte le religioni […]. Nel corso ulteriore dello sviluppo maestri e autorità hanno continuato a svolgere le funzioni del padre; i loro comandi e divieti sono rimasti efficaci nell’Io ideale ed esercitano ora, come voce della coscienza, la censura morale” (Freud S., 1922, 499).

Nella Nuova serie di lezioni (1932) compare una precisazione: l’ideale dell’Io è considerato come una “funzione” del Super-io, accanto all’auto-osservazione e alla coscienza morale (cfr. Freud S,1932,179): “l’ideale dell’Io è il sedimento dell’antica immagine dei genitori, l’espressione dell’ammirazione del bambino che li considerava allora creature perfette” (Freud S., 1932, 177).

E, proprio in questa Lezione, Freud fa un significativo riferimento a quanto aveva scritto in Psicologia delle masse: “Nel 1921 ho tentato di applicare la differenziazione tra Io e Super-io in uno studio sulla psicologia delle masse. Giunsi ad una formula del genere: dal punto di vista psicologico, la massa è una unione di singoli che hanno assunto nel loro Super-io la medesima persona e si sono identificati fra loro nel proprio Io in base a questo elemento comune” (Freud S., 1932, 180).

Nel Compendio di Psicoanalisi (1938), infine, Freud usa solo il termine di Super-io.

La differenziazione tra ideale dell’Io e Io ideale è rimasta una questione aperta: unitamente ad altri

  1. [2], D. Lagache ha ampiamente contribuito ad approfondire i concetti sopra menzionati elaborando un suo specifico punto di vista sull’Io ideale.

Questa nota vuole essere una sintesi semplice ma spero accurata del suo pensiero al riguardo, così come è desumibile dai lavori raccolti nei sei volumi curati da Eva Rosenblum e, con ciò, un contributo per ulteriori riflessioni teorico-cliniche relative alle problematiche super-egoiche. 

“Sebbene Freud si sia dimostrato ricco di inventiva come scrittore, non si è molto preoccupato della perfezione del suo vocabolario. Senza elencare tutti i tipi di difficoltà che si incontrano, ci si può limitare a dire che la terminologia analitica presenta le stesse difficoltà di molti altri linguaggi: polisemia, sinonimia, intersecazioni semantiche e via dicendo. Si lotta dunque con le parole, ma non per le parole. Ciò che bisogna ritrovare dietro le parole sono i fatti, le idee, l’organizzazione concettuale della psicoanalisi” (Lagache D., 1967, VIII). Così scrive D. Lagache nella Prefazione all’ Enciclopedia della psicoanalisi di J. Laplanche e J.-B. Pontalis, opera apparsa sotto la sua direzione dopo otto anni di intenso lavoro. Egli, dice, conservava: “un vivo ricordo dell’animazione [delle] conversazioni durante le quali il nostro affiatamento non impediva l’affiorare di divergenze di opinioni e non attenuava il rigore nella difesa delle proprie tesi” (Lagache D., 1967, IX).

È con   questo spirito – e basandosi sulla conoscenza diretta dei testi freudiana in lingua originale come pure sulla sua esperienza di psichiatra legale e di analista – che Lagache iniziò a lavorare fin dal 1948 sui concetti di Super-io e di Io ideale (all’epoca lo chiamava ancora ideale dell’Io) scrivendo un commento psicoanalitico ad una perizia a carico di un uomo imputato di un tentativo di omicidio.

Per capire il suo discorso credo sia utile ricordare che l’Autore parte dall’assunto che le relazioni umane sono ampiamente caratterizzate dal potere dell’uomo sull’uomo: “Che si tratti della vita privata o della vita pubblica, [esse] restano profondamente segnate dalla passione del potere e dalle coazioni[3] dominazione-sottomissione. Il loro camuffamento sotto gli usi, le istituzioni, la morale, non cambiano niente rispetto a ciò. Questo è il mondo umano in cui il bambino nasce e si sviluppa. Per questo motivo le relazioni di potere costituiscono senza dubbio il filo conduttore più efficace nello studio dello sviluppo e della strutturazione della persona” (Lagache D., 1962a, 304). L’A. propone di considerare in quest’ ottica sia le relazioni e i conflitti   intersistemici che quelli intrasistemici del sistema Super-io. Ma vado con ordine. Per arrivare a parlare specificamente di Io ideale e di ideale dell’Io è necessario premettere alcuni elementi essenziali della sua concettualizzazione dello sviluppo.

Lagache collocò (in un arco di tempo che va dal 1954 al 1967) il suo originale punto di vista all’interno di una teoria intersoggettiva del narcisismo e dell’aggressività che “non può che essere una teoria del sadomasochismo, la quale mette l’accento sulle relazioni di dominazione- sottomissione” (Lagache D., 1954, 151).  “Poiché l’aggressione mira prima di tutto e primariamente all’uomo, [..] a dominare e a sottomettere, essa si offre al nostro studio sotto la forma del sadomasochismo.  L’amor proprio è ‘la più profonda delle passioni comuni’, e ciò che vi è di più aggressivo e di più vulnerabile, è l’amor proprio dell’altro. Narcisismo e sadomasochismo sono inseparabili” (Lagache D., 1961a, 150).

