Riconsiderare l'anonimato nell'era del narcisismo

di Gabriella Coleman

(Cambridge, Massachussetts) è professore ordinario presso il Dipartimento di Antropologia dell’Università di Harvard. È un’antropologa, accademica e autrice, il cui lavoro si concentra sulla politica, le culture dell’hacking e l’attivismo online. Ha trattato diverse comunità di hacker, come gli hacker di software libero e open source, Anonymous e gli hacker della sicurezza. Ha scritto vari libri e articoli; in italiano segnaliamo I mille volti di Anonymous. La vera storia del gruppo hacker più provocatorio al mondo, edito da Stampa Alternativa nel 2016.

*Per citare questo articolo:

Coleman G. (2025).  Riconsiderare l’anonimato nell’era del narcisismo.  Rivista KnotGarden 2024/2, Centro Veneto di Psicoanalisi, pp. 203-233.

 

Questo articolo è apparso per la prima volta nel 2018 nel numero 54, dall’esemplificativo titolo “The End of Trust” (La fine della fìducia), del Timothy McSweeney’s Quarterly Concern.

Ringraziamo l’autrice e l’editore per il permesso di tradurre e pubblicare l’articolo sulla rivista KnotGarden.

Per una lettura più agile e per ulteriori riferimenti di pagina si consiglia di scaricare la Rivista in formato PDF.

A tutti i nomi della storia: è giunto il momento di sacrificare quel nome.

Anonimo (Manifesto del Nomade Anonimo)

 

L’ego e la fama sono intrinsecamente in contraddizione con l’anonimato.

Il filo d’erba più alto viene tagliato per primo. Rimani sconosciuto.

Sii #Anonymous.

—Anonimo (@YourAnonNews), 16 aprile 2012

 

La premessa di questo lavoro è che la privacy e l’anonimato stanno svanendo sotto l’assalto della sorveglianza governativa e aziendale. La premessa non è nuova; già nel 2009 molti sostenitori, attivisti, studiosi e difensori dei diritti civili hanno sostenuto che fosse impossibile immaginare l’esistenza della privacy e dell’anonimato nel prossimo futuro.

In quel periodo, i dirigenti della Silicon Valley stavano costruendo l’infrastruttura digitale del capitalismo della sorveglianza e la difendevano definendo la privacy moralmente dubbia. Per esempio, quando un giornalista chiese a Eric Schmidt di Google se avremmo dovuto affidargli i nostri dati, la sua risposta si era rivolta a eliminare qualsiasi valore positivo della privacy: ‘Se hai qualcosa che vuoi che nessuno sappia, forse non dovresti proprio farla’.

Ma più o meno nello stesso periodo venne alla ribalta un misterioso collettivo che portava il nome di Anonymous, un movimento di protesta globale di vasta portata basato sull’idea che le identità nascoste potessero essere utilizzate nella lotta per la giustizia, consentendo di dire la verità e dissuadendo i comportamenti di ricerca delle celebrità.

Sebbene inizialmente utilizzato da troll anonimi che coordinavano episodi di disturbo su Internet, il nome di Anonymous ha assunto un nuovo significato nel 2008, quando i partecipanti che si identificano con questa firma si sono impegnati in una serie sbalorditiva di hack e operazioni politiche progettate per attirare l’attenzione da parte dei media.

Individui che si identificavano come Anonymous hanno usato le loro competenze tecniche e il loro senso trollesco dello spettacolo mediatico per chiedere una moratoria sulla caccia alle balene giapponese e norvegese; per domandare giustizia per le vittime di violenza sessuale e della brutalità della polizia, talvolta rivelando i nomi dei presunti colpevoli; per hackerare sia governi che aziende; per assistere le occupazioni in Egitto, Tunisia, Spagna e Nord America; appoggiare la rivolta siriana; fare dossieraggio sugli agenti di polizia che hanno spruzzato spray al peperoncino sui manifestanti; smascherare i pedofili online; e persino fornire vestiti ai senzatetto.

Le agenzie di stampa hanno iniziato a contare su Anonymous per un flusso costante di storie sensazionali. Un gruppo di affiliati chiamati LulzSec si è dedicato fare un hacking[1] al giorno per cinquanta giorni. Nel mentre che si infiltravano nella Sony Pictures, pubblicavano notizie false sul sito web della PBS e rubavano e-mail all’organizzazione di pubblica sicurezza dell’Arizona o fornivano materiale alla stampa raccontando allegramente le loro imprese sui loro social media a una fan base in continua crescita.

“Nelle ultime settimane questi tipi hanno raccolto circa 96.000 follower su Twitter. Sono 20.000 in più rispetto a quando ho guardato ieri.  – ha scritto un esperto di sicurezza informatica – Twitter ha dato a LulzSec un palcoscenico su cui mettersi in mostra, e lo stanno facendo”.

 Anonymous è riuscito a suscitare ancora più polemiche con vere e proprie acrobazie ritualizzate come il “FUCK FBI FRIDAY”, che ha visto gli hacktivisti andare su Twitter alla fine di ogni settimana e schernire l’agenzia incaricata di scovarne i suoi membri. Per un antropologo che studia le culture dell’hacking e della tecnologia, è stato un momento elettrizzante; ero letteralmente incollata alla mia sedia.

Ma mentre quel momento esemplare passava, la storia di Anonymous si è orientata verso l’ironico e, in definitiva, persino il tragico, poiché i partecipanti principali sono stati traditi e arrestati, e il nome ha iniziato a prestarsi a operazioni militari – come campagne antiterrorismo al servizio di quello stato-nazione che molti dei suoi primi membri avevano a volte fermamente contestato.

 

Data l’onnivora capacità della macchina di sorveglianza digitale contemporanea di estorcere dati agli esseri umani e poi usarli contro di noi, non sono mai stata così ingenua da credere davvero che Anonymous potesse essere la nostra salvezza.

La mia prospettiva era più umile: mi meravigliavo soprattutto del modo in cui questi dissidenti mascherati abbracciassero l’anonimato come una sorta di etica per prevenire comportamenti di esibizione sociale e motivare i partecipanti verso una solidarietà silenziosa piuttosto che verso la ricerca di riconoscimenti individuali. Questo accadeva anche mentre venivano perseguitati o cercavano una pubblicità collettiva, per i loro epici hack, scherzi e proteste.

Certamente ha aiutato il fatto che Anonymous abbia contribuito a una serie di cause politiche che sostenevo, come Occupy Wall Street, la denuncia nei confronti di aziende di sorveglianza e le lotte contro la corruzione governativa.  Apprezzavo che gruppi di persone stessero raccogliendo il mantello dell’anonimato principalmente per fare del bene – anche se sembrava che potesse essere per l’ultima volta prima che l’anonimato stesso scomparisse del tutto.

