Distruttività: un'intollerabile realtà.

di Patrizio Campanile

(Venezia), Membro Ordinario con funzione di Training della Società Psicoanalitica Italiana, Presidente del Centro Veneto di Psicoanalisi.

Come si sanano i disastri che la guerra produce?

Non mi riferisco a quelli materiali che in qualche modo si risolvono con la ricostruzione ed i finanziamenti, ma quelli che determina nelle persone. Dove trovano, le persone, le energie per superare l’orrore della guerra?

Sono solo alcuni degli interrogativi che non abbiamo oggi la pretesa di risolvere, ma rispetto ai quali tenteremo qualche pensiero. 

L’incontro di oggi nasce da una proposta che la Fondazione/Sklad Libero e Zora Polojaz ha fatto al Centro Veneto di Psicoanalisi. Alcuni Soci del CVP ne fanno parte ed un buon numero ha contribuito nel corso degli anni alle sue iniziative sempre per altro patrocinate dal CVP. In questo caso c’è però da parte nostra un impegno diretto che mira a sottolineare tanto l’apprezzamento per le iniziative portate a compimento nel corso degli anni da questi Colleghi, quanto l’impegno e la solidarietà che fin dall’avvio dell’invasione dell’Ucraina i Soci del CVP hanno manifestato nei confronti dei Colleghi che stanno subendo terribili soprusi. Al di là delle iniziative che ciascuno di noi, come cittadino, ha deciso di intraprendere, come analisti membri del Movimento Psicoanalitico Internazionale abbiamo voluto dare dei segni concreti di fratellanza nei confronti dei Colleghi Ucraini, sia proponendo alla SPI di organizzare una raccolta di fondi, sia attivando il gruppo di analisti che si occupano da anni nel CVP di rifugiati.

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Pensare, pensare alla distruttività mentre viene perpetrata è ancor più difficile che in altri momenti e per questo credo di poter dire a nome di tutti che siamo molto grati ai Colleghi che oggi hanno accettato di portare le loro esperienze di psicoanalisti che stanno, con i loro concittadini, subendo una guerra di invasione che sta portando dolore, morte e distruzione.

Grazie anche a coloro che hanno subito non molti anni fa la stessa sorte e che oggi si rendono disponibili a portarci la loro testimonianza. Penso ci voglia una buona dose di coraggio per affrontare a caldo la fatica del pensiero, perché di grande fatica si tratta di fronte all’orrore. Ben sappiamo quanto anche a distanza di molti decenni sia ancora per noi difficile affrontare le tracce della guerra e non solo perché vide il nostro paese schierato dalla parte degli aggressori e degli assassini. La guerra lascia ferite talvolta insanabili, divide le comunità; crea nemici tra gli amici e nelle stesse famiglie. Fa crescere bambini privandoli di tutto ciò che è necessario e di cui avrebbero diritto. Mette colleghi, che fino a poco prima cooperavano amichevolmente, dai lati opposti del fronte. Come è inevitabile, diventa difficile intendersi esposti, come si è e siamo tutti, alla propaganda, alla ideologia ed alla manipolazione della verità. 

Come salvare il salvabile?

Non dico come salvare l’umanità, il senso dell’umano, e non lo dico consapevolmente perché purtroppo anche di distruttività è fatta la nostra stoffa umana. È questa la componente dell’umano più nascosta e più difficile da accettare. Ben sappiamo quanto possa esser difficile riconoscerla e riconoscerne l’azione nelle nostre vite e nelle scelte dei singoli e dei gruppi umani.

Per me è sempre stato motivo di riflessione il travaglio che dovette affrontare Freud, che si è sempre imposto di non nascondersi la verità e cioè la realtà, quando non poté sottrarsi al riconoscimento della distruttività in quanto componente originaria dell’umano: “L’uomo non è una creatura mansueta, bisognosa d’amore, capace al massimo di difendersi quando è attaccata; è vero invece che occorre attribuire al suo corredo pulsionale anche una buona dose di aggressività. Ne segue che egli vede nel prossimo non soltanto un eventuale soccorritore e oggetto sessuale, ma anche un oggetto su cui può magari sfogare la propria aggressività, sfruttarne la forza lavorativa senza ricompensarlo, abusarne sessualmente senza il suo consenso, sostituirsi a lui nel possesso dei suoi beni, umiliarlo, farlo soffrire, torturarlo ed ucciderlo” (Freud, 1929, 599).

È, questo, un modo di vedere l’umano difficile da accettare.

Come disse Freud: “L’ipotesi della pulsione di morte o distruttiva ha incontrato opposizione persino in circoli psicoanalitici; so che spesso si preferisce ascrivere tutto ciò che nell’amore si trova di pericoloso e ostile a un’originaria bipolarità della sua stessa natura. Da principio avevo sostenuto solo a titolo sperimentale le concezioni testé illustrate, ma col passare del tempo esse hanno acquistato sopra di me un tale potere che non posso più pensare diversamente.

Nel campo teorico le ritengo incomparabilmente più utili di qualsiasi altra possibile concezione; […].

Ricordo come io stesso rifuggii all’idea d’una pulsione distruttiva quando emerse per la prima volta nella letteratura psicoanalitica e quanto tempo mi ci volle prima che fossi disposto ad ammetterla. Che altri mostrassero e mostrino tuttora lo stesso atteggiamento di rifiuto, mi sorprende meno. ‘I bambini non ascoltano volentieri’ quando si parla della tendenza innata dell’uomo al ‘male’, all’aggressione, alla distruzione e perciò anche alla crudeltà” (Freud, 1929, 606-7).

Vorrei brevemente richiamare l’attenzione su un elemento che personalmente ritengo centrale: l’orrore della distruttività come tratto centrale dell’umano comporta il far ricorso a modi per spiegare e giustificare ai propri occhi ed a quelli degli altri esseri umani i propri atti distruttivi. Gli ideali cui prontamente facciamo ricorso rendono allora presentabili, giustificabili ed eventualmente addirittura meritevoli le nostre azioni distruttive.

L’aggressione in corso in Ucraina ce ne dà l’ennesimo esempio.

Il fatto è che anche per contrastare le aggressioni è inevitabile mettere in campo ideali. Sono necessari a sostenere l’Io soprattutto nei momenti di difficoltà, concorrono alla sua edificazione ed al suo sviluppo; al tempo stesso possono aprire anche dentro la vittima la strada della distruttività. Come ha mostrato Freud, c’è un nesso tra costruzione degli ideali e sublimazione e ciò spiega come essi, per effetto del disimpasto pulsionale che la sublimazione si porta appresso, possano stare all’origine di intolleranza, sopraffazione ed azioni distruttive.

Come è complesso il modo in cui siamo fatti! 

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La giornata di oggi son sicuro ci offrirà nuovi spunti di riflessione. Grazie ancora quindi a nome di chi ha voluto e organizzato questo incontro e buon lavoro.

Bibliografia

Freud S. (1929). Il disagio della civiltà. O.S.F., 10.

 

Patrizio Campanile, Venezia

Centro Veneto di Psicoanalisi

patrizio.campanile@libero.it

 

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