Sezione Locale della Società Psicoanalitica Italiana
di Manuela Fraire
(Roma) Membro Ordinario con Funzioni di Training della Società Psicoanalitica Italiana, Centro Psicoanalitico di Roma. Seconda Sezione Romana dell’Istituto Nazionale di Training della S.P.I.
“Un’analisi non ha vera efficacia se non fa vacillare i punti di riferimento,
se non modifica il regime del pensiero e,
osiamolo dire, l’essere dell’analista.”
Pontalis, 1992,73)
Con l’introduzione dell’Es, afferma Laplanche, l’inconscio è più vicino ad una forza vitale e più distante dagli oggetti familiari che sotto forma di rappresentazioni popolano l’inconscio rimosso rendendolo più estraneo all’universo umano.” (198, IV, problematiche)
La lettura di Laplanche del testo freudiano ha fatto da bussola all’insegnamento dell’Io e l’Es.
La lettura che ne ha fatto Laplanche è servita a renderlo più intellegibile soprattutto a me stessa e a renderlo meno astratto – quando non astruso – per gli allievi.
Del resto non ho nascosto che a mio modo di vedere l’Es, pur aperto nelle sue diverse pieghe dalla lettura che ne fa Laplanche, rimane una congettura della psicoanalisi- – che pur sempre lavora per congetture – che ha la caratteristica, a differenza dall’inconscio rimosso, di mettere in seria difficoltà il metodo analitico stesso, poiché il suo statuto speciale gli concede un’esistenza extralinguistica.
Il suo emergere senza passare attraverso la rappresentazione, fosse anche solo quella di cosa, vuol dire che segue vie altre dal biologico e dal sintomatico.
Alcuni interrogativi:
Mi sono chiesta se è parente stretto dell’originario di Piera Aulagnier, lo sfondo che sta all’origine della rappresentazione e mai in essa interamente assorbito. ma che non viene mai da queste esaurito.
Resta ai margini di ogni discorso il mistero del sintomo che chiamiamo angoscia che nella sua assolutezza e pervasività – quale che sia la costruzione delle cause che après coup paziente e analista ne daranno – mette di fronte a momenti in cui l’Io è sopraffatto dal senza nome della sua causa, un lampo che accieca e mette in stand-by l’Io.
Non credo tuttavia che l’angoscia sia l’unica forma di emergenza dell’Es al contrario intendo dire che anche l’angoscia è un ponte gettato tra Io e Es nel momento in cui nella situazione analitica un affetto si tramuta in una energia non specifica. In questo senso l’Es è frutto di una congettura necessaria perché la situazione analitica non sia ostaggio di una ripetizione che mette in scacco la regola che la rende possibile.
Un esempio di ciò l’ho ravvisato – in un lavoro pubblicato tempo addietro – in un episodio accaduto nel corso di una seduta nella quale la forza destruente che stava slegando tra loro transfert e controtransfert ha attivato una “energia specifica” sia dell’analista che della paziente.
Riporto di seguito la descrizione dell’accaduto.
Lunedi, ore 20,35. L’analista si alza in piedi come è solita fare ad indicare che la seduta è terminata. La paziente da distesa si solleva a sua volta come se si trattasse della consueta conclusione. Nel tornare verso lo studio l’analista guarda con un gesto automatico l’ora e si rende conto che ha concluso la seduta 15 minuti prima dei soliti 45.
Qualche cenno sulla paziente:
È una donna di circa 30 anni la cui famiglia d’origine è una costante presenza malgrado la distanza geografica. La lunga analisi è stata caratterizzata dalla sequenza successo/disfatta che si ripete inesorabilmente anche dopo momenti di innegabile soddisfazione.
Sul versante dell’analista l’effetto della funzione destruente in atto nel transfert ha preso la via talvolta della noia talaltra della irritazione fino a divenire un senso di un proprio fallimento simmetrico a quello manifestato dalla paziente.
La costante ripetizione di questo pattern è giunta ad un punto in cui si è attivata una energia che ha preso una via altra orientata – malgrado le apparenze – a sottrarre la relazione all’attrazione di thanatos.