Egli ritiene che quella che definisce posizione narcisistica sadica sia un momento di snodo importantissimo nella costruzione del sistema Super-io considerato alla luce delle relazioni intersoggettive di potere/sottomissione; Lagache predilige al termine  di ‘stadio’ quello di ‘posizione’  in quanto esso  rimanda, all’interno di un impianto teorico  che sottolinea l’importanza delle relazioni, ad atteggiamenti o intenzioni  di un soggetto correlative, e cioè simmetriche o complementari, alle posizioni  (atteggiamenti  o intenzioni)  di un altro soggetto.

Nella posizione precedente – quella narcisistica masochistica caratterizzata dalla prematurità biologica e da precursori delle relazioni d’oggetto, che egli chiama relazioni d’oggetto funzionali – il bambino è ‘passivo’. Egli definisce tale posizione masochistica in quanto il neonato “dipendente, passivo e sottomesso, proverebbe soddisfazione nell’essere oggetto dell’onnipotenza benefica dell’altro” (Lagache D., 1960a, 152). 

Il bambino è l’oggetto o la cosa della madre, il suo giocattolo. Correlativamente la madre, attiva e dominatrice, è la sua proprietaria: è lei che detiene il potere. Questa relazione si prefigura ancor prima che il bambino nasca e addirittura prima del suo concepimento: prima di esistere biologicamente egli è, per i genitori, la famiglia e la società un progetto e un oggetto a cui imporre un nome, un ruolo, un posto all’interno della rete di relazioni. Certamente, scrive Lagache adoperando un linguaggio suggestivo d’ispirazione filosofica [4],  con il concepimento egli esiste in-sé   ma prima e anche dopo la nascita egli esiste tramite il gruppo cui appartiene: “Prima di esistere in sé stesso, tramite sé stesso e per sé stesso, il bambino esiste per e tramite altri; egli è già un polo di attese, di progetti, di attributi. Ciò che è vero prima del concepimento resterà vero nella vita e anche dopo la vita. […] Il problema dello sviluppo – l’essere per l’altro e l’essere in sé – è dunque quello di sapere per quali mediazioni queste due modalità dell’esistenza si riuniranno” (Lagache D., 1961 b, 200). 

Prima ho messo il termine passività in corsivo per evidenziarlo. Il neonato ha esperienze coscienti di stati e atti corporei, di enterocezioni e propriocezioni, ma non è chiuso in esse in quanto “il soggetto funziona e acquista attualità   nei bisogni che lo svegliano e lo motivano, negli atti di orientamento e poi di consumo [di cibo] che lo calmano e lo fanno addormentare” (Lagache D., 1961b, 201). Secondo l’A., l’inizio della esistenza è caratterizzato da una differenziazione primaria piuttosto che da indifferenziazione. Il bambino, nell’ambito di una relazione sincretica e non differenziata con la madre, ha relazioni d’oggetto ‘funzionali’ (che precedono le relazioni d’oggetto strutturate[5] ) in quanto è dotato di apparati quali la percezione, la motilità ecc. che servono al soddisfacimento e che sono garanti dell’adattamento; preesistenti ai conflitti, possono oppure no parteciparvi. Il punto di riferimento adottato per questo aspetto da Lagache ritengo sia H. Hartmann anche se, qui, non viene citato. Grazie a questa dotazione la posizione narcisistica masochistica porta in sé le premesse del dominio. Il considerarla ‘narcisistica’ richiede una chiarificazione: Lagache, piuttosto scettico nell’ipotizzare un narcisismo primario, preferisce chiamarlo primitivo e lo considera frutto dello sviluppo, direi psicofisiologico, della vitalità unitamente alle cure che vengono date al bambino e che comprendono, oltre alla protezione e all’amore anche l’ammirazione e il “culto da parte dell’ambiente” (Lagache D., 1960 a, 152).  Specificazione, quest’ultima, che mi pare sia un preciso riferimento al freudiano “His majesty the baby” (Freud S., 1914, 461). Il narcisismo primitivo non è inteso come una condizione che emana dalla sola vitalità del bambino ma come una convergenza tra le sue richieste e le risposte dell’ambiente. E qui, fin da subito, appare “l’ambiguità della relazione di potere: perché se il bambino appare grossolanamente come la cosa della madre, la madre si costituisce anch’essa come la cosa del bambino; […]. Così, fin dai primi mesi della vita, i rudimenti di un’autonomia, l’abbozzo di un conflitto di potere annunciano e rendono possibile il passaggio ad una tappa ulteriore” (Lagache D.,1962 a, 300): la posizione narcisistica sadica i cui punti di riferimento sono, sul versante della psicoanalisi e quindi dello sviluppo pulsionale lo stadio sadico-anale e, sul versante della psicologia, il periodo di opposizione.

