Agostino Racalbuto: psicoanalista ponte.

di Gaetano Filocamo

Ringraziamo la famiglia per aver concesso questa bella fotografia di Agostino Racalbuto

“Clinicamente una paziente come quella descritta, mi ha dato l’opportunità di rendermi conto di quanto potesse essere difficile affrontare e risolvere il conflitto  edipico triangolare se l’esperienza narcisistica di base della diade originaria ha costituito un primo momento di difficile elaborazione psichica. […].

Si può così forse capire perché ogni analista dovrebbe essere in grado di regredire in maniera salutare con i propri pazienti, quando occorre e quando può,  a quei livelli indifferenziati, illusori ed onirici in cui l’esperienza del femminile materno originario – ai limiti del rappresentabile – incarna la non avvenuta separazione fra madre e padre, fra femminile e maschile. È in gioco quello sconfinamento dei limiti che, solo se ripresi all’interno di un Edipo strutturante, nella dialettica tra unione e separazione, potranno non far temere di perdersi nell’altro. E da lì entrare in dialettica con i confini definitori insuperabili della nostra identità di genere e allo stesso tempo con ciò che solo nel rapporto con l’altro,  e attraverso l’altro, in quanto differente da sé, si può conoscere e amare.”

(Dall’Aurora al tramonto: ai limiti del femminile. Racalbuto, 2004a)

Premessa

Lo scritto che propongo non è un lavoro critico sul pensiero teorico-clinico di Agostino Racalbuto. È, piuttosto, un tentativo di riportare all’attenzione alcuni concetti dell’autore, attraverso le sue stesse parole. Ho cercato di riprendere alcuni passaggi metapsicologici, riproponendoli così come lo stesso Agostino Racalbuto li aveva teorizzati.

Dopo averlo scritto quasi di getto, mi sono reso conto che era venuto fuori un elaborato dalla trama teorica in alcuni tratti forse eccessivamente incalzante. Ho deciso, però, di non modificare questo stile perché mi era sembrato richiamare, lo stile a volte articolato e complesso con cui Agostino Racalbuto scriveva.

Rileggendo i suoi scritti risalta la sua capacità di muoversi tra i diversi modelli teorici, riuscendo a volte a saltare da un costrutto ad un altro, creando elenchi di concetti giustapposti ma intimamente legati nel loro più profondo significato.

Ho deciso quindi di non modificare troppo questo stile nella speranza che, incuriosito, il lettore possa ritornare sui testi originali. È un tentativo da parte mia di recuperare un pensiero teorico-clinico che, come ci ricorda Marco La Scala (2009) nella Premessa al volume Le fonti dello psichico (2009) “ha portato un contributo storico alla psicoanalisi italiana […]. Esempio di come sia importante e possibile portare avanti lo sviluppo della teoria e della clinica psicoanalitiche, senza perdere il collegamento con le istituzioni fondamentali e i postulati di partenza dell’opera freudiana”.

Desidero, per finire, ringraziare Silvia Mondini e Costanza La Scala per i loro suggerimenti che ho cercato di cogliere per quanto più mi è stato possibile.

 

Buona lettura.

 

 

Tra Narciso ed Edipo

Chi decidesse di accostarsi agli scritti di Agostino Racalbuto, scoprirebbe un pensiero che nel suo articolarsi a tratti complesso, rivela un continuo tentativo di mettere insieme, di legare, di fare da ponte. Quel ponte che Racalbuto, fin dai suoi primi scritti, prefigura tra le immagini mitologiche di Narciso e di Edipo, quel ponte che lui stesso rappresenta, forte di un pensiero che è sempre un’integrazione, una complementarietà, un incontro tra elementi diversi e distinti. Incontro che, come sottolinea Stefano Bolognini (2016) in Al di là delle parole “non è un generico eclettismo, ma è capacità di contattare in modo autentico sia il padre che la madre; sia le fasi primarie dello sviluppo, […], sia i livelli più evoluti di significazione, di concettualizzazione, di verbalizzazione, di distinzione del Sé dal non-Sé.”

