Incontro con la comunità ebraica di Padova

"Se solo il mio cuore fosse pietra"

Di Carla Rigoni

report 2024 comunità ebraica 1

  Martedì 6 febbraio 2024 si è svolta a Padova presso il Museo della Padova Ebraica la presentazione del libro di Titti Marrone (giornalista, insegna Tecniche del giornalismo all’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli) “Se solo il mio cuore fosse di pietra”, uscito nel 2022 per la casa editrice Feltrinelli. Il libro ricostruisce biografie e percorsi individuali dei venticinque bambini che, sopravvissuti alla Shoah, vennero accolti a Lingfield.

 

Gina Cavalieri – Presidente della Fondazione per il Museo – ha coinvolto il Centro Veneto di Psicoanalisi nell’organizzazione di  questa serata riproponendo così la collaborazione iniziata nel 2020 in occasione della Giornata della Memoria quando la collega Mariagrazia Capitanio aveva dato vita all’ iniziativa Ricorrenze di umanità. La partecipazione del Centro Veneto di Psicoanalisi alla serata è stata preparata da Andrea Braun, Carla Rigoni e Maria Tallandini.

 

A partire dal libro si è svolto in forma di dialogo un fitto confronto tra l’Autrice, Gina Cavalieri e Andrea Braun.

 

Al termine della seconda guerra mondiale per molti ebrei sopravvissuti ai campi di concentramento ebbe inizio una seconda battaglia: quella per reinserirsi nella società; ciò si rivelò particolarmente drammatico per i bambini, soprattutto per quelli nati nei campi o talmente piccoli da non avere memoria di nessun altro tipo di vita o ancora per quelli che, per essere sottratti alla deportazione, vissero per lungo tempo, anche anni, nascosti. Tra i luoghi che in Inghilterra accolsero questi bambini ci furono Windermere, Bulldogs Bank e Lingfield, dove in una villa di campagna di un ebreo del posto alcune educatrici e psicologhe – tra cui Alice Goldberger – e lo psicologo (poi psicoanalista) Oscar Friedmann accolsero venticinque bambini ebrei di età compresa tra 4 e 15 anni. Tra loro anche due bambine di Fiume, le sorelle Andra e Tatiana Bucci, rispettivamente di 6 e 8 anni, deportate assieme alla madre ad altri familiari ad Auschwitz nel 1944.

 

Alla realizzazione dell’esperienza di Lingfield, durata dal 1946 al 1957, diede un contributo fondamentale anche Anna Freud sia con il suo lavoro di supervisione di chi si occupava dei bambini, sia con la sua diretta presenza in molti momenti della loro vita. Di ciò troviamo traccia nel suo scritto del 1951 “Un esperimento di educazione di gruppo”, pubblicato nel secondo volume delle Opere (Boringhieri,1979)[i] in cui descrive le sue osservazioni da un punto di vista psicoanalitico su un gruppo di sei bambini provenienti dal campo di concentramento di Theresiensdadt accolti a Bulldogs Bank nel mese di ottobre del 1945 e che successivamente ritroviamo a Liengfield come ‘i bambini del cucchiaio’ protagonisti delle storie narrate da Titti Marrone.

 

    Come ha sottolineato nel corso della serata Andrea Braun questo scritto mostra la scelta – e la capacità – di Anna Freud di porsi in una posizione per lo più di osservazione e di sospensione delle interpretazioni. Per i bambini sopravvissuti ad esperienze la cui drammaticità è difficilmente immaginabile è stato importante privilegiare la possibilità di offrire loro un luogo di accoglienza dove tentare di ritrovare la fiducia di poter tornare a una vita diversa dall’ orrore dei campi di concentramento  o degli angusti nascondigli vissuti per lo più in totale solitudine.

 

Durante l’incontro Titti Marrone ha riproposto i passaggi più significativi delle singole storie dei bambini di Lingfield, ha descritto l’evoluzione delle loro vite progredite più o meno positivamente. Ha evidenziato come un punto importante di confronto e riflessione fosse stato quello sulle possibili adozioni che si rivelarono spesso difficili e, in qualche caso, del tutto negative.

Uno dei cambiamenti che i bambini dovettero affrontare fu quello di imparare l’inglese abbandonando progressivamente il tedesco misto – per diversi di loro – al ceco (molti dei bambini avevano soggiornato transitoriamente in un orfanotrofio a Praga). Anche per i sei ‘bambini del cucchiaio’ l’apprendimento avvenne in tempi e modi differenti per ciascuno e questo determinò, scrive Anna Freud, “un’evidente preoccupazione dei bambini che la differenza nella rapidità di apprendimento dell’inglese causasse differenze tra di loro mentre prima c’era stata unità” (565); e riporta le battaglie verbali tra loro su queste acquisizioni, per esempio su come indicare il pane tra bread e brot.

