Il setting e la clinica psicologica in ospedale

di Dott.ssa Paola Dondi

Tratterò il tema assegnatomi facendo riferimento all’esperienza clinica maturata in Ospedale nell’affiancamento dei medici somatisti nell’incontro con l’evento malattia, esperienza che ho iniziato, dopo una prima parte di lavoro in ambito territoriale (CSM).

La Dr.ssa Volpe ha già ben definito la complessità dell’Istituzione ospedaliera e la sua organizzazione, e il terreno simbolico-culturale nel quale gli psicologi si vengono a trovare. Aggiungerei che quando, come sempre più di frequente negli ospedali ad alta intensità di cura, le tecnologie più sofisticate intervengono sul soma sospendendo temporaneamente, trasformando o giungendo a sostituire organi e funzioni a scopo salvifico, ci troviamo di fronte a qualcosa di impensabile, ad esperienze che non sono esplorabili con il solo uso della coscienza.

Dobbiamo quindi considerare che gli aspetti senso percettivi corporei, elicitati da qualunque evento mutativo e traumatico, sono sempre in stretto rapporto ad eventi di natura emozionale, che traggono la loro origine nell’inscindibile ed inestricabile intreccio tra psichico e somatico. Se tale intreccio non viene riconosciuto, incontriamo il traumatismo.

È attraverso il riconoscimento dell’esperienza emozionale (madre del pensiero, evento cerniera tra psichico e somatico; Matte-Blanco I., 1975), che possiamo dare senso a ciò che il malato prova ed aiutarlo a rendere pensabile ciò che prima non era rappresentato. Questo passaggio non è legato ad alcun processo interpretativo poiché non siamo di fronte ad un conflitto rimosso il cui contenuto simbolico deve essere disvelato ma alla dimensione concreta della malattia, ad un’esperienza traumatica individuabile nell’impotenza dell’Io che produce una disarticolazione somato-affettiva degli equilibri preesistenti. L’attività del mondo interno nel corso di esperienze di sofferenza globale, legate a gravi alterazioni dello stato di salute, chiede di essere riconosciuta in quanto può condurre l’individuo a rivivere condizioni dolorose proprie di antecedenti e arcaici stati maturativi raggiunti durante lo sviluppo (la fase di integrazione-costitutiva del Sé, Scoppola L., 2005, 2011; Gaddini E.,1989).

Gaddini (1984) definisce OMB (Organizzazione Mentale di Base) l’organizzazione della mente infantile nel suo divenire ove le arcaiche esperienze frammentarie, i nuclei senso-motori isolati e gli apprendimenti legati all’esperienza sensoriale realizzano un ordinamento gruppale (“gruppalità interna”; Bion W.), di cui l’individuo dispone fino al costituirsi di un sé separato. L’OMB ha una natura inconscia e non può andare incontro a rimozione (Mancia M., 2004). Edelman sottolinea che il neonato non pensa la propria esperienza, la vive come questa si pone nella sua realtà percettiva.

La Psicologia clinica ospedaliera è una psicologia della complessità. L’identità del professionista deve trovare un forte ancoraggio nella matrice identitaria. Essa si fonda sulla capacità di stare nella relazione con il malato ed esercitare una funzione psicologica che può anche includere l’utilizzo di tecniche, contestualizzate alle diverse specificità dei setting ospedalieri, per lenire, contenere e, quando possibile, superare la condizione dolorosa globale (spesso conseguente alla rottura somato-psichica).

Il passaggio dal setting tradizionale psicologico/psicoterapeutico al setting ospedaliero/psicosomatico rappresenta una condizione che sposta immediatamente il professionista ad un ascolto che riguarda la condizione dolorosa globale, ovvero un disagio generalizzato. Tale passaggio è in prima istanza culturale: avviene nell’accettazione di una prospettiva osservazionale modificata sulla base del diverso accesso del paziente e della richiesta di cura.

