“Virtuale è reale”, fake news e oscillazioni della verità

di Adriana Ramacciotti

(Firenze), Membro Ordinario della Società Psicoanalitica Italiana; Centro Psicoanalitico di Firenze.

*Per citare questo articolo:

Ramacciotti A. (2025).  “Virtuale è reale”, fake news e oscillazioni della verità*. Rivista KnotGarden 2025/1, Centro Veneto di Psicoanalisi, pp. 110-130

Per una lettura più agile e per ulteriori riferimenti di pagina si consiglia di scaricare la Rivista in formato PDF.

 

Eppur si muove…”

       Galileo

 

Virtuale è reale” è uno dei concetti centrali del Manifesto della comunicazione non ostile (2017) un documento che promuove l’utilizzo consapevole e rispettoso del linguaggio nella comunicazione online. Questa espressione, come segnala D. Bennato (2024) mette in luce come la vita digitale non sia semplicemente un’alternativa alla nostra esistenza, ma ne rappresenti una parte integrante, altrettanto reale e significativa. [1]

La crescente presenza degli ambienti virtuali o digitali nella vita quotidiana soprattutto dalla pandemia di Covid-19, ha accelerato la transizione verso l’online grazie alle opportunità offerte da tecnologie diverse per semplificare la vita quotidiana, favorire le relazioni sociali, agevolare il lavoro e migliorare la comunicazione con gli altri.

 “Virtuale è reale” mi sembra sottolinei come la dimensione digitale nonostante la sua virtualità, non possa necessariamente essere considerata qualcosa di distinto o separato dalla realtà, ma piuttosto una sua qualità intrinseca, un aspetto che spesso contribuisce a definirla e arricchirla. Viceversa, escludere la virtualità dalla vita quotidiana implicherebbe “non essere in contatto con la realtà”. Essere in contatto con la realtà implica inesorabilmente la realtà virtuale. 

La presenza del virtuale nella realtà è così significativa che le generazioni vengono ormai identificate in base al loro grado di coinvolgimento con gli ambienti digitali. Lo sviluppo tecnologico è stato talmente rilevante nel tempo che i cosiddetti Millennials (o generazione Y, nati tra gli anni Ottanta e Novanta del Novecento) possono essere considerati nativi digitali. L’uso ubiquo degli strumenti digitali è diventato una loro caratteristica distintiva, rendendo l’interazione con la tecnologia sempre più naturale e immediata.

In ambito psicoanalitico, il concetto di realtà psichica (Freud,1915) è forse quello che ci risulta più familiare quando pensiamo alla dimensione virtuale. Freud sostiene che le produzioni psichiche, di per sé e non solo per gli effetti che producono, abbiano una realtà propria, la cui concretezza è almeno pari a quella della realtà materiale. I processi inconsci, governati dal principio di piacere, ignorano la realtà esterna e la sostituiscono con la realtà psichica.

È ne L’interpretazione dei sogni (1899, p. 564), con un’aggiunta del 1914, che Freud affronta questo tema. Il legame tra sogno e desiderio inconscio è profondo, così come quello tra inconscio e realtà psichica. Proprio per questo, il concetto di realtà psichica risulta essenziale per comprendere la natura dell’inconscio e delle sue produzioni. Poco dopo Freud afferma “Quando si hanno di fronte i desideri inconsci, portati alla loro espressione ultima e più vera, bisogna dire che la realtà psichica è una particolare forma di esistenza che non dev’essere confusa con la realtà materiale” (p. 564).

L’intenzione di Freud di conferire una consistenza e un’autonomia che possa mettere la realtà psichica a pari livello della realtà esterna, si consolida nell’articolo della Metapsicologia, L’Inconscio (1915), dove afferma che il termine realtà psichica sia entrato nel corpus freudiano. Freud nel cercare tale autonomia propone l’analogia tra le sue ipotesi psicoanalitiche e la rettifica di Kant:

 “Come Kant ci ha messo in guardia contro il duplice errore di trascurare il condizionamento soggettivo della nostra percezione e di identificare quest’ultima con il suo oggetto inconoscibile, così la psicoanalisi ci avverte che non è lecito porre la percezione della coscienza al posto del processo psichico inconscio che ne è l’oggetto. Allo stesso modo della realtà fisica, anche la realtà psichica non è necessariamente tale quale ci appare. Saremo tuttavia lieti di apprendere che l’opera di rettifica della percezione interna presenta difficoltà minore di quella della percezione esterna, che l’oggetto interno è meno inconoscibile del mondo esterno” (L’inconscio, 1915, p. 54).