Il mio pessimismo sulla possibilità che l’anonimato e la privacy sopravvivano (figuriamoci prosperare) generalmente supera il mio ottimismo. Ma nonostante i giorni di gloria di Anonymous stessero scemando, un movimento per la privacy e il diritto ad una quota di anonimato si andava finalmente consolidando. La battaglia per difendere la privacy e l’anonimato è ora combattuta vigorosamente anche grazie alla massiccia fuoriuscita (leak) di documenti della National Security Agency di Edward Snowden, che ha fornito prove molto più solide della sorveglianza governativa e della sua collusione con il settore privato rispetto a quanto si sapesse in precedenza.

Poco dopo le rivelazioni di Snowden, innumerevoli progetti tecnologici guidati da hacker, galvanizzati dalla sua denuncia, si sono applicati per sviluppare il tipo di strumenti per la protezione della privacy su cui giornalisti, vittime di violenza domestica, operatori per i diritti umani e dissidenti politici ora fanno affidamento per muoversi nel mondo in modo più sicuro.

Anche l’usabilità di questi strumenti è notevolmente migliorata. Mentre cinque anni fa faticavo a raccomandare semplici strumenti di sicurezza ad amici e familiari, oggi posso indicare Signal (un’applicazione per messaggi e telefonate criptate), il browser Tor (che anonimizza il traffico web), e una mezza dozzina di altre applicazioni, ciascuna delle quali ha ottenuto finanziamenti indipendenti grazie all’aumentato controllo sulle violazioni della privacy statali e aziendali.

Persino Google ha annunciato che avrebbe implementato una rigorosa crittografia end-to-end dei suoi servizi per garantire che i dati su cui fa affidamento per alimentare la sua impresa commerciale non fossero così facilmente disponibili ad altri. Ad ora deve ancora attuare questi cambiamenti.

Allo stesso modo, organizzazioni di politica, tecnologia e advocacy come la Electronic Frontier Foundation, Fight for the Future, il Library Freedom Project, Big Brother Watch e Privacy International hanno contribuito a garantire che la privacy rimanesse una questione politica di primo piano. Un flusso costante di nuovi scandali, come le rivelazioni che Cambridge Analytica ha utilizzato dati personali raccolti da Facebook per influenzare i risultati elettorali[2], ha amplificato queste preoccupazioni e dimostrato fino a che punto le questioni sui dati personali e sulla privacy rimangano irrisolte.

 

–l

[1] Hacking

[2] Scandalo Facebook-Cambridge Analytica

Come difensora dell’anonimato, tengo regolarmente conferenze sui modi in cui esso possa sostenere processi democratici quali il dissenso e il whistleblowing[1]. Nel corso di questa opera di informazione, ho compreso che l’anonimato è spesso più difficile da difendere rispetto ad altre libertà civili, ad esso  strettamente correlate, come la libertà di espressione e la privacy.

L’anonimato ha una cattiva reputazione. E non è difficile capire perché: gli usi più visibili dell’anonimato online, come i forum di discussione, tendono ad essere ambienti tossici. Molti giornali negli ultimi anni hanno eliminato i forum, li hanno limitati o riconfigurati, per il fatto che sia molto difficile avere una conversazione civile, mentre è facile che si inneschino discorsi dannosi e carichi di odio. Allo stesso tempo l’anonimato permette ai troll sui social media di eludere forme di responsabilità individuali mentre attaccano ferocemente (per lo più) persone di colore, donne e persone genderqueer.

 

Le connotazioni negative che molti hanno dell’anonimato sono evidenti se si pensa alla percezione generale di quello che i giornalisti e gli allarmisti chiamano il dark web. Quando chiedo ai miei studenti cosa pensano che accada lì, molti lo descrivono come l’angolo più sinistro della rete, infestato da minacciosi pervertiti che hackerano i nostri dispositivi; lo immaginano come un mare di bile che marcisce ed erutta in mini-vulcani di passaporti rubati, cocaina e pornografia infantile. Alcuni credono persino che essere anonimi online equivalga – in ogni caso – a scandagliare il dark web. La metafora dell’oscurità ha chiaramente funzionato per impiantare nelle loro menti immagini nefaste e inaccurate, che non lasciano spazio ad un’immagine diversa.

 

Dal momento che i miei studenti hanno poca comprensione di come funziona l’anonimato, per prima cosa spiego che, lungi dall’essere una scelta binaria come un interruttore della luce che si spegne e si accende, l’anonimato in genere coinvolge una varietà di opzioni e gradienti. Molte persone si nascondono solo per nome, postando online con un nome utente, un alias, un soprannome, un avatar o nessuna attribuzione: “anonimo”.

Questo anonimato sociale riguarda solo l’attribuzione pubblica e protegge il nome legale di un partecipante, mentre le informazioni identificative, come ad esempio un indirizzo IP, possono ancora essere visibili ad altri osservatori della rete come l’amministratore di sistema che gestisce il sito in cui vengono pubblicati i contenuti.

Inoltre, non esiste un unico strumento di anonimato con poteri “divini” che fornisca una protezione onnipotente, infallibile, affidabile e a prova di errore; con la capacità cioè di nascondere ogni traccia digitale, codificare tutto il traffico di rete e avvolgere tutti i contenuti in un guscio di crittografia. Tutt’altro: l’anonimato tecnico impeccabile è considerato un’arte così esigente e complessa che può causare la perdita del sonno anche agli hacker più dotati.

Un utente che cerca questa forma di anonimato tecnico deve mettere insieme un assortimento di strumenti, e il risultato finale sarà un velo di protezione più o meno robusto, la cui efficacia è determinata dagli strumenti e dall’abilità dell’utente. A seconda di quali e quanti strumenti vengono utilizzati, questo velo di protezione potrebbe nascondere tutte le informazioni identificative o solo alcuni elementi essenziali: il contenuto dei messaggi scambiati, un indirizzo IP di origine, le ricerche nel browser Web o la posizione di un server. 

 

Spiego anche che lo stesso anonimato usato dal criminale o dal bullo o dal molestatore è anche un'”arma dei deboli”, su cui fa affidamento la gente comune, gli informatori, le vittime di abusi e gli attivisti per esprimere opinioni politiche controverse, condividere informazioni sensibili, organizzarsi, fornire un’armatura contro la repressione statale e costruire santuari di sostegno.

Fortunatamente, non mancano esempi che rendono evidenti i benefici derivanti dalla protezione dell’anonimato: pazienti, genitori e survivors si riuniscono su forum Internet come DC Urban Moms and Dads per discutere di argomenti delicati usando pseudonimi, che consentono discussioni franche su quelli che altrimenti potrebbero essere argomenti stigmatizzanti.