La malattia somatica

L’esperienza di malattia è legata alla sensazione di “mutamento” del proprio esistere. Essa si traduce in una trasformazione del modo di essere: la persona ha l’impressione di avere dentro di sé una realtà diversa da quella propria. Si trasforma la relazione con il mondo esterno, muta il rapporto con le persone e gli oggetti, il progetto quotidiano di vita cambia o si annulla. Tutto questo conduce spesso il malato ad ansietà, dubbi e delusioni e ad una situazione di incerto riconoscimento della propria identità.

L’esperienza della malattia non può essere distinta tra evento somatico, evento mentale, evento intersoggettivo perché si presenta allo stesso tempo nei termini di una totale indistinguibilità. La persona malata vive una esperienza unica indivisibile e indistinguibile nell’esperienza nello spazio e nel tempo anche se all’individuo è consentito distinguere diversi aspetti della realtà.

Esiste una corrispondenza di modelli paralleli che permette di leggere il mentale attraverso il biologico. 

Ritrovarsi e riconoscersi nelle relazioni come nelle esperienze quotidiane può diventare difficoltoso e precario. Lo stretto legame tra vicissitudini di salute e perdite o ritrovamento della propria identità è sconcertante e spesso confusivo. Bion sottolinea che il rapporto tra malattia e morte è inevitabilmente un rapporto tra malattia e vita che si ripropone alla nostra attenzione in un ascolto profondo.

La malattia, soprattutto in fase avanzata, viene trattata in un’ottica più ampia che tiene in considerazione la co-presenza di varie modalità di livello di funzionamento dell’apparato psichico.

 

La malattia: aree lacunari del Sé

La maturazione del Sé (processo di integrazione) anche se ha seguito uno sviluppo naturale, ha lasciato qua e là delle aree del Sé più fragili, incomplete e prive di relazioni conoscitive del tipo “sensazione-percezione-emozione-pensiero”. Ciononostante le funzioni dell’Io, relative alle parti sane del Sé, vanno incontro ad integrazione, adeguamento e funzionamento.

Le aree di sofferenza lacunare del Sé rappresentano l’esperienza dolorosa del neonato quando vive una dimensione sensoriale, che si connota di stati affettivi legati alla separatezza e alla solitudine abbandonica (loneliness, Model A.H. “Deprivate self”, 1993).

Poiché le aree lacunari non possono andare incontro ad un’elaborazione e rimangono depositate nelle memorie somatiche/implicite (“inconscio non rimosso”, Mancia M.), esse non sono identificabili attraverso le parole del paziente, ma soltanto attraverso il così detto “linguaggio privato” (lamento, pianto, attività muscolare, attivazione neurosensoriale, etc) che deve essere riconosciuto nell’incontro.

 

L’impatto traumatico della malattia:

tra “regressione” e disorganizzazione progressiva

Ritengo che la clinica psicologica in ambito ospedaliero debba riconoscere la distinzione tra sofferenza mentale primitiva e disarticolazione psicotica. L’esperienza di malattia somatica ripropone all’individuo esperienze di estrema precarietà che sono state presenti all’inizio della vita (in tutti gli essere umani) in una pressoché indistinguibilità tra somatico e psichico.

La persona malata, con il suo vissuto traumatico, può scivolare verso modalità di funzionamento mentale primitive fino alla comparsa di sintomi di panico organismico (differente dall’attacco di panico), che vanno riconosciuti come espressione della condizione di malattia (compatibili con D. Adattamento) e non una psicopatologia.

Il malato si trova già in una condizione comunemente chiamata “regressione”, ma che in realtà è di limitazione, riduzione del suo spazio di movimento, sospensione delle sue routine di vita e affidamento di se stesso ad altri. È solitamente un quadro limitato nel tempo a partire dal quale c’è la possibilità di una riorganizzazione, ad esempio quando le cure ospedaliere nella loro oggettività e ripetizione fungono da rassicurazione e contenimento delle angosce.

