Blonde

Recensione di Roberto Simeone

Blonde

Titolo : “Blonde”

Dati sul film : regia di Andrew Dominik, USA, 2022,166’, Netflix

Trailer: https://www.youtube.com/watch?v=h981jZhZ1js

Genere: drammatico, biografico

Il film “Blonde”, presentato in Concorso alla 79 Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia e tratto dall’omonimo romanzo di Joyce Carol Oates (2000), è visibile su Netflix, che l’ha prodotto, dal 28 di settembre.

 

Il mito di Marilyn Monroe combina tre persone. Norma Jeane Baker, la ragazza dal cuore sensibile; Marilyn Monroe, la pin-up; la Bionda, la creatura incantata”, scrive Elaine Showalter (The New Yorker, aprile 2020).

 

Il regista parla di un trauma nel dramma infantile, che richiede una scissione tra un sé pubblico e uno privato. Una bambina non desiderata che diventa la persona più desiderata al mondo, che non è in grado di gestire tutto questo desiderio che investe queste parti di sé (2022, https://netflixqueue.com/blonde).

 

Eugenio Gaburri (2010, 62) precisa: “La scissione è un mezzo per rimediare alla incapacità di interiorizzare il conflitto e di tollerare lo spaesamento. Quando il bambino coglie l’ambiguità del significato degli eventi egli si volge a guardare gli adulti, genitori e famiglia allargata, per ricavare elementi per affrontare ed elaborare tale ambiguità. Se l’ambiente primario gli fornisce quelli che sembrano segnali di diniego dell’ambiguità il bambino si sente spaesato e perde fiducia nella sua competenza a cogliere le cose e nel lavoro psichico”.

 

Il film inizialmente ci immerge nel vissuto di una bimba senza un padre, affidata alla nonna materna, con una madre che non riesce a vederla. La mamma invita la bambina a mangiare la torta per il suo sesto compleanno nella sua casa triste, e le fa il regalo di mostrarle la foto del padre mai conosciuto alimentandone speranze ed energia libidica, salvo poi distanziarne le manine dalla foto perché la sporca.

 

Anni dopo la Marilyn attrice di successo visita la mamma ricoverata in ospedale psichiatrico; la sollecita ad essere orgogliosa del suo lavoro di madre con lei, ma ella ancora non può vederla. È persa in una schizofrenia residuale da dementia praecox, alle prese con il proprio sfacelo, in cui l’altro non esiste. La Norma Jeane adulta, sperimenta tragicamente su di sé l’esito di un’inadeguata funzione di rêverie materna. Una mamma che non può vedere e sentire non rende possibile il lavoro del lutto e della separatezza che la rêverie può rendere elaborabile e trasmissibile al bambino (Gaburri & Ambrosiano, 2003).

La narrazione segue una modalità non lineare e tale frammentazione coinvolge anche la mia scrittura: si alternano l’uso del bianco e nero e colore e gli accadimenti nel tempo, che mostrano Norma Jeane assetata di riconoscimento. Le sue dipendenze, le relazioni inadeguate con uomini che non vedono lei, ma il sogno patinato che (illusoriamente) ella rappresenta nella società dell’epoca, i due violenti aborti, che una sua parte subisce, si fanno per lei disconferme rispetto alla capacità di stare al mondo. Sono la mancata conferma della propria identità da parte degli altri, l’inadeguatezza come essere umano e sopra ogni cosa, invalidamento della possibilità di essere generativa. 

 

E giunse la Morte senza tante storie. […] Una Morte che consegnava a mano i suoi pacchi speciali. Dalla mano della Morte accettai il dono” (Oates 2000, pag. 20). La citazione nel prologo del libro della Oates, nel film viene posta nelle scene finali.

 

Marilyn riceve un pacco postale che le perviene da uno della sua ex coppia di amanti, l’altro morto da poco; la comunicazione assume allo stesso tempo un carattere spietatamente franco e di atto perverso (qualità effettivamente presenti nella relazione intrattenuta con questa coppia di uomini). Ciò che le perviene, disgrega illusioni che un padre mai visto, (in certa misura allucinato nelle relazioni che cerca con gli uomini con cui si accompagna chiamandoli Daddy), avesse mai potuto pensare a lei. È un inizio di una fine.

 

Il dramma perpetuo che vive nell’intento di essere accolta e riconosciuta si evidenzia In una scena. Insieme a colui che sarà il suo ultimo marito lo scrittore Artur Miller, ospita una coppia di amici nella loro casa al mare; lui mostra, con un sorriso impacciato, due bottiglie agli amici mentre Marilyn porta verso di loro un vassoio di stuzzichini da aperitivo camminando sulla spiaggia. Le capita però di inciampare cadendo di fronte all’oceano e agli amici. La scena della caduta, girata al ralenti, centellina e incarna tragicamente i dubbi sulla propria adeguatezza di adulta. In quel momento, forse lei è la bimba al suo compleanno che con desiderio impacciato ha in mano la foto di questo padre desiderato e sconosciuto, di cui non ha potuto sentire la forza strutturante, mentre un altro adulto (la madre) le fa sentire che con il suo desiderio e curiosità la sta sporcando. 

 

Sottraendosi al mondo dei suoi contemporanei a trentasei anni, allo stesso tempo si annulla e cristallizza la sua immagine diventando, suo malgrado, mito.

 

L’immensità del dramma e del tema (suicidio/omicidio?) ci fa sostare in una incertezza rispettosa. Il vissuto del soggetto sofferente che aspira a scomparire si alterna con il punto di vista del soggetto che la guarda. Questa visuale è esposta dall’illuminante e conciso scritto di Freud, che tratta il tema della Caducità a partire dal paragone con la transitorietà di tutto ciò che è bello e perfetto, come un fiore “Ma questa esigenza di eternità è troppo chiaramente un risultato del nostro desiderio per poter pretendere a un valore di realtà: ciò che è doloroso può pur essere vero” (Freud, 1915,173).

Bibliografia

Ambrosiano L. & Gaburri E. (2010). La caducità addomesticata. In E. Mangini (a cura di), Nevrosi Ossessiva. Borla, Roma.

Freud S. (1915). Caducità. O.S.F. 8.

Gaburri E. & Ambrosiano L. (2003). Ululare con i lupi. Conformismo e rêverie. Bollati Boringhieri, Torino.

Oates J. C.(2000). Blonde. La nave di Teseo, Milano, 2021.

Roberto Simeone, Mestre e Conegliano (TV)

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