Sezione Locale della Società Psicoanalitica Italiana
di Vlasta Polojaz
Il seguente lavoro è parte dell’introduzione fatta dalla dr.ssa Polojaz al Seminario di Francesco Barale, “Fantasie Figlicide e Passaggi all’atto”. Il convegno, organizzato dal gruppo ARCADIA a Padova, si è svolto presso il Dipartimento di Pediatria dell’Università, il 09.06. 2007.
[…] Occupandosi della pedofilia può così accadere che ci si interroghi anche su temi di vita quotidiana, su che cos’è p.es. un legame affettivo tra genitori e figlio, su che cosa passi – di tenerezza ed eccitazione –in una situazione che è spesso caratterizzata da una grande vicinanza fisica e su che cosa significhi facilitare e rispettare l’esistenza di un individuo ecc. Insomma, la nostra speranza è che stimolando una riflessione sui gravi traumi si riesca ad incominciare ad interrogarsi su quei piccoli traumi, magari cumulativi e magari derivanti da eccessi di affetto, piuttosto frequenti, e che incidono giornalmente sulla vita dei piccoli in crescita. La nostra società sembra essere garantista del benessere dei bambini, ma la realtà è spesso diversa.
Anche l’incontro di oggi riguarda proprio lo stretto collegamento, una specie di intreccio tra mondo esterno – che può essere da una parte un bambino che viene al mondo e dall’altra parte naturalmente qualcuno che diventa genitore– e mondo interno rappresentato invece dal bambino fantasticato e dal genitore fantasticato come anche dalla coppia genitoriale fantasticata e qui le possibilità di identificazione sono infinite.
Le fantasie infanticide sono frequenti e spesso verbalizzate, tipo la mamma che dice al bambino insomma basta, non ne posso più, ma io ti butto dalla finestra ecc. Raramente esse veicolano una grande angoscia, però ricordo due padri che mi hanno chiesto aiuto ed hanno poi anche fatto un trattamento psicoanalitico proprio perché l’angoscia era tale da limitare la loro vita, nel senso che avevano strutturato dei rituali per arginare quella che loro sentivano come un’aggressività che poteva sfuggire al controllo e diventare distruzione.
Ma non voglio soffermarmi su questi aspetti, quanto piuttosto dire qualcosa della realtà esterna.
Utilizzerò per questo una ricerca che mi è stata gentilmente messa a disposizione dalla Prof. Paola Facchin che lavora qui e dirige anche l’Osservatorio Epidemiologico Regionale e che ringrazio sentitamente come anche la sua collaboratrice, la Dr.ssa Anna Ferrante. In questa ricerca viene fatta una stima dell’incidenza degli abbandoni precoci e dei non riconoscimenti alla nascita nella regione Veneto negli anni 1991-1997.
Questi fenomeni sono in continuo aumento e sono strettamente legati ad altri, quali l’infanticidio, l’abuso, il maltrattamento e le violenze.
Le stime sull’abuso in Italia parlano di un’incidenza di 0.8 caso su 1000 bambini all’anno, mentre i dati sull’infanticidio non possono essere tenuti in considerazione perché riferibili alla punta dell’iceberg del fenomeno. Difatti la ricerca sottolinea che “L’abbandono di un neonato da cui possa derivare morte, e così pure l’omissione dolosa di cure atte a mantenerlo in vita sono considerati alla stregua dell’infanticidio.”
Nel 90% dei casi i colpevoli sono i genitori, di questi il 10% è minorenne e il 90% ha meno di 25 anni. Il 60% non è sposato. La madre è responsabile di quasi tutti i neonaticidi, il padre degli infanticidi, soprattutto in età più avanzata.
Meno del 30% degli accusati soffre di malattia psichica. Spesso i tribunali tendono a riconoscere alle madri un’infermità mentale, e quindi la non imputabilità, “motivando con l’insorgenza di disturbi dell’umore legati alla gravidanza l’assoluzione e l’affido ad idonee strutture psichiatriche. I padri, invece, vengono giudicati sani e colpevoli.” E gli Autori sottolineano che questa modalità di procedere è dovuta alla generale tendenza nella nostra società di attribuire alle madri “un intrinseco amore per i propri nati, a meno di patologia psichiatrica.”