Un parallelo che servirebbe a ratificare la soggettività della percezione e la necessità di distinguere il percetto dalla realtà del proprio mondo interno che, come il mondo esterno, resta inconoscibile anche se in modo minore (Semi 2001).

Laplanche e Pontalis (1967) dedicano una breve voce al concetto di realtà psichica, sottolineando come Freud lo intenda come ciò che, per il soggetto, assume valore di realtà all’interno del suo mondo psichico. Questa realtà si caratterizza per una coerenza e una resistenza paragonabili a quelle della realtà materiale. In questo senso, la realtà psichica sarebbe essenzialmente costituita dal desiderio inconscio e dalle fantasie ad esso collegate. Tuttavia, la complessità dei processi di percezione, pensiero e linguaggio, intesi come fenomeni interni in continua rielaborazione, suggerisce una visione più dinamica e articolata della realtà psichica.

Il passaggio progressivo dal dominio del principio di piacere a quello del principio di realtà evidenzia una relazione complessa tra i due, poiché entrambi possono essere diversamente legati alle pulsioni sessuali e alla costituzione dell’oggetto interno. Quest’ultimo, a sua volta, è una costruzione “virtuale”, formata dalla moltitudine di rappresentazioni che emergono dalla percezione della realtà esterna. Si tratta di un funzionamento virtuale e silenzioso, reso visibile solo attraverso le propaggini, i sintomi o l’insight.

Freud esemplifica questa dinamica con la metafora del telescopio: “Tutto ciò che può divenire oggetto della nostra percezione interna è virtuale, come l’immagine nel telescopio data dal passaggio dei raggi luminosi. Ma i sistemi – che di per sé non sono affatto psichici e non diventano mai accessibili alla nostra percezione interna – siamo autorizzati a considerarli alla stregua delle lente del telescopio, che proiettano l’immagine” (1899, p. 556).

Ci troviamo dunque di fronte al tema della percezione interna nell’ottica psicoanalitica e alla costruzione teorica freudiana dei sistemi. Da questa costruzione scaturisce una concezione topica – la prima topica – intesa come una serie di luoghi virtuali in cui si esercita la percezione interna (Sistema Inc–Prec–C) e può essere rappresentata come una serie di piani o superfici capaci di ricevere iscrizioni. Tuttavia, tale rappresentazione si complica nel momento in cui si introduce la dinamica e l’energia della pulsione, un flusso costante proveniente dall’interno del corpo che si configura come un concetto limite tra psichico e somatico. Del somatico, il virtuale non possiede altro che i rappresentanti della pulsione, i quali costituiscono l’unico possibile legame con la dimensione psichica.

La seconda topica, Io, Es, Super-Io (Freud, 1922) che propone una concezione strutturale dell’apparato psichico, introduce invece un’organizzazione di tipo territoriale, assimilabile a una suddivisione in province psichiche. La nozione di istanza richiama un riferimento giuridico, indicando l’area in cui ciascuna esercita la propria competenza. Tuttavia, i confini tra queste istanze non sono fissi né definitivi, ma variano in base alla natura dei conflitti in cui sono coinvolti (Chauvel, 2008, pp. 647-650,

Tornando all’espressione “Virtuale è reale”, sorge spontanea la domanda su quanto la realtà virtuale possa aprire molteplici canali espressivi – visivo, auditivo, la lettura, la scrittura, il giudizio – e facilitare l’espressione di emozioni e sentimenti, sia in relazione a un altro specifico che a un interlocutore indeterminato. Di conseguenza, ci si può chiedere se il virtuale del reale segua gli stessi percorsi percettivi degli stimoli esterni o se, al contrario, si strutturi attraverso dinamiche percettive differenti. In altre parole, si potrebbe ipotizzare una maggiore rilevanza della comunicazione, si può pensare davvero a una comunicazione inc-inc tra mondi virtuali? (Vedere Marzi, 2013, Biondo, 2024, Mesiano, 2024, Vigneri, 2025).

