Sezione Locale della Società Psicoanalitica Italiana
di Marco La Scala
(Padova), Psicoanalista Membro Ordinario con funzioni di Training della Società Psicoanalitica Italiana, Centro Veneto di Psicoanalisi.
Il riconoscimento del proprio sentire e rappresentare, implica una bi-direzionalità, origina dall’esperienza di essere stati rispecchiati nel senso winnicottiano del termine di essere riconosciuti e di potersi riconoscere, ed è una elaborazione secondaria di questa esperienza; infatti essa porta, e possiamo supporre che conserverà anche nella vita adulta, l’impronta della funzione riflessiva (Roussillon, 2008) svolta dall’oggetto nella relazione primaria.
Questo fondamentale sviluppo origina sullo sfondo di quella che Roussillon definisce come “omosessualità primaria in doppio” (2008): una qualità della presenza dell’oggetto che interviene da subito nella metabolizzazione della tensione pulsionale verso le sue forme di proto-rappresentazione.
Nella costruzione dello spazio soggettivo “la riflessione”, esperienza in cui la psiche e l’attività psichica prendono se stesse come oggetto, permette all’infans di costruire e di “appropriarsi soggettivamente” della propria attività rappresentativa promuovendo una graduale emergenza della simbolizzazione. Simbolizzazione che, nella sua complessità, però necessiterà anche della rappresentazione della stessa rappresentazione, cioè di una meta-rappresentazione. In questo senso Donnet la definisce appunto come un “metaprocesso” (Donnet, 1990).
Golse (2010) afferma che la simbolizzazione primaria avviene in presenza, una presenza che quindi comprende anche la dimensione del clima “reale” e multisensoriale in cui avviene la sintonizzazione nel rispecchiamento madre-infans, sul piano estetico e su quello emotivo, un reale presente, vivificante il simbolico.
La relazione così offerta dalla madre è quindi anche quella di un doppio, che proprio in presenza riflette avallandolo il sentire del bambino offrendone una convalida, non corrisponde alla restituzione di un identico assoluto, ma ad una rappresentazione simile e dissimile che articola il già conosciuto dell’identità di percezione con il non conosciuto e predispone a costruire una alterità simbolica tollerabile proprio perché mediata dalla sua “presenza” con cui avviene il fenomeno della sintonizzazione, fenomeno vicino a quello dell’Intendersi freudiano. Questi processi di base molto complessi consentono la giusta quota di illusione nella creazione allucinatoria dell’oggetto soggettivo che è percettivamente trovato, ma che viene anche soggettivamente creato.
Tutto questo ci interroga ovviamente anche sulla qualità dell’assetto dell’analista “in presenza” per la sua capacità e possibilità di orientarsi al rispecchiamento, e sull’uso che può fare della sua ricettività estetica ed emotiva durante la seduta, soprattutto con quei pazienti per i quali il radicamento al narcisismo è molto forte e il “come se” indispensabile al costituirsi del transfert non può adeguatamente svilupparsi.
Credo che la “delusione”, per una mancata risposta ad una implicita richiesta del bambino, quando i suoi movimenti e i suoi messaggi non hanno avuto il riscontro, il ritorno, necessari, si manifesti anche come sofferenza per non poter essere aiutato a sviluppare gli aspetti vitali e creativi di sè. E questo può accadere nel momento in cui l’ambiente non offra gli strumenti per poterlo fare operando una sufficiente attività di rispecchiamento, tale da permettere poi di interiorizzare quella auto-riflessione di sé che permette al processo di autonomizzarsi. Mi riferisco ad uno specchio prima esterno e che poi, per imitazione-interiorizzazione identificativa, diviene interno e consente lo sviluppo della capacità riflessiva del sentito in via di rappresentazione indispensabile e base per l’appropriazione soggettiva da parte dell’Io.
Psicopatolologia
Mi sembra importante rilevare che nelle patologie non nevrotiche ma di tipo narcisistico-identitario la clinica ci mette quasi sempre di fronte a difetti di soggettivazione e a lacune nella simbolizzazione tanto da spingere alcuni autori a ipotizzare in questi pazienti una delusione narcisistica primaria assieme allo sviluppo di nuclei melanconici (Roussillon, 2012, La Scala, 2017).