La posizione narcisistica sadica è fortemente caratterizzata sia da parte del bambino che della madre da richieste che implicano necessariamente relazioni di potere. Non solo quello di colui al quale viene posta la domanda: egli è onnipotente perché può o accordare o rifiutare; ma anche “il potere di colui il quale fa la domanda, poiché egli si concede virtualmente un impossessamento[6] sulla volontà di colui al quale fa la domanda” (Lagache D., 1962a, 301).  Il potere, implicito nella richiesta, può ‘caricarla’ in maniera così importante da prendere il posto del desiderio veicolato dalla domanda stessa. D’altro canto, la soddisfazione della richiesta apporta una soddisfazione supplementare: quella di prevalere.  La posizione è detta sadica perché il piacere non proviene solamente dalla soddisfazione del desiderio ma anche dalla vittoria riportata, dall’affermazione di sé espressa con la minaccia, con la violenza, con la corrispettiva negazione dell’altro. Inversamente il rifiuto, vissuto come ferita narcisistica, induce nel richiedente l’insistenza, il risentimento, la rivolta, la rivendicazione, affetti che allora suscitano colpa, cosa che a sua volta può rendere difficile il chiedere.  Dal canto suo colui al quale è posta la richiesta può provare soddisfazione nell’ esaudirla oppure colpa nel rifiutarla o, ancora, umiliazione nel cedere.

Nel conflitto delle rispettive richieste che, quando si acuisce, “mette in evidenza relazioni sadomasochistiche di tipo dominazione-sottomissione” (Lagache D., 1962a, 301), l’identificazione nell’aggressore, e cioè nell’adulto onnipotente, gioca- secondo Lagache- un ruolo strutturante. Essa, concepita come un momento delle relazioni di potere, costituisce una delle vie attraverso le quali si realizza la conquista dell’autonomia personale. Tra i 12 e i 18 mesi ha inizio il periodo d’opposizione; Spitz situa attorno ai 15 mesi l’acquisizione del “No”: quando il bambino lo incontra, gli attribuisce un “affetto contro” e prende in prestito dall’adulto il no verbale o gestuale. “L’acquisizione del no appare così non solamente come una tappa nello sviluppo del giudizio e della comunicazione, ma come una cerniera tra la differenziazione dell’ego e dell’alter ego, una tappa della oggettivazione dell’altro e della conquista dell’autonomia. […] Per Spitz […] l’identificazione con l’aggressore segna così una tappa della strutturazione personale” (Lagache D., 1962a, 302). 

Per A. Freud (1936, v. anche in Sandler J., 1985) l’identificazione con l’aggressore costituisce lo stadio preliminare del Super-io. Il suo primo effetto consiste nel capovolgimento della relazione di potere: il bambino si identifica con l’adulto nella misura in cui quest’ultimo gli appare come dominante; quello che il bambino cerca di fare è dominarlo.

Fatte queste premesse, ora ne vedremo l’utilità per chiarire l’oggetto specifico di questa nota.

L’identificazione con l’aggressore, per Lagache, corrisponde alla formazione dell’Io ideale. È nella posizione narcisistica sadica  (caratterizzata  dalla riduzione del masochismo  con un rinforzo del sadismo  come difesa  contro l’angoscia legata all’impotenza, alla passività, alla dipendenza della posizione precedente)  che, grazie a tale identificazione,  “abbiamo il diritto di situare la formazione dell’ Io ideale il cui attributo essenziale è l’onnipotenza magica, fonte durevole di esigenze esorbitanti non soltanto verso gli altri ma anche verso sé stesso” (Lagache D., 1960a, 154).  Esso “corrisponde ad un’ideale narcisistico di onnipotenza, il quale implica il disconoscimento dell’altro, la sua sottomissione, la sua abolizione, ed è a questo titolo che gioca il suo ruolo nello sviluppo e nella dialettica della personalità come anche nei rapporti con l’altro” (Lagache D.,1962a, 303). L’Io  ideale, formazione in cui contemporaneamente il soggetto fa corpo con i propri desideri e si identifica nell’adulto  onnipotente, non si riduce all’ “unione dell’Io con l’Es” (come proposto da Nunberg[7]),   ma comporta una identificazione primaria con un altro essere investito di onnipotenza e cioè la madre; il  ‘conflitto primario’ con la madre che oppone dei rifiuti ad un bambino sempre più attivo  “prefigura l’alternativa dell’identificazione con l’Io ideale o con il Super-io” (Lagache D., 1961b,  227).  

Quali sono per Lagache i rapporti tra l’Io ideale e il Super-io/ideale dell’Io? Partiamo dalla definizione di Super-io: il sistema Super-io non   è solamente “una identificazione con l’immagine idealizzata dei genitori, erede del complesso di Edipo, ma un sistema di identificazioni” (Lagache D., 1962b, 27-28) e “una relazione intersoggettiva di autorità” (Lagache D., 1962a, 298).

“Il Super-io è un regolatore dei sentimenti di stima di sé o, in altri termini, una fonte di motivazioni assiologiche, di affetti che testimoniano la soddisfazione o il malcontento di sé” (Lagache D.,1965, 166), “motivazioni che ispirano gli ordini e le difese che il soggetto fa/ prende nei confronti di sé stesso, i sentimenti di colpa o di soddisfazione morale” (Lagache D.,1962a, 298).  Esso “corrisponde all’autorità” mentre l’ideale dell’Io si riferisce “al modo con cui il soggetto deve comportarsi per rispondere alla richiesta dell’autorità […]. In altri termini, noi comprendiamo il Super-io e l’ideale dell’Io come formanti un sistema che riproduce, ‘all’interno della personalità’, la relazione autoritaria genitori -bambino” (Lagache D.,1961b, 223). All’interno di tale sistema l’ideale dell’Io è definito “come ciò che il soggetto si aspetta da sé stesso in funzione delle esigenze che provengono dal Super-io” (Lagache D.,1962a, 298).   

