La difficile vita dell’Io

di Maria Ceolin

Ho sperato che il cielo si lacerasse […]. L’ho sperato, ma il cielo non si è aperto.

C’è qualcosa d’insolubile in quest’attesa da animale da preda accovacciato e roso

dalla fame. […] Non voglio mangiare niente: dovrei piuttosto essere mangiato.

Georges Bataille, L’amicizia

 

 

In un’intervista apparsa su il manifesto nel dicembre 1999 Green sosteneva: “Riguardo alla teoria delle pulsioni sembrerebbe che gli psicoanalisti non guardino la televisione, non leggano i giornali, non ricevano tutte le notizie che ci arrivano sui commerci sessuali, sulle istanze di genocidio, sulle mille forme di crudeltà e di tortura che vengono praticate: non si può non mettere tutto questo in relazione con le pulsioni. Gli analisti oggi sembrano aver perduto consapevolezza di qualcosa che Freud sapeva molto bene: ossia che non tutta la teoria psicoanalitica può tradursi nella pratica interpretativa. Molto resta escluso: questo (corsivo mio) non dovrebbe evitare agli psicoanalisti di gettare uno sguardo al di là di ciò che si lascia comprendere” (Borrelli, 1999).

 

A questo proposito, in Narcisismo di vita Narcisismo di morte, troviamo alcune pagine conclusive in cui André Green parla dei mutamenti nel pensiero di Freud rispetto alla morte, dall’angoscia di castrazione ad Al di là del principio del piacere, intrecciati ai destini dell’Io.

‘Non ci si meraviglia mai abbastanza -scrive- di come la morte nelle nostre società sia diventata scandalosa’ (1982, 304).

Oggi, una relativa incoscienza dell’accumulo dei mezzi di distruzione si accompagna, paradossalmente, a una tendenza a non rassegnarsi a morire.

Forse non è più facile comprendere lo stato d’animo presente solo un secolo fa quando la morte era un’ombra familiare tra i viventi, così risulta difficile riconoscere l’audacia delle idee di Freud: nessuna rappresentazione della morte nell’inconscio, l’uomo nulla ne sa. “Nell’inconscio non vi sono che rappresentazioni dei desideri e degli affetti. Una positività pura” (ibid., 305).

Alle illusioni religiose e ai teoremi della filosofia, che ha sempre considerato il discorso sulla morte uno dei più nobili compimenti del pensiero, Freud risponde che si tratta di inganni, di maschere per negare un’altra angoscia, quella di castrazione.

Il radicalismo delle sue vedute potrebbe essere -si chiede Green- una provocazione, giustificata, però, dal funzionamento del processo primario che ignora la negazione e resta insensibile ad ogni idea di tempo.

E’ inimmaginabile la fine di un’esistenza animata dalla sola esigenza di affermare il desiderio e, in ultima analisi, morte e castrazione conducono ai medesimi pericoli: se finisce la vita, finisce il piacere.

 

Ma non è solo il suo premio di piacere a fare della sessualità il referente della vita psichica, essa è la funzione che attraversa l’individuo a monte e a valle, dando vita alla catena ininterrotta che disegna una figura d’immortalità.

‘L’individuo considera la sessualità come uno dei suoi fini ma, da un altro punto di vista, egli stesso non è che l’appendice del suo plasma germinale […] il veicolo mortale di una sostanza virtualmente immortale’ (Freud, 1914, 448).

Nella filogenesi sessualità e morte sono solidali.

 

L’immortalità resta presente nelle riflessioni di Freud anche quando, alla prima teoria delle pulsioni seguirà l’opposizione fra libido oggettuale e libido dell’Io: non si tratta più dell’immortalità della sessualità biologica che non si iscrive nello psichismo, ma di una credenza dell’Io che non è appannaggio solo del delirio ma, con il sostegno della fede, un autentico diniego della morte all’interno di un Io che si sa mortale, da parte del suo doppio che si rifiuta di ammetterlo1.

E’ il narcisismo -effetto della sessualizzazione delle pulsioni dell’Io- che ne è la causa’ (Green, ibid., 313).

Capace di nascondere una metà di se stesso e dare rifugio a desideri irragionevoli, l’Io, nella seconda topica, diverrà per la maggior parte inconscio.

Ma a far vacillare la fiducia in lui sono soprattutto le disillusioni dell’esperienza clinica, non sarà più possibile a Freud sostenere che tutte le angosce di morte sono uno spostamento dell’angoscia di castrazione, non nelle nevrosi narcisistiche e ancor meno nelle psicosi.

Per avere la misura di quanto l’introduzione della pulsione di morte modifichi la concezione dell’apparato psichico2, Green mette a confronto la lettura della melanconia che nel 1915 (Lutto e melanconia) la vede ancora come una fissazione libidica, a quella de L’Io e l’Es che parla di ‘pura coltura di pulsioni di morte’ (1923, 515). Non si tratta più dell’identificazione con l’oggetto perduto di una parte scissa dell’Io, ma di una persecuzione dell’Io ad opera del Super-Io alimentato dall’Es.  

