Sezione Locale della Società Psicoanalitica Italiana
Presentazione di Patrizia Montagner
Dal 2000 la Comunità Internazionale celebra la giornata mondiale del migrante per ricordare il giorno – 18 dicembre 1990 – in cui le Nazioni Unite adottano la Convenzione internazionale sui diritti di tutti i migranti e le loro famiglie.
La Convenzione è un accordo per la tutela dei Migranti e in particolare di coloro che si spostano dai loro Paesi di origine per lavoro, per cercare un luogo, lontano da guerra, miseria, violenza, in cui soddisfare il desiderio di vivere in una condizione di benessere, come ciascuno di noi desidera.
Nel documento il legislatore sottolinea il contributo che i migranti forniscono in modo significativo alla prosperità, all’innovazione e allo sviluppo sostenibile nei paesi di origine, transito e accoglienza.
Come recita il testo da parte di chi lo ha voluto“D’altro canto si ritiene che debba essere attentamente considerato la situazione di vulnerabilità in cui frequentemente si trovano i lavoratori migranti e i membri delle loro famiglie a causa, tra l’altro, della loro assenza dallo stato di origine e delle difficoltà che possono incontrare per la loro presenza nello stato di arrivo. Convinti che i diritti dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie non siano stati sufficientemente riconosciuti ovunque e quindi richiedano una protezione internazionale appropriata, tenendo conto del fatto che l’emigrazione è spesso causa di seri problemi per i membri delle famiglie dei lavoratori migranti oltre che per i lavoratori stessi, in particolare a causa della dispersione della famiglia,”
L’esperienza di lavoro di noi psicoanalisti con i migranti ha messo in luce il rischio psichico, talvolta gravissimo, che la condizione di migrante porta con sé, sia per i traumi che lo spostamento implica, sia per la successiva difficoltà nell’accoglienza e nell’inserimento.
Il nostro Paese, come altri in Europa e nel mondo, si trova ad incontrarsi, spesso forzatamente e senza adeguati strumenti sociali, giuridici e legislativi, con persone che hanno subito violenze, soprusi e maltrattamenti inauditi, che arrivano qui avendo perso la fiducia nell’Umano. La qualità dell’accoglienza che viene loro data talvolta non soltanto non aiuta a lenire le ferite fisiche e psichiche , ma causa altri traumi e altra sofferenza.
Tutto questo avrà certamente delle conseguenze importanti sia su chi la subisce direttamente, che sulle seconde generazioni, e inevitabilmente anche su di noi che viviamo e lavoriamo in uno spazio condiviso con queste atrocità.
Nell’articolo che segue Gianfranco Schiavone illustra la situazione attuale del diritto di asilo in Europa mettendo l’accento sulle aree problematiche e sottolineando i rischi per il diritto umano e per l’umanità stessa del migrante che essa implica .
di Gianfranco Schiavone
[Presidente del Consorzio Italiano di Solidarietà, ex vice presidente dell’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione. È autore di numerosi studi in materia di immigrazione e diritto d’asilo.]
Cosa accadrà al sistema europeo di asilo a seguito della riforma che si è conclusa nel maggio 2024 e che ha portato all’adozione di ben nove Regolamenti (alcuni non revisione di testi esistenti, ma del tutto nuovi) e alla rifusione della Direttiva Accoglienza? La Commissione Europea usando un linguaggio molto retorico nelle sue dichiarazioni ufficiali sostiene che la riforma costituisce, “ una svolta storica. Fornisce all’UE il quadro giuridico e gli strumenti per rendere ancora più efficace la gestione delle sue frontiere esterne e istituire procedure rapide ed efficienti per l’asilo e il rimpatrio, disponendo nel contempo garanzie solide. Mette in atto un sistema equo ed efficace di solidarietà e responsabilità per consentire una gestione collettiva della migrazione, nel contesto della quale nessuno Stato membro sia lasciato solo sotto pressione». Molte ragioni mi inducono a ritenere che la realtà sarà molto diversa e preoccupante in quanto sarà segnata da un forte regressione del diritto d’asilo in Europa.
