Temporalizzazione e situazione antropologica fondamentale

di Alberto Luchetti

(Padova), Membro Ordinario con Funzioni di Training della Società Psicoanalitica Italiana.

*Per citare questo articolo:

Luchetti A., (2024). Temporalizzazione e situazione antropologica fondamentale, KnotGarden 2024/3, Centro Veneto di Psicoanalisi, pp. 75-98.

Per una lettura più agile e per ulteriori riferimenti di pagina si consiglia di scaricare la Rivista in formato PDF.

Il testo è essenzialmente basato sui lavori di Jean Laplanche menzionati in bibliografia, ai quali si rimanda per un più esauriente approfondimento.

Trattandosi di tempo, perché non fissare comunque una cronologia, una data particolare? È il 1895, e per essere più precisi, tra il maggio e il dicembre. E per indicare qualche riferimento spaziale, possiamo delineare una sorta di triangolo: Londra, Parigi e Vienna.

Londra, 28 maggio 1895: per i tipi della William Heinemann (preceduta di tre settimane dalla Henry Holt & Co. di New York), esce The Time Machine, La Macchina del Tempo, con cui lo scrittore britannico Herbert G. Wells inaugura il viaggio nel tempo, che tanta fortuna avrà successivamente, non solo nella fantascienza (Davies, 2002). Un macchinario di nichel, quarzo e avorio (Wells, 1895, 13) permette al protagonista di inoltrarsi nel lontano futuro…

Parigi, 28 dicembre 1895: i fratelli Auguste e Louis Lumière al Salon indien du Grand Café, al 16 di boulevard des Capucines, proiettano per la prima volta in pubblico, per soli trentatré spettatori paganti, i primi film girati con il loro macchinario brevettato nel febbraio dello stesso anno come «Cinématographe Lumière»: «una macchina [appareil] che permette di raccogliere, mediante delle serie di foto istantanee, tutti i movimenti che, durante un dato tempo, si sono succeduti davanti all’obiettivo e di riprodurre poi questi movimenti proiettando, a grandezza naturale, davanti ad un’intera sala, le loro immagini su uno schermo». Un’altra macchina del tempo, non solo per la possibilità di catturare il tempo e trasferirlo altrove, conducendo figurativamente e percettivamente in un altrove spaziotemporale, ma, come osservava Lou Andreas-Salomé (1912-1913, 114; Lacoste, 1993, 549) portando l’attenzione sul movimento-tempo dell’attività rappresentazionale, di consentire «quella rapidità nella successione delle immagini che corrisponde approssimativamente alle nostre stesse facoltà di rappresentazione, imitandone inoltre la versatilità».

Vienna, 20 ottobre 1895, questa volta non alla ribalta di un pubblico ma nell’intimità e nel segreto di una corrispondenza epistolare: «In una laboriosa notte della scorsa settimana, mentre ero oppresso da quel grado di sofferenza che costituisce l’optimum per la mia attività cerebrale, tutto a un tratto le barriere sono crollate, i veli si sono sollevati e io sono riuscito a penetrare con lo sguardo dal più piccolo particolare delle nevrosi sino alle condizioni della coscienza. Ogni cosa al suo giusto posto, gli ingranaggi ben congegnati, si aveva l’impressione che la cosa [das Ding] si fosse ora veramente trasformata in una macchina [eine Maschine] che da un momento all’altro si sarebbe messa a camminare da sola» (Freud 1887-1904, 172, corsivo mio).

La «macchina» è quella che Freud ha illustrato dodici giorni prima in due quaderni acclusi alla lettera dell’8 ottobre 1895 all’amico berlinese otorinolaringoiatra Wilhelm Fliess, in quello ch’egli definisce Progetto di una psicologia, un testo precedente e la metapsicologia e l’apparato psichico, un testo di transizione che descrive un’entità indeterminata, scrive François Robert (2006, 597), al tempo stesso sistema nervoso, organismo, individuo-Io, apparato psichico. Una macchina che rompe con il sistema omeostatico teorizzato da Breuer negli Studi sull’isteria, giacché obbedisce innanzitutto al cosiddetto principio di inerzia neuronale (la tendenza allo zero) – slegamento e scarica da una parte, inibizione e legame dall’altra –, e in cui attraverso due nozioni fondamentali si introduce il tempo, e che a sua volta «secerne» il tempo, come dirà Laplanche (1989, 402).

Nel Progetto di una psicologia, infatti, troviamo esplicitato, per la prima volta, die Periode, il «periodo», invocato per comprendere il sistema ω, cioè il sistema della coscienza, spiegando la sua costante possibilità di essere stimolata da qualità (totale permeabilità e piena restitutio in integrum) con il fatto di essere mosso da quantità di energia neuronica minima ma capace di assimilare in cambio «il periodo dell’eccitamento». Differenze del periodo che scaturiscono dagli organi di senso, le cui qualità rappresentate da diversi periodi di movimento neuronico si propagano fino alla coscienza «dove, quasi prive di quantità, generano sensazioni coscienti di qualità». La sensazione cosciente è quindi «rappresentata da un particolare periodo di movimento neuronico, che certamente non è uguale a quello dello stimolo, ma che ha qualche rapporto con esso, secondo una formula di riduzione che ci è ignota» (Freud, 1895, 216 e 218).[1] Il periodo, vedremo, troverà poi un suo fondamento nel «ritmo».

Ma nel Progetto di una psicologia è poi introdotta per la prima volta anche l’altra nozione che costituisce un apporto essenziale della psicoanalisi freudiana alla concezione del tempo: l’après-coup. Certo Freud aveva già affermato qualche anno prima, nella voce Ipnosi scritta per un dizionario medico (1891, 119), che «le impressioni psichiche richiedono di solito un determinato tempo, un periodo d’incubazione, per provocare un’alterazione somatica (vedi Nevrosi traumatiche)», ma qui è menzionato l’avverbio nachträglich, l’après-coup, esattamente con le caratteristiche – in particolare lo stretto rapporto con la rimozione – che si affermeranno successivamente: «Troviamo sempre che viene rimosso un ricordo il quale è diventato un trauma solamente più tardi [nach­träglich: après-coup]. La causa prima di tale stato di cose sta nel ritardo della pubertà in paragone con il rimanente sviluppo dell’individuo» (Freud, 1895, 256).