Lagache, in base alla sua interpretazione del pensiero freudiano e alla sua pratica psicoanalitica, ritiene lecito pensare all’Io ideale come ad una formazione permanente nel sistema super-egoico il quale, pertanto, risulta composto da due sottostrutture: il Super -io /ideale dell’Io e l’Io ideale. Non si tratta di una somma di componenti ma di poli di identificazione offerte al soggetto, identificazioni le cui relazioni sono dialettiche, anzi antinomiche. “Il Super-io può in questo modo essere il ‘luogo’ di conflitti ‘intrasistemici quali: ‘Sarò io bambino o adulto? […] Padrone o schiavo? ’ Quest’ultimo conflitto, il più importante, è il conflitto tra l’Io ideale e l’ideale dell’Io” (Lagache D., 1962b, 28). 

Da un punto di vista genetico – scrive l’A. – Freud concepisce il Super-io come l’erede del conflitto edipico. Ma, considerando lo sviluppo dal punto di vista delle relazioni di potere, molto precocemente si accende, come abbiamo visto, e poi si installa un conflitto primario tra bambino e madre. Spesso succede che quest’ultima, per rinforzare la propria autorità, ricorra al padre. Il bambino allora, cerca un modo per contrastare il potere materno tramite una identificazione primaria col padre. Tale identificazione   lo fa entrare in conflitto col padre “per ragioni che non si riducono alla rivalità per il possesso amoroso della madre. La risoluzione di questo conflitto suppone l’abbandono dell’identificazione primaria col padre […] e il passaggio ad una posizione di sottomissione di cui la forma estrema è l’Edipo negativo: l’imago paterna diventa il modello delle autorità, dei persecutori, dei seduttori omosessuali; il sistema Super-Io /ideale dell’Io soppianta più o meno completamente l’Io ideale. Dal punto di vista strutturale, il conflitto edipico s’interpreta come il conflitto tra l’identificazione primaria col padre e l’identificazione secondaria col padre, tra Io ideale e Super-io/ideale dell’Io” (Lagache D., 1961b, 227). 

Considerando il prosieguo dello sviluppo normativo all’interno della relazione di potere con l’adulto, la quotidianità insegna al bambino che non è onnipotente e che ha bisogno dell’adulto da cui dipendono la sicurezza, il benessere e l’amore per la propria persona. In altre parole, l’identificazione con l’aggressore detentore del potere non abolisce la dipendenza del bambino; inoltre, l’aggressione verso i genitori è limitata dall’attaccamento nei loro confronti.  Lagache postula che per uscire “in maniera onorevole” dal conflitto di potere il bambino debba far ricorso sia alla deviazione dell’aggressività su terzi sia alla neutralizzazione dell’aggressività. Anche qui penso che l’A. si riferisca ad Hartmann che a questo proposito dice: “Definiamo neutralizzazione la trasformazione dell’energia, sia libidica che aggressiva, con cui questa si allontana dalla forma istintuale e si approssima alla forma non istintuale. Se […] assumiamo che nell’uomo l’autoconservazione è in notevole misura una funzione dell’Io (Freud, 1938), dobbiamo giungere alla conclusione che essa effettivamente dipende dalla neutralizzazione” (Hartmann H., 1955, 244). “La capacità di neutralizzare considerevoli quantità di energia istintuale può essere un’indicazione della forza dell’Io Hartmann H., 1950, 145)”.

Per dirla con mie parole e traendo spunto da Hartmann: il bambino grazie alla neutralizzazione ed alla deviazione dell’aggressività conserva un buon investimento narcisistico sulla rappresentazione di sé. In questo modo può iniziare una relazione da soggetto a soggetto nella quale il bambino, affermando la propria autonomia, “riconosce l’altro come soggetto nella sua esistenza, nel suo valore e nei suoi diritti, ponendo così le basi affinché lui stesso si riconosca come soggetto” (Lagache D., 1962a, 304).

Nel corso dello sviluppo, l’Io ideale di solito viene sempre più integrato/assorbito nel sistema Super-Io/ideale dell’Io: tuttavia il conflitto, che durante la latenza è di solito silente, riemerge in adolescenza in maniera più o meno accentuata.  Compaiono così non solo fantasie erotiche testimoni del lavoro di separazione dai genitori edipici ma anche megalomaniche. Esse indicano un re-investimento dell’Io ideale spesso rinforzato da identificazioni con personaggi famosi: in questo modo l’adolescente, identificandosi con l’Io ideale, cerca di disimpegnarsi dal Super-io/ideale dell’Io.  Il conflitto adolescenziale, che mira alla autonomia, può essere compreso meglio, secondo Lagache, alla luce dell’opposizione tra l’identificazione del soggetto con l’ideale dell’Io (cioè l’obbedienza alle esigenze morali del Super-io) e l’‘identificazione eroica’ con l’Io ideale; in termini generali, l’identificazione eroica è definita come una “affermazione unilaterale dei diritti e della potenza del soggetto” (Lagache D., Male P., 1960, 188).