Le vittime di abusi domestici, seppur spiate dai loro aggressori, possono coprire le loro tracce digitali e cercare informazioni sui rifugi con il browser Tor. Oggi i whistleblower hanno la possibilità di proteggersi come mai prima, data la disponibilità di cassette di deposito digitali come SecureDrop, che si trovano su quelli che vengono chiamati onion, o server nascosti. Questi punti di consegna, che facilitano la condivisione anonima delle informazioni, sono ora ospitati da dozzine di sedi giornalistiche, dal Guardian al Washington Post. L’hosting dei dati su server onion accessibili solo tramite Tor è un meccanismo efficace per contrastare la repressione e la censura da parte dagli stati.

Ad esempio, gli attivisti iraniani critici nei confronti del governo hanno protetto i loro database rendendoli disponibili solo come servizi onion. Questa architettura fa in modo che il governo possa sequestrare il server web pubblicamente noto, ma che non sia invece possibile risalire al server che fornisce il contenuto dal database. Quando i server web sono usa e getta, il contenuto è protetto e il sito che contiene informazioni e strumenti utili agli attivisti può riapparire online rapidamente, costringendo gli aspiranti censori governativi a giocare a colpisci la talpa.

 

Facendo affidamento su una serie di tecnologie per l’anonimato, gli hacktivisti possono portare alla luce, in sicurezza, informazioni politicamente rilevanti trasformandosi in fantasmi non rintracciabili: per esempio, un gruppo si è infiltrato anonimamente nelle chat room dei suprematisti bianchi dopo il tragico omicidio di Heather Heyer e ha sottratto i log che documentavano le attività dei gruppi di haters che organizzavano il raduno di Charlottesville, così come le loro vili reazioni e i conflitti interni.

 

Allo stesso tempo è vero che cose terribili possono essere realizzate sotto la copertura di questo anonimato tecnologico. Ma è necessario ricordare che lo Stato ha già un mandato e dispone di risorse significative per dare la caccia ai criminali, compresi quelli incoraggiati dall’invisibilità.

Ad esempio, nel 2018 l’FBI ha utilizzato circa 21,6 milioni del suo budget annuale di 8 miliardi di dollari per il suo programma Going Dark, utilizzato per “sviluppare e acquisire strumenti per l’analisi dei dispositivi elettronici, capacità crittoanalitiche e strumenti forensi”. L’FBI può sviluppare o pagare costosi exploit software[2] o strumenti di hacking, che ha utilizzato per infiltrarsi e prendere il controllo dei siti di pedopornografia, come ha fatto nel 2015 con un sito chiamato Playpen.

Certamente, lo Stato dovrebbe avere la capacità di combattere i criminali. Ma se le capacità di sorveglianza illimitate facessero parte di tale missione, i cittadini perderebbero la possibilità di essere anonimi e il governo avanzerebbe lentamente ma inesorabilmente verso il fascismo, che a sua volta è una forma di criminalità.

Gli attivisti, d’altra parte, che sono in gran parte poveri di risorse, sono spesso presi di mira ingiustamente e quindi hanno necessità dell’anonimato. Sotto questo aspetto l’anonimato consente ad attivisti, informatori e giornalisti di parlare e organizzarsi, come è loro diritto, senza interferenze.

L’importanza, gli usi e il significato dell’anonimato all’interno di un’entità attivista come Anonymous sono meno diretti rispetto ai miei esempi precedenti. Questo potrebbe in parte derivare dal fatto che Anonymous è fonte di confusione.

Il nome è un alias condiviso che chiunque può utilizzare liberamente, quello che Marco Deseriis definisce un “nome improprio”. Completamente disponibile a tutti, tale nome mostra una predisposizione ad essere adottato, a circolare e a mutare. Il pubblico spesso non sapeva chi fosse Anonymous, come lavorassero e come concordassero le loro diverse operazioni e tattiche. Abbiamo visto centinaia di operazioni che non avevano alcuna relazione tra loro ed erano spesso ideologicamente non allineate l’una con l’altra: alcune erano fermamente a sostegno della democrazia liberale, altre che cercavano di distruggere lo Stato liberale a favore di forme di governo anarchiche. È anche per questo motivo che “Anonymous non è unanime” è diventata una battuta popolare tra i partecipanti che al tempo stesso ricorda agli osservatori il carattere decentralizzato e senza leader del gruppo e segnala l’esistenza di disaccordi su tattiche e convinzioni politiche.

Per l’opinione pubblica, così come per i miei studenti, il parere su Anonymous spesso dipendeva dalla loro reazione a una qualsiasi delle centinaia di operazioni in cui si erano imbattuti, dalla loro percezione della figura di Guy Fawkes e da altre idiosincrasie come la loro visione del vigilantismo o dell’azione diretta.

Mentre alcuni spettatori adoravano la loro disponibilità a sfidare apertamente il potere, altri erano inorriditi dalla loro prontezza a infrangere la legge con tale impunità. In mezzo a una cacofonia di posizioni su Anonymous, ho invariabilmente incontrato una categoria di persone restie ad approvare Anonymous: il tipo ligio alla legge (professori universitari di diritto o esperti di politiche liberali, per esempio), sempre scettici e sgomenti da Anonymous nella sua interezza a causa di un piccolo numero di operazioni di giustizia vigilante condotte sotto il suo mantello. La cosa strana era il modo in cui questi tipi ligi alla legge trovavano accordo con un gruppo più piccolo, ma comunque ascoltato, di attivisti di sinistra – quelli desiderosi di sostenere manovre di azione diretta ma pieni di riserve quando venivano condotte in modo anonimo. Entrambi tendevano a concordare su una particolare convinzione: che le persone che abbracciano l’anonimato allo scopo di agire (e non semplicemente parlare), specialmente quando tali azioni aggirano il giusto processo, sono per antonomasia personaggi loschi perché l’anonimato tende ad annullare la responsabilità e quindi l’obbligo di rendere conto di ciò che si fa; sostengono che la maschera è di per sé una sorta di bugia incarnata, che protegge i codardi di cui semplicemente non ci si può fidare e che non sono tenuti a rispondere alle comunità che aiutano.

 

Queste argomentazioni ignorano però gli utilizzi corretti dell’anonimato che Anonymous ha messo al servizio della verità e del livellamento sociale. Guardando con la distanza concessa dal tempo, la mia convinzione è che Anonymous sia stata una forza generalmente affidabile e un lodevole ambasciatore dell’anonimato. Anche se la loro presenza è diminuita, hanno lasciato in eredità una serie di lezioni sull’importanza dell’anonimato che sono più che mai vitali da tenere in considerazione nell’era di Trump. Di queste lezioni, considererò qui i limiti della trasparenza nel combattere la disinformazione e la capacità dell’anonimato di proteggere chi dice la verità, così come la sua capacità di minimizzare i danni di una celebrità sfrenata.

 

LEZIONE 1: La trasparenza non è una panacea per la disinformazione

Consideriamo innanzitutto il potere di Anonymous e dell’anonimato alla luce del clima politico contemporaneo con giornalisti, commentatori e attivisti in una turbolenta crisi esistenziale riguardo la fiducia, la verità e le notizie spazzatura.

