Autenticità e originalità dell’artista.

Note cliniche a margine di una kermesse canora che arriva fino in seduta.

di Anna Cordioli e Vittorio Gonella

Reale

Talvolta capita che gli eventi della realtà intrudano potentemente in seduta. 

E’ capitato con il terremoto, col Covid o con la guerra; ma è capitato anche con eventi meno macroscopici, come la morte di una regina o di un re (Fairbairn, 1936), le elezioni, i fatti di cronaca e le ricorrenze. Per quanto possa sembrare assurdo avvicinare eventi di portata catastrofica e mondiale a fatti di piccolo cabotaggio, va riconosciuto che la realtà entra sempre in seduta assieme ai nostri pazienti: talvolta come un aspetto distruttivo che buca il pensiero e sospende la rappresentabilità, ma più spesso come occasione comunicativa e appoggiandosi ad una “compiacenza del reale”, ovvero quando aspetti della realtà facilitano l’emersione di contenuti inconsci.

Parafrasando una bellissima espressione di Ambrosiano (2023) potremmo dire che l’uso della realtà, la fantasia e la negazione “sono come le dita di una mano che frugano tutt’intorno” alla ricerca di occasioni psichiche.

Così, nelle settimane passate è entrato anche il Festival di Sanremo.

Doc, a lei chi piace?” chiede un paziente che godrebbe di una piccola intrusione da parte di un terapeuta più loquace.

Doc, ha sentito la canzone di X?” chiede un altro paziente, senza lasciare spazio a una risposta, subito proteso ad associare ricordi pop, certo che siano sia suoi che dell’analista.

Una parte interessante di questi eventi “reali” è che sia il paziente che l’analista sono (più o meno) esposti ad essi; per questa ragione, capita che ci si possa trovare immersi in una certa quota di simmetria all’interno della coppia terapeutica. Questa “rottura occasionale del setting” (Berti Ceroni, 1995) si verifica in ogni caso: se il paziente porta in seduta un contenuto che è ampiamente mainstream nel mondo esterno, facilmente troverà nell’analista sia qualcuno che sa di cosa si sta parlando, sia qualcuno che ne è del tutto estraneo. 

Ovviamente, l’oscillazione che l’analista può fare sarà ben più ampia che negare ogni coinvolgimento o iniziare a disquisire della bellissima Bianca Balti, e del suo scalpo liscio come la superficie di una perla. L’analista dovrebbe, infatti, saper ascoltare il significato transferale e anche metaforico di questo incontro (o non incontro) con una realtà esterna comune.

Ma dando per assodato che questo possa avvenire, ci piace soffermarci sui molti doni che queste situazioni, comunque, portano in seduta. E’ appassionante vedere quanto e come l’inconscio venga sollecitato durante questi eventi in cui si è  immersi tutti insieme. In fondo, non è sempre così? Non siamo sempre tutti assieme negli stessi eventi reali?[1]

Così accade che anche una rassegna canora, con il coté emotivo e combattivo che l’accompagna, ci permetta di riflettere assieme su temi insperati, appoggiandosi ad elementi quasi improbabili… come se sognassimo un sogno assieme.

Se pensiamo ad alcune cose sentite in seduta in questi giorni, ci vorremmo soffermare su due aspetti: il binomio originalità / autenticità dell’artista e il desiderio che quest’ultimo sappia immedesimarsi nell’ascoltatore.

 


[1]  Questo è tanto più vero per chi vede pazienti nel proprio studio, non online. Basti pensare alle giornate di grande pioggia o alle volte in cui la città è bloccata da un ingorgo. Sono eventi reali che accomunano analista e paziente e di cui raramente si tiene conto.

