Sezione Locale della Società Psicoanalitica Italiana
di Silvia Mondini
Cerchiamo allora di scalare la montagna,
non calpestando ciò che è sotto di noi,
ma innalzandoci verso ciò che è sopra di noi,
da parte mia verso le stelle.
(Escher, Ferrara, 2024)
In una domenica di primavera ho ritrovato Escher (Ferrara, Palazzo Diamanti, 23 marzo – 21 luglio 2024) e il ricordo di alcune occasioni in cui mi son tornate in mente le sue immagini. Questo intreccio di circostanze, immagini e pensieri associativi rappresenta lo sfondo da cui origina il presente scritto.
Nel pluripremiato Poor Things (Lantimos, 2023), l’utilizzo iniziale del bianco e nero e del fish-eye[1] avevano richiamato alla mia memoria Mano con sfera riflettente (Escher,1935), l’immagine in cui la mano di Escher regge una palla che riflette la mano stessa, l’artista e il suo studio. Un modo sottile per ricordare la centralità del legame tra l’artista e il suo contesto e al contempo un interrogativo sul chi riflette chi: è Escher che nell’opera guarda/ritrova il suo riflesso o è il riflesso che guarda l’artista?
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[1] Un grandangolo estremo che abbraccia un campo di almeno 180 gradi e, dunque, una semisfera.
Domanda che in ogni caso non può sfiorare il dott. Godwin Baxter quando osserva Bella, la sua (povera) creatura, nell’irrefrenabile conquista di un’esistenza che appartiene solo a lei. Eppure era stato proprio lui a rimetterla in vita (o a evitarne la morte) con il trapianto del feto che teneva in grembo.
Rimandando la riflessione sull’intera vicenda a quanto scritto da altri psicoanalisti[1] (Salierno, 2023; Buoncristiani, 2023; Barosi, 2024; Falci, 2024; Maestro, 2024) ricordo che a colpirmi fu la coincidenza temporale tra l’uscita in sala del film e alcuni eventi reali; fatti in grado di accostare alla fantastica storia di una madre che diventa figlia del suo stesso feto, la realtà di un Marco (transgender F to M) che rimane incinto e di un Elon Musk che realizza la prima interfaccia cervello-computer. Situazioni diverse ma legate da quel sottile filo rosso che unisce tecnica, tecnologia e “creazione” che ritrovo nella produzione di Escher. Filo rosso che di lì a poco, soltanto con qualche giorno di anticipo rispetto all’apertura della mostra, si troverà casualmente ad attraversare anche il concetto di senso (nella doppia accezione di significato e direzione), enigma e sfida.
Capita infatti che Enrico Mangini, presentando un lavoro[2] al Centro Veneto di Psicoanalisi, individui nelle famose scale di Escher una possibile rappresentazione visiva di quelle costruzioni che si creano in certe analisi; analisi in cui il paziente crea condizioni senza via di uscita perché il suo scopo non coincide con la guarigione bensì il dimostrare di non essere aiutabile (come ritiene di non essere mai stato aiutato). In questi casi, afferma il collega, meglio astenersi dalla ricerca di un senso, lasciare insoluto l’enigma, non interpretare troppo facilmente il transfert eludendo l’inquietante presenza del dato inconscio che lo struttura.
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[1] https://www.spiweb.it/cultura-e-societa/cinema/recensioni-cinema/povere-creature-di-y-lanthimos-recensione-di-s-maestro/ ; https://www.spiweb.it/cultura-e-societa/cinema/recensioni-cinema/povere-creature-di-y-lanthimos-recensione-di-a-falci/; https://www.spiweb.it/cultura-e-societa/cinema/recensioni-cinema/povere-creature-di-y-lanthimos-recensione-di-f-barosi/; https://www.spiweb.it/cultura-e-societa/cinema/recensioni-cinema/povere-creature-di-y-lanthimos-recensione-di-s-maestro/; https://www.spiweb.it/cultura-e-societa/cinema/recensioni-cinema/poor-things-di-y-lanthimos-recensione-f-salierno/; https://www.centropsicoanaliticodiroma.it/la-sovversione-della-sessualita-femminile-e-il-corpo-cyborg-di-chiara-buoncristiani
[2] Orfeo, la sfinge, la dipendenza di transfert e le analisi interminabili. Relazione presentata al Centro Veneto di Psicoanalisi il 16 marzo 2024.