Dopo l’adolescenza il conflitto può restare più o meno latente. “Se resta entro certi limiti[8]questa alternanza tra identificazione con l’Io ideale e con il Super-io, con la ricerca di un compromesso, non possono essere considerate patologiche.  Esprimono un aspetto essenziale della condizione umana, per lo meno nelle condizioni culturali che sono ancora le nostre[9]” (Lagache D., 1961b, 228).

Nella clinica si possono osservare casi in cui l’Io ideale non sembra essere distinguibile dal Super-io: “L’eteronomia del soggetto è tale che la sua identificazione con il Super-io sembra indissolubile. Quando questa identificazione si manifesta nelle relazioni intersoggettive (passate o attuali), la sottomissione all’altro non è messa in questione” (Lagache D.,1961b, 224). Questo quadro è raro e non certo auspicabile: l’Io ideale ha in sé quei fermenti della rivolta alla autorità sempre potenzialmente utili.  All’opposto, ci sono casi in cui è la formazione Super- Io /ideale dell’Io a sembrare assente o per lo meno inoperante, e il soggetto pare si identifichi con l’Io ideale: “le figure d’autorità morale, sebbene ‘oggettivate’, non vengono riconosciute; sono svalorizzate, disprezzate, considerate avversarie o nemiche; l’identificazione con l’ideale dell’Io è fuori questione: i ‘conformisti’ sono criticati, derisi. L’ideale personale è un ideale narcisistico di onnipotenza. È ammessa solo l’identificazione con personaggi eccezionali e prestigiosi. Se il soggetto prova sentimenti penosi relativamente al proprio valore personale, questi sono sentimenti di inferiorità, d’impotenza, di fallimento. Se compare il sentimento di colpa, è per aver mancato all’ideale narcisistico” (Lagache D., 1961b, 225). 

Questo tipo di identificazione ‘eroica’, descritta da Lagache fin dal 1948, si riscontra in molti delinquenti e quasi-delinquenti: nel caso dell’imputato oggetto di perizia di cui avevo parlato all’inizio, tale identificazione si esprimeva con la fantasia di essere un giustiziere. Qui l’identificazione eroica corrisponde a un “falso ideale[10] (Lagache D., 1948, 73), falso in quanto – basato sull’affermazione narcisistica delle tendenze di dominio e sadiche – è sostenuto dalla negazione del valore dell’altro e dalla negazione dei valori comuni.  Tale identificazione si manifesta quando il soggetto ad es. parla del suo come di un “cattivo carattere” nei confronti del quale, però, è compiacente come un genitore indulgente. Oppure nella relazione d’amore: l’oggetto è una proiezione dell’Io ideale e, in certi casi particolari, una accentuazione, un perfezionamento dell’Io ‘cattivo’.

L’ ‘ambiente scelto’ in cui il soggetto si inserisce si compone di persone per le quali il soggetto, identificato con l’Io ideale del gruppo, “è oggetto di tolleranza, di ammirazione, di imitazione” (Lagache D., 1961b, 255).  Per ambiente scelto si intende un ambiente dove   la colpa non è sentita come tale, dove la condotta colpevole diviene una prodezza, una maniera di dar prova di sé “all’interno di un gruppo che esalta il coraggio, la forza, l’abilità e la decisione, la gerarchia del potere, l’onestà e la lealtà nei confronti del gruppo, la devozione nei confronti dei compagni” (Lagache D., 1962b, 47).  Non è che nella struttura del criminale si debba ipotizzare l’assenza del Super-io: al contrario. Tale struttura è presente, solo che si tratta di un Super-io primitivo, il che comporta che le relazioni vengano impostate secondo la modalità sadomasochistica dell’aggressività subita o agita. Come accennato prima, possono essere sperimentate la colpa e il senso di inferiorità; in termini generali- scrive Lagache – “sia l’una che l’altra corrispondono ad una ferita narcisistica che si esplicita in un atteggiamento critico dell’Io -soggetto in rapporto all’ Io- oggetto. Certo, ci sono casi ambigui: è vero che un soggetto può sentire una propria carenza (oppure gli viene fatta sentire) non come un difetto ma come una colpa. Tuttavia, nelle forme differenziate i sentimenti di colpa e quelli d’inferiorità non mettono in causa gli stessi aspetti: nel primo caso il soggetto soffre per non essere conforme all’ideale dell’Io in quanto le aspettative degli altri sono diventate le proprie; nel sentimento di inferiorità il soggetto soffre di non corrispondere alla propria aspettativa; il suo conformismo all’ideale dell’Io può essere sentito come una inferiorità. Così un uomo […] si rimprovera alternativamente le relazioni con le prostitute (relazioni in opposizione con i suoi principi morali) e la sua incapacità di sganciarsi dai principi morali, di affermare i ‘suoi diritti naturali’. L’obbedienza passiva alla legge sociale e morale può essere sentita come una colpa in riferimento ad un codice di valori che non è più quello del Super – io ma dell’Io ideale[11]” (Lagache D., 1961b, 228). In sostanza, sintetizzerei dicendo che il soggetto può provare colpa per aver mancato all’ideale narcisistico individuale e, eventualmente, di gruppo.

