Sezione Locale della Società Psicoanalitica Italiana
*Per citare questo articolo:
Ferri P., (2024) “Distruttività e rinascita:
dal mito degli Stones alla difficile sopravvivenza dell’essere giovani”, Rivista KnotGarden 2024/1, Centro Veneto di Psicoanalisi, p. 135- 146
di Paola Ferri
(Milano), Membro Ordinario della Società Psicoanalitica Italiana, Centro Milanese di Psicoanalisi.
Per una lettura più agile e per ulteriori riferimenti di pagina si consiglia di scaricare la Rivista in formato PDF.
Parto dai Rolling Stones, mia passione da sempre, io chitarrista cresciuta sulla scia dei riff di Keith Richards, per mostrare l’eterno andamento tra vita e morte, tra fine di vecchi valori e disperata ricerca di nuovi equilibri.
Li ho conosciuti nella nostra lontana adolescenza, a esprimere ambiguità, rottura e tormento, e rimangono a rappresentare l’adolescente che resta in me, sempre incerto tra rinuncia e rilancio. Nei momenti bui la musica è l’unica consolazione possibile: quel languore blues da cui anche il rock proviene, esprime il difficile equilibrio tra depressione, decadenza, rinascita creativa e spinta a restare in piedi.
Peraltro sono quasi tutti ancora vivi i membri della band, consegnando un mito di eterna giovinezza ed eterna energia, nonostante l’uso di droghe che ha consumato le loro giovani vite (o almeno così nella leggenda, vedi l’autobiografia Life di Keith Richards). Mi piace pensare sia stata la passione per la musica a tenerli in vita, nonostante la sregolatezza, e ironia della sorte, è mancato per primo proprio l’unico (quasi) sobrio da sempre, il batterista Charlie Watts. Mick Jagger e Keith Richards, nonché Ronnie Wood che si è aggiunto a metà degli anni 70, ancora saltellano sul palco; e io auguro loro vita eterna, naturalmente. Quanto meno, mi/ci auguro l’eternità del mito.
Grossi successi come Sticky fingers[1] (1971) ed Exile on main street [2](1972) lasciano il segno per sempre e li consacrano nella mitologia musicale moderna.
Mi riferisco a loro, ma naturalmente includo tutto il filone blues che li ha preceduti, senza il quale non sarebbero arrivati a un successo così clamoroso. Forse non tutti sanno che (ma gli appassionati del genere di sicuro sì) i due giovanissimi Jagger e Richards sono partiti dall’Inghilterra, conosciutisi sui banchi di scuola, per approdare nei primi anni 60 in America, ed entrare in contatto con la musica nera dell’anima e della disperazione. Mostri sacri come Muddy Waters sono stati gli iniziatori di quel genere che rimarrà unico nella storia: un misto di decadenza e rinascita, culminato con la loro personalissima proposizione del rock. Erano già famosi in patria, in rivalità/ amicizia con i Beatles, che regaleranno loro la prima canzone (I wanna be your man[3]): più dei Beatles riescono però a esplorare il territorio musicale americano e a trarne vantaggio. Dapprima soltanto attraverso i dischi dei loro amatissimi e poi in contatto diretto attraverso un primo viaggio americano nel 1964 e poi in una tournée dei primi anni 70, che purtroppo li esporrà anche al consumo massiccio di droga pesante, contribuendo all’alone di “dannati e persi sempre sul punto di morire”. Cosa che di fatto non avverrà, per ironia del destino o per il famoso patto col diavolo, che Mick Jagger rappresenta teatralmente così bene durante i concerti che introducono Simpathy for the devil[4] (1968, anno di uscita della canzone).
Fatto sta che sono quasi tutti vivi e attivi, a memoria dei loro predecessori, che pure hanno avuto lunga vita: Muddy Waters e Chuck Berry, per dirne due, da loro celebratissimi (soprattutto Keith Richards deriva i suoi famosi riff dall’indomito musicista rock americano, mentre il loro nome nasce dal passo di un famoso brano di Waters che recita “oh I’m a rolling stone”[5]). Ma tra i predecessori ricordiamo anche Jimmy Reed, Bo Diddley, John Lee Hooker, B.B. King, Buddy Guy, Howlin’ Wolf, solo per citarne alcuni, tutti neri e piuttosto ignorati in patria, che hanno influenzato gli Stones ma anche molti altri musicisti a venire di origine britannica (Eric Clapton, Jimmy Page, Jeff Beck, David Bowie e i gruppi più francamente rock come i Led Zeppelin o, diciamo, onirici come i Pink Floyd).