L’après-coup qui è introdotto anche in relazione ai segni di qualità nel processo di pensiero: «il decorso di pensiero, in sé stesso senza alcun segno di qualità, ha lasciato dietro di sé delle tracce. In alcuni casi, in verità, è come se noi fossimo capaci di congetturare [erraten: indovinare] certi tratti della via seguita solo perché i loro punti di partenza e di arrivo sono dati da segni di qualità. In ogni caso, la riproducibilità dei processi di pensiero si estende di gran lunga al di là dei loro segni di qualità; essi possono essere resi coscienti successivamente [nachträglich: après-coup], quantunque, forse, il risultato del decorso di pensiero lasci più spesso tracce dietro di sé di quanto non facciano i suoi stadi intermedi» (Freud, 1895, 277).

Sappiamo il percorso, accidentato, che l’après-coup avrà nel pensiero freudiano, mai arrivando ad essere pienamente tematizzato, nemmeno quando sarà sostantivato nella Nachträglichkeit, e sempre «divaricat[o] tra due visioni a senso unico: quella dell’azione differita del passato sul presente, e quella della comprensione retroattiva del presente verso il passato» (Laplanche, 1989, 419, n. 34). Mentre il «periodo», quasi trent’anni dopo, troverà riscontro, un corrispettivo e un possibile fondamento, nel «ritmo» menzionato in due lavori a proposito della percezione sia di stimoli esterni che di quelli interni di piacere-dispiacere.

«Ciò coincide con un’idea che mi sono fatto da molto tempo, anche se finora l’ho tenuta per me, riguardo al modo in cui funziona l’apparato percettivo della nostra psiche», scrive Freud nella Nota sul «notes magico» (1924b, 67-68). «Ho formulato l’ipotesi che le innervazioni da investimento provenienti dall’interno dell’apparato siano inviate, a scatti rapidi e periodici, verso il sistema P-C (che se ne permea completamente) per essere poi altrettanto rapidamente ritratte. Fintantoché il sistema è investito nel modo suddetto, esso accoglie le percezioni (cui si accompagna la coscienza) e trasmette l’eccitamento al sistema mnestico inconscio; ma non appena l’investimento è ritratto, ecco che la coscienza si spegne e l’attività del sistema si arresta. È come se l’inconscio, avvalendosi del sistema P-C, protendesse delle antenne verso il mondo esterno che poi vengono rapidamente ritratte indietro non appena ne hanno assaggiati gli eccitamenti. […] Ho inoltre supposto che questa discontinuità con cui funziona il sistema P-C dia origine alla rappresentazione del tempo».

Questa idea sarà riproposta nello stesso anno (Freud, 1924a, 6) relativamente alla percezione interna delle sensazioni di piacere-dispiacere, allorché Freud non può più sostenere la concezione – sempre problematica, a dire il vero – secondo cui il piacere sarebbe legato ad una diminuzione della tensione e il dispiacere ad un suo incremento: «Il piacere e il dispiacere non possono dunque essere ricondotti alla diminuzione o all’incremento di una quantità (che chiamiamo “tensione provocata dallo stimolo”), anche se con questo elemento hanno evidentemente molto a che fare. Pare che non dipendano da questo fattore quantitativo, bensì da una sua caratteristica che non possiamo far altro che definire qualitativa. Se sapessimo dire in cosa consiste questa caratteristica qualitativa, avremmo fatto un grande passo avanti in psicologia. Forse è il ritmo, la sequenza temporale dei cambiamenti, degli aumenti e delle diminuzioni della quantità dello stimolo. Chissà».

Va notato che questa idea era stata accennata già in Al di là del principio di piacere[2] e prima ancora ne L’inconscio,[3] e sarà poi ripresa l’anno successivo.[4] Ma mentre qui a protendere le sue antenne periodicamente e ritmicamente è l’inconscio, in precedenza era il sistema P-C, il sistema Prec o il sistema C,[5] e successivamente sarà l’Io.

In ogni caso, è legittimo domandarsi se periodo/ritmo e nachträglich/après-coup si collochino sullo stesso piano e nella stessa dimensione temporale. E più specificamente se entrambi facciano parte nella stessa misura dell’oggetto psicoanalitico o non si situino, come si esprimerà Freud nel Compendio di psicoanalisi (1938, 622), «oltre le frontiere della scienza psicologica», avendo «anche un aspetto organico-biologico»: giacché allora Freud dovrà riconoscere che «nel corso delle nostre fatiche per edificare la psicoanalisi, abbiamo fatto anche alcune importanti scoperte biologiche e non abbiamo potuto evitare la formulazione di nuove ipotesi biologiche».

 

La riflessione umana sul tempo ha una storia immemorabile (Taroni, 2012), ma la filosofia moderna del tempo la si può fare iniziare con Kant, afferma Laplanche (1989, 401-403), che ne individua alcune acquisizioni «definitive».

  1. Lo sganciamento della filosofia del tempo dal problema del tempo cosmologico, al quale era saldamente legata dopo Aristotele: la temporalità diventa indipendente dal tempo.
  2. Sganciata dal mondo fisico, nel senso ampio del termine, la temporalità non poteva che essere riferita ad una soggettività, in senso lato: soggettività trascendentale con Kant e Husserl; soggettività storica con lo Spirito di Hegel, esser-ci in situazione con Heidegger o Sartre. Un tempo soggettivo in cui si fondono e confondono il tempo dell’organismo («soggetto» vivente) e il tempo dell’individuo umano (soggetto umano).
  3. Una terza acquisizione consisterebbe nel legare la temporalità ad un movimento di temporalizzazione, «cioè al modo che ha l’essere umano di creare, secernere – sit venia verbo – il proprio tempo» (Laplanche, 1989, 402). Questa idea di una temporalizzazione attiva, per Laplanche, trova espressione in Hegel, nonché in Husserl e Heidegger, ma è già preparata da Kant, con le sue nozioni di «immaginazione trascendentale» e di «schematismo»: «è il tempo come movimento ad animare la messa in opera delle categorie della Ragion pura».
  4. In questa «temporalizzazione», al di là delle importanti differenze tra momenti dialettici hegeliani ed ekstasi fenomenologiche, il movimento di progressione temporale è teorizzato come un ternario dialettico corrispondente alle tre dimensioni del passato, del presente e del futuro, dando priorità al futuro (sintesi o essere-per…) e concependo il processo di temporalizzazione come orientato dal suo fine.