Andrea Marzi (p. 163), sottolineando l’inconoscibilità del virtuale – attributo peraltro che esso condivide tanto con la realtà esterna quanto con la realtà psichica – evidenzia come il termine cyberspace derivi dalla fantascienza. Fu lo scrittore William Gibson a coniarlo nei suoi racconti cyberpunk, in particolare Burning Chrome – La notte che bruciammo Chrome (1982) e Neuromancer – Neuromanter – (1984) senza che egli stesso avesse allora un’idea precisa del suo significato. Gibson impiegò questa parola per descrivere un mondo virtuale, una realtà simulata condivisa attraverso reti informatiche.

Questa anticipazione letteraria segnala, inoltre, lo stretto legame tra fantasia e la scienza del virtuale, un fenomeno che certamente non appartiene soltanto alle scienze del cyberspace, ma che evidenzia i possibili passaggi tra i diversi livelli di realtà e dà conto, in modo sorprendente, della peculiare permeabilità dei processi psichici.[2]

Fake news e verità storica

“Postverità” indica una forma di supremazia ideologica, in cui chi la sostiene cerca di imporre una credenza, indipendentemente dall’esistenza di prove adeguate a supportarla. Dichiarata parola dell’anno nel 2016, l’Oxford Dictionaries definisce post-verità come “relativa o indicativa di circostanze in cui i fatti oggettivi influenzano meno l’opinione pubblica rispetto agli appelli all’emozione e alla fede personale”[3]. In questa definizione viene sottolineato il significato del prefisso post, non tanto nel senso temporale di una verità passata (come in dopoguerra), ma piuttosto nel senso di una verità eclissata, resa irrilevante.

Nella prefazione all’edizione italiana del suo libro, Lee McIntyre (2018), ricercatore presso il Centro di Filosofia e Storia della Scienza dell’Università di Boston e docente di Etica presso la Harvard Extension School, afferma che la post-verità è, in sostanza, la subordinazione politica della realtà. McIntyre evidenzia come la post-verità si manifesti quando alcune parti interessate cercano di persuadere gli altri a credere in qualcosa basandosi sui propri interessi ideologici, anche in assenza di fatti ed evidenze a supporto. 

L’autore si riferisce ai diversi livelli attraverso cui le persone possono sovvertire la realtà: dagli errori involontari, in cui si afferma qualcosa di non vero senza intenzione, all’ignoranza volontaria, che si manifesta quando si dichiara qualcosa senza sapere se sia vero, senza preoccuparsi di verificarne la correttezza. Infine, vi è la menzogna vera e propria, ossia l’affermazione consapevole di una falsità con l’intento di ingannare. Questi tre atteggiamenti possono facilmente scivolare l’uno nell’altro e sono strettamente legati al grado di consapevolezza e, quindi, di coscienza.

Il problema delle fake news è strettamente legato al fenomeno della post-verità.

Il termine fake news risulta particolarmente efficace nel descrivere la diffusione di informazioni false, spesso costruite con l’obiettivo di influenzare specifici ambiti, generalmente di natura politica, economica o propagandistica. Una fake news è, infatti, una notizia deliberatamente falsa, creata con l’intento di ingannare e manipolare l’opinione pubblica.

Sebbene lo sviluppo dei social network abbia amplificato enormemente la capacità di diffondere e dare risonanza a qualsiasi contenuto, compresi quelli falsi, e l’intelligenza artificiale consenta oggi di generare notizie ingannevoli con estrema facilità, il fenomeno della disinformazione e della manipolazione dell’opinione pubblica attraverso false informazioni precede di gran lunga la nascita dei social media. Strumenti tecnologici come la stampa e il telegrafo hanno storicamente giocato un ruolo nella diffusione delle fake news. Tuttavia, l’ascesa dei social network come fonte primaria di informazione (basti pensare che Facebook è nato nel 2004 per connettere amici e non per diffondere notizie) ha reso ancora più labile la distinzione tra fatti e opinioni, rendendo spesso difficile tracciarne una chiara demarcazione.

