Cento anni da Psicologia delle masse e analisi dell’Io.
Letture notturne e letture diurne

di Roberta Guarnieri

 [1] Il sottotitolo, alquanto allusivo, si riferisce ad una mia, personalissima, suddivisione tra ciò che leggo durante il giorno, e ciò che leggo nel silenzio della notte. Freud, Adorno, L. Khan, O. Jouanian sono letture del giorno, Kafka, Kertezs sono letture obbligatoriamente per me notturne… Walter Benjamin, lui, il “pescatore di perle”, trasforma in notte il giorno e in giorno la notte e da questa trasformazione non si esce mai indenni.

Premessa

Essere in grado di attraversare, ritornando a pensare la notte tragica che solo pochi decenni fa ha travolto l’Europa, è una sorta di necessità e dovere che ho sentito in prima persona da tantissimo tempo; tante sono state le figure che mi hanno accompagnato. Tante presenze che hanno cambiato il mio modo di concepire gli accadimenti storici e ciò che sta in un rapporto con la storia che solo il pensiero di Walter Benjamin mi ha permesso di avvicinare. Riservo alla notte, al suo silenzio, la lettura di alcuni testi che mai oserei prendere in mano alla luce del giorno.  Di giorno per me la ‘vita activa’, mi sollecita al pensiero critico e all’azione.

 

Come psicoanalista il mio interesse è per un pensiero psicoanalitico ‘radicale’ che sia in grado di imboccare strade scomode e critiche rispetto a ciò che può apparire come psicoanaliticamente ‘corretto’.

Una radicalità che è propria di Freud e del freudismo: portare le scoperte della “nostra scienza” alle loro “estreme conseguenze” (Freud, Lettera a F. van Eeden, 28 dicembre 1914, citata da C. Musatti in Avvertenza editoriale, Considerazioni attuali sulla guerra e sulla morte, OSF vol. 8, p.121).

 

Il contributo di Laurence Khan rientra a mio avviso in questa prospettiva, radicale e critica, e ciò dà conto della decisione, di tradurre il suo ultimo libro “Quello che il nazismo ha fatto alla psicoanalisi” (Paris, PUF, 2018).

 

Il mio contributo sarà anche in parte un commento ad alcuni capitoli del libro nei quali il riferimento a PMAI è in primo piano.  Ciò peraltro avviene già nelle pagine del primo capitolo, “La legge al di fuori della legge”.

 

La grande disillusione

 

La psicoanalisi si inscrive in una posizione del tutto particolare nel dibattito sui fenomeni di massa del secolo ventesimo, sulla Shoa e sui totalitarismi.

 

Essa è stata oggetto della distruttività del regime nazional-socialista appena asceso al potere: la riflessione di Laurence Kahn, che ha riattraversato i dibattiti e gli scontri all’interno dell’IPA della fine degli anni venti fino al ’33 e ha preso in conto il contenuto ideologico di Mein Kampf , è arrivata ad affermare che per Hitler il nemico fosse proprio il professore di Vienna, il “grande disillusionista”, colui che aveva i mezzi per combattere le lusinghe delle illusioni  imbastite dai nazisti, e dai fascisti in Italia e altrove,  facendo forza sui meccanismi identificatori e sulla posizione dell’ideale dell’Io.

I fenomeni di massa dei regimi totalitari, del nazismo e del fascismo, sono in gran parte conoscibili nei loro meccanismi psichici, a livello individuale e collettivo, proprio grazie al contributo psicoanalitico.

 

La dinamica pulsionale in gioco, la presa in contro delle pulsioni di morte e di vita e la presenza delle cd pulsioni inibite nella meta, il peso del narcisismo, la centralità dell’istanza Ideale dell’Io, il legame inscindibile tra ‘psicologia’ individuale e ‘psicologia collettiva’, … sono i punti di rèpere psicoanalitici per potersi addentrare in un terreno, storicamente determinato, nel quale essi hanno trovato una specifica ed inedita composizione.

Questi fenomeni di massa, lo sappiamo, hanno potuto affermarsi sulla base di uno stravolgimento della base giuridica, del contratto, che lega tra di loro gli individui, i cittadini, in Germania ad esempio ed anche in Austria, di una Repubblica retta da una Costituzione (Kelsen, giurista legato ai gruppi politici socialisti e liberali in Austria, artefice del testo della Costituzione austriaca, partecipò per alcuni mesi alle riunioni del Mercoledi a casa Freud – ringrazio Riccardo Galiani  per questa segnalazione).