“Di fronte alla modalità di assenza dell’oggetto in presenza, e quindi di fronte a questa forma di “vuoto” della presenza, del vuoto della risposta dell’oggetto, e senza dubbio per proteggersi da una vita di rabbia impotente, il soggetto può anche “incorporare” il vuoto della risposta dell’oggetto… [quando] i movimenti e i messaggi del soggetto non hanno avuto l’eco atteso e fanno vivere al soggetto la minaccia e il rischio di spegnere lo slancio pulsionale del soggetto: l’ombra del silenzio dell’oggetto cade sull’(io) sé e installa una zona di vuoto, ”materiale” opaco, duro, al suo interno” (Roussillon).
Delusione o ferita?
Credo sia importante distinguerle sia come genesi, sia come conseguenze:
– Rientra nella delusione quanto è determinato dalla, pur inconsapevole, aspettativa di un rispecchiamento e di una convalida di sé che non sono stati soddisfatti. Questa situazione non promuove la funzione rappresentativo-simbolica vitale per lo sviluppo del soggetto e in quanto potenzialità che non evolve adeguatamente, àncora il soggetto all’identità di percezione e/o al diniego delle percezioni per difendere l’identico percettivo. Può comportare inoltre un rafforzamento della difesa narcisistica nel senso di una potente barriera psichica che rafforza l’autosufficienza. Ciononostante la speranza viene comunque mantenuta, come un ‘affetto’ che è ‘l’ultimo a morire’. Il narcisista, come lo stato limite, ha aspettative magiche nei confronti dell’oggetto tanto che, abilissimo nel cercare un partner complementare a queste aspettative, può talora instaurare relazioni caratterizzate da una complicità dalle note perverse, anche nella richiesta di cura.
– Bisogna distinguere, dicevo, quanto ora descritto da quanto invece è andato oltre la delusione per la mancata risposta rispecchiante dell’oggetto, per quanto anch’essa traumatica, e ha comportato invece una vera e propria ferita per un pervertimento della funzione riflessiva. Quando cioè all’avallo dei processi di percezione rappresentazione del bambino si sostituisce l’immissione intrusiva nell’infans di contenuti a lui estranei provenienti unicamente dall’oggetto.
Quanto più vi è un terreno già costruito esito di un certo grado di sviluppo dell’Io e della rappresentazione simbolica e dell’oggetto, assetto che pertanto è in grado di produrre la sostanza dell’Io, allora ha senso parlare di ferita, e non solo di mancanza di quella indispensabile funzione di “eco” materna. Si tratta di quella medesima ferita di cui parla Freud a proposito della melanconia, una ferita aperta che attira su di sé da tutte le parti energie di investimento (Freud, 1915, 112). Cioè di una difesa che opera tramite il disinvestimento che svuota l’Io e che riduce l’Io libidico in una condizione residuale dove anche il modello pulsionale eccitamento scarica fatica a persistere, e comunque prevale su quello eccitamento soddisfacimento scarica.
L’obiettivo indispensabile è il salvataggio dell’oggetto e l’unica possibilità di realizzarlo è una sorta di resa totale e annichilente ad esso: “ti salvo diventando te, come quando prima di riconoscerti come oggetto ero te, così non mi deludi e non mi ferisci più”. Si realizza cioè una sostituzione dell’amore oggettuale con una identificazione narcisistica. Il melanconico non rinuncia all’amore dell’oggetto, perché come dice Freud: “si tratta di un amore a cui non si può rinunciare, nonostante si sia rinunciato all’oggetto stesso” (Freud 1915, 109, corsivo mio).
Inoltre le patologie narcisistiche da mancato e complicato rispecchiamento si possono mescolare con forme di disinvestimento che comportano il prevalere, anche transitorio, di un funzionamento melanconico. E in questo caso ‘la speranza non è l’ultima a morire’ perché essa è già venuta meno.
La natura dell’investimento e il suo percorso
Dobbiamo anche considerare queste situazioni di impasse dalla prospettiva pulsionale della seconda topica.