Autentico

La cantante americana Mary Gauthier sostiene che le canzoni siano la forma d’arte “più accessibile e democratica; chiunque può connettersi con una canzone […] il suo messaggio viene consegnato nel modo più penetrante e semplice che ci sia. Le canzoni ci parlano nella nostra madrelingua” (Gauthier, 2021, 233) Ciò che viene scambiato può essere una semplice finzione di emozioni, oppure può divenire una condivisione intima e profonda. E’ importante avere in mente quanto l’arte mobiliti sentimenti forti e quanto, per effetto di questo potente movimento, il fruitore possa sentire che l’artista si stia dando in dono al pubblico – per cui l’emozione evocata assume la forma di un desiderio evocato a cui l’artista si concede con la sua arte – o che, in realtà, sia l’artista a volersi nutrire dell’emozione dell’altro.

Questa è una dinamica molto regressiva, marcata da una profonda oralità ma che racconta anche della potenza di certe forme d’arte. Proprio per la potenza di questi movimenti, il pubblico si chiede immancabilmente se l’artista che ama sia “vero”: se la sua emozione sia autentica, se il patto narrativo suggellato durante la canzone sottenda un incontro emotivo e non un feticcio.

Potremmo dire che l’autenticità è la capacità relazionale di offrirsi e stare in una situazione di reciprocità attraverso aspetti del proprio vero sé. In questo senso l’autenticità potremmo immaginarla come il “vero Sé in azione” dentro una relazione.

In questi giorni abbiamo sentito dire, ad esempio, che “la poesia di Lucio Corsi sale dal profondo”,Giorgia canta come se ti parlasse”, “Cristicchi sa commuovere tutti”, “Mi ha colpito la gratitudine di cui è capace Brunori”, “Fedez è arrabbiato ma sa dirlo”.

Ciò che viene chiesto agli artisti è di rappresentare gli esseri umani al loro massimo grado, e questo accade con una propulsione ancora maggiore durante i festival, quando i cantanti appaiono in continuazione (in tv, alla radio, sul web).

Queste stesse domande sono, non di rado, rivolte anche all’analista, specialmente quando si attivano aspetti di transfert amoroso (Bolognini, 2005) ma non mancano di testimoniare anche possibili venature idealizzate, che preludono a possibili fantasmi di reciproca intrusione. L’ammirazione febbrile per certi artisti, ci offre dunque interessanti entrature nel mondo interno e ci parla del rapporto che talvolta si ha con l’Oggetto d’amore ideale. L’amore, si sa, deve essere vero.



Originale 

Esiste poi una pericolosa confusione tra l’idea di autenticità e quella di originalità, con particolare riferimento ad alcuni artisti e al modo di presentare il loro Sé narrante attraverso l’arte (Spagnolo e Norhoff, 2022).

Il pubblico è sempre molto preoccupato che l’artista sia anche “originale”, non abbia su di sé e nella sua opera richiami a qualcosa che ci sia già stato (come se questo potesse dichiarare automaticamente il fallimento artistico e la conseguente perdita totale di valore della sua creazione). In realtà, ogni artista porta con sé un bagaglio di esperienze, ispirazioni, figure ‘genitoriali’ e transgenerazionali a cui ha fatto riferimento nel corso della sua formazione.

Questo aspetto ci fa ripensare alla costruzione della personalità che caratterizza l’adolescenza; sappiamo bene quanto sia rischioso un eccessivo anelito all’originalità in questa fase della vita: questa spinta spesso è frutto di movimenti controfobici causati dal timore di non riuscire a emanciparsi dagli adulti di riferimento o dai coetanei, e dal conseguente terrore di restare in una condizione di perenne inautenticità. 

Talvolta certe curiosità esagerate (che lo showbiz titilla) a conoscere il background dell’artista sembrano corrispondere a questa necessità che l’artista possa manifestarsi in qualità di un rappresentante idealizzato. Egli/ella personifica, per conto di tutti, la capacità creativa e dello sviluppo di sé; aleggia anche, però, la fantasia che il Vero sé dell’artista sia sì emerso attraverso incontri nutrienti, realistici o mitologici ma che, in realtà, sia sempre stato già “fatto e finito”: doveva solo essere scoperto.