 

Gli eventi mortiferi e catastrofici  del regime nazista e del fascismo italiano e dei regimi collaborazionisti negli altri paesi europei, in primis la Francia – hanno mostrato ciò che Freud aveva lucidamente visto già negli anni venti: in quel decennio in cui tutto in Europa – devastata dalla Prima Guerra –  era in discussione, a livello politico, sociale, culturale, lo sguardo critico e disilluso dello psicoanalista Freud – perché l’uomo invece aveva mantenuto a lungo una certa dose di fiducia che poi dovette ridimensionarsi, ci interroga: è testimonianza di questo cambiamento a livello personale il passaggio tra i due testi, Considerazioni attuali sulla guerra e sulla morte (1915) e Perché la guerra? (1933). Egli fu condotto ad un ripensamento ‘eretico’ ai suoi stessi occhi, ma necessario, per poter includere nell’impianto teorico psicoanalitico la violenza estrema, la distruttività e i fenomeni di massa.

Il terzo capitolo del libro di L. Kahn ha per titolo significativamente, “L’eresia freudiana”.  Ne cito un estratto particolarmente pertinente attorno alle questioni più sopra affrontate.

“Certamente Freud non sta scoprendo per la prima volta quanto gli ideali mobili posti in primo piano nella coscienza possono catturare la distruttività sotto la maschera del guadagno narcisistico procurato dall’immersione nella massa. L’etica, si può dire, attraversa il punto più debole di ogni civiltà; qualunque strada scelga, la distruttività, tratto inalterabile della natura umana, la seguirà sempre [1]. Ma, al momento del suo scambio con Einstein, e di fronte alla questione di quale forza può ancora essere messa al servizio del diritto, egli spinge il più lontano possibile le conseguenze dell’introiezione della distruttività e del suo rovesciamento contro l’io come “coscienza morale”. In questo modo, sembra prendere letteralmente la “natura” della razza promulgata dai nazisti al contrario, rispondendo: qualunque siano i capricci della storia, “accanto” alle pretese soddisfazioni, nonostante gli odi proclamati, al di là delle illusorie promesse intrattenute dal “nuovo ordine” – siamo nel 1933, Freud indica solo i bolscevichi – rimarrà sempre il naturale programma dell’umano che continua a lavorare in silenzio sul campo di battaglia delle pulsioni , dove pulsioni  di vita e pulsioni  di morte si confrontano, all’incrocio tra la vita e la sopravvivenza. Inoltre, per il fatto stesso del conflitto pulsionale che esso alimenta costantemente, non cessa di mettere in moto nuove creazioni, nuovi compromessi, che contribuiscono a risolvere quest’altra discordia, distinta dalla “opposizione presumibilmente inconciliabile delle pulsioni originarie, Eros e morte” – in cui si combattono la rivendicazione individuale della felicità e la limitazione dei piaceri per la comunità civile”. [2]

 

 

La violenza e il diritto

 

Ricordiamo che proprio nel 1921 Walter Benjamin scrisse il suo Per la critica della violenza e che in quegli stessi anni molte questioni fondamentali connesse al diritto nel suo nesso con la democrazia erano in discussione.  L. Kahn, nella sua ricerca, segue da vicino le argomentazioni di O. Jouanjan nel suo libro, Giustificare l’ingiustificabile.

Ricordiamo anche che proprio nel 1921 l’Armata Rossa sconfisse l’Armata Bianca; di ciò vi sono echi anche in PMAI.

 

 

Il convincimento dello psicoanalista Freud che nell’uomo abiti una violenza assassina che l’opera della civilizzazione molto fragilmente può arginare, si fa strada e viene ripensata in modo sostanzialmente diverso da quanto già in Totem e tabù (1911) fu concepito con lo strumento analitico. Su questo punto torneremo più avanti.

 

Torniamo ora al percorso della ricerca storica e psicoanalitica di L. Kahn. La creazione di un regime fondato sul sovvertimento della legge, aveva decretato la liceità dell’assassinio e fondato il nuovo ‘diritto’ nazistificato, attraverso la creazione di un regime in cui solo coloro che erano legati tra di loro da omogeneità di ‘sangue e suolo’ erano detentori di diritti, che non si dovrebbero neppure chiamare tali, essendo piuttosto regole di adesione al funzionamento di uno ‘stato’ concepito ed amministrato di fatto come un esercito.