 

Un percorso teorico che nasce sulla fine degli anni ’70, e il cui manifesto suggerisco di ritracciarlo in uno dei suoi primi scritti: “Narciso ed Edipo: ovvero essere fino in fondo se stessi”. Lavoro nel quale mette in luce quella che pare essere “un evidente ed indispensabile collegamento fra Narciso ed Edipo” (Racalbuto, 1984), le due figure della mitologia che, a partire da Freud, hanno segnato la psicoanalisi. Narciso, ci ricorda Racalbuto, è nato dall’unione del dio del fiume Cefiso che ha avvolto e trattenuto nelle sue spire l’azzurra ninfa delle acque Liriope. Quest’ultima interroga Tiresia, il quale profetizza che il figlio vivrà fino a tarda età purché non conosca mai sé stesso.

Accade, invece, che egli finisca per vedere la sua immagine riflessa nelle acque e che da tale visione capisca come l’amore gli veniva al tempo concesso e negato, ed egli si struggeva per il dolore e insieme godeva del suo tormento. Fino ad allora Narciso, immerso tra gli innumerevoli amori omo ed eterosessuali, viveva disconoscendo a sé stesso il sentimento della propria finitezza, immerso come era nel paradiso del narcisismo primario. Egli si nutriva dell’onnipotenza che tale narcisismo offre, nel diniego della separazione e dell’alterità indifferente all’amore altrui, impenetrabile alle emozioni, incapace di ricreare il proprio sé attraverso l’altro. Intriso di tanta onnipotenza che decide di togliersi la vita pur di preservare fino in fondo sé stesso di fronte al crinale della consapevolezza. Narciso è l’esempio di colui che non riesce a reggere il peso di una nuova condizione, incapace di operare un cambiamento, di fornire l’impronta libidico-emotiva della vita alla propria esistenza. Specchiarsi nell’acqua avrebbe potuto permettere a Narciso la costruzione di una propria identità di base, l’uscita dalla simbiosi verso un processo di separazione-individuazione. Processo che è, però, reso difficile se non impossibile, dalla mancanza della figura paterna. “Infatti il padre non è solo una figura carente, assente, ma anche indifferenziata rispetto alla madre; il concepimento di Narciso avviene nel rapporto tra acqua (nelle cui sembianze Cefiso violava la madre) e acqua (la ninfa delle acque Liriope)” (Racalbuto, 1984).

L’incapacità che vive Narciso di non poter amare nient’ altro che sé stesso riflesso, ci dice come egli non abbia raggiunto quella fase dell’amore genitale, in cui il superamento del rapporto simbiotico con la madre e il superamento della rivalità col padre assumono il ruolo di conditio sine qua non.

Perché la madre possa permettere che il proprio rapporto col figlio si “incrini” (Racalbuto, 1988) è necessario che lei abbia sufficiente “tolleranza” (Racalbuto, 1995) per i propri bisogni di amante, riconoscendoli e anteponendoli, nei giusti modi, all’immersione simbiotica che le cure del figlio comportano. Dovrà ritrovarsi nel suo ruolo di donna che è anche mamma, ma non solo. Ciò le permetterà di mantenere mentalmente la figura del marito, il quale, a sua volta, dovrà immettersi con la propria reale presenza, all’interno del rapporto madre-bambino, segnando così il passaggio da diade a triade.

Il “maschile” (Racalbuto, 2004b) si presenta, allora, come elemento terzo, distinto, “non-posseduto” (ibidem), costituente la scena primaria, dalla quale il bambino sarà inevitabilmente escluso, e che rappresenta la capacità generativa, come incontro tra elementi distinti e differenziati.

L’eventuale “intolleranza” (Racalbuto, 1994a) materna rispetto al funzionamento psichico retto attorno alla dialettica sé-altro, potrebbe essere responsabile della formazione di una scarsa propensione da parte del bambino verso tutto ciò che è portatore di alterità e quindi di cambiamento. Mancherebbe, insomma, quella “spontanea apertura fiduciosa al mondo” (ibidem) che rende intollerante l’esperienza col diverso, visto difensivamente come portatore di un linguaggio diverso, assolutamente inascoltabile.

Nulla di diverso, si avrebbe qualora il bambino facesse esperienza di un “paterno” narcisisticamente ferito, alla ricerca di un figlio identico a sé, che consenta attraverso “identificazioni mimetiche” (ibidem) l’istaurarsi di un sistema relazionale come regno dell’intolleranza alle diversità.

