Convegno Internazionale

I campi di confinamento nel XXI secolo e le responsabilità dell’Unione Europea

Commento di Patrizia Montagner 

Si è  concluso lo scorso 8 maggio un convegno internazionale sul tema dei campi di confinamento e delle politiche Migratorie dell’Europa  organizzato da :

Rivolti ai Balcani ; Rete Diritti Accoglienza e Solidarietà Internazionale del FVG e

Centro di Accoglienza Ernesto Balducci

L’evento si è svolto a Zuliano (UD) nella sede del Centro Balducci,  luogo che da trent’anni coniuga l’ospitalità ai migranti con un intenso lavoro di“Resistenza culturale”, come l’ha definita il suo Fondatore Don Di Piazza.

 

Il convegno si situa in un momento storico in cui l’attenzione dei media e della comunità sociale è centrata esclusivamente e fortemente sull’ospitalità agli Ucraini. Tuttavia  le altre rotte di migrazione continuano ad essere percorse e si soffre e si muore sia nel Mediterraneo che nella Rotta Balcanica.

 

Migranti in fila per ricevere un pasto caldo distribuito dagli operatori della Croce rossa all’ingresso del campo profughi di Lipa, Bosnia, 8 gennaio 2021. Credits: Michele Lapini e Valerio Muscella.

Le prime tre relazioni, su ui mi sottererò, hanno inquadrato il problema, le sue caratteristiche e i nodi critici, rispettivamente dal punto di vista politico, giuridico e sociale,

Gianfranco Schiavone , che da decenni lavora nell’area dell’accoglienza, ha  illustrato le caratteristiche per le quali i campi profughi diventano  campi di confinamento.

Sono strutturati in modo da mantenere l’idea che la migrazione sia una situazione provvisoria e di emergenza, consentono la sopravvivenza in condizioni  degradate, ma impediscono di fatto una integrazione, Schiavone ha parlato di deumanizzazione. Lo scopo dei campi è quello di mantenere una realtà bloccata, senza futuro.

Perciò sono strutture enormi, lontanissime da altri insediamenti sociali, spesso  nate come insediamenti militari e se nuove, costituiti da strutture temporanee,  in cui è difficile creare una comunità, i civili non possono entrare, non ci sono attività ricreative ed è quasi impossibile la vita di relazione.

Ha osservato inoltre che sono strutture flessibili, utilizzabili per qualsiasi emergenza, quindi anonime, prive di storia, in cui la memoria di chi vi sta viene cancellata.

Tutto questo, dice Schiavone, è noto, ma è facilmente non guardato o dimenticato.

E’ diventato normale per noi, quando non lo è.

Egli ha  concluso, citando Primo Levi, con una riflessione sul rischio che tutto questo contribuisca a dare l’idea che “ogni straniero è un nemico”.

Caterina Bove, avvocato che da tempo si occupa di diritti umani, ci presenta il problema della “esternalizzazione” cioè la scelta europea , di cui la creazione di campi di confinamento è parte integrante, di delocalizzare di fatto i suoi confini.  La delega a Stati non europei, come Libia e Turchia  della funzione di blocco dei flussi impedisce l’accesso a migranti senza permesso di soggiorno,

Questa scelta, è una palese violazione dei diritti dei migranti, poichè non permette l’arrivo in Paesi UE nei quali è invece consentito chiedere asilo o ospitalità.

Il blocco è effettuato attraverso i respingimenti e le ricollocazioni, cioè il rimandare indietro  i migranti anche quando hanno già raggiunto, a volte ripetutamente, un paese europeo.

Su queste violazioni è più volte intervenuta la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, con sentenze alterne.

Caterina Bove  propone che vengano sospese le riammissioni illegali,  aumentati i canali legali e sicuri e i ricongiungimenti familiari, facilitati i visti rapidi, Chiede ancora che si faccia luce sull’utilizzo dei fondi per le migrazioni che l’Europa ha stanziato e fornito ai paesi che effettuano le esternalizzazioni e per questo sollecita un monitoraggio indipendente delle attività ai confini, soprattutto quelle effettuate da Frontex.

Bove ci ricorda che è un dovere morale pretendere il rispetto delle leggi internazionali.

Monica Massari, docente all’Università di Milano , si occupa di sociologia della memoria e fa  ricerche su desideri, sogni  e aspettative del futuro che i migranti portano con loro.

Ha definito perverse le politiche di esternalizzazione, poichè di fatto aumentano e cristallizzano il problema della migrazione senza riuscire a dare ad esso una evoluzione.

Le testimonianze di torture e maltrattamenti che ha raccolto sono molte, il racconto di alcune ci ha toccato e inquietato. Come dice Massari, sono delle sfide al nostro pensiero. Hanno delle implicazioni fortissime sulle vittime, ma anche  chi incontra i migranti è travolto dall’orrore e costretto in alcuni momenti a riconoscere che esiste addirittura una tecnologia del terrore, Non possiamo restare indifferenti

Soprattutto queste storie terribili di violenza , dice Massari,ci obbligano a riformulare le nostre ipotesi sulla migrazione. Prima di tutto a includere nel quadro anche le implicazioni sociali e politiche e poi ad uscire dalla ripetitiva  rappresentazione  di vittime e perpetratori.

