Sezione Locale della Società Psicoanalitica Italiana
Commento di Sabrina Compagno e Elisabetta Marchiori
Titolo: “Kripton”
Dati sul film: regia di Francesco Munzi, Italia, 2023, 107′
Trailer: https://www.youtube.com/watch?v=VD3NDWKfyNk
Genere: documentario, drammatico
Il kripton, che in greco significa “nascosto”, è un gas nobile, trentaseiesimo elemento della Tavola Periodica. È anche il nome di quel pianeta immaginario patria del leggendario Superman, da cui è convinto di provenire anche Marco Antonio, uno dei protagonisti dell’ultimo documentario di Francesco Munzi, presentato al Roma Film Festival nell’ottobre 2023 e distribuito da ZaLab. “Kripton” è dunque anche il titolo di questo film straordinario, che il regista sta accompagnando per le sale cinematografiche di tutta Italia. Noi abbiamo avuto l’occasione di vederlo al cinema Lux di Padova lo scorso 14 marzo e di incontrare Munzi, partecipando a una discussione molto vivace e interessante.
Il regista, insieme a una piccolissima troupe, ha girato “Kripton” trascorrendo cento giorni insieme alle persone che popolano due comunità psichiatriche terapeutiche alle porte di Roma: gli utenti, i loro familiari e gli operatori sanitari.
È riuscito ad avvicinarsi ai protagonisti della narrazione con estremo rispetto, dando il tempo di familiarizzare, trovando quella “giusta distanza” — per citare il titolo del film di Carlo Mazzacurati (2007) — tale da consentire che la telecamera porgesse loro uno sguardo accogliente, comprensivo, attento, mai intrusivo. Uno sguardo che è stato ricambiato con intensità, senza sfuggire, accompagnato da parole e silenzi, che si è concentrato su volti di estrema espressività, corpi dai movimenti ora lenti ora improvvisi e inaspettati.
È evidente che Benedetta, Dimitri, Emerson, Giorgiana, Marco Antonio, Silvia – giovani fra i venti e i trent’anni – così come gli altri protagonisti del film, compreso lo psichiatra, siano autentici nell’esporsi, nel raccontarsi e nel confrontarsi.
Il registra ci accompagna all’interno della sofferenza psichica o meglio, come specifica lui stesso, delle “esperienze psichiche” senza alcun pregiudizio legato alla psicopatologia o curiosità voyeristica sulla “follia” e le sue ipotetiche cause o le strategie di trattamento. È l’umanità che emerge, sgorga nella sua sete di vita e nel suo istinto di distruzione, e ci viene incontro.
Si susseguono sequenze di colloqui in forma di intervista, di incontri e sedute individuali, tra terapeuti pazienti, di riunioni con famigliari e di dialoghi tra diverse persone, nei vari momenti della loro vita nelle comunità. Ne emergono confessioni, racconti di sogni, teorie sul senso da dare a una esistenza che spesso ne appare priva nel suo essere fonte di dolore.
E così riusciamo a immedesimarci con queste persone, o con parti di loro, facendoci sentire come loro, alieni proveniente da un pianeta lontano, o facendoci entrare in contatto con quel Kripton che è il criptato, il nascosto appunto dentro di noi, l’ignoto, il perturbante, la parte folle, con cui si deve venire a patti perchè possiamo trovare il nostro posto sul pianeta Terra e adattarci alla vita, talvolta senza capirne le ragioni.
Per coinvolgerci ancora di più, nel montaggio Munzi inserisce brevi sequenze di vecchi film in bianco e nero, così come immagini che evocano cortocircuiti cerebrali, e ancora scene tratte da filmini di famiglia amatoriali. Vediamo bambini, che si affacciano al finestrino di un treno, o giocano o corrono con la loro macchinina a pedali per andare fuori strada. Evocano ricordi di un’infanzia che ci accomuna, durante la quale molte cose ormai rimosse sono accadute e non si poteva immaginare cosa avrebbe portato il futuro. Queste immagini, interrompendo la linearità della narrazione, scandiscono, creano associazioni, fanno riaffiorare ricordi e attivano emozioni e sensazioni.