D’altra parte, la possibilità per chi legge le fake news di non rimanerne intrappolato e di ricercare informazioni obiettive, o quantomeno fonti che permettano di farsi un’idea più veritiera, non è affatto scontata.

La verifica delle fonti, la valutazione della credibilità e della competenza dell’autore, così come un approccio critico o un certo scetticismo nei confronti di quanto letto, sono processi che richiedono tempo e attenzione. Inoltre, è stato osservata una certa tendenza a leggere e dare credito alle notizie che confermano il proprio punto di vista, un fenomeno che alimenta il cosiddetto confirmation bias e la polarizzazione delle idee.

Appare paradossale che Internet, uno strumento concepito per garantire un accesso immediato a informazioni affidabili, si sia spesso trasformato in una camera d’eco, amplificando opinioni preesistenti e favorendo la diffusione di notizie false.

Il pensiero psicoanalitico offre numerosi spunti di riflessione che possono contribuire a comprendere il fenomeno delle fake news, sia dal punto di vista di chi le crea, sia da quello di chi vi crede. Seguendo il filo delle mie associazioni, in particolare a partire dal pensiero freudiano, considero quanto segue un primo abbozzo di analisi, ancora aperto a ulteriori approfondimenti e sviluppi.

 

A proposito di bugie, viene subito in mente il capitolo 11 di Attenzione e Interpretazione di Bion (1970, 133), intitolato Le bugie e il pensatore, di straordinaria, acuta e perspicace attualità. Bion sottolinea come la difficoltà nell’indagare la bugia risieda, tra le altre cose, nel fatto che lo stesso linguaggio impiegato per ricercare la verità può essere utilizzato per costruire l’inganno. Di come siano inseparabili bugia e il suo pensatore. Della relazione parassitaria tra bugiardo e ambiente che corrisponde alla relazione parassitaria tra pensatore e bugia che spoglia l’ambiente di significato. Inoltre, Bion evidenzia l’importanza di osservare la comunicazione, se essa sia finalizzata a promuovere il chiarimento o l’inganno e a quale punto dello spettro genetico si collochi ovvero se si tratti di una comunicazione primitiva o sofisticata (Ibidem, p. 11).

A proposito dell’intreccio tra vero e falso o meglio dell’impossibilità di distinguere tra verità e finzione viene in mente un momento cruciale nella storia della psicoanalisi.

Il 21 settembre 1897, Freud scrive a Wilhelm Fliess per annunciare l’abbandono della teoria della seduzione, arrivando a sostenere la “netta convinzione che nell’inconscio non esista un ‘segno di realtà’, rendendo impossibile distinguere tra verità e finzione investita di affetto”.

Affermazione che, ancora una volta, ci riconduce al tema della realtà psichica, ponendo le basi sia per la sua definizione che per quella della realtà della fantasia.

Ecco una sequenza di riferimenti:

 

“Gli episodi infantili costruiti o ricordati nell’analisi certe volte sono incontestabilmente falsi, certe altre volte invece altrettanto sicuramenti veri e, nella maggior parte dei casi, un misto di vero e di falso” (Freud, 1915-1917, p. 523).

 

“Queste fantasie possiedono una realtà psichica in contrasto con quella materiale, e noi giungiamo a poco a poco a capire che, nel mondo delle nevrosi, la realtà psichica è quella determinante.” (Ibidem, p. 524).  

 

“Gli eventi infantili “se fanno parte della realtà tanto meglio; se la realtà non li ha forniti, allora vengono elaborati in base ad accenni e completati con la fantasia. Il risultato è lo stesso … a seconda che la parte maggiore in questi avvenimenti spetti alla fantasia oppure alla realtà” (Ibidem, p. 526).