E’ necessario trovare risorse e strategie nuove. E le prime vengono proprio dai migranti che stanno rifiutando la parte delle vittime e iniziano a chiedere di essere ascoltati e considerati. Le testimonianze mostrano piccoli ma continui atti di sovversione che mettono in discussione la globalizzazione della indifferenza e fanno perdere luce alla patina di ipocrisia che spesso ci copre.

Alla fine del suo  intervento Massari ci interpella direttamente chiedendoci  a che cosa ci portano queste testimonianze di migranti. Che uso facciamo di questa conoscenza? Possiamo davvero fare spettacolo della sofferenza e poi non curarcene? Possiamo davvero dimenticare o ignorare?

Migranti in protesta per denunciare le condizioni disumane in cui sono costretti a vivere dopo che il 23 dicembre 2020 un incendio ha distrutto il campo di Lipa. Credits: Valerio Muscella e Michele Lapin

Mi ha molto colpito un pensiero espresso da Annalisa Camilli, giornalista inviata in Ucraina, che si è collegata con noi via web  da Zaporhzhya  durante il Convegno, raccontandoci quello che stava vivendo e che ha visto. Ci dice che nel 2020 era nella stessa zona è ha visto ripetutamente la polizia e i militari respingere anche con violenza profughi siriani e iraniani che erano riusciti ad attraversare la frontiera e arrivare in suolo europeo. Ora, dice Camilli, tutto è diverso. Dopo pochi giorni dall’inizio della guerra la stessa polizia e gli stessi militari sono trasformati. E’ incredibile! Una apertura chiaramente fatta per ragioni politiche li porta ora ad essere accoglienti, efficienti e organizzati e la frontiera con la Polonia è totalmente aperta.

Riporto il commento di Camilli: “Tutto sta funzionando. Questo ci dice che il modo migliore di gestire le migrazioni è quello di non creare blocchi, non creare muri, non creare campi!”

Queste osservazioni  ci portano a chiederci come mai la Ue abbia finora adottato una strategia verso i Migranti così poco efficace, quando le indicazioni degli esperti e ora l’esperienza dell’Ucraina ci fanno chiaramente vedere che la migrazione funziona proprio sulla base di apertura e disponibilità da parte di chi accoglie. Ed è possibile!

In molti altri momenti del convegno sono stati presentati esempi, da realtà sparse in Europa e ai confini di essa, come la Turchia, di quanto la logica dei campi e dei blocchi sia radicata, e allo stesso tempo costosa e fallimentare.

Tutto questo parla da sè.

Osservo  che  meccanismi fondamentali del funzionamento psichico dell’individuo come la rimozione, l’identificazione con l’aggressore , la negazione, la proiezione all’esterno dei conflitti, si riconoscono anche nel macroscopico funzionamento della società europea rispetto al problema migranti, dove sono in atto in modo massiccio.

Ora noi ci stiamo illudendo di mettere a tacere  i nostri principi etici ospitando con generosità gli Ucraini, ma continuiamo a gestire in tutt’altro modo gli altri profughi.

L’indifferenza, il mettere lontano, espellere la violenza facendola esercitare all’altro,  mostrano tutti i loro limiti e soprattutto i loro rischi. Non cancellano le responsabilità.

Non mi riferisco solo alle conseguenze nella vita di ciascuno di questi uomini e donne che conserveranno dentro di loro violenza,traumi, odio, solitudine, rancore, disperazione e che li esterneranno certamente in qualche modo, magari attraverso le seconde generazioni.

Credo che si debba sottolineare anche quanto tutto questo sia un rischio per la psiche e la vita di ciascuno e della società in generale. Poichè fomentare odio non fa che creare un clima ulteriore di odio, paura, insicurezza.

Ma soprattutto perchè il tentativo di mettere fuori, creando blocchi e muri è destinato prima o poi a diventare insostenibile. Quello che cerchiamo di escludere dalla coscienza finisce per essere qualcosa di cui ci priviamo , una parte vitale che diventa buia e pericolosa.

 I muri con il tempo crollano . E allora gli schieramenti si incontrano. Se non si è stabilito un dialogo con l’Altro che sta là, lontano, e che ha comunque molto in comune con noi, una comune umanità, una mente come la nostra, una affettività come la nostra, sogni, desideri e bisogno di futuro come noi, finiremo per scoprire dolorosamente che non è un incontro, ma uno scontro.

Penso che la psicoanalisi , che  si pone nell’ottica di cercare in ciascuno, individuo, gruppo, istituzione sociale, le  responsabilità verso di sè e verso l’altro,  possa avere strumenti adatti per aprire una riflessione su questo tema del confinamento  e sulle sue conseguenze.

Patrizia Montagner, Portogruaro (Ve)

Centro Veneto di Psicoanalisi

patmontagner28@gmail.com

 

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