Sezione Locale della Società Psicoanalitica Italiana
di Malde Vigneri
(Palermo), membro ordinario con funzioni di training della Società Psicoanalitica Italiana, Centro Psicoanalitico di Palermo.
*Per citare questo articolo:
Vigneri M., (2025). Oggetto reale, oggetto virtuale, oggetto analitico. Baricco, Mastodon ed OnlyFans. Rivista KnotGarden 2025/1, Centro Veneto di Psicoanalisi, pp. 16-26.
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Alcuni giorni addietro mi è capitato di sentire in tv un’intervista a Baricco, autore che io amo molto e che leggo con grande piacere. Ad un certo punto l’intervistatore chiese a Baricco se non ritenesse che i social e il mondo virtuale avrebbero distrutto l’anima delle nuove generazioni e se non fosse prevedibile un non so quale danno perpetrato dal mondo in rete. “Ma no!” rispose Baricco “la vita è fatta di narrazione e storia”. Per quanto a tutta prima non avessi compreso bene il senso delle sue parole, non potei fare a meno di riflettervi, riuscendo infine a darvi un significato. Ogni cosa relativa all’umano non può prescindere dalla sua narrazione, e l’uomo stesso non può produrre qualcosa che in fondo non gli appartenga. Ed è tale narrazione che costruisce una storia. Ma il processo di assimilazione e di appropriazione storica non ha un percorso lineare: ogni nuova invenzione, ogni nuovo prodotto umano suscita spesso nell’uomo stesso e nelle persone, insieme all’utilizzo creativo della cosa anche un suo uso conflittuale e in conseguenza a ciò l’incrementarsi di quella inquietudine che il nuovo provoca sempre. Come proponeva nella sua domanda l’intervistatore, ogni novità tecnologica infonde oltre agli entusiasmi per quanto di emancipativo essa comporti, anche l’avvertimento di una minaccia persino distruttiva insita nel cambiamento stesso. Mentre la realtà si confà plasmandosi volta per volta sotto l’egida dei nuovi prodotti tecnici, evolutivi, ingegneristici, e oggi soprattutto informatici, i dubbi, gli avvertimenti pessimistici e il cattivo utilizzo forzano e si aggiungono all’impregnazione dei mutamenti rispecchiando accettazione e respingimento in una specularità di opposti. È quello che Sybille Kraemer definisce natura ambivalente dei media. Ogni variazione in quanto innovativa suscita una resistenza, ma paradossalmente è proprio questo timore verso il nuovo, questa diffidenza motivata o meno, che ne favorisce l’acquisizione e l’impregnazione ai più profondi livelli psichici. Ricordiamo come Lacan distinguesse reale da realtà, proponendo che l’irruzione della realtà nel reale in sé con ciò che in questo resta non simbolizzabile o comprensibile possa generare angosce catastrofiche e previsioni apocalittiche: avvertimenti allarmistici che si affiancano all’accettazione entusiastica ed immersiva nelle nuove realtà. Si realizza così una dimensione legata a quelle reduplicazioni immaginarie, come le chiama Gemma Zontini che divengono in era informatica particolarmente evidenti non solo in relazione al binomio entusiasmo-diffidenza ma nella fattispecie propriamente nel peculiare rapporto fra virtuale e reale, fra realtà digitale e realtà fisica e non ultimo fra realtà virtuale e virtualità psichica, con una valenza “perturbante” accentuata proprio dagli avvertimenti di pericolo nonché dagli estremi di un disuso. Intendo dire che è proprio questa sospettosità sia emozionale che sostenuta dalle pieghe disarmoniche cui il mezzo tecnologico può pervenire, a veicolarne la trasformazione verso risvolti di pensiero metonimico spesso attraverso connotazioni fobiche. L’aereo è divenuto un’icona delle fobie umane avvolgendosi di una sua consistenza metaforica attraverso l’angoscia. Elevazione, distacco, caduta ne sono divenute forme simboliche, e come tali declinantesi in espressioni alfabetiche del linguaggio psichico.