Permettetemi di dire fin dall’inizio che la richiesta di trasparenza, nella mia agenda politica, si trova in cima alla lista delle tattiche che possono aiutare a rafforzare gli obiettivi democratici. Andare alla ricerca di trasparenza da parte di persone, aziende e istituzioni che potrebbero avere qualcosa da nascondere, e il potere per farlo, ha funzionato in innumerevoli circostanze per mettere allo scoperto truffatori e criminali dalle loro ambite posizioni di potere (e difendo risolutamente l’anonimato per la sua capacità di generare trasparenza).

Tuttavia, l’efficacia del richiedere trasparenza e verità è stata spesso sopravvalutata: i suoi sostenitori a volte hanno ingenuamente una fede quasi magica in questa tattica e al tempo stesso considerano immorali gli strumenti anonimi usati per raggiungere lo stesso fine, quello di dire la verità.

In passato, quando ho discusso dell’importanza dell’anonimato e dei limiti del richiedere trasparenza nella ricerca della verità, poche persone mi prendevano sul serio, fatta eccezione di un piccolo gruppo di studiosi e attivisti che già sostenevano la stessa cosa. Tutto è cambiato quando Donald Trump è diventato presidente.

Improvvisamente è diventato molto più facile illustrare la logica dietro la famosa battuta di Mark Twain: “La verità è potente e prevarrà. Non c’è nulla di sbagliato in questo, eccetto che non è così.”

Il buon senso giornalistico, ancora in gran parte intatto prima delle elezioni, imponeva che confutare le falsità avrebbe preservato l’integrità del mercato delle idee, l’arena in cui la verità, con sufficiente spazio di trasmissione, può cancellare le menzogne. Dopo che Trump ha vinto le elezioni (2016), tuttavia, molti giornalisti sono stati costretti a confrontarsi con il fatto che “il buon senso – come ha acutamente osservato l’antropologo Clifford Geertz – è ciò che una mente piena di presupposti… giunge a concludere”.

Per molti osservatori, le carenze morali di Trump sono ben visibili nel suo comportamento infido e nelle sue menzogne patologiche, entrambi documentati meticolosamente dai giornalisti. Il Washington Post ha tenuto traccia delle dichiarazioni false o fuorvianti di Trump sin dal suo primo giorno in carica, e ha scoperto che la sua propensione per le bugie è solo aumentata con il tempo. Tuttavia, sebbene anche i suoi sostenitori percepiscano Trump come spregiudicato, hanno un diverso insieme di presupposti e quindi giungono a conclusioni radicalmente diverse sul suo carattere e le sue azioni. Nello stesso fact checking[3] del Washington Post sulle dichiarazioni di Trump, il commento di un utente mostra come alcuni dei suoi difensori siano disposti a sorvolare sulle sue bugie, interpretandolo come autentico ed emotivamente sincero rispetto al tipico politico: “Trump è spesso iperbolico e mostra i suoi sentimenti apertamente davanti a tutti, aria nuova direbbero alcuni. Ci si chiede spesso se sia persino possibile per lui essere tanto subdolo quanto il tipico politico. Il suo cuore e le sue politiche sembrano essere in buona fede”.

Facendo appello a coloro che diffidano dell’ambiente politico contemporaneo, alcuni dei più fedeli sostenitori di Trump sostengono che egli serve uno scopo più alto e più nobile: quello di scuotere l’establishment. Anche se il buon senso può “variare notevolmente da una persona all’altra”, come ha detto Geertz, Trump è comunque riuscito a sequestrare la nostra attenzione collettiva, adescando i media per coprire ogni sua mossa, spesso attraverso una falsa ma convincente esibizione di autenticità. Che sia per orrore, divertimento o adulazione, l’opinione pubblica americana se ne sta, birra in una mano, pinze da barbecue nell’altra, bocche spalancate, ipnotizzata dalle sue buffonate oltraggiosamente arroganti. Mentre alcuni vedono la presidenza Trump come un ingovernabile disastro ferroviario che si svolge proprio davanti ai loro occhi, altri sono chiaramente euforici e fanno il tifo per Trump come se partecipassero a un raduno di monster truck[4].

Trump è un performer così efficace che non solo fino a ora è riuscito a schivare qualsiasi ripercussione per le sue menzogne inquietanti e sfacciate ma è anche pronto ad accusare i media dell’establishment di essere bugiardi: “Io prendo le mie decisioni, in gran parte sulla base di una montagna di dati, e tutti lo sanno. Alcuni media di FAKE NEWS mentono allo scopo di mettermi all’angolo!”

Sotto un assalto così spietato, la verità lotta per prevalere.

A differenza di Trump, Anonymous – una serie tentacolare e semi-caotica (anche se a volte anche abbastanza organizzata) di collettivi, composta da migliaia di persone e dozzine di gruppi distinti che agiscono in tutti e quattro gli angoli del globo, con un coordinamento lento o nullo tra molti di loro – si presenta, sotto quasi tutti gli aspetti, come un’entità più seria e affidabile.

Mentre Trump ci aiuta a vedere questo in modo nuovo, ho da tempo sottolineato quanto segue: se si fa un bilancio della grande maggioranza delle loro operazioni dopo il 2010, Anonymous ha generalmente seguito una serie di copioni piuttosto convenzionali basati su una spinta a dire la verità. Anonymous spesso abbinava un annuncio su qualche indignazione che cercava di pubblicizzare con documenti verificabili o altro materiale. Questa era la situazione quando Anonymous ha lanciato #OpTunisia[5] nel gennaio 2011 ed è stato tra i primi cittadini stranieri a mostrare al pubblico i video delle proteste di piazza, filmati che sono stati pubblicati online per mobilitare l’interesse dell’opinione pubblica e spronare la copertura giornalistica. Anonymous acquisiva regolarmente e-mail e documenti (e, tra l’altro, non è mai stato dimostrato che li avesse falsificati) e li pubblicava online, consentendo così ai giornalisti di consultarli per le loro inchieste. La loro spinta a far emergere la verità è stata anche aiutata da materiale progettato per diventare virale. Dire la verità, dopotutto, può sempre beneficiare di una strategia di pubbliche relazioni più accorta.

A volte, Anonymous si è affidato alla classica bufala, un inganno che a tempo debito si sarebbe rivelato per quello che era, per consentire di arrivare a una forma di verità più alta. Ad esempio, LulzSec ha hackerato e defacciato[6] il sito della PBS (Public Broadcasting Service) come rappresaglia per la puntata di Frontline su WikiLeaks, WikiSecrets, che ha aveva attirato l’ira dei membri della LulzSec per il modo in cui sensazionalizzava e psicoanalizzava l'”oscura” vita privata di Chelsea Manning, eludendo le pressanti questioni politiche sollevate dalla pubblicazione di cablogrammi diplomatici da parte di Wikileaks.