Da lì sono partiti i nostri beniamini, e su quello hanno innescato un rock difficilmente estremo come quello di altri gruppi (vedi Led Zeppelin o AC/DC), più una ritmica particolarissima e un mood decadente, elegante, colto, disperato e borderline. I riff di Richards sono frutto di genialità musicale e il mito racconta che per quello di Satisfaction[6] giacesse ubriaco o drogato prima di addormentarsi, imprimendolo su nastro, che la mattina dopo si rivelerà la chiave di un successo mondiale sempre attualissimo. 1965 è l’anno di uscita della canzone, che ancora oggi chiude tutti i loro concerti, in un tripudio di pubblico e fans che cantano e ballano una rabbia e una disperazione mai sopiti, perché interni alla natura umana e alla sofferenza di vivere.
Aggiungiamo la voce suadente e unica di Mick Jagger, un misto tra sensualità e sfinimento, aggressione e romanticismo, il tocco di batteria di derivazione jazz di Charlie Watts (che segue sempre nell’ombra il resto della band, ma senza il quale nessuno sarebbe andato da nessuna parte), quello diciamo più allegro e nervoso di Ronnie Wood (arrivato a metà anni Settanta), e abbiamo un gruppo unico e, secondo me, ancora il più grande.
Hanno avuto periodi meno buoni, come gli anni Ottanta, persi in un individualismo che li ha visti vacillare (anche se Keith Richards ha prodotto bellissime canzoni di romantico country blues), fino alla ripartenza negli anni Novanta, che non li ha visti più in stato di grazia come negli anni Settanta (quando componevano in Francia, in Costa Azzurra, per sfuggire al fisco), ma ha regalato ancora un interessante repertorio, aiutati da nuove tecnologie e da presenze musicali importanti che ormai sono parte integrante del gruppo, in tutti i loro concerti. Mi riferisco a Chuck Leavell, tastierista di Gilmour nella performance di quest’ultimo a Pompei, e precedentemente musicista degli Allman Brothers, altro importantissimo gruppo americano; a Bobby Keys, sassofonista scomparso nel 2014, magnifico solista e improvvisatore; al bassista Darryl Johnson che ha spesso suonato con Bob Dylan e a colui che ha sostituito l’insostituibile Charlie Watts, Steve Jordan (già musicista con Richards, ai tempi degli X-pensive Winos, e con Eric Clapton).
Voglio citare le voci femminili (poca cosa in una band per la verità molto misogina) rappresentate da Lisa Fisher per anni voce potente e soul, già collaboratrice della grandissima Tina Turner, fino ad arrivare a Lady Gaga, che nell’ultimo disco duetta con Jagger magnificamente, in un gospel che è l’ultimo approdo, tardivo e forse senescente, di una band che si avvia all’uscita di scena, non senza lasciarci un’ultima graffiata blues misto a rock, misto a soul, misto a gospel. E ci lasciano accettando la presenza nell’ultimo disco (Hockney Diamonds[7], 2023) dell’eterno rivale Paul McCartney, di Stevie Wonder ed Elton John.
Gli anni addolciscono anche i più duri. Ma speriamo non troppo.
Arriverei ora ai nostri adolescenti o giovani adulti, che pure hanno altri riferimenti musicali, ma che mostrano la stessa difficoltà di adattamento a molte regole sociali e di comportamento, conservando una purezza e un’aspettativa salvifica verso la vita, che noi adulti abbiamo dimenticato, trascinati dal cinismo dell’adattamento sociale. Per loro il rock può ancora rappresentare questo, e gli Stones possono consegnare un testimone importante a chi si affaccia sulla scena musicale oggi.
Oggi sono ricchissimi ma sono stati poveri (o quasi), non compresi, ma appassionati: e forse la passione è la prima spinta per un’esistenza vivibile, il motore che può tenerci in piedi e spingerci ancora a credere nella possibilità di avere un riscatto, un’energia, una tensione verso la sopravvivenza.
La musica che ascoltano i giovani è forse molto diversa dalla nostra (ma non necessariamente, i Maneskin sono stati consacrati da Mick Jagger come migliore band rock giovanile emergente), ma diciamo che ci sono dei ritmi rap che possono sembrarci molto lontani ed alienanti: ma non accadeva anche per quanto ci riguarda, all’affacciarsi del rock negli anni Sessanta?