Pertanto, più che non lavorare su questa condizione oggettiva di dipendenza, funzionale alla cura, si tratta di lavorare per evitare al malato il rischio di scivolare verso una disorganizzazione progressiva. Tale disorganizzazione può annunciarsi a fronte di eventi intercorrenti negativi come la protrazione del ricovero, le complicanze, l’aggravamento e la perdita della capacità di infuturazione. Ciò attiva per l‘effetto cerniera e sull’asse sensazione-percezione-emozione-pensiero, esperienze penose di solitudine e di separatezza di fronte alle quali la mente può arrestarsi.

 

Lo psicologo nei setting ospedalieri

Il riconoscimento al malato della capacità, del diritto e della libertà di pensare se stesso e la propria condizione personale è il fulcro di qualsiasi intervento psicologico-clinico.

Il riconoscimento del suo bisogno, ancora prima del suo desiderio, non è una proposta irreale e ridondante, ma indispensabile alla strategia di gestione dei rapporti esistenti tra il personale sanitario ed il malato.

È una tappa obbligatoria e indifferibile di un percorso di conoscenza che attraversa la realtà del mondo interno e del vissuto del malato.

 

Quali sono i setting?

I setting sono molteplici, in quanto sono in rapporto con l’identificazione di quale sia il livello mentale del paziente che andiamo ad incontrare nelle diverse situazioni contestuali (letto nella stanza, sala dialitica, ambulatorio, stanza riunioni, acquario/open space, palestra riabilitativa, corridoio, ecc. e talvolta in presenza di altri pazienti).

 

Setting ospedalieri e livelli di funzionamento della mente

Il setting deve essere corrispondente al livello della mente del paziente ovvero compatibile con il grado di mentalizzazione di cui dispone il malato al momento dell’incontro.

La corrispondenza è il fondamentale passaggio di un processo trasformativo e favorisce la costruzione-ricostruzione del mondo interno del paziente. 

 

L’incontro con gli stati di sofferenza non rappresentata

L’area lacunare non è esplorabile dall’interno ma solo attraverso il suo perimetro, non può essere descritta con le parole e si riesce a identificare se il paziente scende di livello. Cogliamo tali passaggi attraverso dei segnali quali: la destrutturazione del linguaggio, l’alterazione del tono, della prosodia, la comparsa di mimica, l’interruzione del linguaggio, l’alterazione della postura, la disorganizzazione del ritmo respiratorio ecc.

In questi casi il lavoro terapeutico è rappresentato dalla capacità di porsi in una relazione di ascolto globale e in attesa, anche tollerando la sensazione di non capire. Andare verso contenuti magmatici spesso significa non capire poiché ci si avvicina al livello dell’inconscio che è il regno dell’irrazionale con tutte le sue qualità, quali pars pro toto, trasformazione nel contrario, relazioni simmetriche, tipiche dell’inconscio non rimosso. Le caratteristiche delle relazioni simmetriche sono: l’atemporalità, l’aspazialità, la gruppalità e la l’indistinguibilità individuo-gruppo.

 

Lavorare intorno al perimetro dell’area lacunare significa instaurare una qualità di relazione vivida mettendo in gioco la propria persona e utilizzando come sonar il rapporto transfert-controtransfert.

Ciò apre la possibilità di una ritrascrizione, nell’hic et nunc dell’incontro della sofferenza precoce in rapporto all’evento di malattia, tramite un lavoro empatico di riconoscimento del dolore legato alla penosa condizione di solitudine/separatezza.

 

 

 

Relazione con il paziente

Come fare per aiutare il paziente in questi stati di malattia grave, come favorire il processo di mantalizzazione? Ritengo si debba riconsiderare il ruolo del preconscio nella relazione transferale.

 

Preconscio:

struttura che permette di mantenere il rapporto tra affettività e pensiero.

Comprende gli elementi della psiche che possono giungere alla coscienza, ai quali il terapeuta può accedere poiché non sono andati incontro a censura, essendo più in contatto con il principio di realtà.

