Piccoli criminali: le “paranze” della Camorra

 Questo lavoro, inedito, è stato presentato alla 35esima Conferenza annuale della FEP- Federazione Europea di Psicoanalisi, dal titolo “Ideals”, Vienna 15-17 luglio 2022

 

di Massimo De Mari

(Padova), Membro Ordinario della Società Psicoanalitica Italiana, Centro Veneto di Psicoanalisi, membro della Commissione Psicoanalisi e Giustizia dell’IPA

” ‘Cause we’ve almost made it, we’ve almost made it, we’ve almost made it to the top”

               “Perché ce l’abbiamo quasi fatta, ce l’abbiamo quasi fatta, ce l’abbiamo quasi fatta, ad arrivare al successo”

(Randy Newman “Little criminals”. 1977)

Ai primi del ‘900 uscirono due libri per bambini che ebbero una fama longeva, “I ragazzi della via Pàl” (Ferenc Molnar, 1906) e “La guerra dei bottoni” (Louis Pergaud, 1912). In ambedue questi libri viene raccontata la storia di due bande di adolescenti in lotta tra loro, il primo tra i ragazzi della via Pàl appunto contro le “camicie rosse” che hanno la loro base logistica in un altro quartiere, vicino all’orto botanico, all’interno della città di Budapest di cui è originario l’autore. Nel secondo le due bande di ragazzini appartengono a due villaggi della campagna francese, Longeverne e Velrans. In ambedue i libri la “guerra” ha un valore prettamente simbolico. Ne “I ragazzi della via Pàl” l’unica vittima è un ragazzo già debole di salute che per di più cade accidentalmente nel laghetto gelato e muore di polmonite. Nel secondo il massimo della violenza che viene agita sui ragazzi che vengono fatti prigionieri al termine di ogni “battaglia” è la privazione di tutti i bottoni dei vestiti. Gli sconfitti sono dunque costretti a tornare a casa con vergogna, mezzi svestiti e con i pantaloni in mano. In ambedue i libri la morale dichiarata riguarda l’importanza della difesa dei propri diritti nei confronti di invasori e prepotenti, come pure dell’onore e del più inatteso eroismo pur con un taglio chiaramente antimilitarista.

Credo che il significato più profondo di questi libri stia nel sottolineare la complessa fase adolescenziale in cui i conflitti e le tensioni legate allo sviluppo del corpo e ai cambiamenti che l’approssimarsi dell’età adulta prospetta generano un’aggressività che può facilmente prendere una piega violenta e trasgressiva se non elaborata e canalizzata in modo sano. Questo può accadere soprattutto all’interno di un tessuto sociale come quello mafioso già di per sé orientato verso forme di devianza. In questa sottocultura che esalta la prevaricazione del più forte sul più debole l’aggressività fisiologica dell’adolescente trova un feedback all’interno di gruppi di pari in cui l’influenza negativa di un leader può creare fenomeni di degenerazione violenta.

 

La paranza, nel gergo mafioso, descrive metaforicamente una banda armata ma, letteralmente, si riferisce a piccoli pesci che vengono accecati e allo stesso tempo attratti dalla forte luce delle lampade utilizzate dai pescatori (chiamate “lampare”). I pesci, quindi, salgono in superficie dal fondo del mare e vengono di conseguenza intrappolati dalle reti da pesca (Saviano, 2016, p.11).

Lo stesso accade a certi giovani che sono accecati e attratti dal desiderio di denaro facile e di potere che non hanno alcuna possibilità di ottenere, data la loro età e la loro situazione sociale. Ma, per dare l’impressione di aver raggiunto quello stile di vita di alto livello imposto dalla nostra società nichilista e consumistica, scelgono il crimine, la violenza e l’oppressione come stile di vita, sapendo perfettamente che rischieranno la loro stessa vita per raggiungere quel modello ideale di esistenza. Il termine “paranza” viene utilizzato per descrivere bande di ragazzi, di età compresa tra i 10 e i 16 anni e cresciuti in famiglie mafiose, che vengono arruolati sempre più frequentemente nelle loro attività criminali.

