Sezione Locale della Società Psicoanalitica Italiana
di Silvia Mondini
(Padova), Membro Ordinario della Società Psicoanalitica Italiana, Segretario Scientifico del Centro Veneto di Psicoanalisi.
*Per citare questo articolo:
Mondini S., (202) “Dialoghi e Appendice”, Rivista KnotGarden 2025/1, Centro Veneto di Psicoanalisi, p. 132-134
Per una lettura più agile e per ulteriori riferimenti di pagina si consiglia di scaricare la Rivista in formato PDF.
Giano bifronte, custode delle soglie, protettore degli inizi, abitante dei passaggi; divinità dallo sguardo decentrato, sempre sul pezzo e, al contempo, un po’ altrove tanto da lasciare aperto un varco da cui qualcosa possa entrare, uscire o essere osservata da una prospettiva altra.
Figura mitologica, certo. Ma anche possibile metafora della conoscenza — quella psicoanalitica nella sua espressione più vera — in cui il tempo si fa sospeso, i confini si assottigliano, e lo sguardo oscilla tra memoria e potenzialità per ascoltare ciò che ancora non ha preso forma.
In questo spazio creativamente ambiguo s’insinua, tuttavia, una provocazione che ci riguarda. Perché, come ha scritto con disarmante lucidità André Green, gli psicoanalisti, paradossalmente, non sanno ascoltare. O meglio: sanno ascoltare i loro pazienti ma non gli altri, soprattutto se parlano un’altra lingua, magari quella di un’altra disciplina.
“Per poter leggere, occorre mettere in sordina le proprie idee per tentare di capire quelle degli altri. È in questo senso che si può dire che gli psicoanalisti non sanno ascoltare: non sanno decentrarsi al punto di entrare nel sistema di pensiero di qualcun altro per il tempo necessario a comprenderne le giustificazioni, la ragion d’essere o la coerenza interna” (Green, 1994, p.103).
È anche per questo che abbiamo deciso di varcare la soglia e allenarci a un ascolto diverso. Un ascolto volto a sospendere, anche solo per un istante, il nostro sapere, per andare incontro a quello dell’altro. Non per adottarlo ciecamente, ma per lasciarci attraversare da esso, nella speranza che qualcosa si metta in moto. Qualcosa che contempli il futuro pur senza escludere il rischio di introdurre elementi lontani, estranei, perfino dissonanti nella nostra disciplina.
Per passione della conoscenza — e forse anche per una vitale irrequietezza — ci siamo lasciati sedurre da un sapere altro per avvicinarci ad esso con rispetto, curiosità, e magari anche con un pizzico di incanto.
Come nel caso dell’appendice proposta da Anna Cordioli e che ci introduce nei meandri di Anonymous attraverso l’acuto sguardo di una delle più autorevoli antropologhe del web, Gabriela Coleman. Coleman ha condotto per anni un rigoroso lavoro sul campo all’interno del movimento Anonymous, contribuendo a illuminarne le etiche, le pratiche e la storia comunitaria.
Poter ospitare un suo articolo è per noi motivo di grande orgoglio, proprio perché esso è frutto — come ben sostiene Cordioli — di una rigorosa esperienza sul campo e all’interno del movimento. Coleman parla da dentro la rete e pone con forza il problema della verità e del potere. Per tutto il tempo ci accompagna con la consapevolezza che non sono gli algoritmi o le tecnologie a costituire la minaccia principale, ma le strutture di potere e le scelte umane che le abitano.
In un contesto in cui spesso ci si amalgama alla massa per cercare un’identità costruita sull’ideale dell’Io, Anonymous rinuncia al narcisismo identitario per fondersi nella moltitudine e denunciare abusi di potere, violazioni della privacy, censura o repressione (Campanile, comunicazione personale).
Anonymous incarna una nuova forma di identità collettiva fluida, dove l’individuo rinuncia al proprio nome e volto per diventare parte di un’azione comune. È un’identità politica e culturale che sfida le categorie classiche di rappresentanza, leadership, appartenenza.
Il motto “We are Anonymous. We are Legion. We do not forgive. We do not forget. Expect us.” è al tempo stesso minaccia, manifestazione poetica e dichiarazione politica.
I contenuti di questa sezione nascono, dunque, dal desiderio di arricchire la psicoanalisi con sguardi altri delineando così un territorio cangiante, disseminato di interrogativi, spostamenti, fertili disorientamenti, pensieri da coltivare nel tempo.
Aprire è un verbo che piace a Giano, e anche a noi.
Bibliografia
Green A. (1994). Uno psicoanalista impegnato. Roma, Borla, 1995.
*Per citare questo articolo:
Mondini S., (202) “Dialoghi e Appendice”, Rivista KnotGarden 2025/1, Centro Veneto di Psicoanalisi, p. 132-134
Per una lettura più agile e per ulteriori riferimenti di pagina si consiglia di scaricare la Rivista in formato PDF.
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