Dopo aver ottenuto accesso al server web, gli hacker hanno diffuso false notizie sulla posizione di due rapper famosi. Con una foto di un giovane Tupac Shakur, con la testa leggermente inclinata, un cappello al contrario e un sorriso ammiccante, il titolo annunciava lo scoop: “Tupac è ancora vivo in Nuova Zelanda.” La notizia continuava: “Il famoso rapper Tupac è stato trovato vivo e in buona salute in un piccolo resort in Nuova Zelanda, riferiscono i media locali. La piccola città – non nominata per motivi di sicurezza – avrebbe ospitato Tupac e Biggie Smalls (un altro rapper) per diversi anni. Un abitante del posto, David File, recentemente scomparso, ha lasciato prove e resoconti della visita di Tupac in un diario, che ha chiesto fosse spedito alla sua famiglia negli Stati Uniti”. Anche se a prima vista potrebbe non essere chiaro il motivo di questa azione, questo tipo di defacing ha veicolato un messaggio politico particolarmente potente. Mentre il falso articolo e l’hack hanno causato grande sensazione nella stampa globale, la maggior parte dei giornalisti non ha affrontato la critica di LulzSec alla superficialità sensazionalistica della puntata di Frontline. Eppure LulzSec è riuscito a forzare una copertura sensazionalistica attraverso la combinazione hack-bufala, concretizzando attraverso questa backdoor[7] la critica alla tendenza dei giornalisti a sensazionalizzare le notizie.

Ma nella maggior parte dei casi, le bufale sono state usate con parsimonia e Anonymous ha semplicemente amplificato messaggi già trasmessi da altri attivisti o giornalisti. Per esempio, una delle loro operazioni più famose, #OpSteubenville[8], riguardava un caso orribile di violenza sessuale commessa da membri della squadra di football del liceo nella piccola città siderurgica di Steubenville, Ohio.

Dopo che il New York Times aveva scritto un dettagliato articolo sugli eventi iniziali, Anonymous ha continuato a mostrare in modo continuativo gli sviluppi del caso dell’aggressione di Steubenville attraverso video e su Twitter, assicurandone la visibilità per mesi fino a quando due adolescenti sono stati dichiarati colpevoli di stupro nel marzo 2013.

Anonymous, come Trump, ha attirato l’attenzione sia del pubblico che dei media con azioni spettacolari ed eclatanti. Ma Anonymous non è nato dalla volontà di un individuo in cerca di una qualche forma di riconoscimento bensì dalla convergenza di una moltitudine di attori che hanno contribuito a numerosi movimenti sociali, collettivi e organizzazioni esistenti Anonymous ha brillato più intensamente tra il 2011 e il 2015, durante un periodo tumultuoso di inquietudine e malcontento globale, evidente in una serie di grandi sollevazioni popolari in tutto il mondo: il movimento 15-M in Spagna, le Primavere arabe e africane, gli accampamenti di Occupy, il movimento studentesco in Cile, Black Lives Matter e il Movimento degli Ombrelli a Hong Kong.

Anonymous ha contribuito a ognuna di queste campagne. Il loro profondo coinvolgimento con alcune di queste cause sociali più ampie è stato commemorato dai molti che hanno lavorato con Anonymous. Nel 2011, è stata condivisa una foto di bambini tunisini seduti nel cortile della loro scuola, che indossavano maschere di Guy Fawkes ritagliate da fogli di carta, un gesto di gratitudine verso Anonymous per aver portato il messaggio della loro difficile situazione al mondo.

Più recentemente si può guardare alla morte prematura di Erica Garner, un’attivista contro le violenze da parte delle forze dell’ordine e figlia di Eric Garner, un uomo morto per mano di un agente della polizia di New York. Non molto tempo dopo la sua scomparsa, la persona che gestiva il suo account Twitter ha reso omaggio ad Anonymous: “Un grande ringraziamento ad Anonymous… Sono stati tra i primi a supportare Erica fin dall’inizio. Vi voleva davvero bene #opicantbreathe”.

Accostare le bugie di Trump alla ricerca della verità di Anonymous serve semplicemente a evidenziare che trasparenza e anonimato raramente seguono una formula morale binaria, dove la prima è buona e il secondo è cattivo. Ci sono molti bugiardi, specialmente nell’arena politica, che parlano e mentono anche senza indossare una maschera – Donald Trump, Silvio Berlusconi, George W. Bush, Tony Blair – e non vengono mai adeguatamente chiamati a rispondere delle loro azioni, o serve uno sforzo titanico per rimuoverli dai ruoli di potere.

In effetti, Trump, agendo allo scoperto, viene percepito come “trasparente” perché è un individuo che non si nasconde dietro una maschera e, per alcuni, è un politico onesto che ha la sfrontatezza di dire qualsiasi cosa, non importa quanto offensiva. (Per alcuni, più è offensiva, meglio è). Come suggeriva molto tempo fa il sociologo Erving Goffman, gli esseri umani – così abili nell’arte dell’inganno – utilizzano un linguaggio astuto e talvolta una performance manipolatoria, piuttosto che nascondersi, per ingannare in modo efficace.

 

LEZIONE 2: Lo scudo dell’anonimato

La trasparenza può essere raggiunta sia all’interno delle cornici istituzionali esistenti, sia attraverso l’accesso ai documenti pubblici, come il Freedom of Information Act[9], sia attraverso la funzione di controllo del Quarto Potere. Ma quando questi metodi falliscono, il whistleblowing anonimo può essere un meccanismo efficace per far emergere la verità.

Il sostegno a questa posizione è articolato in modo convincente nel caso della Corte Suprema del 1995 McIntyre v. Ohio Elections Commission, che sostiene che l’anonimato protegge l’elettore, chi dice la verità e persino chi esprime opinioni impopolari dalle ritorsioni del governo o dalle masse infuriate dell’opinione pubblica.

 

[1] Il whistleblowing, è l’azione di “spifferare” informazioni al grande pubblico per avvisarlo di un pericolo.

[2]Exploit software

[3] Verifica dei fatti

[4][N.d.T] Questa è una citazione al film Idiocracy (2006) 

[5] #OpTunisia

[6] Defacciare

[7] Backdoor

[8]  #OpSteubenville

[9] Freedom of Information Act

I giudici hanno scritto: “L’anonimato è uno scudo contro la tirannia della maggioranza… Esemplifica quindi lo scopo del Bill of Rights e del Primo Emendamento in particolare: proteggere gli individui impopolari dalle ritorsioni… per mano di una società intollerante”. Per segnalare la loro consapevolezza e il loro contributo a questa tradizione, i partecipanti di Anonymous amano citare Oscar Wilde: “L’uomo è meno sé stesso quando parla in prima persona. Dategli una maschera e vi dirà la verità”.

