La nuova tecnologia e le generazioni prossime

di Cesare Musatti

*Per citare questo articolo:

Musatti C. (1987). La nuova tecnologia e le generazioni prossime Rivista KnotGarden 2025/1, Centro Veneto di Psicoanalisi, pp. 11-15

Per una lettura più agile e per ulteriori riferimenti di pagina si consiglia di scaricare la Rivista in formato PDF.


Edizione originale: Musatti C., (1987). La nuova tecnologia e le generazioni prossime, “Chi ha paura del lupo cattivo?”. Roma, Editori Riuniti, 2014, p.84-87.

Si ringrazia la casa editrice “Editori Riuniti” per aver concesso l’autorizzazione di questo scritto che rappresenta un’importante testimonianza del pensiero di Musatti e della sua capacità di interrogare il rapporto tra psicoanalisi, cultura e società, offrendo ancora oggi spunti di riflessione di straordinaria attualità.

 

Il progresso tecnologico è, nella storia degli uomini, malgrado ogni diversa apparenza, un processo silenzioso.

La generazione successiva a quella in cui si è operato un salto tecnologico, perde subito la nozione che si tratti di qualche cosa di nuovo: e cioè di quello che i propri genitori nella loro infanzia, o i nonni, non hanno al loro tempo avuto.

Questo si è verificato anche nel corso del secolo attuale: che tra i vari periodi della storia umana, nei quali si sono determinati grandi salti qualitativi, può considerarsi un secolo del tutto particolare.

È vero che non possediamo l’unità di misura. Ma gli studiosi di epistemologia e di storia della tecnica e della scienza si rendono ben conto che il salto qualitativo che si è verificato, anche soltanto negli ultimi cinquant’anni, corrisponde, per la complessità dell’operazione, per la vastità dei mutamenti, per la diffusione della cultura tecnica, almeno ai duemila anni precedenti.

Certo sarebbe suggestivo possedere questa benedetta unità di misura. Ma come mai il mutamento si compie in silenzio, quale fatto naturale, come qualche cosa che semplicemente favorisce l’esistenza degli uomini, ma non altera essenzialmente quello che c’è di fondamentale nella loro vita?

Oppure no?

Si tratta del fatto che qui le misure sono temporali, vanno cioè valutate in termini di misura del tempo. E allora accade un fatto curioso. Quella che è semplicemente una misura in tempi, si trasforma in una misura di altra specie.

Prendiamo alcuni esempi: il passaggio dall’illuminazione a petrolio a quella elettrica; il passaggio dalla carrozza a cavalli all’automobile; il passaggio dalla comunicazione epistolare alla comunicazione prevalentemente telefonica, se non per telex.

Dire ad un bambino oggi: quando avevo la tua età, l’illuminazione pubblica avveniva a gas; oppure: quando ero bambino come te e passava un’automobile davanti alla casa di campagna dei miei nonni, noi correvamo tutti fuori per vederla. Oppure ancora: il numero di telefono di mia zia a Venezia era 376, e quello dei miei nonni 422, e questo perché in città c’erano meno di cinquecento apparecchi. O anche: una volta la maggiore altezza nell’atmosfera veniva raggiunta con i palloni aerostatici, e si trattava di alcune centinaia di metri; ora i satelliti artificiali sembrano immobili in cielo, ma ruotano attorno alla terra ad una velocità altissima e sono lontani da noi migliaia di chilometri.

Al bambino tutto questo non fa alcun effetto; perché il progresso è vissuto come cosa naturale, appena sia stato assimilato nella comune vita della gente.

La situazione attuale appare certamente critica se pensiamo al futuro. Ma critica ci appare perché noi siamo ancora fuori dalle grandi trasformazioni che aspettano (bomba atomica permettendo) l’umanità.

Per coloro che ci saranno dentro non sembreranno diverse dai cambiamenti a cui hanno assistito le persone della mia generazione: dico così perché posso identificarmi abbastanza bene – qualunque cosa mi accada – con questo secolo, essendo nato nell’ottocento ed essendomi ormai comunque digerita la maggior parte del secolo XX.