Il ternario del tempo, del resto, è corrispondente all’immagine profondamente radicata che ne abbiamo come di «qualcosa che scorre uniforme e eguale in tutto l’universo, nel cui corso avvengono tutte le cose. Esiste in tutto il cosmo un presente, un “a­desso”, che è la realtà. Il passato è fisso, avvenuto, lo stesso per tutti. Il futuro, aperto, ancora inde­terminato. La realtà scorre dal passato attraverso il presente verso il futuro, e l’evoluzione delle cose è intrinsecamente asimmetrica fra il passato e il fu­turo» (Rovelli, 2017, 163). Questa esperienza del tempo, questa struttura di base del mondo è stata gradualmente smantellata dalla fisica (Callender, 2010; Becker, 2022), privandole della maggior parte delle proprietà che vi attribuiamo: ad esempio la simultaneità assoluta, che era una delle caratteristiche dell’orologio universale della fisica newtoniana, è diventata dipendente dalla velocità in cui ci si muove o dalla distanza da una massa che esercita una attrazione gravitazionale più o meno grande. Fino a postulare, con la meccanica quantistica, che in realtà il tempo non esiste, ma scaturisce dal comportamento di componenti più basilari della natura: «Al livello più profondo della realtà, domande come “Dove?” e “Quando?” forse non hanno una risposta» (Becker, 2022, 28). Riassumendo questa evoluzione del tempo, Rovelli (2017, 164-165) scrive: «Al livello più fondamentale che oggi conosciamo, quindi, c’è poco che somigli al tempo della nostra esperienza», ma ciò non significa che sia un mondo dove il cambiamento è illusorio: «al contrario, è un mondo di avvenimenti non di cose», in cui non ci sono né spazio né tempo bensì solo «processi che trasformano quantità fisiche le une nelle altre».

Ma come emerge da questo mondo elementare senza tempo la nostra sensazione del tempo?, si domanda Rovelli, per il quale l’orientazione nel tempo ha tuttavia un corrispettivo reale: vi è una struttura fisica del tempo, che deriva dalla nostra interazione parziale con il mondo, dalla nostra prospettiva di creature che sono una piccola parte del mondo, che ce lo fa vedere sfocato e con un entropia crescente, e dalla non­-commutatività quantistica, cioè dal fatto che conta l’ordine con cui un’interazione rende concreta la posizione oppure la velocità di una molecola alterandone lo stato. Dunque l’orientazione nel tempo è sì reale, ma prospettica: «Alla fine, forse, l’emozione del tempo non è lo schermo di nebbia che ci impedisce di vedere la natura ogget­tiva del tempo. Forse l’emozione del tempo è precisamente ciò che per noi è il tempo. […] il tempo siamo noi» (Rovelli, 2017, 170).

 

È abbastanza evidente che «periodo/ritmo» e «après-coup» introdotti da Freud non si collocano a questo livello fisico del tempo. Livello che Laplanche (1991, 451), proponendo una suddivisione del pensiero sul tempo, filosofico o scientifico che sia, chiama livello I, il livello del mondo, del tempo, il tempo cosmologico del mondo fisico cui apparteniamo.

Il livello II è quello della temporalità, è il tempo percettivo, quello della coscienza immediata, il tempo del vivente.

Il livello III è quello della temporalizzazione, il tempo della memoria e del progetto, la temporalizzazione dell’essere umano.

Il tempo IV, infine, è quello della storicità, della storia, del tempo delle società umane, o dell’umanità concepita come un tutto.

Livelli ai quali, peraltro, è possibile riferire i contributi dei pensatori che hanno riflettuto sul tempo, che possono occupare uno o più livelli, semmai muovendosi da un livello di partenza ad altri livelli. Scrive Laplanche (1991, 452): «Per collegare qui alcuni nomi in modo perentorio, e talvolta anche provocatorio: al livello I, collochiamo Aristotele. Ai livelli I e II, con un rapporto privilegiato ed intimo tra loro, collochiamo Kant. Al livello II ricordiamo che collochiamo il tempo percettivo, di cui a priori niente permette di escludere che sia il tempo dell’animale in generale. È perciò tanto più paradossale collocare qui pensatori come Husserl e come Sant’Agostino. […] Al livello III troneggiano Heidegger e l’esistenzialismo, nonché l’ermeneutica. Il livello IV, il tempo della storia, implica non soltanto temporalizzazione, come il livello III, ma ricapitolazione. Resta indiscutibile definire società storiche quelle di cui abbiamo degli archivi, quelle che hanno una loro memoria scritta e non soltanto una memoria integrata. Naturalmente può esistere anche una storia della temporalizzazione individuale, cioè una ricapitolazione della storia del livello III, le “storie di casi”».

‘Dove si colloca Freud in questa scala?’ si domanda Laplanche. Pur facendo numerose incursioni nel livello storico (IV), quello della sua ricerca è duplice: la sua teoria del tempo «esplicita» (ritmo) si colloca al livello II. Per quanto riguarda invece il pensiero «implicito» del tempo (après-coup), si situa al livello della temporalizzazione dell’esistenza, cioè al livello III. Livelli che Freud talvolta confonde, talvolta distingue precisamente: vedi, ad esempio, la già menzionata esitazione tra sistema P-C, C e Prec, equivalente all’incertezza tra «coscienzialità II» (la coscienza immediata) e la «co-scienza temporalizzante III», corrispondente al sistema Prec; vedi, al contrario, la netta differenziazione (Freud S. 1887-1904, 237, trad. modificata) della coscienza immediata percettiva (del livello II) dalla «coscienza di pensiero secondaria [che] è una coscienza après-coup secondo il tempo [dieses sekundäre Denkbewußtsein ein der Zeit nach nachträglich]» (del livello III), «co-scienza» nella quale, precisa Laplanche (1993, 78-81), «bisogna dare pieno spazio all’etimologia (cum-scire), vale a dire, per ogni essere umano, ad un “sapere” di sé, del proprio ambiente e del proprio destino, relativamente organizzato, coerente (cohaerens). Questo “sapere di sé”, costituito nell’après-coup, e che dunque riprende il passato a partire dal presente per mirare ad un futuro». Il livello della temporalità percettiva e della coscienzialità immediata interessa eminentemente la relazione preconscio-conscio, mentre è a livello della temporalizzazione che si colloca la rimozione (come vedremo, «per l’appunto come fallimento della temporalizzazione»).