In questo senso, il mito dell’originalità nasconderebbe la speranza che venga riconosciuta una eccezionalità ab origine, senza debiti e senza nessuna traccia del passato. 

L’artista, in realtà, pensando a Giaconia (1989) e alle sue riflessioni sull’adolescenza come processo di transito da un Io ideale infantile e un Ideale dell’Io, non può che aver interiorizzato passaggi significativi della sua formazione artistica e personale, ha fatto propri dei modelli di riferimento a cui si ispira: modelli che riconosce e non cerca di nascondere o negare, consapevole che nel suo percorso di soggettivazione artistica è stato in grado di dare una connotazione personale a ciò che ha scelto di accogliere dentro di Sé. 

La pretesa dell’originalità ab origine è, per altro, una richiesta feroce.

Non è un caso che personaggi che sembrerebbero portatori di questo miraggio, finiscono per incarnare un Io ideale (Capitanio, 2022) che evoca emozioni potenti ma ha un effetto immobilizzante sulla mente del fruitore. Si ricrea, dunque, una scena in cui qualcuno nasce con una investitura di sé soprannaturale fin dall’origine, mentre altri sono destinati solo ad ammirare o invidiare, dal basso della loro mediocrità. Un modello di scena interna dall’elevato grado di velenosità, su cui ogni analista dovrebbe essere sempre in guardia, vista la caratteristica asimmetrica della relazione con il paziente.

Tra l’altro, questo tipo di auto-maledizione colpisce spesso proprio persone dalle grandi qualità che però non sanno difendere il proprio mondo interno.

Noi terapeuti sappiamo come, a volte, la ricerca spasmodica dell’originalità possa portare alla creazione di quelle strutture di Falso Sé (Winnicott, 1965) difensive, sentite come l’unica esperienza che possa proteggere dall’angoscia annichilente di immaginarsi esclusivamente come proiezione delle aspettative genitoriali e ricettacolo di ‘pezzi’ della realtà esterna; “il vero Sé non deve  mai essere influenzato dalla realtà esterna, non deve mai essere compiacente” (ibid., 169): il timore dell’influenza spinge a una ricerca spasmodica dell’originalità, a discapito di un percorso di crescita  autentico, per quanto probabilmente più lento e impervio. 

Non è l’originalità a dar vita all’autenticità: è, in realtà, un accoglimento creativo del proprio bagaglio di esperienze a permettere la formazione di un Sé originale, sentito a quel punto come autentico.

Il rischio della compiacenza, cioè di un Falso Sé che “venga utilizzato e trattato” (ibid., 169) come reale è il vero pericolo per ogni individuo: un rischio a cui va incontro l’artista quando, di fronte alle aspettative incombenti e idealizzanti del pubblico – e al timore di non sentirsi continuamente riconosciuto e amato – rinuncia all’autenticità del proprio Vero Sé, con esiti drammatici, testimoniati dalle tante tragedie che hanno segnato la storia della musica e la vita di molte rockstar.

Specchi

Un altro carattere evidente nel rapporto tra la canzone e il pubblico è l’aspettativa che quest’ultimo ha di ritrovare sé stesso e i propri vissuti descritti, nelle parole e nella musica, dall’artista; già Freud nello scritto Il poeta e la fantasia (1907) scriveva che il poeta “ci mette in condizione di gustare d’ora in poi le nostre fantasie senza  alcun rimprovero e vergogna” (383). 

Allo stesso modo riteniamo che la musica moderna, a partire dalla nascita del rock ‘n’ roll con canzoni i cui testi erano dedicati agli ascoltatori adolescenti, sia stata vittima di un equivoco simile: la convinzione, e la conseguente aspettativa, che l’artista – soprattutto quello che io ascoltatore ho idealizzato come capace di ‘empatizzare’ con i miei vissuti – saprà parlare non tanto a me stesso ma di me stesso. 