L’obiettivo di questa presentazione è quello di sottolineare come l’Io ideale e l’ideale dell’Io per questi ragazzi siano legati tra loro e molto difficili da distinguere.

 

LE RADICI STORICHE DEL FENOMENO MAFIOSO

In Italia, il noto fenomeno antisociale chiamato “mafia” ha radici storiche nel XIX secolo. In quel periodo, l’Italia stava formalmente diventando una nazione intera, costruita a partire da un gran numero di città-stato e regioni frammentate. In realtà, l’Italia ha impiegato molto tempo per diventare unita. Il governo decise che la parte settentrionale e più avanzata dell’Italia doveva crescere per sostenere l’economia. Ciò ha spinto la maggior parte del bilancio statale verso le industrie e le fabbriche del nord, lasciando il sud completamente abbandonato alla sua economia di base, sostanzialmente sostenuta dall’agricoltura e dall’allevamento.

Il governo non era nemmeno in grado di far rispettare le regole nazionali, che erano ben lontane dalle aspettative della popolazione. La situazione di asimmetria economica, infatti, aveva portato a maggiori possibilità per i giovani di studiare e trovare un lavoro al Nord. Di conseguenza, al Nord i diritti umani erano molto più rispettati, soprattutto per quanto riguarda il ruolo delle donne nella società. In quegli anni, il patrimonio sociale, politico e finanziario cresceva rapidamente al Nord, mentre il Sud Italia lottava contro la povertà e l’ignoranza. Per questo motivo alcuni personaggi criminali divennero eroi popolari, in quanto si sostituirono al governo e iniziarono a pensare a come aiutare le persone a reagire a questo tipo di ingiustizia istituzionale. Nonostante le grandi differenze nella qualità della vita, gli abitanti del Sud dovevano pagare le stesse tasse di quelli del Nord. Le prime famiglie che si occuparono di questi problemi iniziarono a creare un governo locale non ufficiale (ovviamente mirato ai propri interessi privati) che fosse in grado di rispondere al bisogno di cibo, ordine e regole della gente.

All’inizio, la mafia era un governo alternativo che lottava contro il governo ufficiale italiano, dalla parte del popolo siciliano. Con il tempo, però, si è trasformata in un’organizzazione criminale sempre più strutturata che curava solo i propri interessi economici, usando il proprio potere contro la popolazione.

Sappiamo tutti come il format mafioso sia stato esportato all’estero dalle famiglie mafiose, prima negli Stati Uniti (subito dopo la seconda guerra mondiale) e poi in tutto il mondo, in particolare nei Paesi europei del Nord. La mafia si è diffusa anche in Italia, con nomi diversi legati alle diverse estrazioni sociali locali. Così, si parla di “mafia” quando si parla di Sicilia. Nella regione Campania abbiamo la “Camorra”, in Calabria la “N’drangheta” e in Puglia la “Sacra Corona Unita”.

Per concludere questo breve excursus storico, è importante capire come questi diversi nomi descrivano diversi modi di interpretare il modo di vivere criminale della mafia.

In Sicilia, i membri delle famiglie mafiose sono legati da giuramenti sacri che proteggono (o, per meglio dire, proteggevano) donne e bambini dalla vita criminale della famiglia. La mafia siciliana è internazionale ma non vuole ottenere il potere, perché è interessata solo al denaro. Le famiglie di camorra sono molto unite e riescono a creare e mantenere legami affettivi molto forti tra i loro membri. Il loro obiettivo è quello di essere riconosciuti come un’autorità sociale rispettata nella zona in cui vivono, senza esportare le loro attività all’estero. La Sacra Corona Unita è la più piccola organizzazione mafiosa, ma è molto potente in Puglia e ha forti legami con la politica. Infine, la N’drangheta è forse, al giorno d’oggi, la forma di mafia più pericolosa perché il suo obiettivo è quello di conquistare nuovi territori, per raggiungere il potere economico e politico, sia in Italia che all’estero.