“[…] l’analista deve anche poter guardare al senso come a un appiglio nella sua ascesa, che però deve essere lasciato per poter proseguire facendo leva su un altro appiglio, cercando di non farsi troppo attirare dal baratro della facile interpretazione ma ristabilendo e conservando la mobilità degli scambi verbali e non verbali”. […]
[…] L’enigma va coltivato nella parola, nelle sue radici, nel punto ombelicale dove si annidano i significanti contrari e il doppio senso delle parole primitive. […] Ciò comporta una capacità di riposizionarsi e di stare su piani diversi anche attraverso delle scissioni del proprio funzionamento psichico” (Mangini, 2024)
Un’occasione per ricordare che Escher è autore di scale senza via di uscita ma anche di metamorfosi e “mondi impossibili” che rappresenta grazie alla capacità di trasformare la sfida in una spinta a raggiungere l’irrealizzabile. Caratteristica che ora mi spinge ad immaginarlo come anello di congiunzione tra un illusionista dei tempi passati e un generatore di immagini di ultima generazione; trait d’union che definisce una dimensione enigmatica, uno spazio che avvolge, confonde, interroga in quanto sintesi percettiva di formule geometriche, piccoli trucchi e tassellature capaci di introdurci nel virtuale senza ricorrere agli appositi sensori.
Con il solo ricorso alla tecnica Escher dà vita a metamorfosi, fusioni di prospettive, costruzioni impensabili, paradossi geometrici, passaggi dalle due alle tre dimensioni che hanno sedotto e continuano a sedurre un pubblico eterogeneo: artisti, matematici, musicisti, scienziati, hippies, borghesi, studenti, filosofi, tutti stregati dal mistero di coccodrilli che si inseguono dentro e fuori il foglio, mani che disegnano se stesse, formiche che camminano sul nastro di Moebius, quadrati che diventano pesci che diventano uccelli che diventano uomini per tornare poi ad essere quadrati.
“Ciò che ci affascina di Escher – scrive Vittorio Sgarbi[1] – è la vertigine. Entrare in uno spazio come un labirinto senza sapere come uscirne. Questo perdersi […] lega la sua esperienza a Moebius […]” il cui famosissimo nastro rappresenta il venir meno della distinzione tra interno ed esterno, sopra e sotto, dentro e fuori, prima e dopo avvicinandoci così a quella dimensione fisica – ma anche inconscia – in cui i contrari preferiscono confluire l’uno nell’altro piuttosto che costituirsi come coppia di opposti.
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[1] La missione enigmistica di Escher. Catalogo della Mostra di Ferrara. Skira Editore, Milano, 2024.
Metaformosi e virtuale
Da dove proviene questa particolare capacità di rappresentare visivamente lo spazio e il virtuale – un virtuale pretecnologico – con il solo ricorso alla tecnica della grafica e dell’incisione su pietra o legno?
La mostra – curata da Federico Giudiceandrea[1] e Mark Veldhuysen[2] – insieme alla guida dei pensieri associativi sembrano individuare nel viaggio in Spagna del 1936 e nel Convegno Internazionale dei Matematici (Amsterdam,1954) due distinti punti di svolta.
Tornato a Granada nel 1936, Escher, sembra abbandonarsi al fascino dell’Alhambra sino a identificare nelle “tassellature” che ne compongono le decorazioni una (nuova) inesauribile fonte di ispirazione. Complice la sua natura ossessiva, a trentotto anni, inizia a studiare questa particolare modalità di riempire la superficie attraverso la ripetizione di una o più figure geometriche (tasselli) senza sovrapposizioni né spazi vuoti. Ne consegue la raccolta di 137 acquerelli che costituiranno la base della successiva produzione senza per questo eliminare l’influenza dell’art nouveaux[3].
Per Escher, la metamorfosi, ovvero, la trasformazione di un essere o di un oggetto in un altro di natura diversa, prende origine da una concatenazione di forme; egli comincia con una forma e poi ne aggiunge una seconda procedendo come se fosse quest’ultima a scegliere le proprie fattezze anziché esserne determinata da quel che la precede e le sta intorno.
Un procedere, questo, che sembra ricalcare quel processo di attualizzazione che secondo Lèvy (1991) alimenta, il virtuale[4] inteso tanto come potenziale che si contrappone a ciò che è in atto, alla cosa in sé, (p.6) quanto come nodo di tendenze e di forze che accompagna una situazione, un oggetto o un’entità qualsiasi e richiede un processo di trasformazione (attualizzazione) (p. 7).
“L’attualizzazione – scrive Lèvy – è creazione, invenzione di forma a partire da una configurazione dinamica di forze e di finalità” e implica una “trasformazione delle idee, un vero e proprio divenire che di rimando alimenta il virtuale stesso” (p.7). Il virtuale e attuale costituiscono così una coppia di opposti la cui dinamica determina l’eterogenesi, il divenire altro, l’accoglimento dell’alterità (p.15) che ogni volta include l’influenza di forze esterne circostanti.
In questo senso diviene possibile pensare che ciascun “tassello”, a partire dai vincoli formali che gli sono propri, contenga virtualmente la forma successiva interagendo con il contesto in base a due regole, una oggettiva e l’altra puramente soggettiva; e se la prima impone che ogni figura risulti delimitata da figure di colore, la seconda individua nel “godimento” insito in questo gioco “l’unico e autentico motivo della sua esistenza”. (Escher, catalogo 2024).