Forse questi ritmi che ci sembrano monocordi e di una sola tonalità, scandiscono per loro il tempo necessario per la nascita psicologica, attraverso un’esperienza artistica che esprime la corrosività dell’abitudine e la ritmica imposta dal vivere nel presente. Forse i giovani vivono in tempi più alienanti dei nostri, con meno proiezione ideale sul futuro, con meno speranze di cambiamento del mondo, che abbiamo consegnato loro violento e deturpato. Disastro ambientale, leadership corrotte, senso di vuoto e smarrimento, sono quello con cui devono fare i conti.
Per noi il rock blues era il modo di uscire da vissuti eccessivamente depressivi, un modo per elaborare le perdite che questi ragazzi subiscono in maniera ancora più grave, su di uno sfondo ambientale che lascia molto poco spazio alla speranza.
Il valore forte del messaggio trasgressivo e rivoluzionario del rock, stemperato da una decadenza “blue” che mitiga gli animi, somministrato in dose eccessiva porta all’annientamento di sé (vedi la morte di Brian Jones, ma anche dei famosi ventisettenni maledetti …Morrison, Hendrix, Cobain, Winehouse). Ma temperato e integrato con vissuti rabbiosi e meno malinconici, può essere inizio di rinascita e intrigante vitalità.
È un viaggio tra perdizione e rinascita che ancora ci affascina.
Daniele è un ragazzo senza speranza, arriva da me senza più nessuna voglia di vivere, resta coinvolto in un procedimento giudiziario importante per possesso e presunto spaccio di droga, e oltre a essere controllato dalle autorità giudiziarie, ha una famiglia che continuamente lo colpevolizza sulla sua mancanza di un progetto serio per la vita.
I genitori gli rimandano il suo “senso del dovere” inesistente, come se bastasse un’attitudine disciplinare a farti andare per la retta via, intesa come inserimento sociale e coerenza mentale.
La terapia con Daniele sarà lunga (lo conosco a 16 anni e ne ha ora 21), ma grandi passi sono stati fatti: ha cominciato a studiare seriamente e ad avere stima in se stesso, si avventura in relazioni sentimentali che lo deludono ma non gli lasciano più un disperato senso di vuoto, lavoricchia per avere la possibilità di pagarsi la terapia e qualche sfizio nella sua vita personale tra cui, appunto, la musica.
Inserisco quindi la musica come possibile elemento che ha contribuito alla sua salvezza. Si tratta di una rap music spesso anglosassone o francese, con grosse reminiscenze blues: rispetto al rock amato da me, presenta un eccesso di ritmicità, forse estenuante, ma per lui evidentemente vitale.
E, come dice Keith Richards, musicista estenuato e geniale, come se mancasse il roll, e ci fosse solo il rock. Veramente neanche tanto rock, forse solo il rap; o il trap.
E’ una ritmica che non si addolcisce mai, un ritmo costantemente ossessivo, ma credo sia stata questa una chiave di svolta per lui: il riproporre una ritmica ossessionante, scarsamente melodica perché poco melodiche sono le sue emozioni; le quali, quando hanno iniziato finalmente a emergere, si sono presentate in forma strabordante e non inseribile in nessuno schema melodico, fosse anche quello della pur sempre classicheggiante musica perché dotata di una sequenza armonica, che ascolto e suono io. Ogni tanto mi ha fatto ascoltare un suo amatissimo rapper francese, anzi franco marocchino, più uno italo/marocchino che a me non dicono quasi nulla sul piano della musicalità, ma accostandomi alle parole, al testo delle canzoni, ho cominciato a capire. Mi riferisco a Baby gang (in realtà un solo musicista) che canta Mentalité[8] e Marocchino[9], e a Dooz Kawa, che con Passion triste[10], parla di attenzione a se stessi, ritorno alla vita, possibilità di vivere i sentimenti in un mondo capitalistico ed estraneo. Il linguaggio franco-marocchino è piuttosto violento e urla contro isolamento, segregazione, mancanza d’amore da parte di ragazze maltrattanti (e maltrattate), ma alla fine è un urlo disperato, una ricerca d’amore vana e che l’autore sa essere illusoria. Contrariamente alla voce di Mick Jagger, che seduce tra decadenza e rabbia, il rap franco/marocchino/italiano di Baby Gang ha voce spessa e profonda, esprime un disagio ancora più radicale, che difficilmente sarà addolcito da successo e denaro.