Giovanni Falcone, il magistrato italiano che è riuscito per la prima volta a capire le regole della mafia e, per le sue attività, è stato ucciso con una bomba il 23 maggio 1992, diceva: “La mafia è un fenomeno umano, e come ogni fenomeno umano ha un inizio, un’evoluzione e anche una fine” (1991).

Definire la mafia un fenomeno umano era un modo per demistificarla e per toglierle quell’alone di mistero che per molti anni ha contribuito a negare che potesse esistere o a renderla quasi inconcepibile. Ancora oggi se si va in un qualsiasi paese della Sicilia e si pone agli abitanti una qualsiasi domanda sulla mafia, la risposta sarà quasi certamente “la mafia non esiste”. Ed è vero perché la mafia nasce, come abbiamo visto, da radici storiche ancora molto radicate soprattutto in alcune aree culturalmente meno sviluppate.

 

IL PROCESSO DI SOGGETTIVAZIONE

La mente vuota del bambino acquisisce la possibilità di pensare quando incontra la capacità familiare di pensare. È possibile evidenziare una stretta relazione tra la possibilità familiare di pensare e il processo di soggettivazione, il cui risultato dipende dalla qualità del pensiero familiare che può ostacolare o migliorare la potenzialità del bambino di produrre simboli.

Se il pensiero familiare è saturo ed è caratterizzato da comportamenti e schemi di pensiero rigidi, l’individuo potrebbe diventare vittima di una ripetizione circolare e paralizzante che lo renderà un mero esecutore di qualcosa di già pensato che ha saturato tutti i suoi legami mentali di costruzione simbolica (Menarini R., Pontalti C. 1986, p.18).

Il modo di pensare mafioso è l’espressione di una matrice familiare qualitativamente satura, qualificata da una rappresentazione forte della famiglia rispetto a quella debole dell’individuo; l’individuo è quindi costretto a trovare protezione nella famiglia o nel clan o in una grande figura protettiva (come il cosiddetto “padrino”, per esempio).

La rappresentazione interna di un mondo buono, fatto da “uomini di rispetto”, e di un mondo esterno cattivo è una caratteristica fondamentale del modo di pensare mafioso: come in molti fondamentalismi, i modi di pensare sono dicotomici e totalizzanti, così che il mondo esterno viene scisso in modo punitivo.

Per sfuggire a un’identità vuota e anonima, quindi per avere il diritto di esistere, il mafioso cerca una celebrazione onnipotente del sé, data dall’appartenenza alla famiglia mafiosa.

Possiamo quindi capire come questo tipo di formazione psicologica all’interno delle famiglie mafiose possa facilmente portare allo sviluppo di personalità antisociali e psicopatiche.

 

QUALCHE RIFERIMENTO CULTURALE

Ci sono molti film famosi su questo argomento che possono spiegare meglio di tante parole quello che sto dicendo. Dalla più famosa serie de “Il Padrino” di Francis Ford Coppola (iniziata nel 1972), a “C’era una volta in America” (1984, di Sergio Leone), a “Quei bravi ragazzi” (1990, di Martin Scorsese) fino al più recente “Era mio padre” (2002, di Sam Mendes), dove il protagonista è in realtà il figlio di un killer della mafia che segue il percorso del padre come modello di Io-ideale.

L’Io-ideale è un termine utilizzato da Freud nell’ambito della sua seconda teoria dell’apparato psichico: è un’istanza della personalità risultante dalla convergenza del narcisismo (idealizzazione dell’Io) e delle identificazioni con i genitori, i loro sostituti e gli ideali collettivi. Come istanza differenziata, l’Io-ideale costituisce un modello a cui il soggetto cerca di conformarsi.

