Sezione Locale della Società Psicoanalitica Italiana
di Ilenia Emma Caldarelli
Molteplici sarebbero i sentieri percorribili per rendere omaggio ad André Green; uno tra questi potrebbe essere quello di tracciare nella sua storia l’importanza che egli attribuiva al futuro della psicoanalisi.
Green vedeva nelle sfide sollevate dalla clinica contemporanea, ovvero nei casi limite, la preziosa eredità ricevuta da Freud:
“Non è importante soltanto la seconda topica, ma anche gli articoli sulla tecnica degli ultimi anni di Freud: “Analisi terminabile ed interminabile” e “Costruzioni nell’analisi”. Questi testi trattano la questione seguente: perché non funziona? Io dico: ecco la nostra eredità” (Urribarri F., 2013, 77).
Tuttavia, se si affianca alla storia dei suoi Scritti, l’ascolto delle registrazioni dei suoi interventi ai congressi o alcune video interviste rilasciate nel corso della sua vita, oltre al grande acume del suo pensiero, si resta particolarmente colpiti dalla sua coinvolgente passione per la psicoanalisi.
Come alcuni dibattiti rivelano infatti, la sua partecipazione ai convegni era intensa, vigorosa ed appassionata, tanto da essersi conquistato l’appellativo di “combattente “e di “tigre” (Cupa D., 2008, 4).
Non è un mistero il fatto che alla passione per la psicoanalisi, Green aggiungesse una vera e propria “difesa della psicoanalisi” che sentiva attaccata sia “dall’esterno che dall’interno” (Dispaux M.F., Minazio N., 1997).
Rimproverava soprattutto ai post freudiani di essersi ritirati in gruppi frammentati ed autorefenziali, annullando da un lato il terreno comune di provenienza, e dall’altro rendendo impraticabile un dibattito profondo e creativo, indispensabile per la crescita della psicoanalisi.
Pur essendo considerato un grande maestro di pensiero quindi, Green non fu mai un militante e non formò mai allievi.
“Egli militava esplicitamente contro la creazione di una corrente militante. Diceva che la “psicoanalisi è un progetto sostenibile solo attraverso la passione per l’autonomia” (Urribarri F., 2013, 135).
Non vi è dubbio infatti, che alla difesa della psicoanalisi, vi si aggiungesse anche un’appassionata difesa delle proprie idee psicoanalitiche ed in un’intervista dichiarava:
“Le teorie psicoanalitiche sono idee che hanno a che fare con il nostro essere… Se vengono attaccate, è il nostro stesso pensiero ad esserlo […] Ecco perché le proprie idee vanno difese come esseri umani” (Persine M., 2002, web site).
Green teneva senz’altro molto alla sua autonomia di pensiero preservata sin dai primi passi fatti all’interno delle Istituzioni psicoanalitiche. Infatti, dopo gli studi in medicina e al termine del suo internato in psichiatria al Sant’Anna, dove avvenne il primo incontro con Lacan, Green si trovò a decidere in quale Istituto di psicoanalisi formarsi. In quegli anni, l’ambiente psicoanalitico francese aveva subito gli effetti della scissione del ‘53 dando vita a due principali Istituti di formazione: uno costruito intorno a Lacan ed ai suoi seguaci, e l’altro, la SPP (Société Psychanalytique de Paris), riconosciuta all’IPA.
Nonostante l’insistente invito di Lacan ad unirsi alla sua scuola, Green scelse la SPP contribuendone all’accrescimento del prestigio e diventandone Presidente dal 1986 al 1989.
Questa scelta non gli impedì di costruire intorno a sé una ricca rete di collaborazioni ed una serie di scambi fecondi con altre correnti psicoanalitiche che pure si riconoscevano nella stessa radice comune.
Nei primi anni sessanta frequentò i Seminari di Lacan, pur allontanandosene definitivamente nel ‘67. Risalgono a quegli stessi anni le prime frequentazioni degli ambienti inglesi dove l’incontro con D. Winnicott sancì anche un particolare interesse per la sua esperienza clinica.
Sin dagli anni 70 iniziò anche la collaborazione con la Redazione della Nouvelle Revue de Psychanalyse diretta da Pontalis, insieme ai post lacaniani (Anzieu, Laplanche, Rosolato…) che nel frattempo, si erano separati da Lacan dando vita all’APF (Association Psychanalytique de France).
In un bel articolo alla memoria di Green, Marina Papageorgiou (2012), ricorda il profondo legame scientifico ed affettivo che legava Green alla Revue française de psychosomatique, di cui era consulente per la rubrica Spazio psicoterapico. Ripercorre inoltre l’interesse e la curiosità di Green per il pensiero psicosomatico, la profonda amicizia con Christian David, le divergenze con Pierre Marty sul concetto di pulsione di morte, e la sintonia con quella che fu la sua terza analista, Catherine Parat, a cui peraltro, dedicò il suo scritto sul concetto di madre morta.
L’insieme di questi scambi trasversali tra analisti che, pur condividendo una stessa filiazione analitica, guardavano ad aspetti diversi della psicoanalisi, contribuì alla nascita di importanti opere di pensiero individuale.
In prospettiva, guardando al futuro della psicoanalisi, torna in mente lo scambio tra lo psicoanalista francese e Fernando Urribarri, autore del libro che raccoglie i dialoghi tra i due intorno all’intera opera di Green, che scrive:
“Se gli domandavo cosa si aspettava, come avrei dovuto organizzare i suoi scritti, o a quali dare priorità, ogni volta, ho ottenuto la stessa risposta:” Mon cher Fernando, ça c’est à toi de le faire!” (Urribarri F., 2013, 136).
Bibliogafia
Cupa D. (sous la dir.) (2008). Image du père dans la culture contemporaine. Hommage de la SPP à André Green, Gérard Bayle, Paris, PUF, 4.
Dispaux M.F., Minazio N. (1997). Entretien avec A. Green realisé à Paris en mai 1997, Revue Belge de Psychanalyse, 31:107-127.
Papageorgiou M. (2012). Hommage à A. Green, Revue Française de psychosomatique, 2012/2 n°42/ 11-18.
Persine M. (2002). Entretien “A. Green, parcours”. Web site SPP.
Urribarri F. (2013). Dialoguer avec André Green – La psychanalyse contemporaine, chemin faisant. Paris, Ithaque.
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