Le finalità della riforma del sistema asilo europeo sono ben definite e consistono nell’attuare una straordinaria compressione delle garanzie procedurali e dei diritti dei richiedenti asilo attraverso l’utilizzo di una procedura accelerata di frontiera da applicare al maggior numero possibile di domande di asilo. Secondo il Regolamento (UE) 1348/2024 (nuovo Reg. procedure) «la procedura di asilo e di rimpatrio alla frontiera dovrebbe servire a valutare rapidamente in linea di principio, alla frontiera esterna, se la domanda è infondata o inammissibile, così da poter rimpatriare prontamente le persone che non hanno diritto di soggiornare, nel pieno rispetto del principio di non respingimento» (considerando 58). Leggendo questa definizione si è indotti a pensare che la procedura accelerata di frontiera sia destinata, come dovrebbe essere, alla gestione di casi molto limitati. Ma non è così; le fattispecie che ne legittimano l’applicazione sono infatti le più disparate; alcune fanno riferimento a profili di merito della domanda di asilo (domande che si ritengono palesemente infondate); altre riguardano condotte attribuite all’individuo (elusione dei controlli, tardività nella presentazione della domanda et); infine si prevede un’applicazione basata su cieco automatismo connesso alla sola provenienza del richiedente da un Paese di origine sicuro o da un paese per il quale la percentuale di riconoscimenti di protezione nella media UE sia pari o inferiore al 20%. Le conseguenze della procedura accelerata sono molto rilevanti per le persone che chiedono asilo: 1) esse non hanno diritto di accedere al territorio dello Stato, salvo venga superato il termine di dodici settimane e la loro domanda di asilo non sia stata ancora esaminata; 2) sono tenute a rimanere in strutture ubicate alla frontiera esterna o in prossimità della stessa ovvero in una zona di transito, o in altri luoghi, con misure più o stringenti di trattenimento; 3) è prevista una procedura di valutazione della stessa ammissibilità della domanda di asilo (ad esempio nel caso la persona abbia un qualche legame con un paese terzo, diverso dal suo, che sia considerato sicuro; nel qual caso la domanda è dichiarata inammissibile e neppure viene esaminata nel merito; 4) il diritto ad un ricorso effettivo è fortemente indebolito, sia per la mancanza di un effetto sospensivo automatico del ricorso stesso, sia per ciò che attiene i termini per l’impugnazione, che possono essere ridotti a un tempo così incredibilmente breve (fino a 5 giorni ) da far sorgere fondati dubbi sulla compatibilità di tali disposizioni con la stessa nozione di diritto ad un ricorso effettivo; 5) non essendo stati autorizzati a soggiornare nel territorio degli Stati membri in ragione della applicazione dellacosiddetta finzione giuridica di non ingresso, in caso di rigetto definitivo della domanda di asilo, i
richiedenti asilo non vengono espulsi, bensì vengono respinti alla frontiera; lo scopo di ciò che potrebbe sembrare un mero gioco linguistico è quella di eludere le già scarne garanzie che la Direttiva 2018/115/CE sui rimpatri assicura solo a coloro che sono espulsi dal territorio degli Stati UE e non a coloro che vengono respinti alle frontiere. La finalità stessa della norma appare, guardandola nel suo complesso, quella di operare una totale inversione della logica giuridica: far diventare una procedura accelerata alla frontiera che dovrebbe essere limitata a casi particolari in ragione delle sue ridotte garanzie, la procedura ordinaria de facto, e far diventare la procedura ordinaria una previsione del tutto residuale, in modo da ottenere una compressione generale dei diritti di coloro che chiedono asilo.
In questa compressione delle garanzie saranno i soggetti più fragili come coloro che hanno subito violenze estreme e torture a pagare il prezzo più alto. Pensiamo ad esempio all’applicazione della procedura accelerata in caso la domanda di asilo appaia ad una prima analisi incoerente e contraddittoria; chiunque abbia esperienza nella relazione con i richiedenti asilo, sa infatti che i concetti che vengono usati con disinvoltura dal nuovo testo normativo sono scivolosissimi e che il margine di errore nell’utilizzarli è enorme; una dichiarazione può apparire incoerente e contraddittoria oppure no a seconda del contesto in cui viene resa, della presenza (e qualità) di un servizio di interpretariato e della presenza di condizionamenti esterni. Le verbalizzazioni delle domande di asilo vengono purtroppo abitualmente prese in contesti del tutto inidonei (stazioni di polizia, luoghi di sbarco dove vige una situazione di assoluta promiscuità, luoghi di detenzione et.) nei quali colui che è stato vittima di pregresse torture e trattamenti inumani e degradanti subisce una ri-traumatizzazione che ostacola il formarsi di una narrazione coerente e non contraddittoria.
