Sezione Locale della Società Psicoanalitica Italiana
Anna Cordioli intervista Franco D’Alberton
In un mondo letteralmente ossessionato dalle questioni di genere, dare prova di essere uomo o essere donna, è un fatto quotidiano per ciascuno di noi, anche se possiamo esserne così abituati da non farci più caso. Ci sono, però, contesti o situazioni personali, in cui questa messa alla prova diviene motivo di tensione e talvolta anche di ingiustizia.
Franco D’Alberton, che oggi ho il piacere di intervistare, mi ha fatto conoscere la storia di Maria José Martínez-Patiño, un’atleta il cui test della cromatina sessuale, nel 1985, risultò negativo e di conseguenza le fu revocato il diritto di partecipare alle gare di atletica femminile. Due mesi dopo, la squalifica venne confermata rivelando il suo cariotipo XY, sebbene fosse associato ad una condizione di insensibilità completa agli androgeni (CAIS).
L’atleta non solo scoprì in quell’occasione la sua condizione intersessuale ma, di fatto, fu squalificata per un vantaggio che non poteva avere in quanto il suo corpo non era in grado di recepire il testosterone.
Le fu consigliato di ritirarsi in buon ordine ma l’atleta spagnola decise di fare denuncia per un regolamento discriminatorio, scoperchiando un fenomeno ben più ampio e che portava all’esclusione silenziosa di almeno un paio di atlete ad ogni Olimpiade[1]. Martínez-Patiño ebbe il coraggio di esporsi pubblicamente e venne trattata come un fenomeno scandalistico dalla stampa nazionale e internazionale.
È però grazie alla sua richiesta di giustizia che si comprese l’iniquità del metodo di determinazione del sesso nello sport. Ad esempio oggi, nelle competizioni non si tiene più conto solo del corredo genetico, XX per le donne e XY per gli uomini, ma si valutano anche molti altri valori, tra cui i valori ormonali nel sangue, la capacità del corpo di recepirli e molto altro. Martínez-Patiño divenne membro della commissione del CIO che si interessa proprio di questi temi.
Le regole sono ancora in fase di perfezionamento e ci sono varie posizioni tra i medici su quali condizioni possano costituire un vantaggio sportivo e quali invece no.
A differenza delle dichiarazioni politiche che appaiono sempre molto nette, i clinici ci mostrano una realtà ben più sfumata e che merita grande interesse.
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[1]Ospina-Betancurt, Vilain, Martinez-Patiño (2021) “The End of Compulsory Gender Verification: Is It Progress for Inclusion of Women in Sports?”, Arch Sex Behav. 2021; 50(7): 2799–2807
Ne parliamo dunque con Franco D’Alberton, Psicoanalista con funzioni di training della Società Psicoanalitica Italiana, membro della Société Européenne pour la Psychanalyse de l’Enfant et de l’Adolescent (SEPEA). Esperto nell’analisi del bambino e dell’adolescente, ha lavorato a lungo nei servizi per la salute dell’infanzia e nel Dipartimento di Pediatria dell’Ospedale Sant’ Orsola di Bologna ed in particolare si è occupato dell’Endocrinologia Pediatrica. È membro del gruppo italiano per lo studio dei disturbi della differenziazione sessuale. Non solo è uno psicoanalista ma è anche esperto di condizioni intersessuali.
Uscirà a breve un suo articolo, scritto assieme a Massimo Di Grazia, sul numero monografico 2024-1 intitolato “Genere” della rivista PSICHE- l’articolo si intitolerà, appunto “Le Variazioni delle Caratteristiche del Sesso, l’Intersessualità.”.
Grazie di aver accettato la nostra intervista.
Comincerei col fare chiarezza su un tema che tende ad essere mal rappresentato e mal compreso, ovvero la differenza tra persone transgender e le persone intersessuali.
Premettendo che si tratta di persone ognuna delle quali ha diritto di esprimere al meglio le proprie caratteristiche singolari come essere umani, se noi dovessimo dividere le persone per categorie, potremmo dire che quelli che, con un termine un po’ antico, si definiscono i transessuali sono persone che in qualche maniera non si riconoscono nel sesso di nascita e per una serie di caratteristiche, molte delle quali sono ancora sconosciute, si sentono a loro agio nel sesso opposto.
Mentre quando parliamo di Intersessuali ci riferiamo a persone che hanno una condizione DSD cioè esprimono delle differenze nello sviluppo sessuale, o, come si preferisce dire ora, delle “Variazioni delle Caratteristiche di Sesso (VCS)”[1]; parliamo di persone che, a causa di motivi prevalentemente genetici o ormonali, presentano delle variazioni nello sviluppo del corpo sessuale rispetto a quelle che tradizionalmente venivano individuate come maschili o femminili. Si tratta dunque di persone nate con caratteristiche congenite dei caratteri sessuali (come gli organi riproduttivi, i genitali, i valori ormonali e/o i cromosomi sessuali) più varie rispetto alle nozioni binarie mediche e sociali di corpo femminile e maschile.