 

Uno degli esempi più eclatanti ed efficaci a conferma della logica della Corte Suprema e dell’aforisma di Oscar Wilde riguarda una maschera indossata da un medico. Nel 1972, uno psichiatra si presentò a una riunione dell’American Psychiatric Association nascondendo la propria identità con un distorsore vocale, uno pseudonimo e una maschera di gomma. Presentatosi come il Dr. H. Anonymous, partecipò a un panel intitolato “Psichiatria: amica o nemica degli omosessuali?”, il medico iniziò confessando: “Sono omosessuale. Sono uno psichiatra”. All’epoca, l’omosessualità era stata classificata dalla psichiatria come una malattia, il che rendeva difficile mettere in discussione tale visione. Questa rivelazione audace e coraggiosa ha realizzato ciò che il Dr. H. Anonymous e i suoi alleati si erano prefissati di fare: rinvigorire gli sforzi in corso per de-patologizzare l’omosessualità. Solo un anno dopo, l’APA rimosse l’omosessualità dal suo manuale diagnostico e il Dr. H. Anonymous, che aveva temuto di non ricevere un posto fisso in università se il suo datore di lavoro avesse scoperto che era gay, rimase protetto (e impiegato), rivelando il suo vero nome solo ventidue anni dopo come John E. Fryer[1].

Molte altre persone e gruppi hanno parlato e agito con sincerità sotto copertura nel tentativo di svelare abusi o crimini, utilizzando l’anonimato per proteggersi non solo da colleghi, partner o datori di lavoro, come fece il dottor Fryer, ma anche dalla vendetta del governo. Anonymous, Antifa, Chelsea Manning (durante il suo breve periodo come informatrice anonima), Deep Throat (la fonte anonima nello scandalo Watergate) e la Citizens’ Commission to Investigate the FBI – tutti soggetti che hanno guadagnato rispetto grazie alle loro parole e azioni, non alle loro identità legali – hanno reso possibile una trasparenza ritenuta preziosa, a prescindere dalla loro presunta irresponsabilità o opacità.

Nel caso della denuncia di gravi illeciti governativi, l’anonimato rende un po’ più sicura la denuncia attraverso whistleblowing, che comporta alti rischi per chi accetta di parlare. Un esempio è stato quello della Citizens’ Commission to Investigate the FBI, un gruppo di otto attivisti anti-bellici che nel 1971 fecero irruzione in un ufficio dell’FBI e uscirono con scatole di documenti contenenti prove di COINTELPRO[2], un programma segreto di sorveglianza e disinformazione contro decine di movimenti di attivisti. Il programma fu infine interrotto dopo essere stato dichiarato illegale dal governo degli Stati Uniti, ma gli attivisti che fecero l’intrusione non furono mai arrestati. Se questi cittadini fossero stati catturati – l’FBI aveva dedicato duecento agenti al caso, ma, non riuscendo a trovare nemmeno uno degli intrusi, rinunciò nel 1976 – il loro destino sarebbe probabilmente stato un costoso contenzioso legale seguito da una condanna.

Tragicamente, le persone che parlano apertamente si sono talvolta esposte a gravi danni e attacchi personali. Essere onesti e trasparenti, specialmente quando si è privi di protezione, espone al rischio di una perdita traumatica della privacy e, come nel caso di Chelsea Manning[3], della sicurezza fisica. Dopo essere stata identificata da un hacker, Manning fu torturata per un anno in isolamento per la sua denuncia.

L’ex ginnasta americana Rachael Denhollander, una delle prime a denunciare Larry Nassar[4], il medico della squadra olimpica di ginnastica statunitense che abusò sessualmente di oltre 260 giovani donne, spiegò in un editoriale che la sua vita e la sua reputazione erano state rovinate per aver parlato e questo continuò fino a quando la situazione non iniziò a cambiare: “Ho perso la mia comunità religiosa. Ho perso i miei amici più stretti poiché ho difeso le vittime di questi abusi e che erano state già assalite a causa dell’incapacità istituzionale nella mia comunità di difenderle. Ho perso ogni traccia di privacy”. Tutti questi esempi richiamano il detto “privacy per i deboli, trasparenza per i potenti.” L’anonimato può svolgere una funzione di trasparenza proteggendo i denunciatori dalle ritorsioni.

 

LEZIONE 3:  Il contenimento dell’ego e i danni della celebrità sfrenata

La posizione di Anonymous contro il culto della personalità e la ricerca della celebrità è uno degli aspetti meno compresi del loro utilizzo dell’anonimato, ma è anche uno dei più importanti da capire.

Il funzionamento dell’anonimato in questo senso non agisce tanto in qualità di strumento per dire la verità ma più come un metodo per livellare le differenze sociali. A meno che non si seguisse Anonymous da vicino, questa filosofia era difficile da cogliere, poiché veniva esplicitata principalmente nei canali meno visibili (nelle chat private o semi-private) con occasionali dichiarazioni su Twitter, come questo tweet di @FemAnonFatal:

  • FemAnonFatal è un collettivo
  • NON un movimento individuale, NON un luogo per fare auto-promozione, NON un luogo per l’ODIO, MA un luogo per la SORELLANZA. È un luogo per coltivare la Rivoluzione. Leggi il nostro Manifesto…
  • You Should Have Expected Us
  • #FemAnon-Fatal #OpFemaleSec

 

Ovviamente, è molto più facile fare proclami altisonanti sulla solidarietà che metterli in pratica. Ma Anonymous ha imposto questo standard castigando coloro che cercavano la fama e il pubblico riconoscimento sotto la luce dei riflettori. Negli anni in cui li ho osservati, ho visto le conseguenze dirette per chi violava questa norma. Se un partecipante inesperto sembrava desiderare troppo il plauso dei propri compagni, veniva gentilmente avvertito e rimproverato. Per coloro che osavano associare il loro vero nome a qualche azione o creazione, la punizione era più severa. Nell’ipotesi migliore, il trasgressore veniva deriso o criticato aspramente, mentre in altri casi l’individuo subiva una “uccisione rituale” cioè veniva bannato da una chat room o da una rete.

A parte questi momenti saltuari di azione disciplinare, la norma tendeva a rimanere per lo più silenziosa e sullo sfondo, ma non meno potente – prescrivendo che tutto ciò che veniva creato sotto l’egida di Anonymous fosse attribuito al collettivo.

Vale la pena sottolineare che a differenza degli Hacker, loro più noti compagni di viaggio fuorilegge, la maggior parte dei partecipanti ad Anonymous si muoveva in un territorio inequivocabilmente legale. Coloro che concepivano messaggi di speranza, dissenso o protesta utilizzando video, manifesti pungenti, immagini o altri ingegnosi appelli virali non erano dunque orientati all’uso dell’anonimato per il timore di punizioni legali.