La delusione per mancato rispecchiamento o la ferita determinata dalla inversione dello specchio, cioè l’immissione trans-psichica di elementi intrusivi ed estranei da parte dell’oggetto, considerate in questa prospettiva, pongono al centro della questione l’avvenuto o non avvenuto impasto o legamento delle pulsioni di vita e di morte, sia per ciò che concerne il bambino, sia soprattutto per ciò che concerne la madre, vuoi al suo interno, vuoi nel suo compito di favorirne l’impasto per l’infans nella condizione di dipendenza primaria.
Eros e Thanatos, nelle situazioni di disimpasto pulsionale, appaiono come collocati agli estremi di una coppia di opposti, senza mediazioni possibili e senza possibilità di legarsi. Si crea così e si fissa una “polarizzazione” (Rosenberg, 1991) che lavora nel senso opposto a quello dell’impasto pulsionale. Alle origini la possibilità di un loro legame avviene attraverso quello che Freud ha definito come masochismo erogeno (1924, 10), cioè la possibilità di mantenere all’interno e di investire libidicamente anche una certa quota di dispiacere, base questa della successiva possibilità di legare Eros e Thanatos, piacere e dispiacere.
Esso potrà essere promosso da una madre “sufficientemente buona”, quindi anche in grado di dosare in modo ottimale le frustrazioni, favorendo la capacità di attesa del bambino e quindi anche la sua possibilità di mettere in atto il soddisfacimento allucinatorio del desiderio, prima forma di simbolizzazione.
Potremmo dunque pensare che proprio una mancata organizzazione del masochismo erogeno alle origini sia una delle principali cause di tutte quelle situazioni cliniche che hanno alla base un disimpasto pulsionale e un eccesso di polarizzazione, primaria e secondaria.
Nel disimpasto primario viene comunque mantenuta la speranza di un oggetto che, per quanto scisso, possa attuare questo legamento dall’esterno, e la delusione per questa sua incapacità genera quella rabbia determinata dal trovarsi nella burrasca di un oggetto sentito ora buono ora cattivo, ora troppo distante ora troppo vicino, ora troppo caldo ora troppo freddo, in tutti quei rovesciamenti che caratterizzano anche la cura degli stati limite con i quali è indispensabile ricucire i bordi della polarizzazione che alimenta la scissione.
Nel disimpasto secondario si tratta invece di un disinvestimento causato dal ritiro della libido da un oggetto nei confronti del quale il legamento era almeno in parte avvenuto. Si tratta qui della disperata situazione del melanconico, che nulla può più chiedere a un oggetto che lo ha ferito, tanto più se quell’oggetto è stato assorbito dall’Io stesso e il disimpasto secondario ha radicato la pulsione di morte nel Super-Io dove è rimasta slegata dalla libido che a sua volta è rimasta priva dell’oggetto.
Il lavoro dell’analista
Nelle patologie non nevrotiche sarà quindi necessario lavorare non solo sulle particolarità dello sviluppo della organizzazione psichica conseguenti alla assenza-presenza dell’oggetto, ma soprattutto su quelle relative alla qualità della presenza dell’oggetto esterno-interno. Un oggetto che pur presente si può assentare rispetto ad aspettative e a funzioni fondamentali per lo sviluppo del sé e dell’Io, situazioni in cui nella relazione analitica, anche col paziente adulto, il fantasma dell’infans, è continuamente presente a convocare e coinvolgere l’analista in un ambito “originario” e “primario”.
Se nei pazienti nevrotici la cosiddetta mamma cattiva o non “sufficientemente buona” entra nella scena del transfert con un ventaglio molto ampio di configurazioni fantasmatiche, nei pazienti non nevrotici, o altrimenti definibili come narcisistico-identitari ai quali mi riferisco, ci troviamo spesso a confrontarci con parti mute e non rappresentabili, dove anche il transfert non è derivato da un inconscio rimosso frutto di esperienze significate, che grazie alla rimozione siano state tradotte in rappresentazioni inconsce. Se dunque l’inconscio che ci ingaggia con questi pazienti non è solo quello rimosso il compito dell’analista comprende anche l’elaborazione di quanto, pur essendo stato conosciuto, non è stato rappresentato e non ha avuto accesso alla trasformazione-creazione simbolica, un inconscio che comunque manda segnali di sé nella relazione analitica attraverso l’agire e anche attraverso l’agire con la parola (Donnet, 2017).