 

I fenomeni di massa del Ventesimo secolo sono perciò intimamente legati all’uso, lecito e legalizzato, della violenza: non sono nient’altro che questo, si potrebbe dire. Una violenza agita in quanto resa possibile e legalizzata dal sovvertimento delle leggi che reggevano lo Stato fino al punto di trasformare ciò che le Tavole della Legge, ciò che nella nostra cultura ha assunto questa forma, avevano imposto agli uomini: il comandamento ‘non uccidere’, che si rende necessario – scriverà Freud – per arginare il potente desiderio di assassinio presente nell’uomo, nel suo contrario. Ma ciò che è importante e che il libro di Jouanian permette di comprendere è che tale sovvertimento sia avvenuto all’interno del ‘discorso giuridico’, smontando pezzo dopo pezzo il diritto positivo e abolendo totalmente, alla fine, il principio di terzietà.

 

 

La massa

 

La coesione della massa, le identificazioni collettive con i simili e l’assunzione del capo, il Fuhrer, come oggetto ideale, sono le strutture che combinano ‘psicologia collettiva’ e ‘psicologia individuale’ – secondo le espressioni di Freud, non intendendo egli che si tratti di ‘psicologia’ in termini descrittivi ma di psicologia del profondo, e perciò di dinamica pulsionale a tutti i livelli dell’apparato psichico individuale e dell’organizzazione che è la cd massa.

Una questione molto rilevante a questo punto sorge: lo scatenamento della violenza – legale -, è necessario ricordarlo sempre, ha messo in luce l’attivarsi, sulla scena del mondo, di una regressione a livello collettivo, ricreando le condizioni della cd ‘orda’ in presenza dell’Urvater , messa da Freud a partire da Totem e tabù, a fondamento del legame sociale oppure dobbiamo pensare che, sulla base dei medesimi fattori, individuali e collettivi, si sia manifestato, su scala collettiva ma anche individuale, qualcosa di inedito? E’ questa la domanda, radicale, che anche N. Zaltzman si fa nella sua riflessione soprattutto nel libro Perchè il male? , arrivando a ipotizzare una condizione in cui non si sarebbe trattato di una regressione della civiltà, ma di una “post-storia”, in cui alla violenza assassina – dei fratelli coalizzati – non segue la creazione di un ‘totem’ né la formazione di un tabù, come base di una convivenza fondata sulla instaurazione di una legge, bensì l’orda rimane tale e la violenza pulsionale distruttiva non viene trasformata attraverso l’inibizione nella meta che sarebbe, sul piano psichico, l’unica via percorribile.

 

Soffermiamoci intanto almeno un po’ sul testo del 1921 Psicologia delle masse (PMAI). Gli anni tra il 1915 e il 1933 furono anni cruciali, per l’Europa in particolare, e la psicoanalisi, Freud per primo sicuramente, li attraversarono non smettendo un momento di riflettere, scrivere, dibattere e scambiare all’interno e all’esterno della comunità analitica: una comunità che fu da sempre non tanto inter-nazionale quanto cosmopolita. Mi piace ricordare, proprio rileggendo le pagine iniziali di Considerazioni, ciò che scrive Freud, Freud ebreo in questo caso, sulla patria, che non può che essere, per gli appartenenti al suo popolo, che una patria di elezione. Sarà questo uno dei punti in cui si innesterà il diritto tedesco nazistificato. E vorrei anche ricordare il modo, per me straordinario, in cui J. Altounian ha parafrasato le prime righe dell’Autobiografia: “Freud, in cui la creazione del pensiero psicoanalitico emana da un ‘incastro’ di diverse culture e che ha potuto paragonare i mutamenti dello sviluppo umano a quelli di una migrazione più o meno riuscita (Introduzione alla psicoanalisi, lez. 22), il sintomo ad un corpo estraneo che gode del privilegio dell’extraterritorialità ( Inibizione, sintomo e angoscia), la rimozione ad un rifiuto di traduzione (lettera 6 dic. 1896 a W. Fliess), ha dovuto certamente, nel suo inconscio, intrattenere un’inquietante familiarità con questi transferts, spostamenti, deviazioni, svolte, tracce, scissioni, repressioni, persecuzioni e rimozioni… per essere stato capace di trasporle così bene nel suo apparato concettuale e nella dinamica stessa del suo metodo di indagine, la cura (psicoanalitica).” [3]

 

Questi riferimenti mi sembrano da non tralasciare per poter comprendere in che modo Freud analista e uomo, si è avvicinato alle questioni dello Stato, della collettività, del rapporto individuo/collettività e alla necessità di prendere in considerazione la cd ‘psicologia collettiva’, come fece, in modo diretto, nel testo del ’21.