Il terapeuta mette a disposizione dell’altro le proprie rappresentazioni più solide, articolate, ovvero effettua il “prestito” del preconscio (Covello L., IPSO Parigi) Egli, nell’ambito di un rapporto terapeutico che ha un tempo, mette a disposizione del malato le proprie rappresentazioni più ricche, articolate e legate a significati relazionali, non impoverite dall’esperienza di malattia. 

La funzione di traduzione

Occorre identificare un codice di lettura (Bucci W., 1997; Scoppola L., 2011) adeguato a tradurre in parole l’esperienza di dolore e di sofferenza più o meno generalizzata a tutte le aree del corpomente. È possibile affermare che il clinico si allena a trasferire agli operatori sanitari con cui lavora i contenuti spesso comunicati in termini non verbali e captati tramite l’attivazione del nostro registro sensoriale.

Il clinico filtra tali contenuti e sviluppa un’elaborazione di senso (accedendo alle proprie rappresentazioni interne), comunicando soltanto ciò che è utile in quel momento per aiutare il paziente.

Traduzione significa trasferire da un linguaggio all’altro gli aspetti di quella bisognosità, che fa riferimento agli elementi destrutturati dello stato mentale del paziente che cercano un luogo preciso ove collocarsi e le parole per essere rappresentati.

Lo psicologo trova le parole e attiva il pensiero per portare all’attenzione del team curante le necessità emerse. Tale funzione terapeutica viene a ridurre la condizione di penosa solitudine, separatezza e abbandono.

L’esperienza clinica ci permette di affermare che se il malato permane in tale situazione, aumenta il rischio di un viraggio da una condizione di regressione ad una disorganizzazione progressiva, ostativa sui processi di riparazione, trasformazione ed evoluzione.

Tale intervento è possibile direttamente sul paziente, se responsivo, o attraverso le figure dell’entourage familiare che sviluppano l’assistenza in ospedale (esercitano funzioni vicarianti la mente del paziente).

 

Il preconscio del terapeuta

Spesso gli psicologi che iniziano a lavorare in contesti ospedalieri si interrogano su come ci si sente quando si attinge alla propria dimensione preconscia. È uno stato di non attivazione ad agire, di non pressione ad intervenire, di non ricerca. Possiamo descriverla come una condizione di benessere in ascolto, come di “poter galleggiare, di poter fluttuare” (Bolognini S., 2019), di potersi fidare di Sé e dell’ambiente, di potersi affidare ad una fluidità a cogliere le nostre rappresentazioni per come si presentano nell’hic et nunc dell’incontro. L’istituzione, intesa come il livello dell’organizzazione nel quale ci si trova, entra nel preconscio.

 

Rottura mente-corpo e il rapporto con l’istituzione

Quando si tratta di avvicinarsi alla rottura/discontinuità mente-corpo, il lavoro psicologico incontra una difficoltà particolare a poter essere descritto all’interno dei protocolli e delle linee guida che richiedono un tipo di codifica descrittiva sintetica. È contenuto specifico del nostro lavoro includere lo stabilire e il rendere possibile un movimento di “attaccamento”.

 

COME FARE?

Mettersi in contatto con il paziente su questi registri significa contrastare il rischio di una disorganizzazione progressiva verso la ripresa di un livello di regolazione più alto.

Ripristinare la sicurezza attraverso la rassicurazione, tesa a lenire le esperienze penose di solitudine e di separatezza di fronte alle quali la mente può arrestarsi, entrano a far parte dell’intervento psicologico.

Mobilizzare il pensiero favorisce la contestualizzazione e circoscrizione dell’esperienza dolorosa.

Lenire l’angoscia e costruire uno spazio vivibile attraverso la messa in campo della relazione transferale (trasformazione nel qui ed ora).

 

Il Servizio di Psicologia: limite strutturante della complessità

Gruppalità e lavoro multidisciplinare

Nell’immagine che segue troviamo una rappresentazione di come la funzione psicologica esercitata nei setting ospedalieri, per potersi dispiegare, ha bisogno di un contenitore stabile (setting allargato) nell’ambito del quale il S. di Psicologia rappresenta un luogo mentale oltre che il luogo fisico della sua collocazione. Svolge quella che Ballerini e Berti Ceroni (1986) hanno definito la funzione di “porto”, ovvero lo stazionamento, il ristoro e il riapprovvigionamento delle energie mentali.