Il termine “Ideale dell’Io” compare per la prima volta in “Introduzione al narcisismo” (1914) per designare una forma intrapsichica relativamente autonoma che serve all’Io come riferimento per valutare le sue realizzazioni. La sua origine è innanzitutto narcisistica: “Ciò che l’uomo proietta davanti a sé come proprio ideale è il sostituto del narcisismo perduto nell’infanzia, cioè dal tempo in cui egli stesso era il proprio ideale” (p. 464).

In “Psicologia delle masse e analisi dell’Io” (1921) tale processo è alla base della costituzione del gruppo umano. L’ideale collettivo trae la sua efficacia dalla convergenza degli ideali dell’Io individuale.

Roberto Saviano, scrittore molto noto e discusso in Italia, ha scritto molti libri sulla camorra e per questo è stato minacciato di morte e ha vissuto per anni accompagnato da una scorta armata. Nel suo libro sulle “paranze” scrive: “La differenza con gli adulti è che, mentre i primi non si espongono e non si fanno vedere, i ragazzi postano tutto quello che fanno sui social network, senza temere che questo li esponga a un giudizio negativo anzi… (nulla deve essere nascosto, questa è la pornografia moderna come aveva previsto il filosofo Baudrillard qualche anno fa). […] Se rifuggi dal sociale non esisti […] L’innocenza che li ha portati a volere tutto e subito li porta anche rapidamente alla morte, un’idea che li rende quasi felici […] (se muori a novant’anni sei un centenario ma se muori a venti diventi una leggenda). In questo senso sono molto simili ai jihadisti, che hanno una sorta di erotismo della morte, si attraggono di più perché per ottenere ciò che si vuole si è disposti a morire” (2017, Intervista)

 

Forse potremmo chiamarlo masochismo erogeno…. per quanto diventare oggetto implichi il rischio di essere feriti, la tendenza di questi ragazzi potrebbe essere quella di esporsi senza calcoli alla famiglia che è co-costitutiva della loro soggettività fin dal primo momento. Desoggettivarsi nelle mani della famiglia, perdersi nella relazione con essa, perdendo i confini della propria identità, è la condizione della vera soggettivazione. È come uscire dall’autoreferenzialità, aprirsi alla vita, sbilanciarsi. Solo se perdono il senso di sé riescono a ritrovarsi pienamente presenti nel mondo.

Non ho seguito direttamente casi di bambini, ma mi è capitato di conoscere molti membri di famiglie mafiose che sono cresciuti secondo gli schemi descritti in questa presentazione e si sono dedicati al “lavoro di famiglia” fin da piccoli, con attività di supporto logistico (facendo da palo per annunciare l’arrivo della polizia di allora nelle zone di spaccio) o agendo da “gruppi di fuoco”, cioè usando le armi.

L’Io-ideale, invece, è una forma intrapsichica che alcuni autori distinguono dall’Ideale dell’Io definendolo come un ideale di onnipotenza narcisistica costruito sul modello del narcisismo infantile.

Questo secondo modello è caratterizzato da una maggiore difficoltà a tollerare le frustrazioni imposte dalla realtà e dall’utilizzo della relazione per gratificare il proprio sé attraverso l’esercizio del potere e una forma di sopraffazione laddove si presenta un ostacolo alla realizzazione dei propri bisogni onnipotenti.

Se i modelli di ruolo sono ispirati alla violenza e alla sopraffazione dell’altro, il narcisismo di vita e il narcisismo di morte non possono distinguersi l’uno dall’altro. Allo stesso modo, la miscela tra pulsione di vita e pulsione di morte sarà sbilanciata verso la pulsione di morte.  La conseguenza è un blocco del processo di soggettivazione che mantiene questi bambini relegati a un ruolo passivo in cui prevale il masochismo erogeno. La prevalenza della pulsione di morte scatena un’aggressività che non può essere contenuta mentalmente e viene agita. Il legame di dipendenza con la famiglia mafiosa è destinato a non spezzarsi mai e in alcuni casi, quando un membro della famiglia cerca di sottrarsi a questa dinamica, viene ucciso.

