Segreti con l’altro, segreti con sé

di Franca Munari

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“Si definisce unheimlich tutto ciò

che dovrebbe restare segreto e che si manifesta.”

Friedrich Schelling                                                                  

 

 

Molto si può dire, presumere, congetturare, ma anche verificare nella clinica, sul segreto come “condizione” psichica, relativamente alla sua qualità, non solo pulsionale, ma anche soggettiva e relazionale, e alle sue conseguenze sul lavoro psichico e sull’organizzazione difensiva.

Ma al di là delle infinite possibili declinazioni di esso, due credo siano gli elementi costanti che lo caratterizzano, anzi che proprio vanno a costituirlo come tale. Innanzitutto il fatto che se qualcosa ha da essere tenuto segreto, evidentemente questo qualcosa preme per manifestarsi, altrimenti non si costituirebbe come segreto, non ci sarebbe la necessità di secretarlo. E, in secondo luogo che, nel momento stesso in cui qualcosa si configura come segreto, evidentemente ci deve essere, in termini complementari, qualcuno, reale, immaginario, interno, al quale viene attribuito il desiderio di appropriarsi di questo segreto e di appropriarsene avidamente e distruttivamente. Penso qui proprio alla pulsione di emprise e a una pulsione di emprise che agisca autonomamente, separata dal suo complemento in soddisfacimento (Denis 1997). Distruttività allo stato puro quindi, e inconsapevole anche; come la pulsione di impossessamento viene descritta in Al di là del principio di piacere (1920) fra le forme che possono essere assunte dalla pulsione di morte. Sicuramente, e anche paradossalmente in questo caso, con una totale indifferenza nei confronti dell’oggetto. Cioè quello che il portatore del segreto paventa è che l’altro brami di sapere quanto lui cela, sia interessato quindi a lui, ma contemporaneamente che a lui sia anche completamente indifferente, perché questo suo segreto non sarà sicuramente protetto, ma anzi, distruttivamente appunto divulgato.

 

Ne abbiamo un esempio nei contenuti del diario, ostentatamente, custodito e nascosto degli adolescenti. Così Freud lo descrive nella lettera con la quale sollecita la dottoressa Hermine von Hug-Hellmuth a pubblicare il diario di una ragazzina della buona società viennese che lei gli aveva mostrato: “…e, soprattutto come il segreto della vita sessuale emerge dapprima indistinto per poi impossessarsi completamente dell’animo infantile, come questa ragazzina riporta un danno dalla coscienza del suo sapere segreto e come gradualmente riesce a superarlo.” (Freud 1915, 153)

Il mito edipico, mito che informa strutturalmente il nostro funzionamento mentale, relazionale e sociale (Green 1992) è proprio una storia di segreti di famiglia: uccisioni e incesto.

 

In Teorie sessuali dei bambini (1908) Freud mostra l’importanza della menzogna e del segreto dei genitori sulla questione delle origini, “il primo grandioso problema della vita … da dove vengano i bambini, che permettono al bambino di accedere a sua volta al segreto. “I bambini rifiutano di credere alla teoria della cicogna e a partire da questo primo inganno e ripulsa alimentano in sé una sfiducia nei confronti degli adulti, acquistano il sospetto di qualcosa di proibito il cui accesso è loro precluso dai “grandi”, e coprono pertanto di segretezza le loro ulteriori indagini.” Il segreto dei genitori, la sessualità, va dunque ad essere un messaggio enigmatico – vedremo in Laplanche la complessa evoluzione di questo messaggio – importante anche proprio perché in grado di far nascere il pensiero nel bambino.