Cosa sappiamo dell’origine di queste variazioni e quanti tipi di VCS esistono?
Come spieghiamo nell’articolo per PSICHE, lo sviluppo sessuale è un processo che inizia alla fecondazione stabilendo il sesso cromosomico (XX o XY). Questo è il primo passo del processo di determinazione del sesso che continua con la formazione della gonade (testicolo o ovaia); è il primo ma non è certo anche l’ultimo. Per le prime quattro/sei settimane della vita dell’embrione la struttura dei genitali maschili e femminili è la stessa perché il tessuto delle gonadi è bipotente. Ad un certo punto tutta una serie di fattori genetici ma anche ormonali e talvolta ambientali porta alla differenziazione delle gonadi. Di default l’embrione si svilupperebbe in senso femminile, è la presenza degli androgeni che determina l’evoluzione dell’embrione in senso maschile.
Ecco, vi possono essere tante condizioni per cui il fenotipo, cioè l’espressione fisica della persona, può andare da un apparato maschile o femminile completamene formati a tutto un gradiente di condizioni intermedie. Oggi la genetica molecolare consente di capire molto di più di queste condizioni.
Le variazioni sessuali sono molteplici e i quadri individuali possono essere molto intrecciati, per cui non è semplice rispondere in maniera secca in un campo scientifico così complesso e in evoluzione.
La complessità di questa condizione rende difficile il processo di consolidamento di una identità di genere?
Se rimaniamo sulle questioni genetiche e fisiche, ad esempio è interessante ragionare circa le condizioni di insensibilità agli androgeni (CAIS). In soggetti geneticamente XY, un piccolo problema genetico fa sì che il recettore degli androgeni non sia in grado di recepire la loro influenza; questi individui con un patrimonio genetico XY, hanno delle gonadi maschili, producono testosterone, ma il corpo sostanzialmente non lo sente. Alla nascita i genitali esterni non erano completamente formati e i soggetti frequentemente possono venire scambiati per delle bambine. La condizione si manifesta abitualmente o nel periodo perinatale, perché le gonadi interne venivano scambiati per ernie inguinali, o, verso la pubertà, quando non comparivano le mestruazioni.
C’è da dire che il fatto che il recettore degli androgeni non li recepisca fa sì che nella stragrande maggioranza dei casi queste persone si sentano a loro agio nel genere e, in linea di massima, nei ruoli femminili.
Queste persone XY con insensibilità agli androgeni, se possono crescere senza mettere in questione il genere in cui sono cresciute e senza incorrere in operazioni di rettifica del sesso, vivono la condizione in modo più sereno. Invece quelle che, soprattutto nel passato, si sono imbattute in un sistema sanitario più legato al binarismo sessuale, venivano sottoposte alla rimozione delle gonadi maschili e veniva costruita loro una neo-vagina, per essere “a tutti gli effetti” femmine, secondo la mentalità del tempo. Questa pratica in realtà comportava dei problemi notevoli, sia perché molto spesso queste procedure (frequentemente fatte in giovane età) non sempre avevano un funzionamento ottimale, sia perché la rimozione dei testicoli, impediva la produzione di androgeni che, trasformati in estrogeni, avrebbe consentito un maggior benessere, portando a una migliore formazione della struttura ossea.
Una condizione diversa, ma che alla nascita si esprime in maniera simile, riguarda persone con un corredo genetico XY, che però, per effetto di un’altra condizione genetica, presentano un deficit di cinque-alfa reduttasi. In questi casi gli androgeni vengono percepiti dal corpo e dal cervello ma non portano alla formazione degli organi sessuali esterni maschili se non grazie all’influsso successivo degli ormoni della pubertà.
Queste due condizioni alla nascita potrebbero essere confuse. Oggi la genetica ci consente di comprendere meglio questi stati e che, ad esempio, hanno due destini completamente diversi, proponendo alle famiglie e agli interessati prospettive differenti a seconda delle situazioni.
In un quadro di complessità così ampio, insomma, non possiamo trattare queste persone per classi standard: ognuno ha diritto di essere preso in considerazione per la propria individualità.
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[1] Franco D’Alberton, Massimo Di Grazia, Le variazioni delle caratteristiche del sesso e l’intersessualità, in “Psiche, Rivista di cultura psicoanalitica” 1/2024, pp. 175-192, doi: 10.7388/113985
Ci sono situazioni in cui le persone con Variazioni delle Caratteristiche del Sesso scoprono la loro condizione solo da adulti. Un frangente particolarmente eclatante è quello collegato ai test sportivi agonistici. Ti è capitato di incontrare atleti intersex che abbiano scoperto della loro condizione proprio in quella sede?