 “In effetti si osservano nei criminali molti atteggiamenti che, senza essere conformi alle norme morali della collettività, sono tuttavia di natura etica. Ad esempio: 1° Nei rapporti con i gruppi estranei, il sentimento di ingiustizia subita, reazioni d’innocenza; 2° nei rapporti con il gruppo criminale, la difesa del gruppo, la legge dell’ambiente [scelto], il regolamento dei conti” (Lagache D., 1952, 342). Infine, quasi tutti gli atti criminali hanno anche un “significato magico: esaltare o restaurare un sentimento primitivo di onnipotenza – diverso dal sentimento normale di padronanza della realtà – che conduce al successo” (Lagache D., 1952, 341).

La distinzione tra ideale dell’Io e Io ideale viene impiegata da Lagache anche nell’ambito della interpretazione strutturale della psicopatologia. Sintetizzando, e usando il suo linguaggio, nelle depressioni l’Io -soggetto, identificandosi con il Super-io, imperversa contro l’Io-oggetto alleandosi con l’autorità repressiva; dal canto suo l’Io ideale resta in ombra e, se appare, è un Io ‘cattivo’ per il solo fatto di voler vivere. Nella mania “è con l’Io ideale (rappresentante delle pulsioni) che il maniaco si identifica (le idee di grandezza sono frequenti) e tale identificazione gli serve per sganciarsi dal sistema Super-io/ ideale dell’Io […] Prevale l’identificazione con l’Io ideale. […] La distinzione tra Io ideale e ideale dell’Io illumina inoltre la struttura della posizione persecutoria   e della posizione megalomanica. Nella posizione persecutoria, l’imago genitoriale proiettata sul persecutore è quella dell’autorità che fa la legge, che sorveglia, che critica, che condanna, che sottomette sessualmente. Nella posizione megalomanica prevale l’identificazione con l’Io ideale e con le sue figure prestigiose; l’evoluzione tipica del delirio fa apparire l’identificazione con l’Io ideale come una reazione difensiva contro l’identificazione con il Super-io” (Lagache D., 1961b, 229).

Per concludere e per continuare a  riflettere sul soggetto, sulle  masse, sui capi, sugli avvenimenti inerenti il genocidio durante la seconda guerra mondiale e non solo, il pensiero di Lagache[12] mi porta a  dire che  l’alternanza tra identificazione con l’Io ideale e identificazione con il ‘Super-Io/ideale dell’Io’ e  la ricerca di un compromesso “se restano  entro certi limiti  e  per lo meno nelle condizioni culturali che sono ancora le nostre”, ebbene tutto ciò  non crea conflitti tali da determinare patologia individuale e collettiva. 

Ma: in condizioni socio-economiche, politiche e culturali in cui  si attestano  il valore  della negazione del valore dell’altro, quello dell’ affermazione delle tendenze di dominio e delle componenti  sadiche narcisistiche; dove si mette in luce un capo che amplifica l’Io ideale di tutti sollecitandone  l’identificazione; tenendo conto che l’Io ideale  è una formazione sempre presente e attiva in tutti e per tutta la vita; avendo in mente quanto Lagache in maniera estremamente sintetica scriveva negli studi psicologici e psicoanalitici sulle condotte criminali  e sulla psico-criminogenesi: “il crimine[13]  è una struttura costitutiva dell’esistenza umana” (Lagache D.,1952, 340); tenendo conto di quanto detto da L. Kahn nella sua relazione al CVP (2021)[14];dovendo annoverare tra i nostri predecessori  non solo “il nostro Michelangelo” ma anche  “il nostro Mussolini”[15] ancora  oggi un’incarnazione, per alcuni, dell’Io ideale; ebbene, alla luce di tutto ciò  abbiamo,  a mio avviso, ulteriori elementi  per comprendere quanto sia sempre presente il pericolo di collaborare più o meno attivamente a  processi sociali in cui “l’obbedienza passiva alla legge sociale e morale può essere sentita come una colpa in riferimento ad un codice di valori che non è più quello del Super – io ma dell’ Io ideale”.