 

Contenimento della rottura mente-corpo

Se il gruppo di lavoro dispone di un limite, si differenzia per entrare in rapporto con l’Istituzione. Sappiamo che lo psicologo non può lavorare da solo nel contesto ospedaliero in quanto il complesso lavoro di sintonizzazione ambientale chiama in causa la questione della multidisciplinarietà. Il lavoro in team nei diversi campi di cura include non solo pazienti ed operatori ma, quando necessario, anche i familiari-caregiver. Ciò rappresenta una specificità del lavoro in ambito psicosomatico in quanto è passaggio fondamentale per orientare non solo l’intervento biologico ma anche il “clima affettivo” e relazionale, intorno alla persona e renderlo più sintonico ai suoi bisogni.

L’integrazione dei diversi livelli di cura viene introiettata dal paziente e ciò gli consente una risignificazione più sostenibile del disagio: rappresenta il tessuto connettivo nell’ambito del quale può avvenire il lenimento e la riparazione di tale disagio. 

 

Intervento psicologico nel contesto multidisciplinare:

L’articolazione della clinica in ambito ospedaliero

Come si è già affermato, la dimensione organizzata del Servizio rappresenta un limite strutturante, un’interfaccia tra la clinica e l’organizzazione.

Il S. di Psicologia deve essere in grado di disporre prestazioni e percorsi differenti, tenendo conto dei bisogni del paziente, delle sue possibilità, dei livelli di funzionamento che è prevalentemente in grado di utilizzare nelle more delle normative sanitarie attualmente vigenti (applicazione dei nuovi LEA, PDTA, protocolli, ecc.).

La presa in carico va dal setting al letto del paziente, fino a setting strutturati focalizzati, sia individuali che gruppali:

  • Setting di consultazione e valutazione psicodiagnostica e neuropsicologica.
  • Psicoterapia individuale/gruppale ad orientamento psicosomatico. L’identità professionale fondata sulla clinica che si esprime all’intero di tale limite è alla base della possibilità di lavorare in un Ospedale generale codificato sul paradigma medico.
  • La visione dello sviluppo della funzione psicologica in Ospedale implica un governo continuo dei rapporti tra l’atto terapeutico e l’organizzazione: il S. di Psicologia supera l’impostazione della funzione “duale” e rende esplicita la visione del gruppo di lavoro come agente di trasformazione dell’organizzazione stessa.
  • Tale cambiamento di paradigma è possibile attraverso l’acquisizione interiorizzata di una cultura in ambito psicosomatico capace di dialogare con i diversi specialisti coinvolti nei percorsi di cura, rendere esplicita, ovvero disambiguare, la funzione psicologica di traduzione.
  • Trattamento psicoterapeutico di gruppo su popolazioni target (individui che hanno subito un intervento di chirurgia bariatrica, disturbi del comportamento alimentare, obesità, ecc.).
  • Trattamenti di natura preventiva finalizzata al miglioramento degli stili di vita.
  • Trattamenti focalizzati con uso di tecniche sulla base delle competenze rappresentate nel gruppo di lavoro (rilassamento, ipnosi, mindfulness, EMDR, VIC, biofeedback, ecc.).
  • Interventi psicoeducativi per i familiari/caregiver di pazienti affettivi da malattie croniche (demenza, parkinson, diabete, ecc.).

 

Conclusioni

Gli interventi psicologico clinici che incontrano il livello della complessità esperienziale descritta, hanno bisogno di un’organizzazione gestionale incastonata nell’organigramma aziendale. L’attività degli psicologi incontra e si affaccia sul limitare dell’inconoscibile poiché ripropone ai sanitari il tema della ricomposizione dell’integrità mente corpo che, per potersi dispiegare, deve includere l’accoglimento della dimensione emotivo-affettiva che l’Istituzione tende ad evitare.

