Argentina 1985

Commento di Adriana Ramacciotti

Autore: Adriana Ramacciotti

Titolo: Argentina, 1985

Dati sul film: regia di Santiago Mitre, Argentina, USA, 2022, 140’

Genere: storico, drammatico

Trailer:   https://www.youtube.com/watch?v=XiSWHwRHy24&ab_channel=LuckyRed 

“Nella vita psichica del singolo l’altro è regolarmente presente come modello,  come oggetto, come soccorritore, come nemico e pertanto  in quest’accezione più ampia ma indiscutibilmente legittima, la psicologia individuale è al tempo stesso, fin dall’inizio, psicologia sociale”.

(Sigmund Freud, 1921)

 

 

Sull’individuo

Argentina 1985 è un film che emoziona e commuove. È il primo film che narra il Juicio a las Juntas (il Processo alle Giunte Militari) a partire dal vissuto del Pubblico Ministero Julio Cesar Strassera (interpretato da Ricardo Darin), a cui viene dato l’incarico di istituire il processo contro i nove militari che governarono il Paese sin dal golpe del 1976 fino alla guerra di Malvinas 1982 per gli orrori compiuti. Strassera è un uomo permeato da impotenza e pessimismo: durante i sette anni di dittatura non ha potuto fare molto, vive male, ha la sensazione, non del tutto irrealistica, di essere perseguitato, teme che qualcuno uccida lui o la sua famiglia, è disgustato, di pessimo umore, fugge dalla realtà ascoltando la musica e non crede che il processo sia davvero fattibile.

Strassera vive quindi in una specie di limbo, uno stato di coscienza particolare tra il non voler sapere, il sapere e il non poter fare niente.

Uno stato ancor più grave di obnubilamento della coscienza è quello che si riscontra nelle vittime di gravi traumi, un tema ampiamente approfondito nella letteratura psicoanalitica. 

Silvia Amati Sas (2020)[1], a partire dalla sua esperienza con un vasto numero di pazienti che avevano subito torture, ha studiato diversi meccanismi di sopravvivenza psichica che si mettono in moto. Uno di questi, “l’adattamento a qualsiasi cosa, è una modalità difensiva che sospende le emozioni forti (di paura, terrore, dolore e sofferenza), produce l’obnubilazione della coscienza e del giudizio critico e, nel suo aggravarsi, può provocare l’effetto desimbolizzante di un avvenimento traumatico nelle vittime.

 

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[1] Silvia Amati Sas Amati Sas S. (2020) Ambiguità, conformismo e adattamento alla violenza sociale. FrancoAngeli, Milano.

Tale effetto desimbolizzante collude con “l’intenzione desimbolizzante” di chi vorrebbe negare la realtà di qualcosa che è accaduto, proprio come avviene nel negazionismo. “Qual è il fulcro del negazionismo?” si chiede Claudio Vercelli (2023)[1] a proposito della Shoah. È quello di cancellare le responsabilità più evidenti, cioè non tanto l’esistenza dei campi di concentramento, quanto l’esistenza dei propositi e dei sistemi di sterminio, di negare la tecnologia di distruzione di massa.

Nel film si osserva, attraverso alcuni discorsi degli avvocati difensori, la volontà di non assumersi la responsabilità dei fatti commessi: “Dovevano intervenire per salvare il popolo argentino” (defender la patria de la guerrilla). Ed è facile osservare come la de-responsabilizzazione sia accompagnata da una versione falsa dei fatti, che serviva a giustificare l’ideologia del terrore e del crimine con l’obiettivo primario di imporre un preciso sistema economico. “Proceso di reorganización Nacional” era il modo utilizzato dalla giunta militare per definire e promuovere lo sviluppo economico basato su un supposto equilibrio e partecipazione, quando in realtà gli obiettivi erano sostanzialmente di favorire la concentrazione di capitali.[2]