Ma esaminiamo nei dettagli questa collocazione di Freud.

La teoria esplicita, quella del tempo percettivo, è esposta a più riprese ma fondamentalmente nella già citata Nota sul «notes magico» (1924b), presentandosi come teoria freudiana del tempo e dunque imprescindibile. «Ma vorrei per l’appunto mostrare», afferma Laplanche (1991, 452-455), «che conviene prescinderne per elaborare un pensiero del tempo dell’esistenza umana. Questa teoria, Freud ci dice di averla tenuta a lungo segreta. In realtà emerge in punti molto precisi della sua speculazione e probabilmente ha un’origine parzialmente breueriana, o in ogni caso un punto di partenza negli scambi tra Breuer e Freud». Questo pensiero, come abbiamo visto, collega la coscienza del tempo alla coscienza del funzionamento dell’apparato percettivo, concepito come periodico, ritmico, fatto di lampi e di interruzioni. Laplanche propone cinque osservazioni su questo modello «appassionante».

La prima considerazione è che, legando la coscienza del tempo ad un ritmo, Freud non deduce tautologicamente il tempo dal tempo bensì dal ritmo, cioè dalla «derivata» (nel senso matematico del termine) del tempo lineare, dal ritmo dell’interruzione e della connessione, della luce e dell’oscurità.

La seconda osservazione è che l’essere così descritto è fin dall’inizio presente e aperto al mondo. La percezione del mondo, lungi dall’essere la costruzione secondaria di un first not me, è legata ad una apertura originaria al mondo e all’estinzione periodica dell’eccitamento che ne scaturisce, alla chiusura periodica opposta all’azione del not me. Il mondo si costituisce nel vivente mediante un trinceramento di quest’ultimo a partire da un troppo di mondo per costituirsi appunto un tempo. Non vi è percezione e non vi è memoria (sia pure immediata) se non per costituzione in organismo separato.

La terza osservazione è che il funzionamento descritto non è specifico dell’essere umano ma caratteristico di qualsiasi vivente, sia pure quello più rudimentale, e non a caso Freud assume come modello (Vorbild) l’animaletto protoplasmatico, descritto realmente per sé stesso ma anche assumendolo come esempio di ciò che accade, con alcune modificazioni, in un vivente molto complesso. Ciò significa chiaramente che siamo al livello II e soltanto a questo livello, quello neuropsicologico della percezione. «È del resto con qualche ironia, ma non con impertinenza, che accosto qui Freud, Husserl e Sant’Agostino. Tutti e tre si basano sulla percezione legata ad un ritmo. Gli esempi più frequentemente proposti, quelli che si ritrovano in Husserl, in Sant’Agostino, e senza dubbio anche in Bergson, sono quelli della percezione di un suono o di una sequenza musicale».[6]

La quarta considerazione è che questa teoria ha una collocazione extrapsicoanalitica, giacché non vi ha posto nessuno dei concetti fondamentali della teoria e della pratica: la sessualità, la rimozione, la difesa, nonché il transfert. Anche rispetto al tempo IV, quello della storia di una vita, della storia di un caso, non è chiaro in che modo questa teoria della percezione potrebbe contribuirvi.

La quinta considerazione è che questa teoria extra-psicoanalitica può diventare antipsicoanalitica non appena si cerchi di farla corrispondere all’analisi. Con l’uso del termine «inconscio» nel testo citato – «È come se l’inconscio, avvalendosi del sistema P-C, protendesse delle antenne verso il mondo esterno» – Freud ricade «in una concezione della persona umana costruita intorno ad un primo nucleo che sarebbe l’inconscio, nucleo necessariamente innato, biologico, istintuale. L’inconscio sarebbe al centro della persona, da dove invierebbe questi pseudopodi; […] lungi dall’essere l’estraneo in me, sarebbe il mio fondamento, il mio punto di partenza». L’immistione della problematica II (extra-psicoanalitica) nella problematica III, è una delle forme che assume la reintegrazione forzata della psicoanalisi in una psicologia generale. «Ci imbattiamo qui in una delle molteplici incarnazioni del tentativo di costruire una psicologia a partire da nozioni psicoanalitiche, che perdono allora tutta la loro specificità, la loro estraneità, la loro stranezza» (Laplanche, 1991, 455).

Circa invece la teoria implicita sul tempo proposta da Freud con l’après-coup, essa si colloca al livello III, quello del tempo proprio dell’uomo, della temporalizzazione, che Heidegger descrive come distesa fra le sue tre ekstasi: presente, avvenire ed essere-stato. La loro concatenazione e la loro relativa priorità ha trovato una diversa concezione nei differenti autori, circa il modo in cui si effettua il movimento dall’una all’altra, nonché a partire da quale disequilibrio si generi il movimento. Così li distingue Laplanche (1989a, 420-421).

