“Gioco e realtà”
di Donald Wood Winnicott

Presentato da Carmela Maria Nicoloso

Autore: Donald Wood Winnicott

Titolo: “Gioco e realtà”

Titolo originale: “Playing and Reality”

Prima Edizione: 1971Tavistock Publications, London 

Editore: Armando Editore

Collana: Classici Armando

Anno di pubblicazione: 2006

Numero pagine: 253

Quarta di copertina:

Questo volume raccoglie alcuni dei saggi più importanti sulla natura del bambino e sul modo in cui egli “fa” e percepisce il mondo. L’Autore si riferisce qui soprattutto al primissimo formarsi della vita immaginativa e dell’esperienza culturale intesa in senso lato. Un approfondimento particolare viene dato alla teoria degli oggetti e dei fenomeni transizionali propri di quella fase dello sviluppo dell’Io durante la quale il bambino costruisce una sorta di ponte tra la propria pura soggettività e la realtà oggettiva. Grande interesse ha poi la parte del libro dedicata alla “sede dell’esperienza culturale” dove Winnicott capovolge alcune idee tradizionali sull’argomento. Infine, oltre all’esposizione delle sue tesi principali sul gioco infantile e all’acuta analisi delle inconsce pulsioni omicide presenti nella fase adolescenziale della vita, Winnicott ci lascia qui un saggio estremamente interessante sul ruolo dello “specchio” che la madre ha nei confronti dello sviluppo infantile.

 

Biografia:

Donald Winnicott nacque il 7 aprile del 1896 a Plymouth, nel Devon, da un’agiata famiglia protestante. Terzogenito fu accudito e coccolato dalle due sorelle maggiori e dalla madre, donna affettuosa ma depressa.  Il padre era un commerciante, molto impegnato anche politicamente. Se da un lato rappresentò un modello per il giovane Winnicott la presenza- assenza del padre fu un comportamento ambivalente che generò diversi vissuti emotivi. Visse gli anni dell’adolescenza in collegio dove si dedicò a svariate attività di studio e agonistiche con notevole accrescimento dal punto di vista intellettuale e sociale. Gli anni trascorsi come studente di medicina furono interrotti dalla guerra, durante la quale lavorò nei college trasformati in ospedali militari.

Nel 1918, a guerra finita, Winnicott si recò al Saint Bartholomew Hospital di Londra per completare la propria formazione medica e nel 1920 si specializzò in medicina infantile. Già nei primi anni del suo lavoro come pediatra, emerse la grande attenzione di Winnicott per la componente psicologica, considerata un fattore primario nella patogenesi di molti disturbi. Ciò lo portò ad arricchire ulteriormente le proprie conoscenze rivolgendo il suo interesse verso la psicoanalisi. Intraprese una prima analisi personale con James Strachey e successivamente svolse una seconda analisi con James Gloves. Verso la fine degli anni ‘30, Winnicott lavorò al Paddington Green Hospital, dove studiò psicoanalisi infantile sotto la supervisione di Melanie Klein. Tra il 1935 e il 1939 lo stesso Winnicott analizzò il figlio della Klein, Eric. Per tale motivo, egli rifiutò l’analisi con Melanie Klein, che lo indirizzò da Joan Riviér, una delle maggiori sostenitrici delle teorie kleiniane e uno dei membri fondatori della British Psychoanalytical Society, di cui Donald Winnicott entrò a far parte nel 1935.

Durante la Seconda Guerra Mondiale Winnicott fu assunto come consulente nell’Oxfordshire, dove erano sorti degli istituti che accoglievano bambini trasferiti dalla città. Fu qui che conobbe la seconda moglie, Clare Britton, un’assistente sociale che incontrava durante le riunioni dello staff. 

Winnicott visse nella sua casa di Hampstead fino al 1949, per poi trasferirsi a Londra, dove morì, nel 1971.

 

Recensione:

In “Gioco e Realtà” D. W. Winnicott sviluppa e arricchisce alcuni concetti già presentati in un articolo del 1951 “Oggetti transizionali e fenomeni transizionali”.