Nota Biografica

Daniel Lagache (Parigi1903-1972), laureato sia in filosofia (1928) che in medicina (1934), psicoanalista formato da R. Loewenstein, uno dei fondatori della Societè psychanalytique de Paris (S.P.P.)   col quale iniziò l’analisi didattica nel 1934, sviluppò il suo pensiero attingendo, oltre alla teoria e alla pratica psicoanalitica, alla filosofia, alla psichiatria dinamica, alla psicologia sociale.  Incominciò la sua carriera di psichiatra nel 1931 come interno degli ospedali psichiatrici per poi diventare primario di un servizio nel 1935.  Nel 1937 – anno in cui  divenne  membro  della Societé Psychanalytique de Paris– lasciò la carriera psichiatrica per cominciare  a Strasburgo prima  e poi  a Clermont -Ferrand nel periodo bellico (ufficiale nel Servizio di salute militare, prigioniero, evaso , attivo nella Resistenza)   quella di docente universitario di psicologia clinica (disciplina che deve a lui  la sua larga diffusione), occupandosi del colloquio clinico, della diagnosi e dell’uso dei test, soprattutto del test di Rorschach della cui diffusione in Francia fu  uno dei principali  fautori.  Egli fu anche il primo – sempre in Francia – a mettere in relazione la psicologia individuale clinica sia con la psicologia sociale clinica, prendendo spunto da K. Lewin – che elaborò tra il 1939 e il 1944 la teoria sulla dinamica dei gruppi – e dallo psicoanalista F.  Redl che si dedicava allo studio delle bande di giovani delinquenti; sia con la psico -criminologia. A questo proposito, nel 1946 sostenne alla Sorbona il Dottorato di Stato sul tema della gelosia, interessandosi alla comprensione del mondo interno del geloso ed esaminando il passaggio all’atto omicida: “La gelosia omicida mi portava a mettere l’accento sul problema fondamentale dell’uomo, il dibattito con l’altro, la sua intolleranza all’“alterità” e la dimensione sado-masochista del conflitto passionale: “Chi possiederà chi?” (Lagache D., 1966, XXXIII).

Lagache – che insegnò anche all’ Istituto di criminologia dell’Università di Parigi – dedicò una parte del suo interesse allo studio della personalità dei criminali adulti partendo da osservazioni e riflessioni fatte nel corso dalle perizie psichiatriche richieste dal Tribunale e da quelle di giovani delinquenti per i quali aveva anche istituito un aiuto psicologico. Interessato alla psico-criminogenesi, e cioè alla formazione della personalità del criminale, pubblicò nel corso del tempo importanti lavori   cui fece riferimento anche negli articoli in cui tratta specificatamente del sistema del Super-io. Nel 1947 ottenne la cattedra di psicologia alla Sorbona, anno in cui fondò, per la PUF, la Biblioteque de Psychanalyse et de Psicologie clinique, poi Biblioteque de Psychanalyse: vi farà pubblicare 42 volumi tra cui opere di Freud, la biografia di E. Jones e i testi di grandi autori ancora sconosciuti in Francia: M. Klein, H. Hartmann, O. Fenichel, E. Glover, H. Deutch, R. Spitz. Dopo la morte gli succedette, nel 1973, J. Laplanche il quale nel 1967 aveva pubblicato, con J.-B. Pontalis e proprio sotto la direzione di D. Lagache, l’Enciclopedia   della psicoanalisi, opera iniziata prima della Seconda guerra mondiale e ripresa nel 1958. L’Enciclopedia li vide impegnati per otto densi anni.

Nel 1955 ottenne la cattedra di psicologia patologica e, nel 1958, fondò con J. Lacan la Société Française de Psychanalyse; dopo il suo scioglimento fu cofondatore e primo presidente, nel 1964, dell’A.P.F. (Association Psychanalytique de France).

Lagache fu inoltre pioniere e fondatore della psicologia sociale: alla Sorbona, oltre ad essere responsabile del nuovo corso in psicologia generale, fu anche il fondatore del Laboratorio di psicologia sociale che, grazie al lavoro di R. Pagès, divenne uno dei principali centri della ricerca psicosociologica europea. Un nome fra tutti: S. Moscovici, fondatore della teoria delle rappresentazioni sociali (v. 1976, La Psychanalyse, son image, son public. Paris, P.U.F.)

Nei suoi innumerevoli lavori psicoanalitici Lagache si è occupato di svariatissime tematiche spaziando dall’introduzione psicoanalitica alla criminologia, alla gelosia, al lutto, al modello psicoanalitico della personalità, all’identificazione, alla sublimazione, all’aggressività, alla vita fantasmatica, al transfert, al cambiamento individuale nel corso del processo analitico.  Ciò che tutti li accomuna – e che a mio avviso li rende inestimabili – è la chiarezza dei termini e l’accuratezza delle definizioni. È con questo spirito – e basandosi sia sulla conoscenza diretta dell’opera freudiana sia sulla sua esperienza di analista e di psichiatra legale – che Lagache affronta lo studio del Super-io.

 

Bibliografia

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de Groot J. L. (1963). Idéal du Moi et Surmoi. Revue française de psychanalyse 27:529-541.

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Lagache D. (1962a).   Pouvoir et personne. In :  Œuvres IV. Agressivité, structure de la personnalité et autres travaux. 1956-1962. Paris, P.U.F.     

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Lagache D.  (1965). Le modèle psychanalytique de la personnalité. In :  Œuvres VI. La Folle du Logis. 1964-1968. Paris, P.U.F.     

Lagache D. (1966). Introduction. In : Œuvres, I. Les hallucinations verbales et travaux cliniques.1932-1945. Paris, P.U.F.     

Lagache D. (1967). Pour une étude sur le changement individuel au cours du processus analytique. In :  Œuvres, VI. La Folle du Logis. 1964- 1968. Paris, P.U.F.      