  • La dialettica hegeliana, il disequilibrio fondamentale lo individua nell’opposizione passato (tesi)-presente (antitesi), per cui il movimento sarebbe: passato → presente → futuro, «un futuro che, con un supremo capovolgimento, è esso stesso la verità del passato, o addirittura coincide con esso».
  • La dialettica dell’esistenzialismo (in senso molto lato), privilegiando l’«essere-per», il disequilibrio fondamentale lo individua nel presente-futuro, dal momento che la visione del passato è rimodellata in funzione del progetto: presente → futuro → passato.
  • La dialettica psicoanalitica ha invece fin dall’inizio privilegiato il movimento che, partendo dal presente, si rivolge al passato. Freud lo scrive esplicitamente a proposito della fantasia (1908, 378-379): «Il rapporto della fantasia col tempo è in genere molto significativo. Si deve dire che una fantasia ondeggia quasi fra tre tempi, i tre momenti temporali della nostra ideazione [unseres Vorstellens, del nostro rappresentare]. Il lavoro mentale [seelische, dell’anima] prende le mosse da un’impressione attuale, un’occasione offerta dal presente e suscettibile di risvegliare uno dei grandi desideri del soggetto. Di là si collega al ricordo di un’esperienza anteriore, risalente in genere all’infanzia, in cui quel desiderio veniva esaudito; e crea quindi una situazione relativa al futuro la quale si configura come appagamento di quel desiderio: questo è appunto il sogno a occhi aperti o fantasia, recante in sé le tracce della sua provenienza dall’occasione attuale e dal ricordo passato. Dunque passato, presente e futuro [più precisamente: presente → passato → futuro], come infilati al filo del desiderio che li attraversa».

Per spiegare e soprattutto fondare questa dialettica temporale precipuamente psicoanalitica e il disequilibrio fondamentale cui dà priorità (quello presente → passato), Laplanche (1991, 455-456) intende «mostrare la congiunzione di tre proprietà essenziali» e precipue dell’essere umano (accanto ad altre, come il linguaggio o, più ampiamente, la significanza, il lavoro etc.): l’uomo si temporalizza, ha un inconscio, ha un rapporto originario con l’enigma dell’altro. È esattamente perché l’essere umano, questa la sua tesi, ha un rapporto originario con l’enigma dell’altro – da cui scaturisce, mediante una traduzione e il suo inevitabile resto, un inconscio sessuale – che l’uomo si temporalizza, per così dire «secerne» il tempo (Laplanche, 1989, 402; 1989-1990, 11).

Due sono le strade imboccate da Laplanche per mostrare questo Junktim, entrambe a partire dalla cura: l’interpretazione, «un’esperienza privilegiata del tempo umano, quella che si presenta nel vissuto psicoanalitico della cura» (Laplanche, 1989, 410), e il lutto.

 

L’interpretazione consiste infatti nel tradurre un dato – sogno, sintomo, sequenza di vita, atto mancato etc., paragonati, con un’analogia approssimativa, ad un testo – in un altro testo. A differenza dell’interpretazione progrediente, che mira a mettere il soggetto umano di fronte ai suoi compiti ed al suo essere-per-il-futuro, l’interpretazione psicoanalitica è retrograda: inseparabile dal metodo delle associazioni libere, essa procede passo dopo passo analizzando gli insiemi presenti, cioè riducendoli in atomi elementari ognuno dei quali mette sulla strada di una o più concatenazioni associative di pensieri che, intersecandosi, possono ricostituire, al di qua di essi, delle linee di forza, dei desideri, degli insiemi appartenenti al passato. «Si “spiegano” i sintomi di un ossessivo, ma eventualmente anche la creatività di Leonardo, riferendoli ad una certa esperienza vissuta, trauma, fantasia o desiderio, che persisterebbe immutata fin dall’infanzia» (Laplanche, 1989, 410-411).

Se dunque la triade freudiana delle ekstasi temporali è presente → passato → futuro, e il movimento proprio dell’interpretazione va collocato nel primo momento dialettico, quello che porta dal presente verso il passato, all’opposto di Freud e di tutta la psicoanalisi classica, Laplanche propone di non assimilare questa interpretazione ad una traduzione del presente nel passato, e a maggior ragione di non considerare il «testo» passato come se contenesse più verità, o perfino la verità del testo presente. Il processo analitico può essere compreso in analogia con il modo di procedere della traduzione, ma tenendo presente che l’interpretazione in termini di passato (infantile, arcaico) non è una traduzione, ma una detraduzione: «consiste nel disfare una traduzione esistente, spontanea, eventualmente sintomatica, per ritrovare, al di qua di essa, ciò che quella traduzione desiderava ardentemente tradurre e per permetterne eventualmente una traduzione “migliore”, cioè più completa, più inglobante e meno rimuovente» (Laplanche, 1989, 412-413).

Tuttavia la cura psicoanalitica può avere senso ed effetto solo se incontra ed entra in correlazione con qualcosa di preesistente e fondamentale nell’esistenza umana e nel suo movimento di temporalizzazione, con i suoi corrispondenti nella temporalità umana: da una parte, situazioni che potrebbero essere considerate precursori o analoghi, dall’altra, dei fondamenti a partire dai quali può essere concepito il suo processo (precursori e fondamenti in cui, come vedremo, è sempre in gioco l’altro).

Circa i precursori o analoghi, le situazioni che nella vita di un essere umano possono essere descritte come detraduzioni-ritraduzioni, vi è il lutto,[7] che da Freud è di primo acchito concepito come lavoro, ma mettendo l’accento sul distacco, senza approfondire su che cosa verta quest’ultimo né la dialettica temporale che vi è collegata. Il movimento in tre tempi nel lutto potrebbe essere descritto così: «ho intessuto con una persona un legame stabile, una vera concezione dell’esistenza che include, oltre alle mie attività, le mie speranze ed i miei sogni. Questo è il testo del presente. Ora, la brusca perdita dell’essere amato fa crollare brutalmente l’insieme di questa visione del mondo» (Laplanche, 1989, 414-415). Ma il lutto non si ferma qui, giacché interviene la nozione fondamentale di lavoro: «Tutti i ricordi e le aspettative con riferimento ai quali la libido era legata all’oggetto vengono evocati e sovrainvestiti uno a uno, e il distacco dalla libido si effettua in relazione a ciascuno di essi». Distacco (Lösung) che Freud vuole considerare come la rottura liberatoria di un legame con l’oggetto, come un taglio anziché come una analisi. «Sulla tela della mia esistenza, intessuta con la trama dell’altro (ormai perduto), la perdita mi obbliga ad un dipanamento, ad una meditazione dolorosa. Ma ogni filo, pur da me distaccato in questo modo dal tutto […], non è spezzato, come sostiene Freud. Al contrario è sovrainvestito, meditato isolatamente, ricollegato alla sua storia […] e, al di là della storia in comune, a due, ad una storia più inclusiva e più antica» (Laplanche, 1989, 415). La perdita obbliga ad un lavoro di riordinamento dell’esistenza, ad una nuova visione che tenga conto dell’assenza dell’essere amato, ma anche ne integri il ricordo». Questa nuova versione o traduzione è però possibile solo se è preceduta dal lavoro doloroso di Lösung dell’antica «versione», un lavoro in cui ogni elemento è riarricchito di tutta la sua storia, prima di essere reincorporato in un nuovo tentativo di vivere, in un nuovo pro-getto (Laplanche, 1989, 416).