È importante comprendere che la disposizione etica a sublimare l’identità personale aveva una sua attiva pregnanza: i partecipanti generalmente evitavano di firmare con il proprio nome queste azioni, alcune delle quali salivano alla ribalta, ottenendo centinaia di migliaia di visualizzazioni su YouTube. Mentre un neofita poteva seguire questa norma per paura di punizioni, la maggior parte dei partecipanti ha abbracciato questa filosofia come una strategia necessaria per gli obiettivi più ampi di ridurre la gerarchia umana e massimizzare l’uguaglianza tra gli esseri umani.

Osservare questa “disciplina all’ego” è stato illuminante. La difficoltà intrinseca nel vivere secondo questo stile si è rivelata nella pratica. Come antropologa, il mio dovere metodologico imponeva una certa partecipazione diretta. La maggior parte del mio lavoro con Anonymous consisteva in traduzioni giornalistiche, ma in alcune occasioni mi unii a piccoli gruppi di creatori di media per elaborare messaggi incisivi per video destinati a sollecitare l’azione. Come autrice accademica, a cui non viene richiesta la sintesi, ricordo con orgoglio la forza e la compattezza delle parole che una volta assemblate erano capaci di canalizzare la rabbia collettiva avendo messo in luce qualche grave ingiustizia politica. Resistere all’impulso di prendersi anche una minima parte del merito per tale impresa fu difficile all’epoca, ma alla lunga fu soddisfacente, e gettò le basi per sentire di poterlo fare di nuovo.

Allo stesso tempo, questo modo di agire non andava solo contro a ciò che mi era stato insegnato dalla società ma era anche contro il senso stesso di essere un’accademica – una figura il cui sostentamento dipende interamente da un sistema secolare che attribuisce rispetto in base al riconoscimento individuale. Come autrice di questo pezzo, sarei ipocrita a sostenere un divieto totale di attribuzione personale. Ma quando un’economia morale basata sulla ricerca del riconoscimento individuale si espande a tal punto da escludere altre possibilità, rischiamo, a nostro danno collettivo, di trascurare altri modi essenziali di essere e di stare insieme agli altri.

Uno dei pericoli dell’individualismo incontrollato o della celebrità è la facilità con cui può trasformarsi in un narcisismo acuto, un tratto di personalità che ovviamente preclude l’aiuto reciproco, poiché praticamente garantisce qualche livello di caos interpersonale, se non addirittura violenza, sotto forma di veleno, bullismo, intimidazione e bugie patologiche. Trump, ancora una volta, può servire come utile riferimento, poiché rappresenta un ideale quasi platonico del narcisismo in azione.

La sua presidenza ha dimostrato che un solipsismo che non ha bisogno di scuse può agire come una sorta di lente distorta, impedendo il normale funzionamento della trasparenza, della verità, della vergogna e della responsabilità, offrendo un distacco che sembra incapace di contemplare la sofferenza altrui o di ammettere un errore. E nell’ascesa di Trump si trova una lezione molto più inquietante e generale su cui riflettere: che ottenere una delle posizioni politiche più potenti in una delle nazioni più potenti del mondo è possibile solo perché tali comportamenti da celebrità sono premiati in molti aspetti della nostra società. Molti ideali culturali dominanti ci spingono a cercare il riconoscimento – sia per le nostre azioni, parole o immagini. Sebbene la celebrità come ideale non sia affatto nuova, ci sono innumerevoli e crescenti vie a nostra disposizione su Internet per realizzare, registrare numericamente (in like e retweet), e così consolidare e normalizzare la fama come condizione della vita quotidiana.

Certo, il narcisismo e la celebrità non sono affatto incontrollati. Ad esempio, i tratti vanitosi e autocelebrativi di Trump sono oggi sottoposti a critiche feroci e analisi da parte di una schiera di commentatori, giornalisti e altri analisti. Anche se la celebrità è un ideale culturale durevole, persistente e in continua espansione, l’umiltà è comunque valorizzata. Questo è vero nella vita religiosa in cui una serie di prescrizioni etiche quotidiane cerca di limitare l’appetito dell’ego umano per la gloria e la gratificazione. Qualcosa di apparentemente banale come la sezione dei ringraziamenti in un libro funziona – anche se poco – per frenare l’idea egoistica che gli individui siano completamente responsabili delle creazioni, scoperte o opere d’arte loro attribuite. Dopo tutto, è una confessione estesa e un momento di gratitudine riconoscere che tale scrittura sarebbe impossibile, o molto peggio, se non fosse per l’aiuto di una comunità di pari, amici e familiari. Ma le storie che celebrano la solidarietà, l’uguaglianza, l’aiuto reciproco e l’umiltà sono più rare. E ancor più scarse sono le prescrizioni sociali in cui gli individui sono chiamati a perfezionare l’arte dell’auto-annichilimento. Anonymous è probabilmente uno dei più grandi laboratori, aperto a molti, per condurre un esperimento collettivo nella limitazione del desiderio di credito individuale, incoraggiando modi per connettersi con i nostri pari attraverso impegni verso l’indivisibilità.

Sebbene l’anonimato possa incentivare ogni sorta di azioni e comportamenti, nel caso di Anonymous significava che molti dei partecipanti erano lì per motivi di principio. La loro missione basata su questi principi, e volta a correggere le ingiustizie subite dalle persone, incarna lo spirito di altruismo. La loro richiesta di umiltà ha aiutato a scoraggiare, anche se non ha eliminato completamente, quei partecipanti che cercavano semplicemente la gloria personale unendosi al gruppo. I volontari, costretti ad attribuire il merito a Anonymous, hanno anche arginato un problema che affligge tutti i tipi di movimenti sociali: l’auto-nominazione di una rock star o di un leader, spinto dalla fama mediatica, i cui successi e fallimenti reputazionali spesso servono ingiustamente da proxy per l’ascesa e la caduta del movimento nel suo complesso. Se tale auto-promozione diventa sfacciata, conflitti e liti tendono a colpire la dinamica sociale, il che indebolisce il potere del gruppo di organizzarsi efficacemente. L’energia già limitata viene deviata dalle campagne e invece sprecata nel gestire individui assetati di potere.

È pericoloso romanticizzare l’anonimato come virtuoso di per sé. L’anonimato online combinato con le cattive intenzioni di alcuni – abusatori patologici, criminali e orde collettive di troll – abilita comportamenti con conseguenze terribili, talvolta davvero spaventose. L’anonimato può favorire la crudeltà così come può generare fini morali e politici più nobili – dipende dal contesto.

Prendere in considerazione la storia completa di Anonymous illustra questa dualità. Prima del 2008, il nome Anonymous era stato utilizzato quasi esclusivamente per il trolling[5] su Internet – una pratica che spesso equivale a prendere di mira persone e organizzazioni per molestare, rovinare reputazioni e rivelare informazioni umilianti o personali. Essendo stata anch’io un obiettivo nel 2010 di un attacco di trolling (fortunatamente fallito), sono stata entusiasta – anche se piuttosto sorpresa – del radicale processo di trasformazione che Anonymous ha vissuto tra il 2008 e il 2010, quando ha cominciato a fare trolling ai potenti, combinando questa pratica con il lessico e il repertorio più tradizionali dell’esercizio di azioni di protesta e dissenso.