In questi casi si è di fronte a quella che Racalbuto (2005b) definisce una sorta di “globalizzazione narcisistica dell’Edipo non risolto”, laddove a mancare sarà il riconoscimento affettivo della triangolarità, figlio di una difficoltà a risolvere appieno le dinamiche edipiche. Narciso non si incontrerà con Edipo, egli dovrà sostare sulle rive del fiume, che instancabilmente non potrà far altro che riflettergli la stessa “identica” immagine.

A fronte di una tale identità, individuale e gruppale, deficitaria si svilupperà come forma compensatoria il “mito dell’Unità assoluta” (Racalbuto, 1994a), in nome del quale sarà ricercato un mondo ideale omogeneo e conformato, intollerante rispetto all’estraneo, vissuto come entità inaccettabile, in quanto perturbane i fragili equilibri psichici. Decadrebbe, allora, la visione di Eraclito, secondo cui “la guerra degli opposti è la più alta delle giustizie (…), (e) la pace degli opposti è lo spegnimento del soffio vitale”; a favore di un dogmatismo religioso strutturato attorno ad un “narcisismo che cerca l’autoaffermazione” (Freud, 1922), narcisismo teso cioè a rimpolpare un’identità altrimenti precaria. “Il superuomo di Nietzsche, l’individualismo “singolarista” di Kierkegaard, l’intuizionismo “dualista” di Bergson, (…) l’etica di S.Agostino e del cristianesimo (…): non sono entrati nel merito della necessità che ha l’uomo di assumersi “dentro” e trascendere l’antitesi fra soggetto-oggetto, tollerandone la contrapposizione” (Racalbuto, 1994a).

Su queste fondamenta, nelle epoche storiche, si sono fondati regimi totalitari, espressione sociale dell’intolleranza rispetto all’altro da sé, portatore di un pensiero diverso, reso inaccettabile da un bisogno di “consumare” il potere, un potere-fallo narcisisticamente ricercato, che non può permettere alcun confronto tra le parti. La politica conseguente non può essere quella democratica, ma una “politica del consenso” (Racalbuto, 1997), dove il leader parla e tutti gli altri stanno ad ascoltarlo.

 

Sul Preconscio

L’assunzione di differenza tra soggetto e oggetto e tra me e non-me, implica sul piano intrapsichico la distinzione tra inconscio e conscio, all’interno di un funzionamento psichico che vede nel preconscio quella zona di mezzo che permette la comunicazione tra le due istanze.

È il preconscio, infatti, nella sua veste di “interprete” (Racalbuto, 2005a) a comprendere, assimilare e tradurre la lingua straniera che l’altro da sé, porta all’interno della relazione soggetto-oggetto. Lungo questo vettore interpersonale, il “Caronte della mediazione” (ibidem), non può far altro che operare, contemporaneamente, ad un livello intrapsichico, che metta in contatto la componente affettiva, sensoriale inconscia, gli affetti-sensazione (Racalbuto, 1994b), con le rappresentazioni che popolano il sistema conscio e di cui il soggetto ha consapevolezza. A questa capacità preconscia di attingere ai contenuti inconsci, per dar forma e intelligibilità all’esperienza presente; se ne unisce una seconda, che si potrebbe definire paraeccitatoria, nei termini in cui ad essa venga riconosciuta la possibilità di isolare i ricordi del passato. Questa capacità, il cui funzionamento non può che dipendere da un adeguato vettore rimotivo, permette al preconscio di “concentrarsi su ciò che preme alla psiche per essere elaborato” (ibidem), senza che lo spazio psichico sia invaso dai dati sensoriali pregressi.

La zona di confine inconscio-preconscio, continua Racalbuto, permette di attingere a quel nucleo carico affettivamente che è il motore e l’essenza dell’essere umano, che gli permette di attribuire una coloritura libidica alla vita, che dà, direbbe Ogden (2001), significato all’ “essere vivo”. Questo nucleo, luogo natale del sogno e della creatività, non può e non deve essere letto solo nei termini biologici del contatto corpo-mente, l’esigenza di lavoro che si impone alla psiche, per dirla con Freud; esso risentirà, infatti, di quei primi contatti soggetto-oggetto, che rappresentano il luogo originario del funzionamento psichico e che sottoforma di tracce mnestiche inconsce, appartengono alla storia personale di ogni individuo. Ogni comunicazione che voglia definirsi psicoanalitica non è tale se non ha preso contatto, nell’avant coup, con questa zona primordiale, affettivo-sensoriale, luogo psichico in cui risiede quell’intelligenza emotiva che trova sbocco, scrive Racalbuto: “in un’esperienza affettiva ricca, in un’intuizione felice, in una trovata geniale, in una preziosa, profonda e feconda conversazione fra persone, in un’ispirata interpretazione psicoanalitica; e questo succede come se tutto ciò provenisse dal nulla, senza che apparentemente possiamo scoprirne, cioè coglierne, l’origine, quell’origine che pure esiste” (Racalbuto, 2004). La scoperta dell’inconscio e la sua progressiva affermazione a livello sociale, hanno reso sempre più enigmatico quello spazio che si interpone tra il mondo della consapevolezza e quello del non conosciuto. I soggetti sono stati chiamati a tollerare la presenza nel proprio intimo di una zona inconscia che è costitutiva il proprio sé, Winnicott forse aggiungerebbe il vero-sé.