L’applicazione della procedura accelerata di frontiera si accompagna strettamente all’estensione delle ipotesi nelle quali è possibile applicare delle forme più o meno stringenti di limitazione della libertà dei richiedenti asilo. Sul piano teorico viene confermato il principio fondamentale in base al quale «gli Stati membri non trattengono una persona per il solo fatto di essere un richiedente o sulla base della sua nazionalità» (art. 10 par. 1), e si mantiene l’obbligo di prevedere nella propria legislazione degli Stati membri le alternative alle misure di trattenimento. La nuova Direttiva Accoglienza definisce trattenimento «il confinamento del richiedente, da parte di uno Stato membro, in un luogo determinato, che lo priva della libertà di circolazione» (art. 2 punto 9), precisando che tale scelta può essere applicata ai «richiedenti soltanto nelle circostanze eccezionali definite molto chiaramente nella presente direttiva e in base ai principi di necessità e proporzionalità per quanto riguarda sia le modalità che le finalità di tale trattenimento» (considerando n. 26). Inoltre la stessa Direttiva (art. 10 par. 4) non impone alcun obbligo agli Stati di applicare delle misure di trattenimento, neppure durante le procedure accelerate di frontiera.
Questa impostazione generale a tutela della libertà dello straniero che chiede asilo appare tuttavia contrastare con la scelta di applicare la procedura di frontiera in una serie di ipotesi talmente ampia da divenire la normalità, come prima ho avuto modo di evidenziare. Come può infatti conciliarsi il principio che prevede la limitazione della libertà in casi eccezionali con l’applicazione della procedura di frontiera (e il trattenimento nelle more dell’esame della domanda) a decine di migliaia di casi? Al di là dei tecnicismi giuridici va colto come siano in gioco questioni di fondo che riguardano la libertà delle persone e dunque la qualità reale di una democrazia. L’evidente ambiguità delle norme di cui stiamo trattando probabilmente non è frutto di un’imperizia tecnica bensì rappresenta un tentativo di forzare il sistema giuridico riducendo la rilevanza di principi fondamentali senza cassarli apertamente (operazione che sarebbe troppo evidente, e dunque non possibile). Va ricordato come l’articolo 31 della Convenzione di Ginevra proibisce agli Stati di applicare sanzioni agli stranieri che giungono “irregolarmente” nel loro territorio allo scopo di chiedere asilo se tale richiesta è presentata senza indugio. La Convenzione europea dei diritti dell’uomo autorizza la temporanea detenzione di una persona «per impedirle di entrare illegalmente nel territorio, oppure di una persona contro la quale è in corso un procedimento d’espulsione o d’estradizione» (CEDU, art. 5, par. 1 lettera f), ma chi presenta una domanda di asilo senza indugio in base alle circostanze in cui si trova, alla frontiera o sul territorio, e, a maggior ragione, chi ha fatto ingresso a seguito di operazioni di soccorso in mare, non può essere equiparato a colui che tenta di entrare/è entrato illegalmente nel territorio di uno Stato senza averne titolo. Pertanto non dovrebbe essere possibile applicare in modo estensivo le procedure di frontiera e le connesse misure di limitazione della libertà a persone che hanno la “colpa” di essere arrivati nel territorio dello Stato in cui chiedono asilo nel solo modo che avevano a disposizione nelle circostanze date. La recente riforma del sistema asilo europeo, in instabile equilibrio tra libertà e detenzione dei richiedenti asilo, potrebbe dunque non essere solo una pessima scelta politica basata sulla paura e sulla chiusura bensì potrebbe avere tra i suoi inaccettabili fini quello di volere introdurre delle limitazioni della libertà basate non sulle azioni connotate da un disvalore sociale poste in essere dalla persona, bensì sul solo status giuridico della persona stessa. Ciò richiama i tempi più bui della storia europea del ‘900.
Quanto sopra permette di meglio comprendere quale sia stato l’obiettivo che il Governo italiano ha cercato di ottenere con il protocollo d’intesa tra Italia e Albania per la gestione dei flussi migratori.
Il programma previsto dal Governo italiano si colloca in una dimensione più estrema rispetto alla riforma del sistema asilo europeo e probabilmente non sarà mai realizzabile ed è al momento del tutto fermo dopo che la magistratura, senza alcuna finalità politica, bensì solo rispettando le normative UE, ha ritenuto non legittime le scelte effettuate dalle autorità italiane (mentre scrivo sono pendenti numerosi ricorsi dei tribunali italiani alla Corte di Giustizia dell’UE).
Evitando in questa breve riflessione di addentrarci in lunghe disquisizioni tecnico-giuridiche sui molteplici profili di illegittimità dell’accordo Italia-Albania ciò che va colto di quell’accordo è l’obiettivo che lo anima che è quello di creare dei “campi di confinamento/internamento solo per migranti. La creazione quindi di un “altrove” dove le regole sono, sulla carta, le stesse di quelle previste nel territorio italiano, ma nella realtà sono del tutto sterilizzate. Oggi per i migranti, domani forse per altri. Emerge in questa cupa sperimentazione la volontà di riproporre la logica delle istituzioni totali che ritenevamo, a torto, di esserci lasciata per sempre alle nostre spalle.
Gianfranco Schiavone
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