Ho avuto la fortuna di conoscere personalmente Maria José Martínez-Patiño e la sua storia. Se ne può parlare tranquillamente perché la sua vita è stata passata ai raggi X dalla stampa mondiale e lei ne ha scritto anche in prima persona. Si tratta di una donna eccezionale che ha passato un periodo di grande dolore, legato al modo in cui è stata trattata e a quello che le era successo; e che però è riuscita a trasformare questa sofferenza in un’attività che è stata molto utile a tante persone che successivamente si sono trovate nelle sue condizioni. È diventata membro di un organismo del Comitato Olimpico Internazionale che si interessa di questi fattori di valutazione equa. Per queste situazioni, che non sono così infrequenti, la sua esperienza è stata molto utile, anche se le tristi vicende dell’attualità ci fanno capire quanto altro lavoro ci sia ancora da fare.
Le persone intersex che sono venute dopo di lei, hanno potuto affrontare queste condizioni con maggiori competenze anche se ogni volta che emerge un nuovo caso, ci troviamo davanti a discussioni pubbliche semplificanti e spesso offensive.
L’idea malsana che spesso circola è che ci sia un imbroglio di fondo e che, per vincere, un maschio decida di cambiare sesso. Ma più di tutto c’è una sorta di compulsione a esprimere idee, spesso basate sull’ignoranza di queste condizioni, che fa sì che ogni nuovo caso si trasformi in un oggetto di interesse morboso da parte degli organi di stampa e dei social.
Aver conosciuto Maria, per me è stato molto importante perché appunto ho potuto vedere come una persona passata attraverso esperienze estremamente umilianti e dolorose, sia riuscita a trasformarle in fattori di cambiamento.
La questione sportiva è una faccenda decisamente binaria: o gareggi con gli uomini o con le donne. C’è spazio anche per le persone intersessuali e all’interno di quali criteri?
Questo non lo so bene. Di certo, in questi anni di studi scientifici, abbiamo imparato che non esiste un così stretto binarismo sessuale che diversifica una volta per tutte ciò che è maschile e ciò che è femminile. Una quantità enorme di dati ci dice che in ogni individuo coesistono reti concorrenti di attività biologiche maschili e femminili e queste consapevolezze rendono uno stretto binarismo sessuale un’idea, diciamo, illusoria.
Credo che oggi l’obiettivo sia quello di individuare i livelli di testosterone che danno un vantaggio agonistico, oltre i quali alle persone non è consentito di gareggiare. Contemporaneamente si cerca di capire sempre di più come non sia solo la presenza o la quantità degli ormoni maschili a influenzare le prestazioni ma anche la capacità del corpo di recepirli.
Ultima domanda: che apporto dà uno psicoanalista che lavora in questo campo? Ma anche viceversa, lavorare con queste situazioni cosa ha portato al tuo essere psicoanalista?
Beh, diciamo che io mi sono trovato quasi per caso a lavorare con queste situazioni. La mia formazione psicoanalitica mi ha portato prima di tutto a porre attenzione all’ascolto delle persone piuttosto che a cercare soluzioni che riducevano il problema a “maschio o femmina”.
È fondamentale avere la capacità di pensare assieme, di sostenere l’incertezza, di rifuggire soluzioni che tendono a ridurre un problema complesso a solo due soluzioni. È proprio la capacità negativa quella che ci aiuta di più nei casi di maggiore angoscia.
Ecco, la formazione psicoanalitica può portare in queste condizioni un modo riflessivo di gestire l’ansia e l’incertezza, avendo cura di coinvolgere nel processo le persone interessate e le loro famiglie.
Una grande attenzione va portata anche agli operatori e alle equipe. Il contributo che credo di aver portato all’interno dei gruppi di lavoro in cui ho operato è quello di lavorare assieme per sostenere il dubbio e l’incertezza, aspettare prima di prendere decisioni, anche se non sempre facile, perché le pressioni famigliari e sociali, a tratti, sono molto forti.
Insomma, è necessario darsi tempo per capire e dare tempo alla persona, perché possa esprimere il proprio consenso agli interventi che la riguardano, specie quando si tratta di procedure che potrebbero essere irreversibili.
Sappiamo che Freud ha studiato e ha scritto di queste condizioni intersessuali, ne fa riferimento anche nei Tre Saggi. Queste espressioni di intersessualità, assieme alla compresenza costante di aspetti maschili e femminili, lo hanno portato a sviluppare il concetto di bisessualità psichica.
Ed è proprio il concetto di bisessualità psichica che ci sostiene nell’aiutare le persone con varianze delle caratteristiche del sesso; stiamo parlando di bisessualità psichica in un campo di cui la pressione concreta del corpo si fa sentire con particolare forza. Questo importante concetto ci aiuta, invece, a non chiuderci in una visione ristretta di binarismo sessuale.
Grazie per questa utile conversazione.
Ci salutiamo avendo in mente la centralità della bisessualità psichica e l’importanza della capacità negativa: due capisaldi della psicoanalisi che possono guidarci soprattutto quando affrontiamo le questioni di genere. Buon lavoro!
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