Come pediatra e psicoanalista Winnicott aveva potuto osservare tanti bambini in età diverse e rielaborare numeroso materiale clinico. Fino ad allora l’attenzione degli psicoanalisti, sostiene l’autore, era stata posta sulla “realtà psichica che è personale ed interiore e sul rapporto con la realtà esterna o condivisa”.

Winnicott rimane particolarmente colpito “dalla maniera in cui questa area di concettualizzazione è stata trascurata nella conversazione psicoanalitica”.

Gli “oggetti transizionali” e “fenomeni transizionali” rappresentano quell’area intermedia di esperienza, simile all’area del gioco, tra la stimolazione erogena e il rapporto oggettuale vero: “tra il dito e l’orsacchiotto, tra l’erotismo orale e il vero rapporto oggettuale, tra l’attività creativa primaria e la proiezione di ciò che è stato precedentemente introiettato, tra inconsapevolezza primaria di un debito e il riconoscimento di un debito”. L’area transizionale mostra la “zona di sé” che permette all’adulto di godere delle proprie capacità e di avere la spinta a esplorare il mondo.

Lo sviluppo emozionale del bambino è legato e orientato dall’ambiente, che all’inizio non è vissuto separato da sé e che ha il compito di “Contenere, Manipolare, Presentare l’oggetto”.

È nel separarsi dalla madre percepita oggettivamente come figura ambientale “il separarsi del non me dal me” che inizia la maturazione intesa come integrazione.

Un bambino che è tenuto e manipolato in maniera soddisfacente diventa “capace di usare l’oggetto credendo che questo oggetto sia un oggetto soggettivo” e creato da lui. Da ciò scaturisce lo sviluppo emozionale e mentale del bambino. Il bambino comincia a guardarsi attorno e “forse il bambino al seno non guarda il seno… e probabile che guardi la faccia (Gough 1962).” E “che cosa vede il lattante quando guarda il viso della madre?”

Winnicott afferma che il bambino vede sé stesso nel viso della madre, come in uno specchio: la funzione materna consiste nel restituire al bambino il proprio sé e con l’avanzare dei processi maturativi questi diventa sempre meno dipendente e più capace.

Per l’autore la funzione di specchio della madre è analoga a quella dell’analista il cui compito “non consiste nel fare interpretazioni brillanti ed appropriate …  [ma] ridare al paziente su un ampio arco di tempo ciò che il paziente porta… Mi piace pensare che se faccio il mio lavoro abbastanza bene, il paziente troverà il suo proprio sé e sarà in grado di esistere e di sentirsi reale”.

Quando il bambino non si vede restituito lo sguardo che rivolge alla madre, si guarda e non si vede e sente gradualmente spegnersi la propria capacità creativa.

L’area del gioco si colloca nello spazio di creatività, dove si incontrano gli sguardi della mamma e del bambino. Se la madre è in grado di rimanere in uno stato di “va e viene”, “tra essere quella che il bambino riesce a trovare” ma allo stesso tempo “sa essere sé stessa in attesa di essere trovata” crea un‘aria intermedia di gioco che permette al bambino di vivere l’esperienza del controllo magico, dell’onnipotenza che lo fa sentire congiunto alla madre. Questa esperienza permette al piccolo di stare da solo come se fosse alla presenza di qualcuno, può giocare sapendo che la persona amata è lì disponibile e lo sarà anche quando lui andrà a ricercarla.

Alla stessa maniera “la psicoterapia ha luogo là dove si sovrappongono due aree di gioco, quella del paziente e quella del terapeuta”.

La possibilità di sostare in quest’area di gioco permette all’adulto e al bambino, al terapeuta e al paziente di esplorare aree più libere della propria mente e del mondo.

Questo contributo di Winnicott costituisce un passaggio fondante nella teorizzazione della tecnica del trattamento psicoanalitico infantile e dell’adulto e nella cura delle patologie gravi.

Carmela Maria Nicoloso, Padova

Centro Veneto di Psicoanalisi

nicarma@gmail.com

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