Anche Abraham e Torok (1971) esprimeranno in termini diversi qualcosa di simile nel loro articolo “Sulla topica della realtà. Note su una metapsicologia del segreto” quando definiscono il fantasma come una formazione dell’inconscio che ha la particolarità di non essere mai stata cosciente – e di risultare dal passaggio, il cui modo resta da determinarsi, dell’inconscio di un genitore nell’inconscio di un bambino. Nella loro prospettiva il fantasma è il lavoro nell’inconscio del segreto inammissibile di un altro, la lacuna lasciata in noi dal segreto degli altri, un blocco di realtà sepolta, quella che verrà relegata e conservata in una cripta, ma che da questa condizione di sequestro, anzi proprio per questa condizione di sequestro agirà pesantemente e anche distruttivamente sul soggetto in senso melanconico.

Vedremo come, con tutt’altro percorso teorico e concettuale, in Kristeva (1987) e Lacan (1959) il segreto agirà nella medesima direzione e con queste stesse conseguenze.  

Si tratta di una delle possibilità del configurarsi di un fantasma su un nucleo di questo tipo, perché elementi di questo genere, proprio i segreti della sessualità degli adulti, come già aveva evidenziato Freud, possono sempre assumere questa funzione aggregante e significante del fantasma.

Troviamo confermata in Klein questa possibilità che essa ribadisce ampliandola e anticipandola, quando afferma che tutte le protosensazioni somatiche, le sensazioni affetto (Kristeva 2000) dei primissimi tempi della vita, inevitabilmente inconoscibili e retrospettivamente inevitabilmente segrete, daranno origine al fantasma.

 

Queste brevi considerazioni preliminari configurano due molto differenti panorami clinici che si aprono davanti a noi: quello del paziente che ha subito un segreto e quello del paziente che il segreto lo “agisce”, cioè un segreto i cui derivati comportano azioni, interne, esterne e soprattutto relazionali.

Inoltre nel lavoro con i bambini ci troviamo spesso confrontati con la contemporaneità delle due prospettive, quando i genitori ci utilizzano come depositari di un segreto che tale vogliono resti per il loro figlio, inoculandosi letteralmente, in noi e nella terapia, con una componente pesantemente agita della loro presenza. Presenza che, ci chiedono, dovrebbe essere relegata in una sorta di cripta del terapeuta cui consegnano “proditoriamente” il loro segreto da mantenere con il figlio, “certi” che inevitabilmente, proprio in quanto segreto, agirà costantemente e subdolamente nella terapia. 

 

Le forme del segreto

 

Infinite probabilmente, ma proviamo a riunirle in due categorie:

 

Ciò che deve essere taciuto. Segreti pruriginosi e segreti colpevoli

 

Ciò che deve essere taciuto e non deve emergere se deve essere taciuto, evidentemente preme per essere detto, fatto conoscere, per essere mostrato.  Questo attiene sempre al sessuale, meglio al pulsionale, a un pulsionale vissuto, agito, subito (colpevolmente subito si ritiene), vuoi nella realtà, vuoi nella fantasia come causa di colpa e/o di vergogna. Esito di una pulsionalità “selvaggia”, perché sfuggita al controllo, magari riconosciuta solo a posteriori come tale, e così etichettata solo per il suo essere stata soddisfatta, come colpevole e/o vergognosa. Ma anche esito di un istintuale prepotente, ammesso che si possa parlare di un istintuale autonomo e completamente avulso dal pulsionale, ingovernabile, non trattenuto. Protagonista il corpo con quelle fantasie primitive che da esso si generarono indicibili e potenti che, quando non risignificate, significate, simbolizzate, sublimate, restano in uno stato pericolosamente embrionale che ne può incredibilmente amplificare la presenza, la forza e la pericolosità rendendole causa di attacchi a sé e all’oggetto.

 

Ne abbiamo esempi da psicopatologia della vita quotidiana nei lapsus e nella loro variante, le gaffes.

 

L’inattingibile segreto del soddisfacimento: il melanconico.

