Sezione Locale della Società Psicoanalitica Italiana
di Silvia Mondini
(Padova), Membro Ordinario della Società Psicoanalitica Italiana, Segretario Scientifico del Centro Veneto di Psicoanalisi.
*Per citare questo articolo:
Mondini S., (2025). Prefazione. Impronte di un pensiero plurale. Rivista KnotGarden 2025/1, Centro Veneto di Psicoanalisi, p. 7-10.
Per una lettura più agile e per ulteriori riferimenti di pagina si consiglia di scaricare la Rivista in formato PDF.
Impronte Digitali: un titolo volutamente polisemico, scelto per la sua capacità di evocare una pluralità di significati, tanto nella sua interezza quanto nella distinzione dei suoi elementi costitutivi.
Nella sua prima accezione, esso rimanda immediatamente alla dimensione identitaria, al tratto distintivo che caratterizza l’individuo, all’impronta quale testimonianza dell’unicità soggettiva e, al contempo, segno di quell’altro che si iscrive in ciascuno. L’impronta, infatti, si configura come traccia biologica irripetibile, ma anche come indice di un processo di strutturazione identitaria che non si esaurisce nella dimensione individuale, bensì si costruisce attraverso l’interazione con l’altro.
A un livello ulteriore, il titolo si inserisce nella riflessione sulle trasformazioni antropologiche della contemporaneità, caratterizzata da una crescente ibridazione tra condizione umana e dimensione tecnologica. Gli individui, oggi, sono costantemente connessi, tracciabili, localizzabili, immersi in un flusso digitale che ridefinisce le coordinate della corporeità e dell’esperienza spazio-temporale. Non più esclusivamente esseri biologici, ma “soggettività incarnate” in un ambiente tecnologico, “carni digitali”[1] che eccedono i limiti imposti dalla biologia e dalla distanza, proiettandosi in un altrove che riconfigura le categorie tradizionali della presenza e dell’assenza, della durata e dell’istantaneità, della privacy e della costante sorveglianza. Un punto, quest’ultimo, da non trascurare perché il digitale trasforma il marchio unico e irripetibile di ciascuno in una traccia che ci rende riconoscibili e targetizzabili per la pubblicità personalizzata.
La scomposizione del titolo evidenzia, invece, la tensione tra due dimensioni epistemiche e temporali apparentemente antitetiche. Il termine impronte rimanda a una dimensione del passato, alla traccia che si sedimenta e persiste, alla memoria intesa non come archivio statico, bensì come processo dinamico di costruzione del senso. Digitale, al contrario, evoca una proiezione verso il futuro, una logica dell’accelerazione e del mutamento che non permette di soffermarsi su qualcosa perché tutto cambia troppo in fretta, una tecnologia, infine, che riconfigura le modalità di pensiero, di elaborazione della memoria e di costruzione della realtà.
È proprio all’interno di questa oscillazione tra permanenza e trasformazione, tra radicamento e mutamento, tra nostalgia del passato e paura di essere esclusi che si colloca la riflessione proposta in questo numero. Una riflessione che non può prescindere da una duplice consapevolezza: da un lato, la rapidità con cui le trasformazioni digitali ridefiniscono l’esperienza umana, dall’altro, la provvisorietà intrinseca di qualsiasi tentativo di concettualizzazione. Siamo, dunque, sicuri che i nostri tentativi di comprensione potrebbero essere superati ancor prima della loro pubblicazione: l’evoluzione del digitale è velocissima, imprevedibile e sempre un passo avanti a noi.
Il digitale, tuttavia, non costituisce soltanto un fattore di accelerazione, ma introduce mutamenti impercettibili, trasformazioni che si inscrivono nelle pratiche quotidiane in modo progressivo e silenzioso, sfuggendo spesso alla consapevolezza del soggetto.
La riflessione, pertanto, si sviluppa lungo una duplice direttrice: da un lato, il digitale come fenomeno macroscopico, capace di ridefinire le strutture antropologiche, epistemologiche e sociali; dall’altro, un insieme di trasformazioni che investono l’individuo, la teoria e la pratica psicoanalitica, l’arte nel suo rapporto costitutivo con la conoscenza, il pensiero filosofico, le scienze della comunicazione e l’antropologia del web.
L’analisi del fenomeno macroscopico ha incentivato un confronto interdisciplinare stimolante, pur evidenziando la necessità di un lungo lavoro ancora da compiere per raggiungere quell’ibridazione tra discipline auspicata come orizzonte teorico. Ogni ambito del sapere, infatti, tende a mantenere la propria autonomia epistemologica, rendendo evidente il rischio che l’interdisciplinarità si riduca a una semplice giustapposizione di prospettive piuttosto che a una loro effettiva contaminazione. La questione centrale non risiede unicamente nella differenza dei linguaggi, ma nella capacità di accogliere l’alterità epistemologica dell’altro senza ricondurla necessariamente al proprio paradigma di riferimento.
Nondimeno, dall’insieme dei contributi raccolti in questo numero emerge un nucleo problematico comune, un filo conduttore che attraversa le diverse prospettive e orienta l’indagine. Alcuni temi ricorrono con particolare insistenza: l’oggetto reale/virtuale/psicoanalitico, la memoria e la sua riscrittura, le mutazioni della corporeità, la relazione tra umano e artificiale, l’ambivalenza tra libertà e controllo, la crescente difficoltà nel distinguere tra “verità” e finzione. Se ogni autore ha affrontato tali questioni secondo la propria specifica prospettiva teorica, la ricorsività di determinati interrogativi segnala la profondità della trasformazione in atto: il digitale non è semplicemente un insieme di strumenti o tecnologie, bensì un’alterazione strutturale delle coordinate attraverso cui il soggetto interpreta sé stesso e il mondo.
In un presente caratterizzato dalla continua ridefinizione dell’esperienza umana attraverso la mediazione tecnologica, il compito dell’indagine psicoanalitica non può limitarsi alla registrazione dei mutamenti, ma deve interrogarne il senso e le implicazioni. Questo numero, pur nella consapevolezza della sua inevitabile parzialità, intende tracciare delle impronte, segni che, più che offrire risposte definitive, possano fungere da stimolo per ulteriori elaborazioni. Non è un caso che Walter Benjamin abbia scritto: “Ogni epoca sogna quella successiva”. E noi, allora, continuiamo a sognare una maggior conoscenza lasciando, ovviamente, la nostra impronta digitale.
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[1] L’ espressione carni digitali, sottolinea la possibilità di investire emotivamente le nostre estensioni online sino a considerarle parte della nostra stessa identità (D. Sisto, in questo numero).
*Per citare questo articolo:
Mondini S., (2025). Prefazione. Impronte di un pensiero plurale. Rivista KnotGarden 2025/1, Centro Veneto di Psicoanalisi, p. 7-10.
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