Oltre al negazionismo e alla volontà di non prendersi nessuna responsabilità delle azioni compiute un’altra modalità di messa in atto è il “diniego”. Nel diniego — caratteristico del funzionamento delle strutture perverse — sono presenti simultaneamente due correnti psichiche opposte: una che nega una certa realtà e l’altra che l’afferma. Il film ci mette di fronte a questo meccanismo quando Videla legge la Bibbia mentre il giudice legge l’arringa dove viene incolpato dei crimini commessi. È un momento del film di forte impatto, che indigna. Si tratta certamente di un comportamento provocatorio che fa pensare al diniego in quanto nello stesso individuo, Videla, coesistono due correnti opposte e completamente incompatibili, quella dell’umano, dell’uomo che ha una fede, insieme a quella del disumano, l’uomo che mette in moto un piano nazionale di repressione. La perversione operata dal diniego viene messa in luce nell’arringa di Strassera: “Il sadismo non è un’ideologia politica né una strategia bellica, ma una perversione morale”

 

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[1]  Vercelli C. (2023) Il negazionismo della Shoah sotto la lente della Storia, della Sociologia, della Psicoanalisi. Giornata Ricorrenze di Umanità 27 gennaio 2023.  A cura di M. G. Capitanio. Centro Veneto di Psicoanalisi.

[2] Sistema economico che peraltro verrà perfezionato abbondantemente negli anni successivi dai governi democratici, un fenomeno quest’ultimo che fa pensare in quale misura la dittatura attraverso le modalità di intimidazione sociale abbia messo in moto una sorta di annientamento del pensiero critico molto difficile da recuperare o quanto meno di non immediato recupero.

Dall’individuo al gruppo: la speranza

Il film mostra, attraverso le testimonianze dei sopravvissuti, una parte significativa dei tormenti, delle torture e degli assassini che la popolazione argentina ha sofferto durante la dittatura. Ci provoca molto dolore sentire le testimonianze, così come ci provoca dolore pensare alla sensazione di impotenza e alla paura che ci ha pervaso durante la dittatura.

Spesso la gravità di queste azioni, il dolore provocato dal riconoscimento dei fatti ignorati, denegati, nascosti, o percepiti come “terrore senza nome” sembrano comportare una “macchia”, una specie di ferita che non si rimargina, una traccia di memoria traumatica che non riesce a essere elaborata nei sopravvissuti, compromettendo una prospettiva riparativa di futuro o rendendoci pessimisti come il giudice Strassera.

Va dato merito al regista, Santiago Mitre, di riuscire a trasmettere un messaggio di speranza che ritengo sia una delle note più significative del film. A un certo punto si sofferma in modo brillante nella formazione della squadra di Strassera. Certamente era molto difficile creare un gruppo in quel periodo (sappiamo che durante la dittatura era vietato incontrarsi in gruppo), erano poche le persone delle quali potersi fidare, molti non c’erano più, molti avevano paura. Strassera, insieme al collega Luis Moreno-Ocampo (Peter Lanzani) e a due amici stretti, uno attore (Claudio Da Passano), l’altro  avvocato in pensione (Norman Briski) creano un gruppo di lavoro con giovanissimi avvocati. Un gruppo di lavoro quindi costituito da diverse generazioni, da diverse competenze con diverse idee politiche. Ne fa parte, marginalmente, il figlio adolescente del giudice (Santiago Armas Estevarena), un giovane detective sveglio e informato. È un gruppo bizzarro, apparentemente strampalato, che ha nella ricerca della verità il suo compito essenziale e che utilizza come strategia giudiziaria di prova la dimostrazione del “Piano sistematico di repressione in tutto il Paese”

Prima di questo storico giudizio erano già nati in Argentina altri gruppi in risposta alla sparizione delle persone, las Madres de plaza de mayo, las Abuelas, la Conadep (Comisión nacional sobre la Desaparicion de personas) aveva già consegnato il rapporto Nunca Mas[1] con i nominativi delle persone scomparse e Perez Esquivel aveva vinto il Premio Nobel della Pace per le denunce contro gli abusi della dittatura.