Nell’adulto – scrive Freud in Al di là del principio di piacere – la novità è sempre condizione del godimento (1920, p.221) anche se questo non contraddice il fatto che “la constatazione dell’identità, costituisca, a sua volta, fonte di piacere” (ibid. p. 222).
Escher stesso non ha mai chiarito se questo suo gioco figurativo appartenesse al campo della matematica o a quello dell’arte. E’ chiaro, tuttavia, che matematica e geometria possono dar vita ad espressioni artistiche quando si intrecciano con esperienze estetiche o affettive. “Metamorfosi II”[5] (1939/40), uno dei suoi lavori più celebri, illustra proprio questo concetto: un viaggio in cui inizio e fine coincidono anche se nel mezzo si compiono trasformazioni che conducono alla cattedrale di Atrani, simbolo degli anni felici trascorsi in Italia (1922-1935) e dell’incontro con la moglie Jetta Umiker, a cui molti anni dopo dedicherà “Vincolo di unione” (1956).
Come non pensare, allora, che quest’alternanza di virtuale e attuale in cui inizio e fine coincidono non sia anche un modo altro per rappresentare quel continuo gioco di Eros e Thanatos introdotto da Freud nel 1920? Quella dinamica legata al costante contrapporsi di due spinte di cui una mira al cambiamento e l’altra a riportare tutto allo stato di partenza, ovvero, a quell’inanimato, a quella morte, a cui tentiamo di fuggire attraverso la scienza e la tecnologia e ricorrendo al contempo alle nostre difese psichiche.
Lo spazio tridimensionale e la rappresentazione dell’infinito: nuove geometrie dell’arte e della mente
Da sempre interessato all’organizzazione dello spazio compositivo, Escher, quasi all’inizio della sua carriera si allontana dalla rappresentazione euclidea per lasciarsi sedurre dal fascino di sfere, superfici riflettenti e solidi geometrici e dal gusto per le distorsioni e le illusioni che queste figure permettono. Conoscitore di regole matematiche e geometriche, nel 1954, espone alcune sue opere al Congresso Internazionale dei Matematici (Amsterdam) dando così inizio a quel dialogo creativo che da allora alimenta la sua ricerca sulle strutture impossibili in apparenza coerenti, l’illusione della tridimensionalità e la rappresentazione dell’infinito.
L’ho tirata un po’ per le lunghe, ma questo divagare permette di esplorare più da vicino le molteplici sfaccettature di questo mirabile intreccio di tecnica e processo creativo; un legame, questo, (che oltre ad evidenziare una quota di perturbante,) ci consente di domandarci se Escher, proprio per questa sua capacità di rappresentare visivamente il virtuale – inteso sia come “potenziale” (Lévy, 1991) sia come illusione di tridimensionalità – non possa essere pensato come iniziatore di quelle “nuove geometrie dell’arte” affermatesi con lo sviluppo della tecnica e del digitale. Configurazioni in cui siamo immersi e che, non a caso, si sono sviluppate in parallelo a quelle “nuove geometrie delle mente” [6]su cui Lorena Preta (1999) da lunghissimo tempo si (e ci) interroga. Condizioni createsi a seguito degli enormi progressi biotecnologici e scientifici che ora trasformano in eventi “attuali” (Lévy,1991) situazioni che un tempo si esprimevano solo nei miti, nel regno della fantasia e della fantascienza. Trasformazioni che sempre più ci spingono ad interrogarci su come riconfigurare/riconcettualizzare anche in termini metapsicologici “le relazioni a cui siamo abituati: la diade madre bambino, la situazione edipica, il rapporto tra corpo biologico e macchina, la famiglia e il gruppo sociale …” (Preta, 1999), soprattutto in un’epoca in cui la tecnosoggettivitá coesiste con l’umano e l’arte può essere creata dll’AI. Curioso ricordare che una delle prime opere di Maurits Cornelis Escher si intitola “I giorni della creazione” (1925-26).
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[1] Uno dei più importanti conoscitori dell’artista
[2] Presidente della M.C. Escher Foundation
[3] Samuel Jessurun de Mesquita (Amsterdam, 1968 – Auschwitz, 1944) esponente di spicco dell’art noveaux olandese, è il primo, verosimilmente anche l’unico, maestro del giovane (e poco avvezzo agli studi) Maurits Cornelis Escher. E se il padre ebbe un ruolo nel sostenere Escher nella sua passione per il disegno e i viaggi, de Mesquita ebbe anche il grande merito di incoraggiarlo nelle sue doti di grafico.
[4] Pierre Lévy (1995). Il virtuale. Raffaello Cortina Editore, Milano, 1997.
[5] https://youtu.be/g5bt7d_iVXk?si=Kp1VmOovpfz1lc4X
[6] Nuove geometrie della mente. Psicoanalisi e bioetica (a cura di) Lorena Preta. Laterza, Roma-Bari, 1999.
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