Per quanto riguarda le vittime, esse appartengono soprattutto al primo semestre di vita, ma gran parte delle morti avviene alla nascita. Più frequenti sono le uccisioni per soffocamento (con un cuscino), seguono le morti per strangolamento, annegamento, le ferite con corpi contundenti e l’abbandono in luoghi esposti, in modo da assicurare al bambino una bella caduta oppure una polmonite.
Dalle colleghe ho avuto anche l’incidenza dei morti nel primo anno di vita nel Veneto negli ultimi dieci anni, raggruppati in accidenti da traffico, cadute accidentali e omicidi. Fortunatamente alcuni anni sono passati senza problemi, nel 1998 c’è stato invece un omicidio e due cadute accidentali. Ma sono rimasta colpita dal fatto che nel 2006 ci siano stati ben due omicidi che avevo completamente dimenticato e solo con grande sforzo sono riuscita a ricuperare nella mia memoria uno, rendendomi anche conto di quale subbuglio emotivo m’aveva e mi stava suscitando.
Vi propongo ora un tuffo nel passato e cioè nel 1899, l’anno in cui fu pubblicato il libro sull’interpretazione dei sogni, che pone le basi della psicoanalisi grazie all’autoanalisi di Freud ed alla scoperta ubiquitaria della situazione edipica. Come è noto, con l’Edipo si parla delle fantasie che il bambino ha di sopprimere un genitore per prenderne il posto presso l’altro, ma anche delle difese che attiva contro tali desideri. L’ipotesi di Freud non fu facilmente accettata, come sappiamo. Bisogna però anche ricordare che Edipo fu da bambino destinato dai genitori a morte, per cui allontanato ecc. Freud quindi parlando di questo mito ha anche richiamato la nostra attenzione su quello che è una lotta tra generazioni, che può diventare a volte una guerra per la sopravvivenza.
Larry Wolff è uno storico americano che ha scritto un libro originale, nel quale tenta di delineare il contesto economico e socio-culturale di quegli anni. Il titolo del libro è Child abuse in Freud’s Vienna. Wolff si sofferma in modo dettagliato su alcuni fatti drammatici avvenuti nell’autunno 1899 che hanno scosso l’opinione pubblica. Vi elenco quelli principali.
Una madre nubile (Hedwig Keplinger) uccide con un colpo di pistola la sua figlioletta illegittima di sei anni (Olga)e poi si spara in un bosco nei dintorni di Vienna. Questo è un fatto tragico ma comprensibile, poiché avviene dopo che la giovane donna ha avuto l’ennesima delusione. Un probabile marito ha rifiutato il matrimonio avendo scoperto che la donna aveva già una figlia. Di storie simili ne accadevano e l’Autore cita diversi esempi presi dal Die Neue Freie Presse, anche se gli altri suicidi od omicidi non hanno una tale attenzione da parte della stampa poiché sono situazioni di grande degrado sociale. In questo caso invece la donna lavorava come domestica in famiglie dell’alta borghesia, era quindi avvezza a certi ambienti, anche se non ne faceva parte a pieno titolo, quindi la sua tragedia poteva suscitare curiosità tra i lettori del quotidiano viennese.
Il secondo evento tragico, del quale i viennesi seguono il processo, riguarda due genitori (i Hummel), che uccidono dopo sevizie varie la figlia di cinque anni, nata illegittima e posta a balia in campagna per qualche anno. Sposatisi, decidono di prenderla a vivere con loro e nasce anche un altro figlio. Da subito la bambina diventa oggetto di sevizie, perché è “cattiva”, affermano, tanto che vengono accusati dalla sorella del padre e richiamati dal tribunale. Ma la madre dichiara alla cognata in modo determinato che loro non vogliono la bambina, la quale infine muore per setticemia, in quanto piena di ematomi e ferite suppurate. E’ interessante che i vicini sapevano delle sevizie ed avevano anche tentato di salvare la bambina, proponendo di adottarla, ma essendo i genitori contrari, non hanno potuto fare nulla, tranne che testimoniare dopo al processo, perché in quel periodo i genitori avevano una patria potestà assoluta sui figli.