Certo, rispetto al lutto, la cura ricerca elementi più sepolti, inaccessibili senza il suo metodo – in cui peraltro il lutto può incagliarsi. Resta il fatto che, se l’analisi si propone di disfare le traduzioni imperfette che presenta il paziente – la sua vita attuale, i suoi sogni, i suoi sintomi – è necessario che già esista, nell’esistenza umana in generale, qualcosa che sia un movimento di traduzione e di detraduzione-ritraduzione. Infatti l’essere umano si costruisce, costantemente, solo dandosi di sé stesso una rappresentazione, una «teoria», una «versione» o «traduzione» che sia la migliore possibile (la più comoda, la più fedele, l’unica possibile in quel momento e in quelle circostanze) (Laplanche, 1989, 416). Traduzione di… cosa? Qual è questo «da tradurre»?

Qui arriviamo al fondamento del processo di temporalizzazione: il «da tradurre» primordiale lo chiamiamo «inconscio». A condizione però di non considerarlo né un serbatoio di pulsioni biologiche irriducibili, estranee al mondo umano, né all’opposto un discorso «strutturato» che andrebbe semplicemente decifrato. L’inconscio è il risultato delle rimozioni, che vertono su frammenti di comunicazioni che esse rendono, per ciò stesso, estranee al contesto da cui provengono.[8] Il fondo, il corpus inesauribile che ogni essere umano, nel corso della sua esistenza, si sforza di tradurre nei suoi atti, nelle sue parole e nel modo in cui si rappresenta a sé stesso, è quell’intradotto che chiamiamo inconscio, intradotto ma incessantemente ritradotto – bene o meno bene a seconda dei casi – e che l’auto-«teorizzazione» di ogni essere umano può ridurre solo precariamente e asintoticamente. Il movimento di autotraduzione, la pulsione di traduzione (Trieb zur Übersetzung), per riprendere il termine di Novalis, scaturisce non dal traduttore, ma da questo intradotto, che residua dalla traduzione e, come oggetto-fonte della pulsione, esige continuamente una (migliore) traduzione, oppure da ciò che non è stato possibile nemmeno sottoporre ad una traduzione, un radicalmente intraducibile (Laplanche, 1989, 416-417; 2002, 109-114 e 121; 2004, 194).[9]

Riassumendo, il movimento di temporalizzazione presente-passato-futuro dell’interpretazione nella cura non è una traduzione, ma un movimento di detraduzione-ritraduzione, che presuppone un già-tradotto precedente, ma anche un da-tradurre che chiamiamo inconscio. Ma questo disequilibrio diacronico che si stabilisce tra il da-tradurre e la traduzione presente imperfetta, che spinge continuamente ad una rinnovata traduzione, ha precursori o analoghi e il suo fondamento nell’inconscio, che a loro volta hanno un’origine più fondamentale: la situazione universale e originaria (situazione antropologica fondamentale) della seduzione, fondamento della relazione interumana.

La seduzione è una relazione dissimmetrica, il cui prototipo è dato dalla coppia bambino-adulto. Un bambino posto di fronte ad un mondo adulto che di primo acchito gli invia dei messaggi, impregnati di e compromessi da significati sessuali inconsci (anche per colui che li emette), messaggi percepiti come enigmatici e sessuali «per il fatto che non sono trasparenti a sé stessi, ma compromessi dalla relazione dell’adulto con il proprio inconscio, dalle fantasie sessuali inconsce mobilitate in lui dalla relazione con il bambino» (Laplanche, 1992, 40).[10]

Si noti che questo disequilibrio originario tra infans e adulto da cui scaturisce il movimento traduttivo e di temporalizzazione è in sé stesso atemporale, o meglio sincronico. È una situazione che non implica il tempo, ma il confronto tra due individui dallo sviluppo ineguale: un adulto completo, e complesso, con il suo sapere e le sue particolarità sessuali parzialmente inconsce. Un bambino in «disaiuto», nel senso che non ha un corrispettivo – un inconscio sessuale – ed ha soltanto dei mezzi rudimentali per tradurre i messaggi compromessi enigmatici e i conseguenti eccitamenti che gli vengono proposti. Questo movimento di traduzione che ha origine in quel «motore immobile» che è l’indirizzo enigmatico dell’altro (esterno: der Andere, l’altro-persona), lascia necessariamente al di fuori qualcosa di quell’indirizzo, un intradotto/rimosso che diventa l’inconscio, l’altro interno (das Andere, l’altro-cosa), e un intraducibile che nemmeno è suscettibile (temporaneamente o definitivamente) di traduzione e resta impiantato perciò al di fuori di questa porzione dell’apparato psichico (Prec/Inc), in quello che Laplanche (2004, 193) ha denominato inconscio «intercluso». L’altro interno funziona come agente, come oggetto-fonte che cerca costantemente di penetrare nell’esistenza co-sciente (che è tutt’altro che venire alla luce della coscienza-percezione).

L’«atemporalità» dell’inconscio non indica quindi una qualità estrinseca dell’«altro-cosa» in noi, ma il suo stesso essere, determinato dalla sua genesi: l’esclusione dal lavoro di temporalizzazione proprio del sistema Prec/C. Senza che peraltro nulla impedisca che dei contenuti dell’«atemporale», delle rappresentazioni-cose inconsce accedano alla coscienzialità (II) senza passare attraverso la temporalizzazione (il sistema Prec) e senza perdere la loro piena appartenenza al loro «sistema Inc»: risorgive ecmnestiche, allucinosi… (Laplanche, 1993, 80-81). Così come a fior di coscienza (la coscienzialità II) è l’intraducibile dell’inconscio intercluso (Laplanche, 2004, 193), che non «ritorna» come l’intradotto/rimosso nella trama della co-scienza temporalizzante III, corrispondente al sistema Prec, nelle cosiddette «formazioni dell’inconscio», ma permane impiantato o intromesso in un «attuale» senza tempo sempre a rischio di un’emersione (spesso emergenziale) scissa.