La capacità di fornire percorsi codificati, riproducibili e sottoponibili ad evidenza, apre il tema dell’appropriatezza, dell’efficacia e della qualità dei percorsi psicologici in Ospedale.

Siamo all’apice di un cambiamento culturale che include a pieno titolo gli psicologi nel mondo sanitario (Decreto Lorenzin, Legge 3/2018).

L’esperienza maturata nel corso degli anni dai numerosi colleghi che hanno lavorato e lavorano in ambito ospedaliero, concorda nel ritenere che mantenere e valorizzare le funzioni psicologiche all’interno dell’Istituzione ospedaliera sia un obiettivo perseguibile soltanto attraverso la gruppalità.

 

Epistemologia della sofferenza somatica

Di seguito, alcuni passaggi che mi sono stati utili nell’incontro con il malto in Ospedale.

 

Freud: “Inconscio strutturale non rimosso”.

Marty: “Pensiero concreto e pensiero operatorio”.

Winnicott: “Funzione materna, accoglimento e dilemma psicosomatico”.

Bion: “Livello protomentale del gruppo e sintomi psicosomatici”.

Gaddini: “Imitare per percepire, imitare per essere”.

Matte Blanco: “Le simmetrie dell’inconscio: pensare, sentire, essere”.

P.C. Racamier: “Al di là della scissione”.

Mancia: “Memorie implicite”.

Rizzolatti e Gallese: “Neuroscienze e neuroni specchio”.

Fonagy: “Attaccamenti precoci e mentalizzazione”.

Scoppola: “L’ascolto e la sofferenza lacunare del Sé”.

 

BIBLIOGRAFIA

Ballerini A., Berti Ceroni G. (1986), Interventi combinati e gruppo di lavoro in psichiatria, in Strumenti conoscitivi per la nuova assistenza psichiatrica, a cura di Ammaniti M., Antonucci F., Luoni G., Borla, Città di Castello.

Bion W.R. (1961), Esperienze nei gruppi, Armando, Roma.

Bolognini S. (2019), Flussi vitali tra Sé e Non-Sé, Raffaello Cortina, Milano.

Bucci W. (1997), Psychoanalysis and Cognitive Science: A Multiple Code Theory. Guilford Press.

Deutsch F. (1975), Il “Misteriosi salto” dalla mente al corpo, Martinelli Editore, Firenze.

Freud S. (1976), L’inconscio, in Opere, vol. 8, Boringhieri, Torino.

Fonagy P., Gergely G., Jurist E.L., Target M. (2005), Regolazione affettiva, mentalizzazione e sviluppo del sé, Raffaello Cortina, Milano.

Gaddini E. (1989), Scritti 1953-1985, Raffaello Cortina, Milano.

Mancia M. (2004), Sentire le parole. Archivi sonori della memoria implicita e musicalità del transfert, Bollati Boringhieri, Torino.

Marty P., De M’Uzan M., David C. (1971), L’indagine psicosomatica, Bollati Boringhieri, Torino.

Matte Blanco I. (1975), L’inconscio come insiemi infiniti, Einaudi, Torino.

Matte Blanco I. (1988), Pensare, sentire, essere, Einaudi, Torino.

Racamier P.C. (1993), Il genio delle origini, Raffaello Cortina, Milano.

Rizzolatti G., Gadiga G., Gallese V., Fogassi L. (1996), Premotor cortex and the recognition of motor actions, Cong. Brain Res., 3131, p. 141.

Scoppola L. (2005), L’esperienza di essere Sé, Franco Angeli, Milano.

Scoppola L. (2011), La parola non trovata, Franco Angeli, Milano.

Winnicott D.W. (1957), Il contributo dell’osservazione diretta del bambino alla psicoanalisi, in Bonamino V., Iaccarino B (a cura di.).

 

Paola Dondi, Modena

Dirigente Psicologo.Servizio Psicologia Az.Ospedaliera-universitaria.modena

paoladondi.pd@gmail.com

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