E quando questo non avviene, la reazione è intensa, un movimento di brusca de-idealizzazione accusa quell’artista di scarsa autenticità, perché quest’ultima viene confusa con il desiderio di rispecchiamento: l’artista deve essere una madre con la quale incontrarsi in uno spazio transizionale in cui la creatività diventa un gioco condiviso, dimenticando così un passaggio importante: che l’artista, innanzitutto, crea per sé stesso. Come ebbe a dire il drammaturgo francese Antonin Artaud di fronte ai quadri di Van Gogh: “nessuno ha scritto, dipinto, scolpito,  […] tranne che per uscire letteralmente dall’inferno” (Artaud, 1988, 124); parole ribadite più recentemente dalla cantante americana Rickie Lee Jones: “If we hadn’t something to heal, our songs wouldn’t be made of much[1].

La creazione artistica nella sua forma transustanziante (Bollas, 1999), intesa cioè come una trasformazione che rende irriconoscibili i singoli ‘ingredienti’, diventa qualcosa che può incontrare la realtà interna dell’ascoltatore, ma questo contatto intersoggettivo potrebbe non avvenire con l’intensità desiderata da quest’ultimo. 

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[1] “Se non avessimo qualcosa di cui prenderci cura, le nostre canzoni sarebbero poca cosa”

So(g)nare assieme

Ci piace rivendicare il fatto che si possa essere profondamente in relazione anche attraverso la condivisione di una canzone, di una esibizione o anche solo di scene legate a un performer.

Capita così che gli echi che arrivano in seduta, grazie alla kermesse, passino dall’essere una “realtà” che si impone interrompendo il setting, al divenire una preziosa possibilità di relazione e di so(g)nare assieme.

E non si può che essere grati all’artista che ci ha offerto questa occasione.

 

P: ”Ha sentito la canzone di Lucio Corsi? Si sente che lì lui c’è. Mi ha emozionato! E’ uno che sa tutto, Che ha imparato ascoltando tutto, che sa suonare tutto. Che persona! E ha visto quella cosa della scritta ANDY sotto la scarpa? Incredibile! Un alieno che sogna mille sogni per volta!”

A: ”Mille sogni per volta; che bella espressione. Mi racconta? La ascolto.”

 

BIBLIOGRAFIA

Ambrosiano L. (2023) in “Diniego e negazione come tensione tra appartenenza e intimo sapere”, KnotGarden 2023/4 

Artaud A. (1947). Van Gogh, il suicidato della società, Milano, Adelphi, 1988

Berti Ceroni G. (1995) Interruzioni fortuite del setting, Rivista Psicoanal., (41)(2):197-210.

Bollas C. (1999). Il mistero delle cose, Milano, Cortina, 2001.

Bolognini S. (2005). Transfert: erotizzato, erotico, amoroso, amorevole, Centro Fiorentino di Psicoanalisi  

Bolognini S. (2019). Flussi vitali tra Sé e Non-Sé, MIlano, Cortina.

Capitanio M. (2022) L’ Io ideale nell’opera di Daniel Lagache: una nota. In KnotGarden 2022/2 

Fairbairn, W. R. D. (1936). The effect of the king’s death upon patients under analysis. The International Journal of Psychoanalysis, 17, 278–284.

Freud S. (1907). Il poeta e la fantasia, O.S.F., 5.

Gauthier M. (2021). Saved by a song, New York, St. Martin’s Essentials.

Giaconia G. (1989). L’adolescenza, in Semi A. A. (a cura di), Trattato di psicoanalisi, MIlano, Cortina.

Langer S. (1953). Sentimento e forma, Milano, Feltrinelli, 1965.

Spagnolo R. e Northoff G. (2022). Il Sé dinamico in psicoanalisi, Milano, Franco Angeli.

Winnicott D.W. (1965). Sviluppo affettivo e ambiente, Roma, Armando, 1970.

sanremo8

Anna Cordioli, Padova

Centro Veneto di Psicoanalisi

annacordioli@yahoo.it

 

Vittorio Gonella, Cuneo

Società Italiana di Psicoanalisi e Psicoterapia – Sándor Ferenczi

vittoriogonellapsy@gmail.com

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