Si tratta soltanto di adeguarsi. Per cui avrebbe anche potuto essere difficile impadronirmi dell’essenza dei calcolatori elettronici. Non lo è stato, perché provengo da studi polivalenti, cosicché posso anche illudermi di sapere un po’ di tutto, pur se in modo per forza superficiale e non da tecnico specializzato. Saltiamo la generazione dei miei figli, e veniamo ai miei nipoti. Per i quali questo genere di cose tecniche (ovviamente con le specializzazioni nei vari campi dello scibile) sono pure quisquilie. Perché, fissato come mi sento al pensiero scientifico di quando ero ragazzo, tendo a pormi il problema dei salti qualitativi che l’umanità viene facendo? Mentre per i miei nipoti si tratta di cose più o meno ovvie e che non incidono

sul corso della loro vita?

Ho detto saltiamo la generazione dei miei figli. In quanto per esaminare un processo di questo tipo (cioè quello della progressione tecnologica), bisogna prendere un certo distacco.

Tale distacco tuttavia diventa sempre più esiguo.

Durante la guerra del ’15-’18, io avevo di fronte a me un aggeggio austriaco (non saprei come diversamente chiamarlo) che ci faceva una sorta di cecchinaggio da 1200 metri di distanza. Era un cannone, sì, un cannone da 50 mm, di bronzo e ad avancarica. Era servito durante le guerre napoleoniche (ossia più di cento anni prima) e continuava ad essere usato nel 1916. Attualmente l’armamento delle grandi potenze si rinnova diciamo almeno ogni dieci anni. E in campo farmacologico, le ricette galeniche che erano durate per centinaia di anni ora hanno lasciato il posto a prodotti che giungono da tutte le parti del mondo, e che il farmacista vende senza neppur sapere quello che c’è dentro.

Quindi ciò che caratterizza il progresso tecnologico (al quale già noi assistiamo, ma che ancor meglio vedranno i nostri successori) è la velocità di trasformazione.

Ad uno studioso che dovesse fra qualche anno occuparsi di questo stesso problema, non basterà più dire, come ho detto io: «saltiamo i miei figli, e facciamo il confronto fra la condizione mia e quella dei miei nipoti».

Egli dovrà dire invece: «ho tre figli distanziati l’uno dall’altro di due anni; saltiamo il figlio di mezzo e consideriamo il primo e l’ultimo, se vogliamo vedere una differenza di atteggiamenti di fronte al progresso tecnologico».

Ecco risolto il problema che ci eravamo posti in principio.

È tutta e soltanto una questione di velocità.

La progressione tecnologica è una progressione a ritmo logaritmico.

Ma la scala logaritmica e la scala dei numeri naturali sono in definitiva la stessa cosa: se abbiamo l’avvertenza di considerarle non dal di fuori (dove tutta la differenza è visibile) ma dal di dentro, ciascuna col metro proprio, e non col metro dell’altra scala. Ma allora in definitiva che cosa accadrà?

Non accadrà proprio nulla. Soltanto una certa diminuzione del rispetto dei giovani per le persone anziane. Le quali appariranno loro degli scemi perfetti, della gente superata, da rinchiudere alla Baggina: ma non ad ottant’anni, o a settanta. Bensì a quaranta, a trenta. Perché delle cose di questo mondo, del lavoro che ci procura tutto ciò di cui abbiamo bisogno, e di cui non si può assolutamente fare a meno, loro non sanno niente, ma proprio niente. E quindi costituiscono un peso morto per la società. Un peso morto da cui ci si deve difendere.

Ammazzarli no. Questo non si può, perché siamo gente civile; ma insomma liberarsene nel modo più decente possibile, senza che nessuno debba occuparsi di loro. Salvo certe macchine, servo-meccanismi o robot, appositamente inventati: che serviranno a nutrirli, a vestirli, e anche a divertirli in qualche modo secondo l’età. Ma senza che rompano le scatole a chi ha ben altro da fare, per sospingere il mondo intero ad un sempre maggior grado di civiltà e di tecnologica felicità.

 

 

 

Edizione originale: Musatti C., (1987). La nuova tecnologia e le generazioni prossime, “Chi ha paura del lupo cattivo?”. Roma, Editori Riuniti, 2014, p.84-87.

*Per citare questo articolo:

Musatti C. (1987). La nuova tecnologia e le generazioni prossime Rivista KnotGarden 2025/1, Centro Veneto di Psicoanalisi, pp. 11-15

Per una lettura più agile e per ulteriori riferimenti di pagina si consiglia di scaricare la Rivista in formato PDF.

 

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