Aggiunge come per lungo tempo “ …i bambini rimasero fermi sull’avverbio negativo tedesco nicht (che deve aver avuto una parte enormemente grande nelle restrizioni in cui vissero)… L’unica parola tedesca che i bambini mantennero per tutto l’anno fu meine (mia). Benché i bambini conoscessero e usassero l’equivalente inglese, ritornavano al tedesco meine per essere particolarmente affettuosi…” (567). E conclude con l’osservazione di come “l’acquisizione di una nuova lingua in mezzo a tanti cambiamenti radicali è testimonianza di un contatto con l’ambiente fondamentalmente non danneggiato” (567).

    Alla serata non hanno potuto essere presenti le ormai anziane sorelle Bucci di cui in un primo tempo era stata programmata la presenza. Andra e Tatiana vennero deportate assieme alla madre, alla zia, al cuginetto Sergio e ad altri familiari ad Auschwitz nel 1944. Le due sorelle sono state le uniche, tra i bambini di Lingfield, a ritrovare  dopo molti mesi dalla fine della guerra entrambi i genitori e a  rivivere in qualche modo la normalità della loro vita familiare .

 

La loro storia (e quella di Sergio, non sopravvissuto al lager) è una storia molto conosciuta: Titti Marrone ne ha scritto in un precedente libro “Meglio non sapere” (Feltrinelli, 2003); nel 2018 per Mondadori è uscito il libro scritto dalle due sorelle, “Noi, bambine ad Auschwitz”, da cui sono stati realizzati anche alcuni video (La stella di Andra e Tati ) sotto forma di cartoni animati rintracciabili su Youtube.

 

A partire dalla loro assenza, dovuta a motivi di salute di una delle sorelle, si è dipanato il tema che ha animato il dibattito: come far continuare a vivere al di là dei testimoni oculari la trasmissione di ciò che è stata l’esperienza della Shoah. Come farsi carico per le generazioni successive della testimonianza di quelle tragiche esperienze? Questo il tema con cui Gina Cavalieri ha aperto la serata.

 

Il tema della trasmissione pone diversi livelli che poi inevitabilmente si intrecciano, uno è quello del racconto di ciò che è stato. Come per molti altri sopravvissuti anche per le sorelle Bucci la possibilità di dire, di raccontare è arrivata molti anni dopo il loro ritorno a casa “…anche con la zia non parlammo mai del passato, di Auschwitz e di quanto ci era accaduto. Proprio come non lo abbiamo quasi mai fatto con papà, con il quale parlavamo tanto di Lingfield, ma non di Birkenau. E, soprattutto, non lo abbiamo mai fatto con la mamma..”[ii] (87).

 

L’altro aspetto è quello della trasmissione psichica attraverso le generazioni del trauma patito. Janine Altounian (germanista, traduttrice di Freud, figlia di esuli armeni sopravvissuti al genocidio del 1915) in un articolo sulla Rivista di Psicoanalisi (2007)[iii]

scrive: “Le violenze omicide distruggono infatti molto al di là degli esseri umani e molto al di là dello spazio-tempo della loro vita individuale: esse attaccano e danneggiano innanzitutto i legami che essi mantengono tra loro, con loro stessi, con il mondo, e devastano gli spazi transoggettivi che stabiliscono per loro un adeguamento tra sé, il mondo e i suoi primi oggetti”. E più avanti sottolinea l’importanza per le generazioni successive di compiere un lavoro di storicizzazione che li renda attivi di fronte all’eredità della storia di chi li ha preceduti.

 

   Possiamo pensare alle esperienze di Windermere, di Bulldogs Bank, di Lingfield come esperienze che hanno tentato di ridare ai bambini che lì sono stati accolti anche questo: la possibilità di riguardare alla loro storia e di trasmettere questa possibilità anche a chi sarebbe venuto dopo di loro in quel prezioso lavoro definito da Titti Marrone, e ripreso da Gina Cavalieri durante la serata,  di rammentare – rammendare, sapendo  anche che  forse non tutto e non sempre è completamente rammendabile.

 

 

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[i] Freud A. (1951). “Un esperimento di educazione di gruppo”. Opere Vol. II. Torino, Boringhieri, 1979

[ii] Bucci A, Bucci T. (2018). Noi bambine ad Auschwitz. Milano, Mondadori

[iii] Altounian J. (2007). Erede di un’ infanzia sacrificata. Riv.Psicoanal., 53, 767-785

Carla Rigoni, Padova

Centro Veneto di Psicoanalisi

carlarigoni4@gmail.com