 

L’orda: regressione o post-storia

 

 Se c’è una questione centrale in PMAI questa riguarda la collocazione dell’orda primitiva all’inizio del processo di ominazione e di umanizzazione. “Ci sentiamo perciò di rettificare l’affermazione di Trotter che l’uomo è un animale che vive in gregge, sostenendo che egli è piuttosto un animale che vive in orda, un essere singolo appartenente a un’orda guidata da un capo supremo” (OSF, vol. 8, p.309).

 

Il mito scientifico emerso da Totem e tabù un decennio prima diventa qui il nucleo concettuale che permette a Freud di pensare l’esistenza della ‘massa’, la posizione del singolo come parte di una massa, estemporanea o artificiale  – le differenze sono comunque consistenti – le modificazioni interne all’Io con la formazione dell’Ideale dell’Io e, come nesso tra tutto ciò, la necessaria presenza di un capo, un Fhurer,  perché la massa possa dirsi tale e perché il legame – affettivo – tra i singoli abbia quelle caratteristiche di sudditanza, desiderio di essere dominati, identificazione reciproca con i simili, riconoscimento del potere assoluto del capo, del guadagno narcisistico in termini di protezione e sicurezza, possibilità di regolamentazione, dall’esterno, delle spinte pulsionali: tutto ciò reso possibile dall’efficacia, nel singolo messo in condizione di dover far parte di una massa, di essere soggetto all’opera della suggestione.

Il ragionare di Freud che vediamo dipanarsi davanti a noi fa emergere un essere umano non solo fragile ed impotente nei confronti delle spinte pulsionali che gli sono proprie e il cui soddisfacimento diretto, proprio in quanto egli è parte di una collettività che sarebbe sorta da un necessario arginamento del soddisfacimento pulsionale diretto – le pulsioni possono rimaner tali pur inibite nella meta per Freud – ma ancora più debole ed impotente perché le tracce della presenza di quello che egli definisce l’Urvater permangono e, in certe condizioni – quali? – rendono possibile che l’Ideale dell’Io di quel singolo, per meglio dire, di quei singoli, costruito sulla base di plurime influenze, di plurime identificazioni – qui Freud ne fa un elenco – si modifichi fino a diventare il luogo, la funzione attraverso cui ritorna sulla scena quella potenza terrificante, crudele, onnipotente che sarebbe permanentemente presente nel nostro inconscio, solo in parte rimossa dall’opera della Kultur, della civilizzazione.

 

( … Continua. Questo breve testo e la sua continuazione sono un lavoro in fieri che spero potrà prendere una forma più compiuta nei prossimi mesi.)

 

 

Bibliografia

 

Altounian J. (2000). La survivance. Traduire le trauma collectiv. Paris, Dounod.

Arendt H. (1958). Vita activa. La condizione umana. Bompiani, 2017.

Benjamin W. (1920). Per la critica della violenza. In: Benjamin W., Opere Complete, vol. I, trad.it. R. Solmi, Torino, Einaudi, 2008.

Freud S. (1912-13). Totem e tabù. OSF, vol. 7.

Freud S. (1915). Considerazioni attuali sulla guerra e sulla morte. OSF vol. 8.

Freud S. (1921). Psicologia delle masse e analisi dell’Io. OSF, vol. 9.

Freud S. (1925). Autobiografia. OSF, vol 10.

Freud S. (1933). Perché la guerra?. OSF vol.11.

Kahn L. (2018). Ce que le nazisme a fait à la psychanalyse. Paris, PUF.

Jouanian O. (2017). Justifier l’injustifiable. L’ordre du discours juridique nazi. Paris, PUF.

Zaltzman N. (2007). Lo spirito del male. Roma, Borla, 2011 (L’Esprit du mal, Paris, Édition de l’Olivier).

 

NOTE

[1] S.Freud, Il disagio della civiltà, op. cit. p. 330, poi, per il seguente riferimento, p. 606.

[2] L. Kahn, Ce que le nazisme a fait à la psychanalyse, cap.3, p.60-61.

[3] J. Altounian, La survivance. Traduire le trauma collectiv, Dounod 2000, p.24

 

 

Roberta Guarnieri, Venezia

Centro Veneto di Psicoanalisi

rguarnieri.psicoanalista@gmail.com

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