 

Di grande importanza nella complessa trattazione che Julia Kristeva fa della depressione e della melanconia nel testo da lei consacrato a questi temi, Sole nero (1987) appare questa sua riflessione su La Cosa nel melanconico: “il depresso ha l’impressione di essere diseredato di un supremo bene innominabile, di qualcosa di irrappresentabile, che solo una divorazione forse potrebbe raffigurare, solo un’invocazione potrebbe indicare, ma nessuna parola potrebbe significare. Così, nessun oggetto erotico potrà sostituire per lui l’insostituibile appercezione di un luogo o di un pre-oggetto che imprigiona la libido e spezza i legami del desiderio. Sentendosi diseredato della sua Cosa, il depresso fugge all’inseguimento di avventure e amori sempre deludenti, oppure si rinchiude, inconsolabile e afasico, in un a tu per tu con la Cosa innominabile.” (Kristeva 1987, 15)

Freud aveva parlato della Cosa nel Progetto (1895) e aveva successivamente riutilizzato questo termine solamente nel 1925 ne La negazione. Sarà Lacan a sviluppare pienamente questo concetto nel seminario L’etica della psicoanalisi (1959)

Hiltenbrand così la definisce: “La Cosa rappresenta nell’apparato psichico il polo segreto del desiderio dell’uomo: il nodo del piacere-dispiacere. […] La cosa, sinonimo dell’oggetto perduto, dà la ragione del desiderio e sussiste come segno di nostalgia di impossibili ritrovamenti.” (Hiltenbrand, 2002, 303)

 

E Lacan precisa: “Quello che c’è nella Cosa, das Ding, è l’autentico segreto. […] Il bisogno e non i bisogni, la pressione, l’urgenza.” (Lacan 1959, 58) Ma la Cosa è anche l’estraneo, quello che fu il primo esterno, “è questo oggetto, Das Ding, in quanto Altro assoluto del soggetto che si tratta di ritrovare. Lo si ritrova tutt’al più come rimpianto…” (ibid. 68)

La Cosa del melanconico è quindi il segreto di un soddisfacimento mai conosciuto e raggiunto, del quale però permane la nostalgia. “Il depresso narcisistico è in lutto non di un Oggetto, ma della Cosa. Così chiamiamo il reale ribelle alla significazione, il polo di attrazione e di repulsone, dimora della sessualità dalla quale si distaccherà l’oggetto del desiderio.” (Kristeva 1987, 14-15)

Qui Kristeva fa coincidere la Cosa con il Reale, dove il Reale è una delle tre categorie Reale, Simbolico e Immaginario postulate da Lacan alla base del funzionamento psichico e tra di loro strettamente interconnesse, rappresentate da Lacan con il nodo borromeo, costituito da tre cerchi legati insieme in modo tale che se uno di essi viene tolto anche gli altri due si separano.

Il Reale è ciò che si sottrae all’inserimento nel simbolico, non può dirsi né inscriversi, per questo rientra nella categoria dell’impossibile, “ciò che non cessa di non inscriversi”. Siamo nell’area dello sconosciuto e del segreto, ma anche della ripetizione.

Freud aveva già preso in considerazione questa prospettiva dell’inane tentativo di soddisfacimento di un desiderio antico e alla fin fine sconosciuto e segreto, della insopprimibile nostalgia per quel primitivo soddisfacimento perfetto, quando in Al di là del principio di piacere (1920) aveva tentato di definire la “pulsione di perfezionamento”:

La pulsione rimossa non rinuncia mai a cercare il suo pieno soddisfacimento, che consisterebbe nella ripetizione di un’esperienza primaria di soddisfacimento; tutte le formazioni sostitutive e reattive, tutte le sublimazioni non potranno mai riuscire a sopprimere la sua persistente tensione, e la differenza fra il piacere del soddisfacimento agognato e quello effettivamente ottenuto determina nell’uomo quell’impulso che non gli permette di fermarsi in nessuna posizione raggiunta, ma secondo le parole del poeta, “sempre lo spinge più avanti”. (Faust, Mefistofele, scena dello studio)” (Freud 1920, 228)

 