Due settimane dopo questo processo, si svolge a Vienna un altro contro un’altra coppia (Kutschera), dove la colpevole principale è la matrigna, rea di avere mutilato e torturato i sette figli del marito e provocato la morte di una figlia dodicenne, già debole di salute. Questa è una famiglia che appartiene alla piccola borghesia, poiché il padre è funzionario delle poste. La matrigna sa bene come presentarsi nel corso del processo e riesce quasi a dare tutta la colpa alla madre dei bambini, però alla fine viene riconosciuta colpevole, anche se non all’unanimità, e condannata a morte.
In questo caso l’impatto sul pubblico è ancora maggiore che nel caso precedente perché l’ambiente non è miserevole. La società dell’epoca ne è colpita, ma proprio per questo preferisce dimenticare velocemente. Già il pubblico ministero si augura che si tratti solo di “un misterioso accidente” e non il sintomo di una improvvisa brutalizzazione della società. In fondo è impensabile congetturare una tale atrocità da parte dei genitori e bisogna aspettare fino al 1962, quando con grande scalpore verrà descritta da Kempe ed altri collaboratori –alcuni radiologi- la Sindrome del bambino battuto sul JAMA. A quel punto è ormai assodato che alcuni genitori possono anche danneggiare fisicamente i propri figli.
L’ultimo processo descritto nel libro riguarda una madre che afferma di avere annegato la sua bambina di un anno –trovata viva sulla riva del Danubio- ed il figlio di cinque anni, visto con lei qualche giorno dopo il supposto omicidio. Disperata perché in attesa di un altro bambino illegittimo, non ritratta al processo quanto aveva detto anche se gli indizi sono a favore della sopravvivenza dei due figli. Viene quindi riconosciuta colpevole dell’intento di omicidio nei confronti dei propri figli e condannata al minimo della pena. In questo caso curioso sembra esserci proprio uno slittamento dalla fantasia alla realtà, dove la prima, in quanto realizzazione di un desiderio, diventa realtà fantastica.
Wolff afferma che Freud, come tutti, era figlio del suo tempo (l’autore parla di a child of his times) e che quindi egli doveva essere per forza a conoscenza dei processi che si svolgevano in quell’anno e che erano così affini ai temi ed ai concetti che egli andava sviluppando. Sarebbero stati quindi proprio i processi penali presentati nel libro a fornirgli lo stimolo ad andare avanti per affrontare nuovi orizzonti e per comprendere sempre di più la normalità studiando la patologia.
A questo proposito ricordo quanto scrive Freud in Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci: “…nessuno sia così grande da doversi vergognare di sottostare alle leggi che regolano con eguale rigore il fare normale e quello patologico.”
A proposito dello Zeitgeist, lo spirito del tempo, che è a mio avviso importante tenere presente perché serve anche a farci ridimensionare, ricordo che Arnaldo Rascovsky pubblicò il suo importante libro sul Il figlicidio nel 1973 in Argentina e che era allora presidente di FILIUM (Associazione interdisciplinare per lo studio e la prevenzione del figlicidio). Se pensiamo che tre anni dopo avvenne la “guerra sporca” che portò in 7 anni alla sparizione di 30 mila persone, ma soprattutto causò la sparizione dell’identità di tanti bambini, figli dei desaparecidos, che vennero presi come propri da coloro che erano stati carnefici o complici di questi, possiamo concludere che era in effetti essenziale studiare come prevenire allora il figlicidio. Ma noi fortunatamente stiamo vivendo in tempi diversi, almeno così si spera e la speranza è dura a morire!
Bibliografia:
Wolff Larry, 1995, “Child Abuse in Freud’s Vienna. Postacards form the End of the world”, NYU Press
Rascovsky Arnaldo, 1978, “Il Figligicio”, Astrolabio Ed.
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