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Nunberg H. (1932- 1959). Allgemeine Neurosen Lehre. Hans Huber Verlag, Bern. [Teoria generale delle nevrosi, Roma, Astrolabio – Ubaldini, 1975].

Reich A. (1954). Early Identifications as Archaic Elements in the Superego. Journal of the American Psychoanalytic Association, 2:218-238.

Sandler J. (1985). The Analysis of Defense. International Universities Press, NY. [L’analisi delle difese. Conversazioni con Anna Freud, Torino, Bollati Boringhieri, 1990].

 

 

 

 

NOTE

[1]Die Ich-Ideal oder Über-Ich zu nennen ist“ , GW,256.

[2] Cfr. ad es. Nunberg H. (1932- 1959); Reich A. (1954); de Groot J. L. (1962); Hartmann e Loewenstain (1962); Anna Freud in Sandler J. (1985); Chasseguet -Smirgel J. (1975).

[3] Nel testo: les compulsions.

[4] Laureato, oltre che in medicina, anche in filosofia Lagache conosceva personalmente R. Aron, P. Nizan, J.P. Sartre avendo seguito insieme a loro alcuni corsi. Era conoscitore delle opere di E. Husserl e di K. Jaspers.

[5] Cfr. 1961a, 152. 

[6] Emprise nel testo. 

[7]  Cfr. Lagache D., 1961b, 221-22, riferendosi a Nunberg H. (1932-1959, 141). 

[8] Corsivo mio.

[9] Corsivo mio.

[10] Corsivo mio.

[11] Corsivo mio

[12] Lo riporto, in questa frase e in quella successiva, in corsivo: è stato citato antecedentemente.

[13] Corsivo mio. La condotta criminale è una questione su cui l’A. si interroga a lungo e pertanto rimando il lettore alle opere originali. In estrema e parziale sintesi essa, considerata nel quadro delle interazioni ‘fluide e viventi’ tra individui e gruppi, può essere pensata come “infrazione” e come “aggressione diretta da un individuo o più individui membri di un gruppo, contro i valori comuni a un dato gruppo; [la condotta criminale] è costitutiva di valori e di raggruppamenti antagonisti. Mettendo così l’accento sulla lealtà in rapporto al gruppo, si è portati a concludere che ogni azione criminale costituisca in un certo senso un tradimento” (Lagache D.,1950,193). Il concetto di crimine visto alla luce delle relazioni interpersonali assume una estensione più vasta di quella che ha nell’ambito strettamente giuridico; per questo motivo e in maniera generale “l’infrazione, con i conflitti di valore e di lealtà che essa implica, è una struttura essenziale dell’esistenza umana” (Lagache D.,1950,194). Considerando inoltre che la maggior parte dei tratti di personalità attribuiti ai criminali esiste in gradi diversi nell’insieme della popolazione, Lagache ritiene che si potrebbe far riferimento alle forme larvate di criminalità chiamandole “delinquenza privata” (cfr. Lagache D., 1950, 187). Da un punto di vista psicoanalitico, fermo restando la sovradeterminazione della condotta criminale, l’A. si interessa soprattutto alla formazione del Super-io alla luce delle prime relazioni oggettuali e identificazioni; alla presenza di conflitti estremamente precoci; alla fissazione ad una modalità sadomasochistica di vivere e regolare le relazioni d’oggetto; alla persistenza di una forma arcaica del Super-io. In termini generali definisce la condotta criminale come “un tentativo di adattamento. […] La funzione specifica dell’atto criminale è di agire al -di- fuori   il conflitto mediante un meccanismo pseudo-maniacale di fuga verso la realtà” (Lagache D, 1950, 205). Inoltre, “la criminalità può, come la psicosi e la nevrosi, essere ricondotta ad un processo in due tempi: nella prima fase il soggetto, a seguito di una frustrazione, si ritira da un settore della realtà rappresentato dai genitori e dai valori genitoriali; nel secondo tempo, tramite l’assalto contro la realtà, il soggetto tende a procurarsi una scarica adeguata e a realizzarsi secondo le identificazioni distorte che hanno presieduto alla sua formazione. La fase di restituzione continua spesso in una maniera eclatante tramite lo sviluppo di una vita sociale e morale ai margini della società regolare” (Lagache D, 1950, 205).

[14] Distruttività della sublimazione A proposito degli ideali, del valore delle rovine e del nazional-estetismo (v. videoregistrazione in questo KnotGarden).

[15]  Riprendendo il discorso – citato nel 1993 da Wang M., relazione letta in occasione di un incontro CVP L’elaborazione dell’esperienza nazista all’interno della Comunità psicoanalitica germanica.Un tentativo di valutazione a distanza ravvicinata. Considerazioni generali e personali – del sindaco di Amburgo K. van Dohnanyi invitato al congresso IPA del 1985: “Chiunque dica ‘il nostro Bach’ e ‘il nostro Beethoven’ deve dire anche ‘il nostro Hitler’”.

Mariagrazia Capitanio, Venezia

Centro Veneto di Psicoanalisi

mg.capitanio@libero.it

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