Se l’intrapsichico è protagonista nell’orientare l’analista nelle nevrosi, la relazione interpsichica, sempre ad esso correlata, si offre qui come un vertice di osservazione che vede l’analista impegnato nella autoanalisi degli elementi del paziente che a qualche livello lo toccano, talora anche soltanto attraverso canali sensoriali, senza passare attraverso vie simboliche. Il passaggio al registro simbolico viene intuito dall’ascolto sintonico dell’analista grazie alla sua sensibilità e alla sua capacità di trasformazione interna nell’ottica di un rispecchiamento e poi riproposto con le dovute cautele e accorgimenti tecnici al paziente. Questa funzione rappresentativo simbolizzante avvicina l’analista in seduta alle figure di riferimento che all’origine hanno il compito di promuovere nell’infans la trasformazione di elementi affettivi e sensomotori e questo ci induce allora a interrogarci sulla qualità dell’ascolto e della restituzione dell’analista in co-interazione nell’hic et nunc in cui la relazione primaria si ri-propone soprattutto in quei setting analitici che permettono, nella regressione, l’avviarsi di una lavoro in doppio (Botella C., S., 2001) quando la psiche dell’analista letteralmente collabora al processo di messa in forma di ciò che nel paziente è solo ad uno stato potenziale.
Concludo con due osservazioni:
La prima riguarda il fatto che l’assetto dell’analista non sia completamente saturato nel suo collocarsi nell’area delle relazioni oggettuali e del transfert. Elementi questi che, pur di grande rilevanza, lo pongono però in una posizione differenziata-differenziante e che lo possono sottrarre a un assetto ‘metaforicamente’ rispecchiante che avvalora, contiene e conferma l’osservarsi e l’auto osservarsi del paziente sostenendone quella significazione che contribuirà a soggettivizzarlo. “Altrimenti anche l’analista, come Narciso nel mito, che vuole toccare l’immagine riflessa nell’acqua, non sapendo ancora che è la sua, rischia, nel tentativo di vedere e toccare il paziente, credendo sia altro da sé, di toccare invece solamente l’immagine di sé stesso nella propria “fonte” controtransferale” (La Scala, 2023).
La seconda. Vi è un’innegabile quota di masochismo nell’essere madre come nell’essere analista, o comunque nel dedicarsi ad un altro esser umano. Si tratta però di un masochismo che deve poter, trovare anche una continuità con l’originario masochismo erogeno, quello che ha potuto istituire in adeguata forma e misura, un piacere del dispiacere, quello che per Freud, “tanta importanza ha per la vita” (1924, 10). Cosi le competenze che vengono richieste e che abbiamo in buona parte esaminato in precedenza, fantasticando sulla relazione primaria delle origini, costituiscono un banco di prova delle possibilità dell’impasto pulsionale dello stesso analista rispetto a quanto gli è stato immesso dal paziente in forma disimpastata e quindi anche per lui traumatica. E proprio questo, incredibile a dirsi, ha sempre bisogno di tempo e di lavoro, talora anche di un tempo lungo per essere elaborato prima all’interno dell’analista e poi nella relazione.
Bibliografia
Botella C. e S. (2001). La raffigurabilità psichica, Roma, Borla, 2004.
Donnet J.L. (1990) “L’opéation méta”, in Psychanalyse. Questions pour demain, Paris, PUF.
Donnet J.L. (2017). Une traversée du site analytique avec jean-Luc Donnet, Collection Partage, Societé Psychanalytique de Parsis.
Freud S. (1915d). Lutto e Melanconia. O.S.F., 8.
Freud S. (1924). Il problema economico del masochismo. O.S.F., 10.
Golse B., Roussillon R. (2010). La naissance de l’objet. Paris, Puf.
La Scala M. (2017). Percepire, allucinare, immaginare. Milano, Franco Angeli Editore.
Rosenberg B. (1991) Masochisme mortifère et masochisme gardien de la vie. Paris, PUF.
Roussillon R. (2008). Le Transitionnel, le sexuel et la réflexivité. Paris, Dunod.
Roussillon R. (2020). Simbolizzazione e desimbolizzazione nella teoria e nella clinica.
Relazione al Convegno del CNP, 14-11-2020.
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