Nel corso dello sviluppo del pensiero freudiano, strettamente legato al concetto di realtà psichica emerge il concetto di verità storica, in quanto espressione di una verità soggettiva che esiste all’interno della dimensione psichica. Questo concetto, in Freud, è sempre stato contrapposto alla verità materiale, ovvero quella dei fatti e della realtà esterna. [4]

Come sottolinea Maggini, “Freud per ‘verità storica’ intende una verità legata sì alla storia del soggetto, ma a quella storia ancora da scriversi (com’è all’inizio di ogni analisi) una verità che è rimossa, e di cui si conoscono solo le deformazioni. Non c’è dunque opposizione tra verità storica e verità narrativa sono piuttosto due modalità con cui si mostra la verità in analisi.” (2004, p. 87).

In questa storia ancora da scrivere, le Costruzioni in analisi offrono un ulteriore spunto di riflessione sul rapporto tra verità e finzione. In Costruzioni in analisi, Freud (1937) descrive il lavoro dell’analista come un processo di elaborazione di una complessa rete di congetture sugli episodi del passato del paziente. L’analista, come un archeologo, ricostruisce e ricompone frammenti di storia insieme al paziente, partendo dalle associazioni, dai sogni, dagli atti mancati e dai sintomi, proprio come l’archeologo ricostruisce il passato a partire dai resti di civiltà sepolte (Barale, 2024). Costruzione e ricordo sono profondamente intrecciati e, come osserva Freud, persino le formazioni deliranti del paziente, così come le costruzioni che propone l’analista, partecipano a questo stesso processo di ricerca e significazione e “non possono portare ad altro che a sostituire la parte di realtà che attualmente si rinnega con un’altra parte di realtà che in un passato lontanissimo è stata parimenti rinnegata” (Freud, 1937, p. 552).

Nel paragrafo conclusivo di Costruzioni in analisi, Freud approfondisce ed estende ulteriormente le sue riflessioni alla psicologia collettiva.

“Se consideriamo l’umanità come un tutto, e la mettiamo al posto del singolo essere umano, troviamo che essa pure ha sviluppato formazioni deliranti che contraddicono la realtà e risultano inaccessibili ad argomentazioni critiche di tipo logico. Se ci domandiamo perché, ciononostante, riescono ad esercitare sugli uomini un potere straordinario, la conclusione cui ci porta la ricerca è la stessa cui siamo pervenuti nel caso dell’individuo singolo: esse devono il loro potere al contenuto di verità storica che hanno ricavato dalla rimozione di epoche antichissime e dimenticate” (Ibidem, p. 552).

 

Alla luce di questo filo di pensiero, sarebbe azzardato chiedersi se possa esistere un nucleo di verità nelle fake news? Se, pur distorte, alcune di esse contengano frammenti di realtà rimossi, negati o trasformati? Come si intrecciano questi frammenti, questi schizzi di falsità e di verità, nella realtà sociale fino a diventare manipolazione? E dunque, quando sarebbe possibile dire “abbiamo l’impressione, per dirla con Polonio, di aver preso un carpione di verità proprio con un’esca di falsità”? (Freud, 1937, p. 546 – da Shakespeare, Amleto, atto2, scena1).

Durante la pandemia di Covid-19, ad esempio, non era difficile prevedere che i vaccini, sviluppati in tempi straordinariamente rapidi, potessero avere effetti collaterali. Del resto, i processi di ricerca e sperimentazione sono stati accelerati rispetto agli standard tradizionali.

Allo stesso modo, non era difficile immaginare gli enormi profitti che le multinazionali del farmaco avrebbero ottenuto dalla loro commercializzazione, così come constatare l’incapacità – o la mancata volontà – dei governi di arginare questi guadagni eccessivi, prima e dopo la pandemia. Tuttavia, negare l’esistenza stessa del virus, delle sue vittime e persino morire per sostenere questa bugia è un atto estremamente costoso, non solo in termini simbolici ma anche reali.

La bugia, come sottolinea C. Neri (2007), ha elevati costi per il bugiardo, poiché richiede un enorme dispendio di energie per essere mantenuta, continuamente aggiornata e resa credibile. In alcuni casi, potenzialmente, potrebbe anche costargli la vita.

Forse le fake news custodiscono sì una verità nascosta, un nucleo di senso che può emergere solo attraverso un’analisi più profonda. Attivando una soggettività capace di restituire un senso “umano”, che dia dignità alla vita e alla morte e che non sospenda il giudizio critico? Ma sarebbe sufficiente?