Ecco che allora occorre modulare la mia sensibilità blues rock con la sua ritmicità ossessionante, come se si trattasse di tradurre in poesia una prosa definitoria, radicale, troppo estrema per me. Ma non credo solo per me, credo per noi, per la coppia al lavoro, per la stanza di analisi, in cui lui peraltro occupa il lettino in maniera singolare: la chaise longue è messa trasversalmente, non proprio davanti a me, ma neppure di lato, come se potessimo vederci o sbirciarci di tre quarti. Cosa che infatti ogni tanto avviene.
In questa dinamica di controllo/non controllo, bisogno di sincerarmi che tu non sia troppo diversa da me, ma al tempo stesso possibilità di creare uno spazio per una identità autonoma, si è definito il nostro spazio transizionale, la nostra possibilità creativa terapeutica. La musica non è che un veicolo: io ti ascolto perché nella tua maturità mi comunichi la passione per il rock, ma al tempo stesso ti propongo uno sviluppo insolito della musica moderna, dove le parole hanno più importanza dei suoni, e la ricomposizione melodica dei sentimenti e dei vissuti è molto meno importante.
Serena, invece, ama Billie Eilish, giovane cantante americana di origini irlandesi che canta di morte e malinconia, persa in un universo di depressione e mancanza. Lei stessa è una ragazza ventenne molto triste che non riesce a mettere a punto un progetto di studio, anche perché troppo sollecitata da una famiglia che vorrebbe laurea e resa sociale, possibilmente con riferimento culturale elevato. Eppure Serena è intelligente e sensibile, suona il piano senza aver mai preso lezioni, e ascolta musica romantica. Non il mio genere quindi, nessuna accentuazione rock, anche se ogni tanto bazzica band giovanili che mi sembra sostenere più per solidarietà generazionale, che per condivisione artistica.
Billie Eilish canta di difficoltà a stare insieme e ad allontanarsi, rimandando in una canzone molto melodica che si chiama Ocean eyes[11], all’idea di perdersi negli occhi di qualcun altro, in una indefinitezza oceanica che richiama il sentimento oceanico che Freud attribuisce, nel Disagio della civiltà, al teologo Roland (1920), ridefinendolo nel concetto di narcisismo primario; e abbraccia l’idea di indefinitezza e adesione a una sorta di simbiosi sublime, che precede separatezza e senso di identità.
Credo sia questa la tematica che io e Serena stiamo affrontando: come esserci, consistere ed esistere, senza essere colonizzati da mentalità altrui, dalle volontà genitoriali, ma anche dalle eventuali aspettative della propria analista, orientata per ideologia e per scelte musicali.
Eilish pare essere una ragazza fragile che sul suo aspetto ha affermato: «Sono molto diversa da tante persone e cerco di esserlo. Non mi piace affatto seguire le regole e la moda. Se qualcuno inizia a indossare qualcosa in un certo modo, indosserò l’esatto contrario di quello. Ho sempre indossato quello che volevo e dicevo sempre quello che volevo dire. Mi piace essere ricordata, quindi mi piace sembrare memorabile. Penso di aver dimostrato alle persone che sono più importante di quanto pensino. Sono un po’ intimidatoria, quindi la gente mi ascolterà. Sono un po’ spaventosa. Molte persone sono semplicemente terrorizzate da me».
Nel 2019, Billie ha rivelato di usare dei vestiti larghi in modo da impedire alle persone di criticare il suo corpo, dopo aver definito la moda il suo «meccanismo di difesa» (Wikipedia).
Il suo debutto nella campagna pubblicitaria I Speak My Truth[12] In #MyCalvins di Calvin Klein nel maggio 2019, così come la campagna Seize the Awkward[13] dell’Ad Council, mirava a creare una consapevolezza sul tema della salute mentale.
Nel settembre 2020, Eilish collabora con la Fender e lancia sul mercato un nuovo ukulele, progettato da lei stessa.
Il 27 novembre 2018, in seguito alla divulgazione di alcuni video che mostrano la cantante manifestare dei tic nervosi, dichiara di essere affetta dalla sindrome di Tourette e di esserne a conoscenza da quando era bambina.