Mentre gli Anonymous si separavano dai troll puri, ciò che è rimasto invariato è stato l’impegno per l’anonimato, utilizzato per fini diversi in circostanze diverse. Tuttavia, alcune delle operazioni di Anonymous a favore dell’interesse pubblico, come la diffusione massiccia di e-mail che violavano la privacy delle persone, sono state realizzate in modo scorretto e meritano di essere condannate. Queste operazioni non dovrebbero essere usate per cancellare gli aspetti positivi che il gruppo ha raggiunto tramite l’anonimato, ma dovrebbero comunque essere criticate per le violazioni della privacy e dovrebbero essere utilizzate come esempi per migliorare i loro metodi.

È importante prevenire che lo stato elimini l’anonimato richiede ragioni solide per difendere il suo ruolo essenziale nella salvaguardia della democrazia. Difendere l’anonimato è difficile, poiché i risultati sociali dell’anonimato sono difficili da contabilizzare. Nonostante le difficoltà nella misurazione, la storia ha mostrato che gli Stati con potere di sorveglianza incontrollato tendono a scivolare verso il dispotismo e il totalitarismo. I cittadini sotto sorveglianza, o semplicemente sotto la minaccia di sorveglianza, vivono nel timore di ritorsioni e sono scoraggiati dal parlare individualmente, organizzarsi e violare la legge per fare in modo che gli Stati e le aziende rendano conto delle loro azioni.

Difendere in modo inequivocabile l’anonimato non significa rendere accettabili tutti gli usi dell’anonimato da parte dei cittadini. Quando si valuta la vita sociale dell’anonimato, è necessario anche porsi una serie di domande: Qual è l’azione anonima? Quali persone, cause o movimenti sociali vengono aiutati? Si tratta di un atto di rivendicazione sociale o di sfruttamento? Tutti questi fattori chiariscono i rischi e le conseguenze dell’uso dello “scudo” dell’anonimato. Si tratta di un invito a trovare soluzioni per mitigare alcuni dei suoi danni invece di chiedere l’eliminazione totale dell’anonimato. Si possono riprogettare le piattaforme digitali per prevenire gli abusi, ad esempio consentendo la segnalazione di account offensivi. Riconoscere gli abusi dell’anonimato è il motivo per cui garantiamo anche una capacità limitata delle forze dell’ordine di de-anonimizzare chi utilizza la copertura per attività che la società ha giudicato inaccettabili, come la pornografia infantile. Per come stanno le cose ora, lo stato è dotato di vastissime risorse, in termini di denaro, tecnologia e legittimità, per un’efficace azione di contrasto. Chiedere inoltre di porre fine alla crittografia forte, aggiungere “porte interne” per l’accesso del governo o vietare gli strumenti di anonimato – cosa che l’FBI fa spesso – significa chiedere l’eliminazione inaccettabile di molti usi legittimi dell’anonimato.

Nonostante queste giustificazioni, è difficile difendere l’anonimato quando alcune persone hanno solo una comprensione vaga del suo legame con i processi democratici, o non vedono alcun bisogno di anonimato, e altre lo considerano solo come un magnete per forme deprimenti di criminalità, codardia e crudeltà. Mi è venuto in mente proprio questo punto recentemente, quando mi sono imbattuta in una mia ex studentessa durante un viaggio. Sorpresa di riconoscermi nel gruppo con cui stava per fare immersioni, mi ha associata con entusiasmo all’oggetto dei mei studi: “Sei la professoressa hacker!” Poche ore dopo, mentre uscivamo da una piccola barca, mi ha chiesto senza preavviso di ricordarle i miei argomenti contro la comune svalutazione della privacy e dell’anonimato sulla base dell’argomento che chi “non ha nulla da nascondere” non ne avrebbe bisogno. Ho riso, dato che la mia mente era occupata proprio con queste domande mentre stavo riflettendo su questo articolo, e le ho elencato alcuni degli argomenti trattati qui. Non sono sicura se gli argomenti precisi le siano sfuggiti a causa del tempo passato, per il fatto che la mia lezione fosse noiosa, o perché i meriti dell’anonimato siano controintuitivi per molti; probabilmente è stata una combinazione di tutte e tre le cose. Comunque, mi ha fatto piacere che avesse ancora quella domanda in mente.

È stato un promemoria che, in un momento in cui gli esempi di attori anonimi che lavorano per il bene non sono facilmente reperibili nelle notizie, come ai tempi di Anonymous, noi che stiamo cercando di salvare la reputazione dell’anonimato dobbiamo presentare storie convincenti di bene morale possibile grazie all’anonimato, piuttosto che esplorarlo solo come un concetto astratto, giusto di per sé, indipendente dal contesto. Anonymous rimane un caso esemplare a tale scopo. Oltre a usare lo “scudo” per l’azione diretta e il dissenso, per cercare la verità e la trasparenza, Anonymous ha anche fornito uno spazio dove la ricalibrazione dell’autorialità e dell’attribuzione non è stata solo discussa, ma veramente attuata.

In questo modo, Anonymous ha offerto riparo dall’impulso a cercare continuamente l’attenzione su di sé, permettendo di diventare noti senza alimentare la celebrità individuale, ma riuscendo comunque a combattere l’ingiustizia con azioni spettacolari, rimanendo unito e anonimo.

 

[traduzione Edoardo Franchin e Anna Cordioli]

 — 

[1] La storia di Fryer

[2] Cointelpro 

[3] Chelsea Manning case

[4] Larry Nassar

[5] Trolling

Fonte Originale

Coleman G. (2018) “Reconsidering anonymity in the age of narcisisim” in    McSweeney’s Issue 54: The End Of Trust, San Francisco, California.    https://www.eff.org/document/end-trust-0

 

Gabriella Coleman, Massachussett

Department of Anthropology at Harvard University

https://gabriellacoleman.org/

*Per citare questo articolo:

Coleman G. (2025).  Riconsiderare l’anonimato nell’era del narcisismo.  Rivista KnotGarden 2024/2, Centro Veneto di Psicoanalisi, pp. 203-233.

 

Questo articolo è apparso per la prima volta nel 2018 nel numero 54, dall’esemplificativo titolo “The End of Trust” (La fine della fìducia), del Timothy McSweeney’s Quarterly Concern.

Ringraziamo l’autrice e l’editore per il permesso di tradurre e pubblicare l’articolo sulla rivista KnotGarden.

Per una lettura più agile e per ulteriori riferimenti di pagina si consiglia di scaricare la Rivista in formato PDF.

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