Questa è la semplice descrizione di un fenomeno che si sta sempre più espandendo e caratterizza il fenomeno sociale della mafia in Italia.

 

COME LASCIARE LA “FAMIGLIA MAFIOSA”

Pensando alle possibilità terapeutiche in questo difficile campo, dobbiamo innanzitutto ipotizzare un intervento educativo che deve partire dalla scuola primaria e puntare a educare i bambini alla legalità. La sfida è ribaltare l’immagine negativa dello Stato e offrire a questi bambini-adolescenti un’esperienza di incontro positivo con le istituzioni.

Rientrano in questo ambito, ad esempio, i progetti musicali delle orchestre di strada (nate in Sud America con il nome di “manos blancas“) e, ad esempio, l’esperienza della “nave della legalità”, una crociera in cui vengono coinvolti ragazzi usciti dal carcere con l’intento di rieducarli alla socializzazione attraverso un’esperienza formativa di gruppo.

Da un punto di vista giudiziario, dopo aver commesso dei reati, agli adolescenti viene data la possibilità di affrontare un percorso riabilitativo di “libertà vigilata”, al termine del quale, se il processo ha successo, questi piccoli criminali vengono esonerati dal processo e rientrano nella vita sociale.

Da un punto di vista psicoanalitico, ogni intervento con gli adolescenti antisociali dovrebbe avere come prerequisito l’identificazione condivisa dei loro bisogni evolutivi, espressi simbolicamente attraverso il comportamento trasgressivo.

In pratica, è utile che il trattamento sia multisistemico (cioè che intervenga sul bambino e sul suo contesto); integrato (capace di combinare lavoro psicologico, sociale, educativo e penale); individualizzato (rivolto alla persona nel suo contesto e nella sua storia); progettuale (orientato al futuro); responsabilizzante (rivolto a un soggetto non passivo) e simbolico (attento ai significati soggettivi della non consapevolezza del comportamento antisociale) (Maggiolini, 2014, p 283).

Infine, è essenziale che la risposta dell’adulto sia tempestiva, rapida e il più precoce possibile, per evitare che il grido d’allarme espresso dal comportamento violento rimanga inascoltato e che l’adolescente sia portato ad alzare sempre di più l’asticella della sua sfida.

Bibliografia

De Mari M., Cenetiempo F. (2018). La paranza della camorra: educazione mafiosa e devianza minorile. Tesi Magistrale. Università degli Studi di Padova

Falcone G. (1991), Intervista, Rai3, 30 agosto 1991 https://www.rainews.it/archivio-rainews/media/Falcone-La-mafia-non-invincibile-2011d7b9-31e1-4fca-ade7-8fb81d0623e7.html

Freud S. (1914). Introduzione al narcisismo. O.S.F., VII.

Freud S. (1921). Psicologia delle masse e analisi dell’Io. O.S.F., IX.

Laplanche J., Pontalis J.B. (1993). Enciclopedia della Psicoanalisi. Bari, Laterza.

Maggiolini A. (2014). Senza paura e senza pietà. Milano, Raffaello Cortina.

Menarini R., Pontalti C. (1986). Il set familiare. Psicoterapia e Scienze Umane, n.4

Molnar F., (1906). I ragazzi della via Pàl. Castelnuovo del garda (VR), Edizioni del Baldo, 2017.

Newman R., (1977). Little criminals. North Hollywood (L.A.), Warner Bros.

Per-gaud P. (1912). La guerra dei bottoni. Rizzoli Editore, Milano, 2010.

Saviano R. (2016). La paranza dei bambini. Milano, Feltrinelli.

Saviano R. (2017) A 90 anni muori centenario, a 20 anni leggendario in Caffeina, 24 Giugno 2017.   https://www.caffeinamagazine.it/televisione/intervista-a-roberto-saviano-a-caffeina-2017-a-90-anni-muori-centenario-a-20-anni-leggendario/

Massimo De Mari, Padova

Centro Veneto di Psicoanalisi

massimodemari@gmail.com

 

 

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