 

Pensieri “molesti”[5]

 “Virtuale è reale” solleva dunque un’altra questione cruciale: l’inspiegabile ritardo nell’applicazione di una normativa adeguata al mondo digitale.

Le regole che governano l’online non coincidono ancora pienamente con quelle applicate alla realtà materiale, creando zone d’ombra in cui non tutto ciò che è punibile o regolamentato nel mondo reale trova una chiara corrispondenza nel contesto virtuale. La letteratura più recente ha sottolineato la necessità di superare l’idea che la rete sia uno spazio neutrale o una semplice lavagna bianca. Lungi dall’essere una pura espressione della libertà di parola, il potere degli algoritmi opachi contribuisce all’amplificazione del fenomeno delle echo chambers [6] con efficacia senza precedenti raggiungendo un pubblico ben più ampio rispetto ai mezzi tradizionali.

Questa potenzialità richiederebbe una legislazione specifica, in grado di adeguarsi alla natura e all’impatto dei nuovi strumenti di comunicazione. La difficoltà di garantire un utilizzo equilibrato e responsabile degli strumenti digitali è ulteriormente complicata dalla presenza di interessi divergenti, soprattutto di natura politica ed economica che rendono ancora più complesso l’accordo su una regolamentazione efficace e condivisa.

“Se la comunicazione sociale consente la diffusione di informazioni criminali da parte di terroristi o gruppi, o di ciò che Lyotard definiva post-verità, dovremmo parlare di notizie criminali e non di fake news” sostiene J.C. Calich nel Issues 16 di Psychoanalisis Today.[7]

Durante la pandemia, la diffusione dell’odio – la cosiddetta “piramide dell’odio” – ha prosperato sui social media, alimentata dalla polarizzazione e dalla disinformazione. Numerosi studi hanno evidenziato un legame significativo tra l’esitazione vaccinale nei confronti del Covid e la diffusione di notizie false, spesso veicolate attraverso algoritmi che amplificano contenuti divisivi e sensazionalistici.

 Negli ultimi anni, diversi governi e organizzazioni internazionali hanno istituito task forces per contrastare la disinformazione e il dilagare delle fake news. Ad esempio, nel 2015, l’Unione Europea ha creato l’East StratCom Task Force, parte del Servizio europeo per l’azione esterna, con l’obiettivo di promuovere una comunicazione efficace e contrastare le campagne di disinformazione, in particolare quelle provenienti dalla Russia.

 In Italia, nel 2020, è stata istituita un’Unità di monitoraggio per il contrasto delle fake news sul Covid-19, con il compito di sorvegliare e intervenire contro la diffusione di informazioni fuorvianti relative alla pandemia. Nel febbraio 2022, poco prima dello scoppio della guerra in Ucraina, durante un incontro informale dei Ministri della Giustizia dell’Unione Europea, è stata proposta una modifica all’Articolo 83 del Trattato sul Funzionamento dell’UE per includere l’incitamento all’odio tra i reati da perseguire a livello comunitario. L’accento è stato posto sul ruolo dei social media, evidenziando la necessità di una maggiore collaborazione con le piattaforme digitali e l’introduzione di un quadro normativo specifico per combattere l’odio online.

A tal fine, è stato raccomandato il Digital Services Act (DSA), fondato sul principio secondo cui “ciò che è illegale offline deve esserlo anche online”. Inoltre, il regolamento e-Evidence impone alle piattaforme digitali l’obbligo di collaborare con le autorità giudiziarie, garantendo un intervento più efficace contro i crimini d’odio sul web.

Nel 2023, Taiwan ha annunciato la creazione di una task force contro le fake news, con l’obiettivo di individuare e smentire le informazioni false entro quattro ore, utilizzando chiarimenti basati su fatti verificati e video esplicativi. Questa iniziativa rappresenta un approccio proattivo alla lotta contro la disinformazione, con tempistiche rapide e strategie mirate.