Queste considerazioni ci inducono a postulare che nel segreto ci sia sempre comunque anche una importante quota di perdita, di depressione quindi, che lo genera o che ne consegue, vuoi che si tratti di segreti “subiti”, vuoi che si tratti di segreti “agiti”. Anche qui sarà la qualità dell’investimento, oggettuale o narcisistico e del bilanciamento di essa a fare la differenza

 

Gemma

Gemma è una giovane donna che ha già provato ripetuti episodi melanconici, dolorosi, svuotanti, paralizzanti. La sua vita si è fermata in questi periodi. Eventi prima minimizzati in famiglia, la loro ripetizione e la loro ingravescenza ha costretto tutti a cercare aiuto. Figlia amatissima, ha però subito nei primi anni della sua vita i ripetuti lutti accaduti alla madre e a causa di essi anche dei ripetuti allontanamenti da casa, affidata alle cure di una nonna amorevole, ma rigidamente vegetariana e quindi ossessivamente controllante e limitante sui cibi. Il quadro che Gemma mi presenta comprende oltre a un angosciato timore del ripresentarsi degli episodi depressivi, un segreto che genera in lei colpa e vergogna, se mai i suoi genitori se ne accorgessero: si è ripetutamente tagliata e di questi tagli restano delle cicatrici.

Comprendiamo ben presto come questo accanirsi su di sé origini sempre da litigi e dissapori all’interno della sua famiglia. Penso all’oggetto buono (la madre del soddisfacimento perfetto) perduto nel suo irreparabile divenire oggetto cattivo, perché assente e abbandonante, un persecutore portato e tenuto al suo interno, tutt’uno con lei; l’oggetto che rabbiosamente attacca tagliandosi. Questo agito intriso di moti rabbiosi e distruttivi va a configurarsi come forma del segreto colpevole e vergognoso.

Molte e complesse sono qui le questioni in gioco, ma vorrei appoggiare questo caso clinico alle precedenti considerazioni teoriche sia per ciò che concerne una evidente conferma di esse, ma anche per suffragare un’ipotesi sulla genesi e la necessità del segreto che dalla concomitanza clinica delle due forme potremmo avanzare.

Cioè se in qualche misura qualunque forma del segreto non possa anche essere ciò che cerca di nascondere un ennesimo reiterato tentativo di soddisfacimento, ma soprattutto di significazione – distorto, sintomatico, sicuramente inefficace – di quell’inattingibile segreto della Cosa inesorabilmente perduta; un rappresentate desolato della nostalgia di un supposto soddisfacimento originario, la celebrazione di una indefinita ripetizione del mancato lutto per esso.

Non si deve sapere che si è, inutilmente, risibilmente, cercato di raggiungerlo.

 

Bibliografia

Abraham N., Torok M. (1971). De la topique réalitaire. Notations sur une metapsychologie du secret. Revue française de psychanalyse. 35 5/6 977-982.

Denis P. (1997). Emprise et satisfaction. Les deux formants de la pulsion. Paris, Presses universitaires de France.

Freud S. (1895). Progetto di una psicologia. OSF, 2.

Freud S. (1908). Teorie sessuali dei bambini. OSF, 5.

Freud S. (1915). Lettera alla dottoressa Hermine von Hug-Hellmuth. OSF. 8.

Freud S. (1920). Al di là del principio di piacere. OSF, 9.

Freud S. (1925). La negazione. OSF, 10.

Green A. (1992). Slegare. Roma, Borla, 1994.

Hiltenbrand J.-P. (2002). Chose (la). In: (sous la direction de Alain De Mijolla) Dictionnaire International de Psychanalyse. Vol.I . Paris, Calmann-Lévy.

Kristeva J.  (1987). Sole nero. Roma, Donzelli Editore, 2013.

Kristeva J. (2000). Melanie Klein. Roma, Donzelli Editore, 2006.

Lacan J. (1959). L’Etique de la psychanalyse. Paris, Seuil, 1986.

 

 

 

Franca Munari, Padova

Centro Veneto di Psicoanalisi

franca.munari.ls@gmail.com   

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