Significativo il titolo di un suo brano del 2019 “When we fall asleep, where we go?”[14].
Direi che il personaggio dice molto della realtà giovanile: protestataria ma pacifista, malinconica e fragile, oscillante tra bulimia e anoressia anche nelle attitudini sessuali e nel fashion, non necessariamente binari.
Ecco descritta anche la mia paziente. Che niente ha a che fare con la misoginia più o meno volontaria degli Stones, con la virulenza del rock se pure mediato da malinconia blues, con la protesta di piazza politicamente accesa nonostante i toni new age di Woodstock, con l’uso di droghe o con l’adesione a modelli precisi di prestanza fisica e di rigore ginnico.
Io mi devo “adeguare” alla paziente, capire questa diversa inquietudine giovanile, non così ostile alle mode e al fascino dell’apparire come lo eravamo noi, pur volendo imprimere uno specifico stile. Si deciderà a fare una attività creativa ma pratica, che non richiede studi teorici ma molta mano artigiana, e da lì mi sembra ripartire la sua vita e il suo mondo interno. Si rimette a suonare, trovando. attraverso il linguaggio della musica, la possibilità di comunicare con i suoi coetanei e di intervenire in merito alle avversità del mondo e dell’età.
Anche certi testi estremi non sono segno a mio parere, di resa alla violenza, come ho sentito dire da tanti esimi colleghi in televisione, ma possono fornire la possibilità di elaborare vissuti depressivi ansiogeni e violenti, senza passare all’atto. La ripetitività crea costanza, rassicurazione, contenimento delle ansie e illusione di controllo. Se nulla cambia in maniera troppo improvvisa, nulla è inaffrontabile.
La musica è mediatrice, favorisce il crearsi di aree intermedie, winnicottianamente intese, e può aiutare a slatentizzare fantasie depressive e suicidarie, senza il bisogno di agirle. Se posso pensarle o rappresentarle musicalmente, non sarò costretta a farmi, o a fare, del male. Per questo non morirà mai, per questo accompagnerà sempre le nostre vite, e speriamo, anche quelle dei nostri figli, nipoti e pazienti.
Note
[1] The Rolling Stones, “Sticky Fingers” (1971) full album.
[2] The Rolling Stones, “Exile on mail street” (1972) playlist dell’album.
[3] The Beatles, “I wanna be your man” (1963).
The Rolling Stones, “I wanna be your man” (1963).
[4] The Rolling Stones, “Sympathy For The Devil” (1968).
[5] Muddy Waters, “Rollin’ Stones” (1950).
[6] The Rolling Stones, “(I can’t get no) Satisfaction” (1965).
[7] Il primo singolo estratto dal disco, “Mess it up”, è stato rilasciato anche sul canale youtube della band.
[8] Baby gang, “Mentalitè” (2022):
[9] Baby gang, “Marocchino” (2021):
[10] Dooz Kawa, “Passions tristes” (2020).
[11] Billie Eilish, “Ocean eyes” (2016).
[12] Billie Eilish, “Calvin Klein commercial” (2019).
[13] Billie Eilish, “On Mental Health & Friendship | Ad Council” (2020).
[14] Billie Eilish, “When we fall asleep, where we go?” (2019) playlist dell’album.
Bibliografia
Baraka A. (2011). La nascita del blues. Milano, Feltrinelli.
Bertoncelli R. (1999). Storia leggendaria della musica rock. Firenze, Giunti Editore.
Freud S. (1929). Il disagio nella civiltà. O.S.F., 10.
Richards K. (2016). Life. Milano, Feltrinelli.
Winnicott D.W. (1958). Dalla pediatria alla psicoanalisi. Martinelli, Firenze 1975.
Winnicott D.W. (1965). Sviluppo affettivo e ambiente. Roma, Armando Editore, 1975.
Winnicott D.W. (1971). Gioco e realtà. Roma, Armando Editore, 1993.
Zambellini M. (2008). Il tempo è dalla nostra parte. Milano, Feltrinelli.
*Per citare questo articolo:
Ferri P., (2024) “Distruttività e rinascita:
dal mito degli Stones alla difficile sopravvivenza dell’essere giovani”, Rivista KnotGarden 2024/1, Centro Veneto di Psicoanalisi, p. 135.146
Per una lettura più agile e per ulteriori riferimenti di pagina si consiglia di scaricare la Rivista in formato PDF.
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