Nel dopo pandemia di Covid-19 e le precedenti elezioni americane, piattaforme come Facebook (Meta), Twitter (ora X) e YouTube avevano implementato sistemi di fact-checking per contrastare la disinformazione su temi sensibili come la salute pubblica e la politica. [8]

Tuttavia, negli ultimi anni, molte di queste iniziative sono state ridimensionate o addirittura eliminate. La tendenza attuale sembra andare nella direzione opposta, verso una “deregulation del digitale. Di recente Meta ha annunciato la chiusura dei suoi programmi di Diversità, Equità e Inclusione (DEI). Janelle Gale, vicepresidente delle risorse umane di Meta, ha giustificato questa scelta citando i cambiamenti nel panorama legale e politico, facendo velatamente riferimento alla recente sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti, che ha bocciato le politiche di affirmative action nelle università più prestigiose del Paese.

Questa decisione riflette un più ampio ridimensionamento delle iniziative DEI nel settore tecnologico, in un contesto in cui il dibattito sulla loro efficacia e legittimità si fa sempre più acceso. La chiusura di questi programmi, insieme alla crescente influenza di gruppi conservatori o di potere contrari a regolamentazioni più stringenti, solleva interrogativi su quale direzione prenderà in futuro la gestione della disinformazione e della tutela dei diritti online.[9]

 “Diritto e violenza (-potere-) sono oggi per noi termini opposti. È facile mostrare che l’uno si è sviluppato dall’altro, e, se risaliamo ai primordi della vita umana per verificare come ciò sia da principio accaduto, la soluzione del problema ci appare senza difficoltà”, Freud inizia così a rispondere a Einstein quando, nel 1932, gli viene chiesto se esista un modo per liberare l’umanità dalla guerra e se sia possibile orientare l’evoluzione psichica degli uomini affinché diventino più capaci di resistere alla psicosi dell’odio e della distruzione (293).

E tuttavia, il problema delle fake news non risiede sempre nella loro capacità di essere convincenti, ma piuttosto nel loro attacco radicale alla possibilità stessa della verità. Quale verità? Forse una verità che comprenda dimensioni diverse e articoli virtuale e reale, verità “come modo di disporsi aderente alla realtà sia essa materiale, psicologica, psichica o storica, tenendole distinte ed apprezzandone le diversità pur essendo tutte, tra loro, intrecciate” (Campanile, 2017, p. 433).

Quando persino le fonti più affidabili e autorevoli vengono messe in discussione, l’effetto che ne deriva è quello del perturbante (Unheimlich) (Freud, 1919), una sensazione insostenibile di disorientamento di fronte all’impossibilità di riconoscere le stesse verità condivise. Se questa tendenza si intensifica, il rischio è quello di scivolare in una condizione di totale perdita di senso, confusione, nonsense. Un tale stato psichico rende le persone particolarmente vulnerabili alla manipolazione, esponendole all’influenza di chi propone una nuova “verità” forte, ma ingannevole.

“Se ricorro all’esperienza analitica per avere un suggerimento, essa mi ricorda che un sano sviluppo mentale sembra dipendere dalla verità, come l’organismo vivente dipende dal cibo. Se la verità manca o è incompleta la personalità si deteriora.” (Bion, 1965, p. 60).

Così come può risultare facile regredire da uno stato evoluto a una fase narcisistica (narcisismo primario), ogni differenziazione psichica rappresenta un nuovo onere per l’apparato psichico, aumentando non solo la complessità, ma anche l’instabilità del sistema, e può dunque costituire il punto di partenza per un suo eventuale crollo.

Ne Il disagio della civiltà (1929) Freud cerca di cogliere, nell’ordine collettivo, la combinazione tra un narcisismo illimitato e l’“odio” che ne consegue, nonché la trasformazione dell’impotenza infantile in onnipotenza. Si tratta di una forma di narcisismo privo di difetti, alimentato dall’illusione di un piacere senza limiti, che conduce alla liberazione della violenza individuale e collettiva, in aperto contrasto con l’ordine sociale (Lorenz Khan, 2021). Un’illusione di piacere infinito che si accompagna, tuttavia, a un disperato tentativo di sopravvivenza.

Eppure, se l’Ideale dell’Io è l’erede del narcisismo, l’odio diventa un’emozione più differenziata nel momento in cui si stabilisce la distinzione tra Io e oggetto.