 

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[1] “Nunca más” fu suggerito come titolo del rapporto per ricordare l’espressione usata dai sopravvissuti all’insurrezione del ghetto di Varsavia dopo le atrocità commesse dai nazisti.

Valorizzando la funzione del gruppo il regista mostra una strada percorribile che entusiasma e ribalta il pessimismo e l’impotenza del pensare di dover dare una risposta solitaria a un problema che è collettivo.

In questo modo Strassera compie il difficile passaggio dal personale, con le proprie problematiche e conflitti, all’assunzione di un compito sociale e pubblico, insieme ad altri. Altri che non erano neanche loro immuni da contraddizioni e conflitti. Moreno-Ocampo apparteneva a una famiglia di militari, sua madre, cattolica praticante, andava a messa tutte le domeniche nella stessa chiesa di Videla. A metà film Strassera e Moreno-Ocampo si confrontano in un’accesa discussione, il conflitto è vitale, non li paralizza. Il conflitto, con la doppia faccia di verità e drammaticità che nel film è colorata con un tipico humor argentino, tollera l’ironia, e si distende quando si valorizza la storia. Come quando l’amico anziano “saggio” di Strassera (un eccezionale Norman Briski), gli dice per incoraggiarlo: “Guarda Julio a volte succede che qualcuno si distrae, qualcosa può andare male e appare uno spazio, piccolo, una fessura che si apre e chiude molto velocemente.”

Effettivamente è quello che è successo in Argentina. La condanna all’ergastolo a Videla e Massera è stato un piccolo-grande momento: le pressioni repressive della dittatura continuarono attivamente durante i successivi governi democratici che facilmente colludevano o assecondavano le richieste dei militari. Ad ogni modo questo processo che condurrà alla condanna alle giunte militari da parte di un governo democratico costituisce un fatto senza precedenti nel mondo e il film ha il pregio di farci sentire la forte emozione che si prova quando vince la giustizia.

 

Le parole

La lingua italiana ha accolto nel suo vocabolario le parole Desaparecido e Nunca Más. Sono parole chiave di un’identità collettiva, che vanno oltre i confini geografici (come alcune date, 11 settembre, 25 aprile) e che rimangono ancorate a eventi precisi. Desaparecido e Nunca Más sono termini che provocano un brivido corporeo e una sensazione di stranezza perturbante, sono termini polisemici: il desaparecido è presente come qualcuno del quale non si è saputo nulla Nunca Más (mai più). Strassera conclude la sua arringa con Nunca Más, una sentenza che intenta segnalare la corrispondenza delle parole con gli atti compiuti per evitare la loro ripetizione. Non a caso il regista si sofferma a mostrarci com’è avvenuta la scrittura dell’arringa e la necessità del giudice di usare un linguaggio autentico e chiaro. L’arringa non è un testo teatrale nè un espediente retorico per cui comporta la cura delle parole: alcune vanno pulite, tolte le incrostazioni ingannevoli e i fanghi devianti, altre devono recuperare il loro peso specifico perché sono state usurate o svalutate e poi ci sono quelle nuove, dolorose, tracce di memoria individuale e sociale di una temporalità segnata. Gli aggettivi vanno a qualificare i fatti osservati, violenza feroz, clandestina y cobarde. Sequestrar torturar y matar, sono infinitivi di azioni compiute che vanno giudicate. La chiarezza vuole spiegazioni, con el gesto neroniano del pulgar hacia abajo. Infine la giustizia non ammette ambiguità: Al suprimirse el juicio si produce una verdadera subversión jurídica. Se sustituyó la denuncia por la violación, el interrogatorio por la tortura.

La canzone “Inconsciente collettivo”di Charly Garcia, alla fine del film,  non ci risparmia emozioni e parole. Una canzone permeata di psicoanalisi, che dà la possibilità di riconoscere positivamente un sentimento collettivo e andare avanti. 

Adriana Ramacciotti, Firenze

Centro Psicoanalitico di Firenze

Centro Veneto di Psicoanalisi,

adrianaramacciotti@gmail.com

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