Lo spettatore viene anche accompagnato a sperimentare l’agire terapeutico degli operatori della salute mentale, quello fatto della capacità di stare accanto alle persone e al loro modo di essere e stare nel mondo, che infrange le regole della logica, senza contrapporsi ma cercando l’incontro attraverso la parola. È solo nell’aprire un dialogo, nel cercare di tenere aperta la porta verso l’oscurità — quella di cui parla Giorgiana — che si può sperimentare insieme l’essere in questo pianeta e provare a costruire un futuro in cui essere più liberi dai vincoli della sofferenza, accettando però di convivere con essa.
È un lavoro spesso difficile da comprendere, se non se ne è fatta esperienza diretta, e coinvolge figure professionionali con competenze diverse, che rispondono ai diversi bisogni della persona sofferente e dei suoi familiari. Esso necessita di interventi tecnici (cure farmacologiche, psicoterapiche, psicoeducazionali e psicosociali), ma anche di tempi lunghi, necessari a questo tipo di percorsi di riabilitazione che sono al di là dell’urgenza. Tempi che richiedono attesa, tatto e pazienza, e sono scanditi da “azioni parlanti”, come le ha definite Racamier[1], come stare seduti su una panchina e condividere assieme — curante e paziente — il “komorebi”, quella luce che filtra tra gli alberi celebrata nel film di Wim Wenders “Perfect Days”.
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[1]Racamier, J.C. (1997). Una comunità di cura psicoterapeutica. Riflessioni a partire da un’esperienza di vent’anni. In (a cura di) A. Ferruta, G. Foresti, E. Pedriali, M. Vigorelli) La Comunità Terapeutica. Tra mito e realtà. Milano: Cortina 1998. https://www.psychomedia.it/pm/thercomm/tcmh/racamier.htm
Il film di Munzi è un film necessario: torna l’urgenza di creare consapevolezza che i progressivi tagli di risorse alla Sanità Pubblica e in particolare ai Servizi di Salute Mentale stanno svuotando della presenza di professionalità e competenze luoghi di cura e riabilitazione che rischiano di diventare meri contenitori di sofferenza, pianeti alieni isolati dal contesto, Kripton che rischiano di esplodere o di essere dimenticati con i suoi abitanti.
Tutto ciò a fronte del fatto che “in Italia, nel 2022, le persone che hanno manifestato disturbi mentali di rilevanza clinica siano state circa tre milioni”, di cui 800.000 “in cura presso i servizi di salute mentale pubblici”, “circa 28.00 ospitati in strutture residenziali comunitarie” e che la richiesta di cure e il consumo di psicofarmaci stiano aumentando esponenzialmente”, come riportato nei titoli di coda del film.
Il lungo e faticoso percorso iniziato da Basaglia con la Legge 180 (1978) sta subendo una drammatica battuta d’arresto, se non di regressione.
Kripton, come “Sur l’Adamant”, il documentario di Nicolas Philibert realizzato in una comunità terapeutica di Parigi, sono opere di grande impatto emotivo che, senza drammatizzazioni e retorica, facendo leva sull’empatia e la forza della verità, scuotono le coscienze e portano conoscenza nell’opinione pubblica e nel dibattico culturale. Auspichiamo che suscitino reazioni anche a livello politico e aiutino a cambiare la rotta intrapresa.
Il nostro timore è che, viste fra qualche anno, le immagini di questo film possano rimanere solo testimonianza di esperienze passate, sostituite dalla telemedicina e dalla distibuzione di terapie farmacologiche secondo protocolli magari determinati dall’Intelligenza Artificiale in non meglio specificati Centri ad “Alta Specializzazione”, dove la relazione e la parola non avranno nè spazio, nè tempo per la cura e la riabilitazione delle persone sofferenti di disturbi psichici.
Sabrina Compagno, Padova
Centro Veneto di Psicoanalisi
Elisabetta Marchiori, Padova
Centro Veneto di Psicoanalisi
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