Dobbiamo dunque chiederci infine, se l’odio che si esprime sui social media e attraverso le fake news rientri in questa categoria: un odio indifferenziato e persino impersonale (Semi, 1999), capace di innescare una rabbia cieca – ciò che viene descritto come un “impulso aggressivo, distruttivo e non erotico” – nel momento in cui la manipolazione prende forma. Un odio che si lega all’Ideale dell’Io, in quanto l’Io si sente umiliato per qualche ragione e, in risposta, attiva fantasie di onnipotenza, dando così vita a una nuova realtà arcaica e primitiva.

 

 

 

Bibliografia

 

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Freud S. (1919) Il perturbante. O.S.F. 9

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Laplanche J., Pontalis J.-B. (1967). Enciclopedia della psicoanalisi. Roma-Bari, Laterza, 1973.

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Web: Informal Ministerial Meeting Justice and Home Affairs Lille 3-4 February 2022 

 


NOTE:

[1] Manifesto della comunicazione non ostile

[2] Marzi, affrontando il tema del virtuale, fa riferimento a diversi autori postfreudiani: la nozione di spazio potenziale e di intermediarietà di matrice winnicottiana, il concetto di Claustrum nel modello meltzeriano, la realtà ultima di Bion e il reale lacaniano, ecc. (p. 165).

[3] Post truth

[4] L’idea di verità storica, contrapposta a verità materiale appare ufficialmente per la prima volta a Freud nella lettera del 6 gennaio 1935 a Lou Salomé e, nella premessa iniziale a L’uomo Mosè e la religione monoteistica (1934). Successivamente nel Proscritto (1935) alla Autobiografia (1924), in alcune lettere e nella parte finale di Costruzione nell’analisi. Vedere Campanile P. (2017) Verità storica: un nome alla cosa. Psiche 2/2017.

[5] Questo sottotitolo fa riferimento al testo di Alberto Luchetti (2021) Il fattore molesto in Sigmund Freud Il disagio nella civiltà. Milano. Feltrinelli

[6] Si tratta di un fenomeno particolarmente evidente nei social media, dove politici, istituzioni e altre organizzazioni sfruttano questi strumenti per diffondere i propri messaggi a discapito di quelli altrui, comprese notizie false e disinformazione. La diffusione viene amplificata e rafforzata attraverso una ripetizione a eco all’interno di un sistema chiuso. In questo contesto, le fonti ufficiali non vengono messe in discussione, mentre visioni alternative o concorrenti sono censurate, escluse o marginalizzate.

[8] Il fallimento di Facebook nel proteggere dalla diffusione di discorsi d’odio, disinformazione, teorie del complotto e incitamenti alla violenza è stato ampiamente analizzato nel libro An Ugly Truth: Inside Facebook’s Battle for Domination di Cecilia Kang e Sheera Frenkel. L’opera si concentra principalmente sul periodo compreso tra la campagna presidenziale americana del 2016 e l’insurrezione del 6 gennaio 2021. Inoltre, contiene dati sui malfunzionamenti di Facebook, Twitter e altre piattaforme. Il triennio 2018-2021 è considerato il periodo più oscuro per Facebook. In quegli anni emersero accuse riguardanti l’estrazione di informazioni private da parte di Cambridge Analytica (CA), così come il ruolo dei malfunzionamenti di Facebook nel favorire dittature, genocidi e atti di violenza.

[9] Mentre scrivo queste righe, a febbraio 2025, informazioni e disinformazione si susseguono a raffica. Tuttavia, credo che la creazione di questo piccolo spazio virtuale attraverso il Knot ci offra l’opportunità di continuare a riflettere.

[7] :

 

Adriana Ramacciotti, Firenze

Centro Psicoanalitico di Firenze

Adrianaramacciotti@gmail.com

*Per citare questo articolo:

Ramacciotti A. (2025).  “Virtuale è reale”, fake news e oscillazioni della verità*. Rivista KnotGarden 2025/1, Centro Veneto di Psicoanalisi, pp. 110-130

Per una lettura più agile e per ulteriori riferimenti di pagina si consiglia di scaricare la Rivista in formato PDF.

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