È a livello della temporalizzazione, concepita come traduzione degli enigmi provenienti dall’altro e poi «autoteorizzazione» continua, che si colloca la rimozione, per l’appunto come fallimento della temporalizzazione e deposito di residui intradotti. «Quella che Freud definisce a volte rimozione originaria non è altro che il risultato di ciò che si ha il diritto di denominare la protostoricizzazione dell’essere umano: il suo modo di autoteorizzarsi di primo acchito, di rispondere a dei messaggi enigmatici con una “visione del mondo”, di entrare quindi nel tempo per mezzo della traduzione, che è contemporaneamente un portarsi-in-avanti ed un lasciare-indietro. Ben presto, tuttavia, le nuove traduzioni ricoprono questo arcaico “da tradurre”» (Laplanche, 1989, 419).

L’essere umano è teso verso un avvenire solo perché è autoteorizzante e autotraducente: ogni circostanza importante della sua vita (il lutto, una psicoanalisi) è per lui l’occasione per rimettere in discussione la «traduzione» presente, per detradurla rivolgendosi al passato e per tentare una traduzione migliore di questo passato, una traduzione più inglobante, meno rimuovente, con nuovi mezzi. Questa risalita verso il passato non è una risalita verso una presunta formula ultima del mio essere. Al di là delle traduzioni e delle costruzioni passate, delle trame che disfa, «l’analisi risale lungo i fili dell’“altro”: l’altro-cosa del nostro inconscio, l’altro-persona che ha impiantato i suoi messaggi, avendo come orizzonte l’altro-cosa nell’altro-persona, cioè l’inconscio dell’altro che fa sì che i messaggi siano enigmatici» (Laplanche, 1991, 474), il piacere sessuale enigmatico dell’altro.

Forse così si profila una via per uscire dal dilemma che lacera la concezione dell’après-coup ed agita la nostra pratica, presi tra il puro determinismo (il passato ha un senso che tout court determina il presente e il futuro) e la pura donazione di senso (è il presente a dare tout court un senso a un passato che non l’aveva).[11] «Un primo “da tradurre”», scrive Laplanche (1991, 475), «se contenesse in germe tutto il senso, sarebbe un passe-partout da scoprire, una chiave per aprire tutto. Viceversa, se un primo “da tradurre” avesse l’ottusità del fatto grezzo, sarebbe aperto a tutti i sensi, e di conseguenza la donazione di senso sarebbe puramente arbitraria. Un primo “da tradurre”, se è un messaggio a lui stesso ignoto, proveniente dall’altro e impiantato da lui, lancia originariamente il movimento di traduzione-detraduzione, che è quello della temporalità umana», della sua temporalizzazione.

 

 

 

 

 

 

——

[1] «A rigore, né i “processi” del mondo esterno, né gli “stimoli” che, passando attraverso gli apparati nervosi terminali, raggiungono φ [sistema dei neuroni permeabili, della percezione], né le cariche in φ o ψ [sistema dei neuroni impermeabili, della memoria] hanno una qualità, ma solo una caratteristica qualitativa (il periodo) che diventa qualità quando raggiunge ω», specifica una nota delle OSF (Freud, 1895, 218, n. 2).

[2] «Sulla base di alcune scoperte psicoanalitiche, oggi la tesi kantiana che il tempo e lo spazio sono forme necessarie del nostro pensiero può esser messa in discussione. Abbiamo appreso che i processi psichici inconsci sono di per sé “atemporali”. […] La rappresentazione astratta che noi abbiamo del tempo pare derivare interamente dal metodo di lavoro del sistema P-C e corrispondere alla percezione che questo metodo ha di sé stesso. Questo modo di funzionare può forse costituire un’altra forma di protezione contro gli stimoli. So che tali affermazioni suonano molto oscure, ma devo limitarmi a questi cenni» (Freud, 1920, 214).

[3] «I processi del sistema Inc sono atemporali, e cioè non sono ordinati temporalmente, non sono alterati dal trascorrere del tempo, non hanno, insomma, alcun rapporto col tempo. Anche la relazione temporale è legata al lavoro del sistema C» (Freud, 1915, 71).

[4] «Stando alla nostra ipotesi, infatti, la percezione non è un processo puramente passivo, e anzi l’Io invia periodicamente piccole quantità d’investimento nel sistema percettivo, mediante le quali assaggia gli stimoli esterni per poi ritrarsi nuovamente indietro dopo ogni puntata di questo genere» (Freud, 1925, 200).

[5] Riprenderemo più avanti questa esitazione freudiana tra sistema P-C, C e Prec.

[6] «Avrei anche potuto evocare», aggiunge Laplanche (1991, 454), «l’autorità di Merleau-Ponty, che nella sua Fenomenologia della percezione, e già nella sua Struttura del comportamento, non ha mai esitato a ristabilire la continuità tra l’analisi fenomenologica nell’essere umano e l’osservazione o la sperimentazione nell’animale».

[7] «L’accostamento è stato proposto più di una volta, mai secondo questa prospettiva della temporalizzazione ma sempre in quella dell’accettazione della perdita», nota Laplanche (1989a, 416, n. 27).

[8] «Che l’inconscio abbia un rapporto stretto, necessario con il fatto che l’essere umano sia un essere di significanza (più ampiamente che un essere di linguaggio) è molto evidente. Ma il fatto che la creazione dell’inconscio, la rimozione originaria, che ritengo assolutamente legata a questa creazione, sia legata a fenomeni di linguaggio e possa essere stata anzi raffigurata con una metafora, non implica affatto che l’inconscio sia un linguaggio, né che sia strutturato. Per indicare semplicemente una formula, direi che l’inconscio è fatto di resti di significanza, oppure, se accettate questo termine, di significanti designificati» (Laplanche, 1979-1984, 239).