L’anno successivo, ne Il problema economico del masochismo, Freud distingue il masochismo del Super-Io che, tramite l’impasto pulsionale, ‘risessualizza’ la morale, dal masochismo dell’Io, originato da una distruttività diffusa e non legata.

 

L’Io, i cui conflitti si dispiegano nella malattia ma sono presenti in ognuno, appare così sempre più vulnerabile, in balia della cecità che affligge la sua parte inconscia e della pulsione di morte che lo avvelena dall’interno.  

Una visione sfiduciata nei poteri della vita sostituisce via via l’affermazione della potenza della sessualità che resta vitalizzante ma solo se messa al sicuro, mentre, ‘il principio di piacere’, soggetto al principio del Nirvana, ‘sembrerebbe porsi al servizio delle pulsioni di morte’ (Freud, 1920, 248)3.

La non coscienza della morte diviene non coscienza dell’aspirazione a morire.

       

Riconoscere la morte non solo come fine inevitabile, ma, anche tramite il suo corredo di paure, buona alleata nel fuggire difficoltà e ferite della vita, aiuta a non rimuovere e negare, a scampare al non-pensiero e allo spossessamento nei confronti del quale ci seduce.

Ritroviamo nel pensiero clinico di Green la pulsione di morte anche nella sua veste originaria (precedente al frastuono di eros ed aggressività estroflessi) di ritorno all’inorganico, aspirazione al silenzio psichico, alla quiete dell’inesistenza (altra forma di immortalità).

Egli articola il binomio vita-legame morte-suo scioglimento: “Eros è compatibile con legami e slegamenti intrecciati o in successione, mentre le pulsioni distruttive sono pura assenza di legame” (Green, 1991, 341).                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                        

La funzione disoggettualizzante (Green, 1996, 119) domina il narcisismo negativo di un Io che, cercando la fusione con il doppio, fa l’amore con se stesso, per eludere il desiderio dell’altro e ogni investimento significativo.

Green non considera la spinta a distruggere capitale originario, affida la responsabilità dell’impasto all’oggetto e al buon funzionamento del ‘dialogo fra pulsione e oggetto’. In questa topica allargata, l’Io si trova a dover affrontare un duplice conflitto contro le pulsioni dell’Es e dell’Altro. 

Nel radicale attacco a sé delle psicosi, ma anche nelle ‘logiche del negativo’ (quando thanatos si lega a un eros arcaico): disperazione, inibizione, indifferenza, rinuncia alla ricerca del piacere4, il no alla propria vita, ‘il desiderio di non attaccamento’, possono costituire un’estrema difesa dalla passione folle dell’oggetto. 

“E’ l’oggetto che è importante. E’ l’oggetto d’amore che è importante” (Green, 2011, 130).

Potremmo allora chiederci: oggi siamo ancora capaci di pensare l’amore?

 

Note

[1] Freud introduce esplicitamente l’immortalità dell’Io ne Il Perturbante, un Io che l’analisi di miti e racconti sulla gemellarità raffigura diviso in due metà, una delle quali dotata spesso di immortalità.

[2] Nel video intervista a cura di Ferdinando Urribarri, lo ascoltiamo dire: ’A un certo punto del mio percorso mi sono reso conto che non ci può essere una teoria psicoanalitica seria senza seguire Freud negli ultimi stadi del suo pensiero, vale a dire la seconda teoria della pulsione’ (2011, 128).

[3] A ciò sembra ispirarsi L’erotismo di Bataille.

[4]Una delle riformulazioni del lavoro del negativo è il ‘principio di non-dispiacere’, regolato dall’evitamento del dispiacere. Il ‘non’ ha preso il posto del piacere il cui ritorno ‘occupa abusivamente lo psichismo e viene vissuto come tale solo sotto la forma intrusiva di una violazione’ (Green, 1996, 216).

 

 

Bibliografia

Bataille G. (1957). L’erotismo, Milano, Mondadori, 1969.

Bataille G. (1973). L’amicizia, Milano, SE, 1999.

Borrelli F. (1999). ‘Al di là del principio di pensiero. Incontro con André Green’. In Alias. Edizioni Il Manifesto. 31 dicembre.

Freud S. (1914). Introduzione al Narcisismo OSF, 7.

Freud S. (1915). Lutto e melanconia. OSF, 8.

Freud S. (1919). Il Perturbante, OSF, 9.

Freud S. (1920). Al di la del principio del piacere, OSF, 9.

Freud S. (1922). L’Io e l’Es, OSF, 9.

Freud S. (1924). Il problema economico del masochismo, OSF, 10.

Green A. (1982). ‘L’io mortale-immortale’. In Green A. (1983). Narcisismo di vita, narcisismo di morte. Roma, Borla, 1985.

Green A. (1988). ’Perché il male? ’. In Green A. (1990). La follia privata. Psicoanalisi degli stati limiti. Milano, Cortina, 1991.

Green A. (1993). Il lavoro del negativo. Roma, Borla, 1996.

Green A. (2011). Film-intervista a cura di Urribbarri F. ‘I percorsi di André Green: idee rivisitate per una psicoanalisi contemporanea (1961-2011)’ in La passione del Negativo. Omaggio al pensiero di André Green. Baldassarro A. (a cura di) Milano, Franco Angeli, 2018.

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