In uno dei racconti delle “Mille e una notte” Sindbad il marinaio narra dell’incontro che in uno dei viaggi la nave su cui sono lui e i suoi compagni avvista la montagna calamita famosa per via che attira ogni parte metallica delle imbarcazioni che vi si accostano troppo riducendole a un ammasso di legni che vanno alla deriva. Il naufragio si concretizza dunque nello “slegame” operato dalla potente forza d’attrazione che la montagna/calamita esercitata sui “giunti” che tengono insieme e danno forma all’imbarcazione.
Dalla congiuntura nella quale ci siamo trovate ad un certo punto la paziente ed io siamo uscite attraverso un allontanamento che ad un primo sguardo può essere letto come un abbandono della nave, intendendo con essa il setting che aveva garantito il lavoro analitico sin lì.
A conti fatti l’interruzione della seduta ha ostacolato l’azione del negativo che caratterizza: “i pazienti che preferiscono la sofferenza alla guarigione al punto di reiterare ostinatamente esperienze dolorose e fallimenti e che non hanno che uno scopo: far fallire l’analisi, l’analista e loro stessi? Distruggere e distruggersi, sembrano dire. Più che la guerra, forse più che il cancro, sono loro che hanno inventato la pulsione di morte” (Pontalis, Un jour, le crime, 2011, 72).
Winnicott a proposito dell’odio nel controtransfert – di cui l’episodio narrato potrebbe essere espressione – sottolinea come la sequenza transfert-controtransfert non sia sufficiente a dare conto della necessità che nel corso di una analisi pone l’analista nella condizione di dover sopravvivere.
“Uno dei compiti principali dell’analista…è di mantenersi oggettivo verso tutto quello che il paziente porta; e il bisogno dell’analista di poter odiare il paziente paziente oggettivamente ne è un caso particolare” (Winnicott, 1975, 236).
La sopravvivenza, aggiungo, del legame che in alcuni casi può avere necessità di essere testimoniata dai corpi. Certo corpi attraversati dal linguaggio e tuttavia mai completamente conquistati ad esso poiché sotto il potente influsso non dell’Io cosciente ma di un’altra “risorsa” che viene dal luogo impensabile che definiamo Es se non è concepito solo come “luogo” nel quale circola liberamente e senza ostacoli la pulsione di morte.
In conclusione, ciò che mi ha sempre tenuta a distanza dal modo di intendere l’Es di molta parte della psicoanalisi, è che sia intimamente legato alla “pulsione di morte”, alla distruttività, all’attacco al legame.
Personalmente risuono con quanto Piera Aulagnier scrive a proposito della pulsione di morte:
“Ci si può chiedere se le considerazioni ‘filosofiche’ di Freud riguardo la pulsione di morte, o la nostra ipotesi di un movimento verso il prima del desiderio o di un desisiderio di non-desiderio non siano dei fantasmi. Ma questi fantasmi resi intelligibili per l’Io e dall’Io, dove potrebbero trovare la loro fonte se non nell’esistenza di una forza che il soggetto può rendere intelligibile soltanto denominandola pulsione di morte? […] ma quando questo stesso io accetta il rischio di voler conoscere ciò che non è Io, è obbligato a vedere l’inaccettabile e riconoscere l’impatto di un desiderio che gli è eterogeneo e che addomesticherà trasformandolo in un concetto teorico […]. Se la ‘pulsione di morte’ è un ‘fantasma’ di Freud, come ogni fantasma è realizzazione di un desiderio inconscio ch’egli non fa altro che mettere in senso per dargli accesso nel campo dell’Io” (Aulagnier, La violenza dell’interpretazione,1994, 82).
Bibliografia
Aulagnier P. (1975). La violenza dell’interpretazione. Roma, Borla, 1994.
Laplanche J. (1981). Problematiche 4. L’inconscio e l’Es. Bari-Roma, La Biblioteca, 2000.
Pontalis J.B. (2011). Un jour, le crime, Paris, Gallimard. Ed. it. Un giorno, il crimine, Roma, Borla, 2012.
Winnicott D.W. (1958). Dalla pediatria alla psicoanalisi. Firenze, Martinelli, 1975.
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