[9] Il modello traduttivo della rimozione di Laplanche ha un preciso riferimento freudiano, la lettera 52/112 a Fliess del 6 dicembre 1896, in cui la rimozione è per l’appunto la Versagung, il «rifiutamento» ossia il fallimento della traduzione: «Un insuccesso [Versagung] nella traduzione è ciò che clinicamente si chiama “rimozione”. Quest’ultima è sempre provocata dalla liberazione di sofferenza che risulterebbe da una traduzione, quasi che, attraverso questa sofferenza, si provocasse un disturbo del pensiero, che non consente di effettuare il lavoro di traduzione». Si noti che per Freud questo fallimento della traduzione ha una conseguenza temporale, è un «anacronismo»: in una particolare provincia vigono ancora i fueros; siamo cioè in presenza di sopravvivenze del passato», e «l’eccitamento si verificherà secondo le leggi psicologiche valide per il precedente periodo psichico» (Freud, 1896, 237-238).

[10] «La “perplessità” del bambino, a mio avviso non è riflessiva, né legata al fatto che si tratti di un soggetto parlante, nel senso del linguaggio verbale. Penso che l’infans sia posto di fronte all’enigma e lo percepisca prima di aver acquisito il linguaggio» (Laplanche et al., 1989, 427).

[11] Nota Laplanche (1989, 419, n. 34): «Una concezione dialettica della Nachträglichkeit è possibile solo grazie al prototipo proposto dal processo di traduzione».

Bibliografia

 

Andres-Salomé L. (1912-1913). I miei anni con Freud, Newton Compton, Roma, 1977.

Becker A. (2022). Le origini dello spazio e del tempo. Le Scienze, 644, 28-33.

Callender C. (2010). Il tempo è un’illusione?. Le Scienze, 504, 57-63.

Davies P. (2002). Come costruire una macchina del tempo. Le Scienze, 411, 38-43.

Freud S. (1887-1904). Lettere a Wilhelm Fliess 1887-1904. Boringhieri, Torino, 1986.

Freud S. (1891). Ipnosi. O.S.F., 1, 112-121.

Freud S. (1896). Lettera 52/112 a Fliess del 6 dicembre 1896. In Lettere a Wilhelm Fliess 1887-1904, Torino, Boringhieri, 1986, 236-244.

Freud S. (1908). Il poeta e la fantasia. O.S.F., 5, 375-383.

Freud S. (1915). L’inconscio. O.S.F., 8, 49-88.

Freud S. (1920). Al di là del principio di piacere. O.S.F., 9, 193-249.

Freud S. (1924a). Il problema economico del masochismo. O.S.F., 10, 5-16.

Freud S. (1924b). Nota sul «notes magico». O.S.F., 10, 63-68.

Freud S. (1925). La negazione. O.S.F., 10, 197-201.

Freud S. (1938). Compendio di psicoanalisi. O.S.F., 11, 571-634.

Lacoste P. (1993). Psicoanalisi & Cinema. In Kaufmann P. (a cura di), L’apporto freudiano. Elementi per una enciclopedia della psicoanalisi, Roma, Borla, 1995, 544-551.

Laplanche J. (1979-1984). Problematiche V. Il baquet. Trascendenza del transfert. Milano-Udine, Mimesis, 2023.

Laplanche J. (1989). Temporalità e traduzione. Per rimettere al lavoro la filosofia del tempo. In Il primato dell’altro in psicoanalisi. La rivoluzione copernicana incompiuta, Milano-Udine, Mimesis, 2021, 401-421.

Laplanche J. (1989-1990). Problematiche VI. L’«après-coup». Milano-Udine, Mimesis, 2021.

Laplanche J. (1991). Il tempo e l’altro. In Il primato dell’altro in psicoanalisi. La rivoluzione copernicana incompiuta, Milano-Udine, Mimesis, 2021, 447-475.

Laplanche J. (1992). Punteggiatura. La rivoluzione copernicana incompiuta. In Il primato dell’altro in psicoanalisi. La rivoluzione copernicana incompiuta, Milano-Udine, Mimesis, 2021, 7-44.

Laplanche J. (1993). Breve trattato dell’inconscio. In Tra seduzione e ispirazione: l’uomo. Milano, Mimesis, 2019, 59-98.

Laplanche J. (2002). I fallimenti della traduzione. In Sexuale. La sessualità allargata nel senso freudiano, Milano-Udine, Mimesis, 2019, 107-122.

Laplanche J. (2004). Tre accezioni del termine «inconscio» nella cornice della teoria della seduzione generalizzata. In Sexuale. La sessualità allargata nel senso freudiano, Milano-Udine, Mimesis, 2019, 187-204.

Laplanche J. et al. (1989). Dibattito su «Temporalità e traduzione». In Il primato dell’altro in psicoanalisi. La rivoluzione copernicana incompiuta, Milano-Udine, Mimesis, 2021, 422-440.

Ricoeur P. (1983-1985). Tempo e racconto. Jaca Book, Milano, 1986-1988, 3 voll.

Robert F. (2006). Introduzione a Freud S., Projet d’une psychologie. In Lettres à Wilhelm Fließ 1887-1904, P.U.F., Paris, 2006, 595-600.

Rovelli C. (2017). L’ordine del tempo. Milano, Adelphi, 2017.

Taroni P. (2012). Filosofie del tempo. Il concetto di tempo nella storia del pensiero occidentale. Milano-Udine, Mimesis, 2012.

Wells H. G. (1895). La Macchina del Tempo. Torino, Einaudi, 2017 e 2019.

 

Alberto Luchetti, Padova

Centro Veneto di Psicoanalisi

a.luchetti@mclink.it

*Per citare questo articolo:

Luchetti A., (2024). Temporalizzazione e situazione antropologica fondamentale, KnotGarden 2024/3, Centro Veneto di Psicoanalisi, pp. 75-98.

Per una lettura più agile e per ulteriori riferimenti di pagina si consiglia di scaricare la Rivista in formato PDF.

 

Condividi questa pagina: