Il doppio tempo della cura in psicoanalisi

di Enrico Mangini

(Padova), Membro Ordinario con Funzioni di Training della Società Psicoanalitica Italiana.

*Per citare questo articolo:

Mangini E. (2024). Il doppio tempo della cura in psicoanalisi, KnotGarden 2024/4, Centro Veneto di Psicoanalisi, 52-59.

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Ho proposto questo titolo “Il doppio tempo della psicoanalisi”, per focalizzare una questione che ritengo centrale nel funzionamento psichico umano e che sul tema del tempo e della temporalità solo la psicoanalisi ha messo in rilievo: quello cioè di una specifica temporalità del funzionamento psichico inconscio che avviene in ogni essere umano fin dalla nascita e che trova nel costrutto dinamico del “doppio” una costruzione/restaurazione narcisistica, che prosegue poi nelle obbligatorie ripetizioni dell’infanzia, e nei successivi processi di risignificazione dei ricordi, o nella mobilizzazione dei fantasmi, e infine nell’esperienza analitica nella quale il ricordare, il ripetere e il rielaborare nel transfert sono i principali fattori trasformativi della cura. Ebbene tutti questi passaggi necessitano di un oggetto/altro, un doppio presente fin dallo sguardo tra madre e neonato descritto da Winnicott o come nello stadio dello specchio di Lacan, e che in analisi viene descritto come “lavoro in doppio” dai Botella e da La Scala.

Quando alla prima de I sei personaggi in cerca di autore il 10 maggio 1921 al Teatro Valle di Roma – un anno dopo Al di là del principio di piacere un anno prima de l’Io e l’ES – il pubblico già disorientato per il sipario alzato e privo di scenario, con un macchinista che inchioda rumorosamente assi sul palcoscenico (Giudice, 1963, 333), assiste all’entrata sul palco degli attori che giungono per fare le prove di una commedia di Pirandello, che il direttore-capocomico commenta “che chi l’intende è bravo” (75), ebbene in questa atmosfera di sconcerto e di protesta gli spettatori si vedono improvvisamente arrivare dal fondo della sala dei personaggi che non c’entrano nulla con quanto si sta provando. Sono i Personaggi in cerca di un autore che rappresenti invece il loro dramma. Per loro è una questione di vita o di morte perché se il loro dramma non potrà essere rappresentato la loro storia rimarrà congelata e irrappresentabile e loro stessi rimarrebbero in una atemporalità senza speranza (un tempo che i greci avrebbero chiamato aiόn, che ha la stessa radice dell’avverbio “sempre”). Pirandello scrive: “I Personaggi non dovranno affatto apparire come fantasmi, ma come realtà create, costruzioni della fantasia immutabili: e dunque più reali e consistenti della volubile naturalità degli Attori” (76). Questa distinzione è molto interessante perché definisce i Personaggi come messaggeri dell’irrappresentabile in cerca di rappresentazione.

La commedia si apre dunque nella creazione di una doppia scena: da una parte la realtà quotidiana del capocomico e i suoi attori, dall’altra il reale inconscio dei Personaggi che si muovono come entità psichiche allucinatorie in cerca di rappresentazione. I Personaggi cercano di convincere il capocomico/analista che il loro dramma per cui cercano autore e rappresentabilità è di vitale importanza e cercano di far capire a lui e agli attori che dirige come devono essere interpretati. Qui si crea quel doppio che mi interessa esplorare: Pirandello porta sulla scena per prima cosa l’incolmabile distanza esistenziale ed emotiva tra i personaggi e gli attori che dovrebbero rappresentarli. Come ogni nostro paziente anche l’illustre drammaturgo è posseduto da personaggi che sono i fantasmi che lo occupano (la moglie ricoverata in manicomio per crisi isteriche, la madre morta, la prediletta figlia Lietta che lo abbandona per trasferirsi in America Latina, Marta Abba la sua attrice preferita che non lo ama come lui vorrebbe, insomma un femminile ostile e abbandonico). Così nei Foglietti Pirandello aveva annotato: «Il bello è questo, che [i personaggi] han lasciato me e si sono messi a rappresentare tra loro le scene del romanzo […] me lo rappresentano davanti, ma come se io non ci fossi, come se non dipendesse da me, come se io non potessi in alcun modo impedirlo».(Pirandello, 1978, 1257). Ebbene, questi personaggi agitati e disperati non cercano altro che un Autore, qualcuno che sia in grado di prendersi l’onere e il desiderio di rappresentare il loro dolore, e noi analisti, nella finzione transferale/teatrale, siamo sia l’Autore idealizzato che cercano, sia il capocomico che tenta di dirigere il suo attore a incarnare un personaggio spesso inavvicinabile. Il lavoro analitico è semplice e complicato insieme e Pirandello ce lo indica: «quando i personaggi sono vivi, vivi veramente davanti al loro autore, questo non fa altro che seguirli nelle parole, nei gesti ch’essi appunto gli propongono; e guai se non fa così!».(Pirandello, 1962, 127). 

Questo doppio tempo del funzionamento psichico è presente nella teoria freudiana già nel caso di Katharina degli Studi sull’isteria. K da qualche tempo soffre di un senso di soffocamento e della paura che qualcuno la afferri da dietro all’improvviso. Freud la ascolta, nonostante siano delle sedute un po’ anomale dato che era in vacanza, e K ricorda che i suoi sintomi sono sorti in seguito a un fatto che l’aveva molto scossa: aveva sorpreso la sorella in atteggiamenti molto intimi con il proprio padre. Freud chiamerà questo episodio “momento traumatico ausiliario” – inteso poi come “secondo tempo del trauma – dato che in un colloquio successivo emergerà un’impressione più antica di essere stata lei stessa improvvisamente svegliata e schiacciata dal corpo del padre che si era coricato dietro di lei come aveva fatto con la sorella. Ecco dunque il doppio tempo: il secondo tempo (la scena del padre e la sorella) si mette in contatto con un fatto/ricordo o impressione, più antico, che in un “primo tempo” era rimasto escluso dalla temporalità e dalla pensabilità, “muto”; infatti i sintomi di K non erano comparsi dopo questo primo fatto, ma dopo la scena successiva con la sorella,  se si vuole più attenuata, quindi pensabile, che ha il potere di rimettere nel gioco psichico una prima scena che, come un trauma, non è un ricordo ma una “cosa” sepolta nella cripta descritta da Abraham e Torok (1987) e scissa, di cui “non se ne sa nulla” e non se ne sarebbe saputo nulla se non ci fosse stato questo incontro tra Freud e K. Sarebbe insomma rimasta esclusa dal tempo e dalla storia di K., ferma in uno statuto “inconscio”, cioè inconoscibile e atemporale, per usare la terminologia di Freud del saggio metapsicologico del 1915. Inconoscibile e atemporale questo inconscio sepolto sì, ma non per questo privo di segnali, tracce che si staccano ed emergono sotto forma di affetti-sensazione, agiti, ma anche immagini e pensieri che nascono nella mente dell’analista.

Giuseppe Ungaretti racconta di un porto sepolto ad Alessandria d’Egitto, sua città natale, che si dice esista in fondo al mare e scrive: “Questa mia città si consuma e s’annienta d’attimo in attimo. Come faremo a sapere delle sue origini se non persiste più nulla nemmeno di quanto è successo un attimo fa? Non se ne sa nulla, non ne rimane altro segno che quel porto custodito in fondo al mare”. I greci chiamavano questo tempo divoratore chrόnos. Ungaretti che intitolerà la sua “prima raccoltina” di poesie proprio Il porto sepolto, suggerisce l’idea che questo porto sepolto custodito in fondo a noi stessi possa trasmettere messaggi di una scrittura ermetica.

Freud definirà con un neologismo Nachträglichkeit questa dimensione del doppio tempo specifica della temporalità dell’analisi e più in generale del funzionamento psichico umano, che non riguarda solo la relazione tra un trauma e il suo sviluppo o le sue conseguenze, ma la stessa dinamica della cura, cioè di come procede la cura analitica nella dimensione transferale e di relazione tra libere associazioni e attenzione ugualmente fluttuante. Nachträglich significa “posteriore”, “successivo”, così nella versione italiana dal tedesco delle O.S.F. Musatti e Colorni traducono Nachträglichkeit con “funzione di posteriorità”, grazie alla quale un “fatto” non pensabile potrà essere significato, e poi continuamente risignificato. Questa puntualizzazione etimologica, che mette in rilievo come la posteriorità sia una funzione dinamica del pensiero inconscio nel doppio tempo del funzionamento psichico umano, non è presente nella prima traduzione dal tedesco della Standard Edition utilizzata dapprima dagli analisti di tutto il mondo e tuttora dagli anglosassoni. In questa versione Nachträglichkeit è resa con “deferred action” cioè “azione differita” o scarica ritardata. Capite bene che se parliamo di scarica ritardata piuttosto che di funzione di posteriorità si elude l’incidenza del fattore temporale sul lavoro psichico nel suo doppio e continuo rimando e ritrascrizione tra momenti psichici differenti (passato e presente, inconscio/conscio), e in definitiva si riduce la portata trasformativa del transfert e del metodo analitico nella cura.

Ma torniamo a K. che parlando con Freud può collegare l’insorgenza dei sintomi con l’aver assistito alla scena tra padre e sorella. Dobbiamo chiederci se l’assistere a questa seconda scena sia stato un evento casuale o piuttosto una sorta di “richiamo” inconscio, una spinta inconscia che conosciamo come “coazione a ripetere”, insomma uno di quei segnali che emergono dal porto sepolto. Ipotizziamo dunque che la coazione a ripetere faccia potenzialmente parte di un funzionamento anti-traumatico, potenzialmente perché è necessario che incontri la funzione analitica (in questo caso nell’incontro tra K. e Freud) per cui se ciò non accade, come solitamente succede nella vita di tutti i giorni, è destinata a rimanere una ripetizione sempre uguale di occasioni mancate, fallimenti, modalità auto-distruttive, incarnando quell’aspetto “demoniaco” di cui Freud parla in Al di là del principio di piacere (1920, 221). Mentre quando incontra la funzione analitica la coazione a ripetere smette di essere un elemento psichico governato da un irreprimibile “alto grado di pulsionalità” (ibid.) ma al contrario “Rendiamo la coazione a ripetere innocua, o addirittura utile, quando le riconosciamo il diritto di far quel che vuole entro un ambito ben definito. Le offriamo la traslazione come palestra in cui le è concesso di espandersi in una libertà quasi assoluta” (1914, 72).

La traduzione dal francese di Nachträglichkeit aggiunge un altro interessante tassello alla questione che stiamo esplorando del doppio tempo dello psichico, infatti nel concetto di après-coup – con cui i francesi intendono la “funzione di posteriorità” – si indica il “colpo” (coup) che arriva improvvisamente allo psichico, che sarebbe traumatico come qualsiasi colpo se non ci fosse un “dopo” (après) che introduce una temporalità, un intervallo di tempo, che attenua la violenza traumatica del colpo in quanto tale (André, 2009). Questo concetto rappresenta bene un versante della temporalità insista nella vita e nella cura analitica che chiamerei “discontinuità”, che mette in rilievo quanto avviene nell’attuale dell’istante così come nel transfert. Questo tempo i greci lo chiamano kairόs, che corrisponde all’aoristo che definisce la pienezza dell’attimo.

Così la Madre – che è tra i Personaggi quello più dolente e disperato – che nulla doveva ancora sapere che la figlia si prostituiva e dell’incontro drammatico della stessa figlia col Padre come cliente, quando il capocomico sta cercando di allestire la scena di questo fortuito incontro nel bordello, la Madre dunque, che ha il volto solcato di lacrime si leva dal suo pianto con un urlo, e rivolta al capocomico gli dice: “No, no! Non lo permetta signore! Non lo permetta” e il capocomico di rimando “Ma se è già tutto avvenuto, scusi! Non capisco” “No – urla la Madre – avviene ora, avviene sempre! Il mio strazio non è finto, signore” (121).

Tutto ciò rappresenta esattamente quanto avviene nel transfert nel doppio tempo della cura. I fantasmi del paziente chiedono all’analista/capocomico di credere alla sua verità che drammaticamente pare svolgersi nell’attuale. Il “colpo” vero e proprio è reale, la scena inconscia che si produce è reale, ma questo colpo abbisogna di una funzione di posteriorità, della temporalità di un “dopo”, di un après, che solo la funzione analitica può conferirgli; e non solo per via delle caratteristiche del dispositivo analitico, il setting analitico, la ripetizione delle sedute sempre negli stessi giorni e nella stessa ora, ma soprattutto per quell’attitudine mentale dell’analista di saper attendere, di vedere oltre, di vedere dopo, di metaforizzare, di creare altre immagini e pensieri. Analista – come dicono i Botella – “non distante dal bambino di fronte all’ignoto traumatico (…) nella sua regressione tenderà ad uscirne con un lavoro di raffigurabilità” (2001, 96). Se ciò non accadesse il colpo senza après-coup, potrà risuonare solo percettivamente come un “colpo su colpo” (Balsamo, 2022, 338), confermando la fissità dell’immagine e del fantasma nel suo statuto atemporale e fissando la coazione a ripetere nell’inutilità. Momenti di paralisi dell’analisi che Bion ha chiamato di “rovesciamento della prospettiva”, un colpo e basta, senza possibilità che possa realizzarsi un che di “finzione” che possa permettere qualcosa di diverso dal traumatico se non di bloccare completamente la riscrittura psichica (Balsamo, 339). La metafora che non si produce non rende tanto il porto sepolto inesistente e senza segnali, ma al contrario il porto sepolto emerge presente, concreto e visibile, e conoscibile, seppur attraverso un pensiero paranoide.

 

Bibliografia

Abraham N., Torok M. (1987). La scorza e il nocciolo. Borla, Roma, 1993.

Balsamo M. (2022). Necessità e finzione dell’après-coup. Rivista di Psicoanalisi, 2.

Botella C., Botella S. (2001). La raffigurabilità psichica. Borla, Roma, 2004.

Freud S. (1892-95). Studi sull’isteria. O.S.F., 1.

Freud S. (1915). L’inconscio. O.S.F., 8.

Freud S. (1920). Al di là del principio di piacere. O.S.F., 9.

Giudice G. (1980). Pirandello. Utet, Torino.

La Scala M. (2017). Percepire, allucinare, immaginare. Milano, Franco Angeli.

Pirandello L. (1921). Sei personaggi in cerca di autore. In: Maschere Nude. Milano, Mondadori, 1962.

Pirandello L. Saggi, poesie, scritti vari. Milano, Mondadori, 1978.

Ungaretti G. Vita di un uomo. Saggi e interventi. Milano, Mondadori, 1979.

Winnicott D.W. (1967). La funzione di specchio della madre e della famiglia nello sviluppo infantile. In: Gioco e realtà, Armando, Roma, 1974.

 

Enrico Mangini, Padova

Centro Veneto di Psicoanalisi

enrico.mangini@unipd.it

*Per citare questo articolo:

Mangini E. (2024). Il doppio tempo della cura in psicoanalisi, KnotGarden 2024/4, Centro Veneto di Psicoanalisi, 52-59.

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