Racalbuto ritrova nel funzionamento preconscio, quel “qualcosa” capace di rendere tollerabile questo spazio ignoto, che lo occupi, permettendo, quindi, la creazione di un linguaggio che sappia e non sappia quello che dice, che permetta la rimozione e il ritorno del rimosso, che regoli la relazione Sé-altro, che investa e disinvesta gli oggetti, che apra la strada che dalle tracce mnestiche inconsce, conduce alla verbalizzazione. Quel preconscio che è stato il punto di partenza e il punto d’arrivo dell’autore, quel preconscio già descritto in uno dei suoi primi lavori[1] e visto come elemento indispensabile per una “posizione mentale creativa” (Racalbuto, 1982), responsabile nella costituzione di “rapporto armonioso, dialettico e libero della persona con sé e con l’altro da sé” (ibidem).

Quel preconscio che è ponte tra inconscio e conscio, come ponte è stato Racalbuto, tra le sponde di modelli pur sempre integrabili.

 

 

Bibliografia

 

Bolognini S. (2016), Presentazione. In Al di là delle parole, la cura nel pensiero di Agostino Racalbuto (Maria Vittoria Costantini, Maria Pierri, a cura di). Franco Angeli

Ogden T. H (2001), Conversazioni al confine del sogno. Astrolabio, Roma, 2003.

Freud S. (1922) L’Io e l’Es. OSF vol. 9

La Scala M., (2009), Premessa, Riconquistare per possedere. In Le fonti dello psichico, a partire dal pensiero di Agostino Racalbuto (Marco La Scala, Enrico Mangini, a cura di). Borla, Roma.

Racalbuto A. (1982) L’assente e il presente, l’antico e il nuovo, l’identico e il diverso. (coll. D. Morano). Gli Argonauti, 4(15), pp. 315-330.

Racalbuto A. (1984) Narciso e Edipo: ovvero essere fino in fondo se stessi. Gli Argonauti, 23, pp.309-318.

Racalbuto A. (1988) Le incrinature simboliche della seduzione. Gli argonauti, 3(38), pp.185-197.

Racalbuto A. (1994a) A proposito di tolleranza e di intolleranza. Psiche, vol. 2.

Racalbuto A. (1994b) Tra il fare e il dire. Raffaello Cortina Editore, Milano.

Racalbuto A. (1995) Tolleranza e astinenza (coll.G.Giaconia). In Tolleranza e intolleranza (coll. G. Sacerdoti, a cura di). Torino, Bollati Boringhieri.

Racalbuto A. (1997) Psicoanalisi e democrazia del pensiero fra differenza, indifferenza e differimento. In: Differenza, indifferenza, differimento ( coll G. Sacerdoti, a cura di). Milano, Dunod.

Racalbuto, A. (2004a) Dall’Aurora al tramonto: ai limiti del femminile. In Al cuore si comanda? (Maria Pierri a cura di). Roma , Borla.

Racalbuto, A. (2004) L’isteria e i “tempi” del trauma. In Isteria (C. Albarella, A. Racalbuto a cura di). Roma , Borla.

Racalbuto, A. (2005a) Trasformazioni personali e società. Gli argonauti, 105, pp. 97-116.

Racalbuto, A. (2005b) I “disagi” della civiltà. Rivista di Psicoanalisi, 51 (1), pp. 11-15

 

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NOTA

[1] Racalbuto A. (1982) L’assente e il presente, l’antico e il nuovo, l’identico e il diverso (coll. D. Morano). Gli Argonauti, 4(15), pp.315-330

Gaetano Filocamo, Padova

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