Penso Baricco alludesse al tipo di narrazione metaforica che gli oggetti reali assumono arrivando così a far parte aggiuntiva della vita psichica. Che cos’è reale? Si chiede Giorgio Agamben in un suo libro che parla dell’impercepibile e dell’acquisizione dei dati di realtà nelle volute dell’inconscio potremmo dire in una loro forma di peculiare ambigua riapparizione.
Proporrei che un oggetto diviene veramente reale, intendo dire parte performativa della realtà psichica, quando sfuma dal suo essere solo realistico e dilata i suoi connotati concreti disperdendoli persino traumaticamente nel loro divenire parte di un discorso altro, allegorico, simbolico, da ritradurre in nuovi e ulteriori significati.
L’attualità dell’oggi, intendo dell’universo informatico, complica dunque le cose in maniera davvero intrigante allorché si tenga conto che l’oggetto reale in questione, quello delle nuove evoluzioni dei prodotti umani, è in realtà un oggetto virtuale. Il nuovo oggetto virtuale in rete diviene un oggetto interno confluendo nelle sue valenze ambigue e dolenti forse in una forma particolare di simulacro, parafrasando Baudrillard, da intendere nel senso di “εἴδωλον”, fantasma, spettro. Tale realtà virtuale nell’afferire all’immaginale psichico si intensifica in una rete di rifrazioni. L’oggetto acquisito nel sistema conscio-inconscio assume una valenza direi da Giano Bifronte: sul piano della coscienza si condensa nei significati multipli che l’elaborazione razionale gli conferisce, sul piano inconscio riceve da questo l’investimento di combinazioni emblematiche e metaforiche che ne costituiscono la sua essenza di “oggetto psichico”.
È fuori di dubbio che l’avvento informatico abbia rivoluzionato i comportamenti umani e che l’oggetto digitale abbia invaso il mondo del reale imponendosi in ogni consuetudine, indipendentemente da età, razza e genere, ingaggiando opinionisti e sociologi secondo ottiche evoluzionistiche o deterrenti. Ed è fuori di dubbio quanto possa essere interessante indugiare in commenti i più vari o riflettere su quelle che possono essere considerate incerte derive antropologiche. Ciò che tuttavia a me preme considerare è quello che compete al campo psicoanalitico nell’individuazione dei modi in cui un tale assetto fenomenico del digitale-virtuale venga assorbito e rappresentato a tutti i livelli del pensiero non solo consci. Ed è nella stanza d’analisi che diviene possibile la constatazione e il rilievo dei modi del sancirsi di una assimilazione narratologica e storica, direbbe Baricco, dell’oggetto reale nell’oggetto psichico, veicolati l’uno verso l’altro dalla intersecazione reciproca dell’oggetto virtuale. Diviene cioè interessante osservare dal punto di vista psicoanalitico in che modo l’oggetto virtuale amato-temuto che si insidia nel reale modificandolo vistosamente e profondamente, venga acquisito quale oggetto psichico (quale sia cioè il rapporto fra il virtuale reale e il virtuale psichico). L’equazione lineare tra il digitale e il reale così come si articola nella vita di tutti i giorni confluisce nel campo psichico in una replicazione quale rispecchiamento assimilativo nella psiche. Ho la sensazione che tale assimilazione psichica del mondo digitale si articoli in dimensioni davvero interessanti, giungendo a formularsi in un loro aspetto persino antesignano di proiezioni future. Molto spesso sono proprio i pazienti a portarne in seduta tracce tanto inconfutabili quanto enigmatiche. Il reale ed il virtuale si rispecchiano mutuamente intensificandosi fino ad una impossibilità di distinguere un aspetto dall’altro, come avviene ad esempio nella scena cult del film Face/off di John Woo: nell’andare oltre l’apparente, lo psichico rende indistinguibili il reale dal virtuale conferendovi nuove valenze.
È ciò che accade con due pazienti dell’ultima ora che mi sembra veicolino ambedue anche se in modo diverso questa nuova realtà virtuale nel lavoro analitico attraverso un peculiare materiale onirico.
La domanda strettamente psicoanalitica in questo contesto è: come possiamo articolare e comprenderne la narrazione psichica quando la realtà digitale penetra nei sogni come residuo diurno? Certo, da tempo i cellulari, divenuti veri e propri protagonisti specialmente dopo l’isolamento per il Covid, fanno la loro comparsa ex abrupto nella stanza d’analisi intrudendo nel setting. Palmare alla mano, spesso due cellulari da una parte e dall’altra dai giovani agli uomini d’affari: lunghi messaggi letti in seduta direi da quasi tutti, a dimostrazione dell’interferenza continua e protesica fra mondo reale e quello digitale che assurge così al proprio diritto di “realtà virtuale”. È però nel momento in cui tutto ciò entra a far parte del lavoro onirico, dunque in un suo risvolto conflittuale, che inizia la nuova narrazione dell’avventura psichica dell’Uomo.
Riferirò di due sogni, anche nel desiderio che parlarne mi aiuti a capirne quei risvolti ed i molti aloni che mi sembra possano riferirsi a ciò che propone Agamben nel suo scritto: un nuovo analitico che scaturisce da ciò che potremmo definire l’estensione nella fattispecie di precedenti dimensioni umane così come le abbiamo fino ad ora pensate.
Il primo sogno che vi riferisco è quello di un giovane paziente piuttosto complicato, in analisi da pochi mesi per impulsività talora aggressive e una tendenza all’isolamento, inviato dalla madre come fosse un ragazzo gravemente handicappato, visto da una psicologa che gli ha somministrato alcuni test come un pericoloso stalker con cui si è presto rifiutata di restare sola, ma che giunge da me conquistandomi immediatamente per un suo fascino malinconico, un’acuta e sofferta intelligenza e un’importante storia personale. Di lui, il ragazzo cangiante, per ragioni di privacy posso solo dire che fu a casa bambino ribelle e ipercinetico nonostante legato morbosamente alla madre, e un piccolo genio agli studi apprezzato dai maestri seppure spesso stizzoso e prepotente con i compagni, e devo dire specie con le ragazzine. Giunge da me per avvertimenti dolenti di depersonalizzazione che mi appaiono segni di una sorta di destrutturazione psichica prepsicotica. Nel procedere del lavoro analitico comincio a pensare che tra il binomio in contrapposizione fra ribellione e genialità e le sue personalità chimeriche possa esservi un non so quale rapporto di misteriosa transizione. Che i suoi molti modi di essere includano anche un rapporto con il non-essere. Questo è comunque quello che mi sembra di percepire nel suo sogno. “Mi trovavo” inizia a dirmi narrandomelo “in questa zona del mondo network. Da dentro questo mondo guardavo il fuori e vedevo tutte le persone al telefonino che digitavano i loro contatti. Non sapevo distinguere quale fosse la dimensione reale, questa o l’altra.”
Commenta che lui usa moltissimo i social. Mi racconta che lui scrive spesso “a icone che nella realtà sono persone vere di cui lui non sa nulla ma con cui a volte inizia una conoscenza informatica virtuale”. Lui pensa che nel sogno siano queste icone che si concretizzano come fossero persone che vivono in una dimensione in cui il virtuale è sempre scambiabile con il reale.
Mi dice che è quello che accade a lui: che lui vive nel network come fosse quella la realtà che lui fantastica e che questo possa influenzare quello che gli accade realmente nella vita. Mi dice che nel sogno era come se fosse dentro Mastodon. Come al solito, quando i pazienti mi riferiscono di elementi informatici altri da quelli basilari, non ne so nulla e gli chiedo dunque di cosa stia parlando. “È una piattaforma social decentralizzata” mi spiega con un preciso linguaggio tecnico “che rimette il processo decisionale all’utente che può scrivere quello che vuole e quello che pensa”. Il bello è, mi dice ancora, che ogni server crea le proprie regole applicandole a modo proprio. “Non c’è un algoritmo che dall’alto verso il basso sistema le cose nella dimensione virtuale. Tutto è come se fosse reale. Ed è come nel sogno in cui ero me stesso dentro la realtà virtuale come se fosse reale, a guardare quelli fuori al telefonino come se fossero loro virtuali”. Aggiunge, dopo qualche attimo di riflessione, che gli algoritmi di solito vengono usati per mettere gli uni contro gli altri. È per questo, mi dice, che in Mastodon non c’è polemica come accade negli altri social. Ma precisa che lui invece nel sogno contestava in modo pesante, e che allora venivano i carabinieri che gli intimavano la resa con voce così alta da spaventarlo, ed era la paura a svegliarlo.
Ora, certo noi analisti siamo abituati a cercare quanto di nascosto si possa intuire dalle parole dei pazienti e sappiamo bene che quanto da loro detto non è mai come sembra. Intuisco certamente come il sogno possa parlare di un mondo interno depersonalizzato e di un sistema sociale e comunicazionale imprigionato nella gabbia informatica, ma oltre alle letture specifiche alla situazione psicopatologica del paziente, questa volta avverto anche qualcosa di diverso nella lettura del materiale; qualcosa di simile a una vertigine. Non solo per i capovolgimenti delle innumerevoli dimensioni in cui il reale, il virtuale e l’onirico si intrecciano e si ribaltano fra loro, ma anche e forse direi soprattutto per le implicazioni relative a quelle che mi erano apparse come una sorta di personalità multiple del paziente che sembravano riflettersi nei rovesciamenti onirici. Rinvenivo nel sogno, e nelle parole e nelle associazioni da lui adoperate, non solo l’uomo colto e affascinante che io avevo percepito a tutta prima, ma anche quelle connotazioni di violenza di cui la giovane psicologa aveva avuto sentore, persino l’ombra di un Super-io punitivo messo all’angolo dal titano Mastodon. Restava scoperta l’accezione handicappata con cui la madre lo aveva presentato. Ma credo che a questa dimensione di sottomissione a una figura materna malignamente accudente fosse contrapposto il suo onirico avatar virtuale in grado di decidere ogni cosa, cui comunque come in una sinusoide tentava di ribellarsi forse proprio attraverso il lavoro analitico che svolgeva con me. Mi sembrava cioè che se da un lato il sogno componeva una sorta di struttura psichica camaleontica, da un altro punto di vista mi colpiva molto come quest’uomo riuscisse a tratteggiare una specie di visione futuristica in una verosimile descrizione della dimensione diffusiva, direi quantica, propria dei nostri tempi. Un metaverso in cui l’alto e il basso, il reale e il virtuale, l’immaginario e l’onirico si compongono tra loro in una nuova soggettualità mastodontica e decisionale, quasi a disegnare una figura mitologica e cangiante al di là di presunte e perdute regole fisiche. Avevamo un segreto io e il paziente, lui come frutto del suo passato era destinato ad una vita autistoide e dolente imprigionato nelle dimensioni di un suo vivere separato dagli altri, ma insieme a me diveniva un profetico e antesignano Aruspice del futuro. Penso che lui sia, parafrasando Jacob, come un uomo della notte che traccia un invisibile cammino del divenire verso ciò che non è più ma non è ancora. Insomma tra reale e virtuale, fra il fantasioso e l’oniroide, mi ritrovo spesso a vagare con lui in territori ancora piuttosto improbabili e per la verità assai affascinanti.
Altrettanto efficace anche se in modo del tutto diverso, è il sogno di un altro paziente, un ventisettenne ad analisi avanzata, neolaureato in ingegneria. Questo è un sogno caratterizzato, direbbe Winnicott, dall’uso dell’oggetto.
Molto più concreto e pignolo del giovane trasformista di prima, il paziente mi sta mettendo ultimamente in ambasce per una crisi sentimentale cui reagisce con una gettata furibonda che temo possa mettere a rischio tutto quanto guadagnato negli anni di precedente lavoro. Il fatto è, cronaca di una morte annunciata, che si era invaghito di una fanciulla da cui, ed era per me chiarissima certezza, non avrebbe mai avuto alcuna attenzione né corrispondenza. Come avevo previsto e temuto, quando lui le dichiara proditoriamente il proprio amore, ne riceve il più deciso dei rifiuti. Seguono settimane di tregenda analitica in cui davvero sembra che ogni cosa precipiti verso una pericolosa rottura emotiva, quando finalmente una notte fa il seguente sogno, assolutamente risolutore e liberatorio. “L’ho collocata in OnlyFans!” mi comunica trionfante a inizio seduta. Dalle sue parole di commento, mi accorgo chiaramente di come la nuvola nera si fosse dissolta e come lui fosse disposto a rinunciare sia alle sue reazioni belligeranti sia alla sua idea amorosa. “Sa,” mi dice con tono di regale condiscendenza “ora penso di comprenderne le ragioni e comunque oramai è tutta acqua passata”. Non avevo parlato in quei primi minuti, ascoltando con un certo sollievo le pieghe prese dal suo pensiero e la benevolenza delle sue associazioni al laconico sogno, accorgendomi però che non avevo la più pallida idea di cosa fosse OnlyFans. Così glielo chiesi confessando la mia ignoranza. Non sembrò meravigliarsene e mi spiegò che si tratta di una piattaforma on line, dove gli utenti, i cosiddetti creator, possono postare qualunque cosa, foto, pubblicità, pensieri. “Ma”, precisa sornione, “dietro la facciata virtuale di contenuti più o meno innocenti si cela in realtà un luogo di vendita a salati pagamenti di immagini pornografiche.” “Ci si fa un sacco di soldi” mi dice “specie le ragazze!” “Dunque si è vendicato” commento divertita. “Certo!” mi risponde, “le ho dato della puttana!”
Stiamo un momento in silenzio, riflettendo ognuno a modo proprio. Al di là di tutte le implicazioni controtransferali che mi intrigano molto, penso anche che questo giovanotto sembra tratteggi la forma che il futuro può assumere. Però vedo in lui un capitolo successivo al marasma trasformistico del paziente precedente. Lì dove mi era sembrato che le dimensioni, il dentro e il fuori, il sopra e il sotto, il reale e il virtuale, l’onirico e lo starter psichico, girassero vorticosamente in un vento tanto innovativo quanto funambolico con tutta la mitologica sofferenza che questo comporta, in quest’ultimo paziente il gorgo sembra assestarsi, il mondo si è nuovamente resettato e ora l’oggetto virtuale è incorporato e acquisito quale lessico psichico finalizzabile alle ragioni inconsce. Come nelle illustrazioni di Dorè ora l’inferno è riconoscibile e i rei trovano il loro posto, ma ancora non tutto è compiuto. Dopo qualche attimo di riflessione infatti il paziente mi dice: “Sa dottoressa, credo che questo sia però solo un aspetto del sogno. Credo che più profondamente questo sia un sogno di riconoscimento, e credo sia questo riconoscimento ad avermi liberato. Credo che nel sogno io riconosca il potere della donna, un potere sessuale, economico, matriarcale. È proprio perché ne riconosco il potere e la colloco in un olimpo virtuale, che forse può rappresentare anche lei e l’analisi, no? che io posso pensare di andare oltre”. Per inciso, la crisi non solo si è ora dissolta, ma liberato dal potere della donna-madre, il paziente si è da poco legato ad una deliziosa fanciulla. “Sa perché me ne sono innamorato dottoressa?” mi dice mostrandomi un simpatico video a conferma “perché quando è felice fa questo buffo balletto”. Poiché mi piacciono i lieto-fine, penso che loro due siano i veri creator e che vadano verso il futuro come fosse una lieta danza.
Bibliografia
Kraemer S. (2020). Piccola metafisica della medialità. Roma, Edizioni di Storia e Letteratura.
Lacan J. (1964). Il seminario. Libro XI. I quattro concetti fondamentali della psicoanalisi. Torino, Einaudi, 2003.
Agamben G. (2016). Che cos’è reale? La scomparsa di Maiorana. Vicenza, Neri Pozza Ed.
Baudrillard J. (1976). Lo scambio simbolico e la morte. Milano, Feltrinelli, 2015.
Jacob F. (1998). Il topo, la mosca e l’uomo. Torino, Boringhieri.
Winnicott D. (1969). The use of an object. Int. Journal of Psycho-Analysis, 50, 711-716.
*Per citare questo articolo:
Vigneri M., (2025). Oggetto reale, oggetto virtuale, oggetto analitico. Baricco, Mastodon ed OnlyFans. Rivista KnotGarden 2025/1, Centro Veneto di Psicoanalisi, pp. 16-26.
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